2. L'ABORTO E I SUOI PROBLEMI ETICO-GIURIDICI

 

Affronteremo la questione dei rapporti tra aborto e diritto naturale secondo l'articolarsi della seguente affermazione sillogistica:

A) La creatura umana possiede un diritto oggettivo, primario, inalienabile all'esistenza.

B) Ma il feto, fino dalla fecondazione naturale, ossia fino dalla costituzione dello zigote o diploide, è inizio di autonomo soggetto umano, nuovo essere umano distinto dalla madre.

C) Dunque il feto, fino dalla fecondazione naturale, ossia fino dalla costituzione dello zigote o diploide, possiede un diritto oggettivo, primario, inalienabile all'esistenza.

Illustriamo brevemente la dimostrazione anzitutto nelle sue linee generali.

Quanto al metodo dell'argomentazione: è ovvio che noi non intendiamo qui fondarci su considerazioni strettamente teologiche o religiose ma su considerazioni razionali. L'argomentazione razionale non esclude peraltro quella teologica e religiosa, come diremo più avanti. Quanto al procedimento dimostrativo, va notato che esso non può essere accusato di astrattezza: se da un lato, nella premessa maggiore del sillogismo, si parte da una proposizione universale, dall'altro, nella premessa minore, si tiene conto delle situazioni esistenziali, delle scoperte scientifiche ecc...; con un metodo che è dunque insieme induttivo e deduttivo.

Quanto all'oggetto dell'argomentazione: procederemo non tanto colpendo direttamente l'aborto, quanto invece ponendo in rilievo il carattere sacro della vita umana. Ne conseguirà indirettamente che ogni attentato a essa è contrario all'onestà e alla giustizia; la condanna dell'aborto, cioè, scaturisce dal precetto che ingiunge di rispettare la vita umana, applicato alla particolare esistenza umana propria del feto.

Vi è chi solleva l'ipotesi del caso in cui la gravidanza ponesse in pericolo la vita della madre: perché - si obbietta - occuparsi del diritto all'esistenza da parte del feto, la cui perfezione umana è ancora largamente potenziale, quando fosse in pericolo la vita della madre, la cui perfezione umana è invece tanto largamente attuale? Con tali ragionamenti si può arrivare fino a proporre una casistica tragica che dapprima si enuncia dialetticamente nella formula: "o la madre o il figlio", ma che da ultimo giunge a decretare un minore diritto alla vita da parte di chiunque non fosse giudicato sufficientemente "degno" di vivere, non essendo sufficientemente attuale la sua perfezione umana.

In realtà tale opposizione ("o la madre o il figlio") è inammissibile: non solo e non tanto perché il progresso della medicina e della chirurgia l'hanno resa ormai statisticamente irrilevante (i casi di alternativa sono stati ormai ridotti intorno al 2 per 1000, e l'ulteriore progresso scientifico li va cancellando totalmente), quanto piuttosto perché il diritto alla vita di un essere umano innocente non è misurato dall'entità delle sue perfezioni umane in atto, ma sussiste sempre intero quando è in atto la sua vita umana, e pur essendo in essa solo potenziali le perfezioni possibili.

Con queste premesse possiamo ora illustrare in forma più specifica l'argomentazione proposta.

 

 

 

3. IL VALORE DELL'ESISTENZA DI FRONTE ALLA RAGIONE UMANA

 

Nella argomentazione proposta si dice anzitutto: La creatura umana possiede un diritto oggettivo, primario, inalienabile all'esistenza.

Si tratta di una affermazione universale, accessibile a tutti gli uomini ed evidente.

Per la filosofia questo diritto è fondato sulla natura e dignità dell'uomo stesso (5).

Alla filosofia fa seguito la scienza del diritto, ossia quella alta disciplina che studia i rapporti doverosi tra uomo e uomo. In relazione all'essere e alla vita umana, tale scienza afferma l'oggettività di un sistema normativo che si chiama diritto naturale. Con l'espressione diritto naturale sono significate tre realtà: un ordine o valore oggettivo; la norma regolatrice dell'ordine; la capacità nell'uomo di esercitare la sua libertà entro la tessitura di tale ordine e sulla traccia delle norme.

Esiste perciò un diritto naturale inteso come ordine e valore oggettivo, prima ancora che come norma, che inerisce alla vita umana in sé stessa e vige di fronte a tutta l'umanità. Esiste poi la norma che tutela questo valore e che si chiama legge naturale. Esiste infine la capacità fondamentale o facoltà giuridica alla vita e ad agire conformemente a quelli che sono noti come diritti della persona. Il diritto naturale, dunque, consta anzitutto del valore e della dignità oggettivi dell'esistenza umana; consta poi della formula normativa che enuncia tale valore e dignità; consta infine della facoltà giuridica o capacità ad agire o libertà di operare di conseguenza, che i singoli uomini posseggono. La permanenza nella vita è dunque per la creatura umana: diritto (soggettivo), norma e diritto di natura. Ossia, come si è detto nell'enunciato, a permanere nella vita la creatura umana ha un diritto oggettivo, primario, inalienabile. Oggettivo, perché non fondato sulla conoscenza che altri ne hanno e non sul suo riconoscimento privato da parte di uomini o pubblico da parte di ordinamenti giuridici; ma fondato invece sull'essere stesso del vivente umano, per cui la vita umana è per sé stessa sacra. Primario, poiché ogni altra facoltà, norma, diritto (relativi, ad esempio, alla salute, all'onore e a ogni altro bene) possono stare solo se sta questo primo che concerne la vita. Inalienabile, poiché neppure il suo stesso titolare può disporne e trasferire ad altri, a suo arbitrio, il proprio diritto alla vita, essendo, tale diritto, patrimonio inerente alla sua natura di uomo, dalla quale egli non può separarsi.

Al diritto naturale è resa testimonianza infine dal consenso universale degli uomini: in ogni tempo, per le leggi e i costumi di tutti i popoli, nell'ambito di ogni tradizione religiosa, la vita umana innocente è un bene sacro: l'inviolabilità della vita umana innocente (le sole esigue eccezioni sono limitate a periodi di estrema degradazione morale e oscuramento religioso) è legge conosciuta dalla retta ragione presso ogni civiltà. Il comandamento biblico non uccidere non ne è che la formulazione negativa, e per ciò stesso universale e universalmente cogente.