4. L'ESISTENZA PRENATALE DELL'UOMO DI FRONTE ALLA SCIENZA E AL DIRITTO

 

Abbiamo finora illustrato la premessa maggiore del sillogismo. È da notare che anche i più ottusi e settari apologeti e propagandisti dell'aborto (quello terapeutico come quello eugenetico o quello che si vorrebbe giustificare in nome di una "libertà" della madre, ecc...) sono generalmente costretti a riconoscere la verità e la fondatezza almeno delle considerazioni fin qui esposte: almeno la fondatezza, cioè, del l'inviolabilità della vita umana innocente (6); ciò di cui essi rifiutano di prendere atto, invece, è che quella del feto sia vita umana, vita di nuovo e distinto essere umano.

Occorre dunque ora esaminare la premessa minore, nella sua correttezza logica e nella sua fondatezza scientifica, e affrontare il tema dell'esistenza prenatale dell'uomo.

L'enunciato della premessa minore, proposto sopra, dice: Ma il feto, fino dalla fecondazione naturale, ossia fino dalla costituzione dello zigote o diploide, è inizio di autonomo soggetto umano, nuovo essere umano distinto dalla madre.

Come si può facilmente intendere, affermiamo che poche ore dopo l'unione tra uomo e donna - forse 20 o 24 ore - una nuova vita umana si accende e la donna diviene madre.

Ma faremo, prima, rapidi cenni alla storia di talune opinioni sulla vita intrauterina, anche allo scopo di renderci ragione di qualche varietà di opinione presso taluni moralisti cattolici del passato.

È noto che nel secolo V a. C. Ippocrate, medico e scienziato greco, imponeva ai medici il giuramento di non ledere la vita umana, a cominciare da quella prenatale; lo stesso facevano i Pitagorici. Il rispetto della vita umana anche prenatale, del resto, era già da sempre riconosciuto come dovere conforme alle leggi di natura, alla retta ragione, alle tradizioni di ogni civiltà.

Ippocrate peraltro insegnava - seguito, anche secoli dopo, da lontani discepoli - che il germe vitale che dal primo giorno si annida nel seno della madre aveva inizialmente vita e proprietà vegetali e animali, ma non ancora umane: solo oltre i primi 30 giorni (7) si sarebbe verificato il passaggio dalla vita o anima - vegetale e animale a quella umana o razionale, sarebbe cioè avvenuta la "animazione", ma intesa come attuazione e realizzazione delle precedenti proprietà virtuali. L'opinione di Ippocrate fu condivisa da molti scienziati dell'antichità. Gli stoici invece, e con essi il grande medico Sorano del secolo II d. C., insegnavano che l'anima razionale o umana era presente fin dall'inizio, e si trasmetteva direttamente per generazione.

Tali opinioni furono corrette nel Medioevo dai maestri della Chiesa, i quali insegnarono che l'anima umana viene, sì, introdotta a reggere il germe dopo che esso abbia iniziato ad essere retto da vita animale, ma che l'anima umana o razionale non è né l'attuazione di virtualità della vita animale né è propriamente generata dall'uomo e dalla donna, essendo invece infusa nel germe vitale in virtù dell'opera creatrice di Dio. Collateralmente, fu discusso il problema della qualità di peccato dell'aborto; la soluzione fu generalmente questa: da un lato - conformemente al costante insegnamento cristiano - ogni aborto è peccato grave; dall'altro almeno dopo il quarantesimo giorno, o poco dopo, l'aborto si poteva considerare propriamente come infanticidio. Discussioni collaterali sorsero nel secolo XVI per valutare la fondatezza dei motivi che, in tale periodo di accresciuta corruzione morale, venivano avanzati come attenuanti del peccato e delitto di aborto. Si giunge infine ai problemi suscitati nei secoli XIX e XX dall'intervento sempre più generalizzato della chirurgia. Sono note, a questo riguardo, le ripetute conferme venute dal magistero pontificio anche mediante gli atti delle Congregazioni Romane circa l'inviolabilità della vita umana prenatale e l'inammissibilità di attentarvi direttamente.

Ma oggi è la stessa scienza a dover prendere atto della perfetta fondatezza delle norme disposte dalla Chiesa a tutela della vita umana prenatale.

Oggi infatti la scienza è in grado di stabilire con esattezza che appena l'ovulo viene fecondato dallo sperma - e si instaura così lo zigote o diploide - una autonoma nuova vita umana nasce nel seno della madre: poche ore dopo l'unione tra l'uomo e la donna, nello zigote o diploide tutte le virtualità che si esplicheranno nell'adulto di domani sono integralmente e autonomamente presenti. La genetica, dopo gli studi e le scoperte degli anni recenti, è oggi in grado di provare che fin da quel primo momento, in quel primo germe, tutto l'uomo o la donna futuri sono precontenuti e preordinati: colore della pelle, degli occhi, dei capelli, statura, qualità biologiche ereditarie, ecc. Una autonoma vita umana ha da allora iniziato a svolgersi secondo una legge propria che le è insita, distinta e irriducibile a quelle che reggono e ordinano la vita del padre e della madre. In questa sede non ci è purtroppo consentito dilungarci a illustrare minutamente tali acquisizioni; chi intendesse prenderne conoscenza approfondita ha peraltro la possibilità di ricorrere agevolmente alle opere degli scienziati, biologi e genetisti, che le espongono. Quanto è stato detto, comunque, è sufficiente per affermare che la stessa scienza è oggi nella necessità di prendere atto che un autonomo principio vitale umano, ossia un'autonoma vita o anima umana, è fin dall'inizio presente come un artefice che costruisce il nuovo palazzo dalle fondamenta (8).

È quanto enuncia la premessa minore.

Per questo possiamo affermare che ogni interruzione volontaria della maternità è volontaria uccisione di una creatura umana.

La soppressione di una creatura umana concepita anche solo da poche ore non può affatto essere paragonata all'assunzione di un lassativo per stipsi, allo spurgare il naso dal catarro, all'asportazione di un tessuto o di un organo della madre: chi viene espulso e ucciso con l'aborto non è una cosa che appartenga alla madre né un suo tessuto né un suo organo, ma è un vero e autonomo essere umano.

È appena il caso di accennare all'estrema stoltezza di un'ultima "argomentazione" a cui talvolta si aggrappano i fautori dell'aborto quando si vedono privati di ogni altro appiglio: l'"argomentazione" secondo cui essi desumerebbero la liceità dell'aborto volontario dall'esiguità delle dimensioni del feto o dalla limitatezza del tempo da cui ha cominciato a vivere ("è piccolissimo; pesa pochissimo; è concepito da pochissimi giorni!"); quasi che in un uomo lo stato di umanità fosse misurato dalla sua statura o dal suo peso o dal numero dei suoi anni! Nessuno degli uditori, certo, ha bisogno che si risponda a una simile "argomentazione".