1. NOZIONI PRELIMINARI

Prima di entrare nel vivo della questione, penso opportuno richiamare all'attenzione alcune nozioni fondamentali, allo scopo di discutere il problema con la massima esattezza possibile. Anzitutto la parola aborto. È voce che deriva dal latino ab-orior e più precisamente dal participio ab-ortus. Significa: venire al mondo prima del giusto tempo. Voci ed espressioni equivalenti sono: interruzione della gravidanza o interruzione della maternità; talvolta viene chiamato anche infanticidio, che però è usato propriamente a significare l'uccisione di chi può già nascere normalmente o è già nato.

L'aborto si suole definire come espulsione dell'embrione, o feto, nel periodo di gestazione che va da 0 giorni a 6 mesi. Almeno dopo i 6 mesi il bambino può nascere e sopravvivere: se lo si uccidesse allora, si avrebbe dunque già, nel senso più proprio, un infanticidio. Nel linguaggio nordamericano si chiama abortion l'espulsione del feto che avvenisse tra il concepimento e il terzo mese; miscarriage quando ciò accadesse tra il terzo e il sesto mese; premature delivery tra il sesto e il nono mese. L'aborto si può dividere a seconda che avvenga o per difetto di natura o per volontà umana. Il primo si chiama aborto naturale o spontaneo. Esso non ci riguarda direttamente; al più deve richiamare l'attenzione dei medici per rimediare all'imperfezione o alla malattia che lo causano.

Il secondo, che avviene per volontà umana, è chiamato aborto procurato (come si dice con termine tecnico desunto dal Codice di diritto canonico), ossia provocato con mezzi, in modi, per motivi e pretesti diversi: con mezzi meccanici o chirurgici o con medicamenti; in modo clandestino (aborti clandestini) o pubblico (aborti legali); per motivi e pretesti svariati (detti tecnicamente indicazioni): per salvare la vita della madre (aborto terapeutico), per impedire la nascita di un bambino che la tecnica diagnostica presume anormale (aborto eugenetico), per rimediare a problemi economici, demografici, sociali, psicologici (pretesti che vanno dalla sovrappopolazione all'incesto, dalla vedovanza alla violenza carnale, dalle esigenze professionali al disagio psicologico).

Sotto il profilo della legittimità, l'aborto procurato è peccaminoso in quanto viola la legge divina, è criminale o delittuoso in quanto viola anche una norma positiva. Norma positiva canonica, che condanna gli interessati - madre, medici, infermieri - alla scomunica riservata al vescovo (2); oppure norma positiva civile: nel nostro paese, la legge - e propriamente il codice penale (3), con disposizioni che risalgono al 1880 - punisce con detenzione carceraria i responsabili del delitto. L'aborto criminale si chiama anche illegale in quanto indica una azione contraria alla legge.

Gli ordinamenti civili in tema di aborto possono essere divisi in: ordinamenti permissivi (Giappone, URSS, Ungheria, alcuni Stati degli USA, ecc...); ordinamenti condizionanti (numerosi Stati dell'Europa e dell'America settentrionale); ordinamenti repressivi (Italia, America Latina, Belgio, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna).

Oggi però si suole proporre, sotto il profilo giuridico, un altro schema, più tecnico: da un lato gli Stati contrari all'aborto, che cioè lo puniscono ossia lo penalizzano; dall'altro gli Stati permissivi. Gli Stati permissivi si dividono a loro volta in quelli che legalizzano o liberalizzano l'aborto e in quelli che lo depenalizzano.

Gli Stati che legalizzano o liberalizzano l'aborto sono quelli che, mediante una regolamentazione più o meno permissiva, ossia mediante regolamentazione "restrittiva" di maggiore o minore labilità, lo permettono. Si afferma che la liberalizzazione dell'aborto pubblico cancellerà la piaga degli aborti clandestini, non dilaterà l'entità del fenomeno stesso, farà cessare vergognose speculazioni, farà diminuire il numero delle nascite di figli illegittimi. La documentazione più recente prova invece irrefutabilmente che, dovunque si è legalizzato l'aborto, le nascite di illegittimi sono in aumento; dilaga la più vergognosa speculazione pubblica e legale e la più abbietta e aperta propaganda da parte di "cliniche" e ospedali concorrenti che si contendono i clienti o i contributi dello Stato per lo sfruttamento organizzato dell'assassinio; gli aborti clandestini non diminuiscono; l'entità del fenomeno si dilata incessantemente: gli aborti si moltiplicano paurosamente di anno in anno. La "medicina" della legalizzazione è inefficace. Ma non tanto e non solo perché fallisce il bene indiretto che si propone, essa è inammissibile, quanto piuttosto perché in vista di tale bene indiretto - per conseguire il quale occorrono la prevenzione sociale e soprattutto rimedi morali - essa permette il male diretto: nel nostro caso, legittima e regolamenta l'assassinio. Vale invece per ogni uomo il principio: Non sunt facienda mala ut eveniant bona (4),

Gli Stati che depenalizzano l'aborto sono quelli che, abrogando ogni regolamentazione restrittiva o repressiva in materia, pongono in condizione di assoluta e permanente impunità le persone che comunque concorrono a procurare l'aborto. La depenalizzazione, per sé, non significherebbe una esplicita approvazione dei reato né l'esplicita eliminazione della conseguente condanna morale. Ma neppure si configurerebbe come condono giudiziario, ossia come remissione della pena, o come una sua mitigazione che peraltro non deroghi alla norma penale. Abrogando la norma stessa, infatti, la depenalizzazione crea il vuoto legislativo e pone come giuridicamente irrilevante la soppressione della vita umana nei primi mesi della sua esistenza. Per l'illecito dell'aborto procurato, cioè, la norma positiva si comporta allora in modo radicalmente tollerante: non lo qualifica, non ne dissuade e non commina pene; lo ignora. Inevitabilmente, il vuoto legislativo indurrà molti a credere che l'aborto sia azione moralmente indifferente. Il permanere della sanzione coercitiva - di minore o maggiore severità - è infatti necessario proprio perché la legge possa svolgere adeguatamente la sua funzione pedagogica e formativa della coscienza morale. È da notare che i medesimi deleteri e tragici effetti pratici della depenalizzazione sarebbero prodotti anche da una mitigazione delle sanzioni che giungesse fino in prossimità e alle soglie della concessione di una pratica impunità.

Ci si è chiesti se la Conferenza Episcopale Italiana non sembri accedere a una qualche mitigazione delle pene previste dal nostro codice. È comunque da escludere che sia lecito accedere a una qualche depenalizzazione.