INTRODUZIONE

1. I Pastori del gregge, nell'adempimento del loro ministero di Vescovi, sanno di poter contare su di una speciale grazia divina. Nel Pontificale Romano, durante la solenne preghiera d'ordinazione il Vescovo ordinante principale, dopo avere invocato l'effusione dello Spirito che regge e guida, ripete le parole, già presenti nell'antico testo della Tradizione Apostolica: "O Padre, che conosci i segreti dei cuori, concedi a questo tuo servo, da te eletto all'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere in modo irreprensibile la missione del sommo sacerdozio". [1] Continua cosí ad essere adempiuta la volontà del Signore Gesú, il Pastore eterno che ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre (cfr. Gv 20, 21) e ha voluto che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori sino alla fine dei secoli. [2]

L'immagine del Buon Pastore, cosí amata anche dalla primitiva iconografia cristiana, è stata ben presente ai Vescovi che, provenendo da tutto il mondo, si sono radunati, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, per la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Presso la tomba dell'apostolo Pietro, essi hanno riflettuto insieme con me sulla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesú Cristo per la speranza del mondo. Tutti si sono trovati d'accordo nel ritenere che la figura di Gesú Buon Pastore costituisce l'immagine privilegiata a cui fare costante riferimento. Nessuno, infatti, può essere considerato pastore degno di tale nome "nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo". [3] È questa la ragione fondamentale per cui "la figura ideale del Vescovo, su cui la Chiesa continua a contare, è quella del Pastore che, configurato a Cristo nella santità della vita, si spende generosamente per la Chiesa affidatagli, portando contemporaneamente nel cuore la sollecitudine per tutte le Chiese sparse sulla terra (cfr. 2 Cor 11, 28)". [4]

 

 

La decima Assemblea del Sinodo dei Vescovi

2. Rendiamo, allora, grazie al Signore, perché ci ha concesso il dono di celebrare un'altra volta ancora un'Assemblea del Sinodo dei Vescovi e di fare in essa un'esperienza davvero profonda dell'essere-Chiesa. Celebrata nel clima ancora vivo del Grande Giubileo del Duemila, all'inizio del terzo millennio cristiano, la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi è giunta dopo una lunga serie di assemblee: quelle speciali, tutte accomunate dalla prospettiva dell'evangelizzazione nei diversi continenti, dall'Africa all'America, all'Asia, all'Oceania e all'Europa; e quelle ordinarie, le ultime delle quali hanno dedicato la loro riflessione all'abbondante ricchezza costituita nella Chiesa dalle diverse vocazioni suscitate dallo Spirito nel Popolo di Dio. In questa prospettiva, l'attenzione dedicata al ministero proprio dei Vescovi ha completato il quadro di quell'ecclesiologia di comunione e missione che sempre è necessario avere presente.

A tale riguardo, i lavori sinodali hanno fatto costante riferimento alla dottrina sull'episcopato e sul ministero dei Vescovi delineata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente nel capitolo terzo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium e nel Decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus. Di questa luminosa dottrina, che riassume e sviluppa i tradizionali elementi teologici e giuridici, il mio predecessore di v. m. Paolo VI poteva giustamente affermare: "A noi sembra che l'autorità episcopale esca dal Concilio rivendicata nella sua divina istituzione, confermata nella sua insostituibile funzione, avvalorata nelle sue pastorali potestà di magistero, di santificazione e di governo, onorata nella sua estensione alla Chiesa universale per via della comunione collegiale, precisata nella sua collocazione gerarchica, confortata nella corresponsabilità fraterna con gli altri Vescovi verso i bisogni universali e particolari della Chiesa e maggiormente associata in spirito di subordinata unione e solidale collaborazione col capo della Chiesa, centro costitutivo del Collegio episcopale". [5]

Al tempo stesso, secondo quanto stabilito dal tema assegnato, i Padri sinodali hanno riconsiderato il proprio ministero alla luce della speranza teologale. Anche questo compito è subito apparso come singolarmente pertinente alla missione del pastore il quale, nella Chiesa, è anzitutto il portatore della testimonianza pasquale ed escatologica.

 

 

Una speranza fondata su Cristo

3. Compito, infatti, d'ogni Vescovo è annunziare al mondo la speranza, a partire dalla predicazione del Vangelo di Gesú Cristo: la speranza "non soltanto per ciò che riguarda le cose penultime, ma anche e soprattutto la speranza escatologica, quella che attende il tesoro della gloria di Dio (cfr. Ef 1, 18), che supera tutto ciò che è mai entrato nel cuore dell'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9) e a cui non possono essere paragonate le sofferenze del tempo presente (cfr. Rm 8, 18)". [6] La prospettiva della speranza teologale, insieme con quella della fede e della carità, deve informare interamente il ministero pastorale del Vescovo.

A lui, in particolare, spetta il compito di essere profeta, testimone e servo della speranza. Egli ha il dovere di infondere fiducia e di proclamare di fronte a chiunque le ragioni della speranza cristiana (cfr. 1 Pt 3, 15). Il Vescovo è profeta, testimone e servo di tale speranza soprattutto dove piú forte è la pressione di una cultura immanentistica, che emargina ogni apertura verso la trascendenza. Laddove manca la speranza, la fede stessa è messa in questione. Anche l'amore è affievolito dall'esaurirsi di questa virtú. La speranza, infatti, specialmente in tempi di crescente incredulità e indifferenza, è valido sostegno per la fede ed efficace incentivo per la carità. Essa trae la sua forza dalla certezza dell'universale volontà salvifica di Dio (cfr. 1 Tim 2, 3) e della costante presenza del Signore Gesú, l'Emmanuele sempre con noi sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28, 20).

Soltanto con la luce e la consolazione che provengono dal Vangelo un Vescovo riesce a tenere viva la propria speranza (cfr. Rm 15, 4) e ad alimentarla in quanti sono affidati alla sua premura di pastore. Egli, dunque, sarà imitatore della Vergine Maria, la Mater spei, che ha creduto nell'adempimento delle Parole del Signore (cfr. Lc 1, 45). Poggiando sulla Parola di Dio e aggrappandosi saldamente alla speranza, che è come ancora sicura e salda che penetra nel cielo (cfr. Ebr 6, 18-20), il Vescovo è in mezzo alla sua Chiesa sentinella vigile, profeta coraggioso, testimone credibile e servo fedele di Cristo, "speranza della gloria" (Col 1, 27), grazie al quale "non ci sarà piú la morte, né lutto, né lamento, né affanno" (Ap 21, 4).

 

 

La Speranza nel fallimento delle speranze

4. Ciascuno ricorderà che le sessioni del Sinodo dei Vescovi si svolsero in giorni fortemente drammatici. Nell'animo dei Padri sinodali era ancora viva l'eco dei terribili eventi dell'11 settembre 2001, con il doloroso esito d'innumerevoli vittime innocenti e l'insorgere nel mondo di nuove, gravissime situazioni d'incertezza e di paura per la stessa civiltà umana e per il pacifico convivere delle nazioni. Si profilavano, cosí, ulteriori orizzonti di guerra e di morte che, aggiungendosi alle già esistenti situazioni di conflitto, mostravano in tutta la sua urgenza il bisogno di rivolgere al Principe della Pace l'invocazione perché i cuori degli uomini tornassero ad essere disponibili alla riconciliazione, alla solidarietà e alla pace. [7]

Insieme con la preghiera, l'Assemblea sinodale alzò la propria voce per condannare ogni forma di violenza e per indicarne le ultime radici nel peccato dell'uomo. Di fronte al fallimento delle speranze umane che, fondandosi su ideologie materialiste, immanentiste ed economiciste, tutto pretendono di misurare in termini di efficienza e di rapporti di forza e di mercato, i Padri sinodali hanno riaffermato la convinzione che solo la luce del Risorto e l'impulso dello Spirito Santo aiutano l'uomo ad appoggiare le proprie attese sulla speranza che non delude. Per questo hanno proclamato: "Non possiamo lasciarci intimidire dalle diverse forme di negazione del Dio vivente che cercano, piú o meno scopertamente, di minare la speranza cristiana, a farne una parodia o a deriderla. Lo confessiamo nella gioia dello Spirito: Cristo è veramente risorto! Nella sua umanità glorificata, ha aperto l'orizzonte della vita eterna a tutti gli uomini che si convertono". [8]

La certezza di questa professione di fede dev'essere tale da rendere di giorno in giorno piú salda la speranza di un Vescovo, inducendolo a confidare che la bontà misericordiosa di Dio non smetterà mai di costruire strade di salvezza e di aprirle alla libertà d'ogni uomo. È la speranza ad incoraggiarlo a discernere, nel contesto dove svolge il suo ministero, i segni della vita capaci di sconfiggere i germi nocivi e mortali. È ancora la speranza a sostenerlo nel trasformare perfino i conflitti in occasioni di crescita, aprendoli alla riconciliazione. Sarà ancora la speranza in Gesú, Buon Pastore, a riempire il suo cuore di compassione inducendolo a piegarsi sul dolore di ogni uomo e donna che soffre, per lenirne le piaghe, conservando sempre la fiducia che la pecora smarrita possa essere ritrovata. In tal modo il Vescovo sarà sempre piú luminosamente segno di Cristo, Pastore e Sposo della Chiesa. Agendo come padre, fratello e amico di ogni uomo, egli sarà accanto a ciascuno viva immagine di Cristo, nostra speranza, [9] nel quale si adempiono tutte le promesse di Dio e sono portate a compimento tutte le attese della creazione.

 

 

Servi del Vangelo per la speranza del mondo

5. Disponendomi, dunque, a consegnare questa mia Esortazione apostolica, nella quale riprendo il patrimonio di riflessione maturato in occasione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dai primi Lineamenta all'Instrumentum Laboris, dagli interventi fatti in Aula dai Padri sinodali alle due Relazioni che li hanno introdotti e riassunti, dall'arricchimento di pensiero e di esperienza pastorale emerso nei circuli minores alle Propositiones, che mi sono state presentate a conclusione dei lavori sinodali perché offrissi alla Chiesa intera un apposito documento dedicato al tema sinodale del Vescovo, servitore del Vangelo di Gesú Cristo per la speranza del mondo, [10] rivolgo il mio saluto fraterno e invio il bacio di pace a tutti i Vescovi che sono in comunione con questa Cattedra, affidata per primo a Pietro perché fosse garante dell'unità e, come è da tutti riconosciuto, presiedesse nell'amore. [11]

 Duc in altum!

 

 

A voi, venerati e carissimi Fratelli, ripeto l'invito che, all'inizio del nuovo millennio, ho rivolto a tutta la Chiesa: Duc in altum! È anzi Cristo stesso che lo ripete ai Successori di quegli Apostoli che questo invito ascoltarono dalla sua viva voce e, fidandosi di Lui, partirono per la missione sulle strade del mondo: Duc in altum (Lc 5, 4). Alla luce di questo insistente invito del Signore, "noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus docendi, sanctificandi et regendi. Duc in docendo! "Annunzia la parola - diremmo con l'Apostolo -, insisti in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2 Tm 4, 2). Duc in sanctificando!

Le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori. Essi formano una sorta di rete salvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita. Duc in regendo! Come Pastori e veri Padri, coadiuvati dai Sacerdoti e dagli altri collaboratori, abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione fraterna. Per quanto si tratti d'una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d'animo. Con Pietro e con i primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, "sulla tua parola getterò le reti" (Lc 5, 5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la speranza del mondo!". [12]

In questo modo, vivendo come uomini di speranza e rispecchiando nel proprio ministero l'ecclesiologia di comunione e di missione, i Vescovi saranno davvero motivo di speranza per il loro gregge. Noi sappiamo che il mondo ha bisogno della "speranza che non delude" (cfr. Rm 5, 5). Noi sappiamo che questa speranza è Cristo. Lo sappiamo e perciò predichiamo la speranza che scaturisce dalla Croce.

Ave Crux spes unica! Questo saluto, risuonato nell'aula sinodale nel momento centrale dei lavori della X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, risuoni sempre sulle nostre labbra, perché la Croce è mistero di morte e di vita. La Croce è divenuta per la Chiesa "albero della vita". Per questo noi annunciamo che la vita ha vinto la morte. Ci ha preceduto in questo annuncio pasquale una schiera di santi Pastori, che in medio Ecclesiae sono stati segni eloquenti del Buon Pastore.

Noi, per questo, lodiamo e ringraziamo sempre Iddio onnipotente ed eterno perché, come cantiamo nella Santa Liturgia, con i loro esempi ci rafforza, con i loro insegnamenti ci ammaestra e con la loro intercessione ci protegge. [13] Il volto di ciascuno di questi santi Vescovi, dagli esordi della vita della Chiesa sino ai nostri giorni, come ho detto a conclusione dei lavori sinodali, è quasi una tessera che, collocata in una sorta di mistico mosaico, compone il volto di Cristo Buon Pastore. Su di Lui, dunque, facendoci anche in questo modelli per il gregge che il Pastore dei Pastori ci ha affidato, fissiamo il nostro sguardo per essere, con sempre piú grande impegno, ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

Contemplando il volto del nostro Maestro e Signore nell'ora in cui "amò i suoi sino alla fine", tutti noi, come l'apostolo Pietro, ci lasciamo lavare i piedi per avere parte con Lui (cfr. Gv 13, 1-9). E con la forza che da Lui ci viene nella Santa Chiesa, di fronte ai nostri presbiteri e diaconi, dinanzi a tutte le persone di vita consacrata e a tutti i carissimi fedeli laici, ripetiamo a voce alta: "Quali che siamo, la vostra speranza non sia riposta in noi: se siamo buoni, siamo ministri; se siamo cattivi, siamo ministri. Se, però, siamo ministri buoni e fedeli, allora davvero noi siamo ministri". [14] Ministri del Vangelo per la speranza del mondo.

 

 

 

CAPITOLO PRIMO

MISTERO E MINISTERO DEL VESCOVO

"... e ne scelse Dodici" (Lc 6, 13)

 

6. Il Signore Gesú, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero. [15] Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché "stessero con Lui" (Mc 3, 14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesú fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr. Lc 6, 12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesú come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: "ne costituí Dodici" (Mc 3, 14). Si svela, cosí, il mistero dell'elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesú in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo.

La missione affidata da Gesú agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28, 20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli. [16]

La speciale effusione dello Spirito Santo, di cui gli Apostoli furono colmati dal Signore risorto (cfr. At 1, 5.8; 2, 4; Gv 20, 22-23), fu da essi partecipata attraverso il gesto dell'imposizione delle mani ai loro collaboratori (cfr. 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1, 6-7). Questi, a loro volta, con lo stesso gesto la trasmisero ad altri, e questi ad altri ancora. In tal modo, il dono spirituale degli inizi è giunto fino a noi mediante l'imposizione delle mani, cioè la consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell'Ordine, il sommo sacerdozio, la totalità del sacro ministero. Cosí, per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesú Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti. In tutti i tempi e in tutti i luoghi Egli predica la parola di Dio a tutte le genti, amministra i sacramenti della fede ai credenti e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l'eterna beatitudine. Il Buon Pastore non abbandona il suo gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre mediante coloro che, in forza della partecipazione ontologica alla sua vita e alla sua missione, svolgendone in modo eminente e visibile la parte di maestro, pastore e sacerdote, agiscono in sua vece. Nell'esercizio delle funzioni che il ministero pastorale comporta, sono costituiti suoi vicari e ambasciatori. [17]

 

 

Il fondamento trinitario del ministero episcopale

7. La dimensione cristologica del ministero pastorale, considerata in profondità, avvia alla comprensione del fondamento trinitario del ministero stesso. La vita di Cristo è trinitaria. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre e l'unto di Spirito Santo, mandato nel mondo; è Colui che, insieme col Padre, invia lo Spirito alla Chiesa. Questa dimensione trinitaria, che si manifesta in tutto il modo d'essere e di agire di Cristo, plasma anche l'essere e l'agire del Vescovo. A ragione quindi i Padri sinodali hanno esplicitamente voluto illustrare la vita e il ministero del Vescovo alla luce dell'ecclesiologia trinitaria contenuta nella dottrina del Concilio Vaticano II.

Molto antica è la tradizione che presenta il Vescovo come immagine del Padre, il quale, secondo quanto scriveva sant'Ignazio di Antiochia, è come il Vescovo invisibile, il Vescovo di tutti. Ogni Vescovo, di conseguenza, tiene il posto del Padre di Gesú Cristo sicché, proprio in relazione a questa rappresentanza, egli dev'essere da tutti riverito. [18] In rapporto a questa struttura simbolica, la cattedra episcopale, che specialmente nella tradizione della Chiesa dell'Oriente richiama l'autorità paterna di Dio, può essere occupata soltanto dal Vescovo. Da questa medesima struttura deriva per ogni Vescovo il dovere di prendersi cura con amore paterno del Popolo santo di Dio e di guidarlo, insieme con i presbiteri, collaboratori del Vescovo nel suo ministero, e con i diaconi, sulla via della salvezza. [19] Viceversa, come ammonisce un antico testo, i fedeli debbono amare i Vescovi che sono, dopo Dio, padri e madri. [20] Per questo, secondo un uso diffuso in alcune culture, la mano del Vescovo viene baciata come quella del Padre amorevole, dispensatore di vita.

Cristo è l'icona originale del Padre e la manifestazione della sua presenza misericordiosa tra gli uomini. Il Vescovo, agendo in persona e in nome di Cristo stesso, diventa, nella Chiesa a lui affidata, segno vivente del Signore Gesú Pastore e Sposo, Maestro e Pontefice della Chiesa. [21] C'è qui la fonte del ministero pastorale, per cui, come suggerisce lo schema omiletico proposto dal Pontificale Romano, le tre funzioni di insegnare, santificare e governare il Popolo di Dio debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore: carità, conoscenza del gregge, cura di tutti, azione misericordiosa verso i poveri, i pellegrini, gli indigenti, ricerca delle pecorelle smarrite per ricondurle all'unico ovile.

L'unzione dello Spirito Santo, infine, configurando il Vescovo a Cristo, lo abilita ad essere una viva continuazione del suo mistero a favore della Chiesa. Per tale caratterizzazione trinitaria del suo essere, nel suo ministero ogni Vescovo è impegnato a vegliare con amore su tutto il gregge, in mezzo al quale è posto dallo Spirito a reggere la Chiesa di Dio: nel nome del Padre, di cui rende presente l'immagine; nel nome di Gesú Cristo suo Figlio, da cui è costituito maestro, sacerdote e pastore; nel nome dello Spirito Santo, che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene l'umana debolezza. [22]

 

 

Carattere collegiale del ministero episcopale

8. "...ne costituí Dodici" (Mc 3, 14). La Costituzione dogmatica Lumen gentium introduce con questo richiamo evangelico la dottrina sull'indole collegiale del gruppo dei Dodici, costituiti "sotto la forma di un collegio o di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro". [23] In pari modo, attraverso la successione personale del Vescovo di Roma al Beato Pietro e di tutti i Vescovi nel loro insieme agli Apostoli, il Romano Pontefice e i Vescovi sono uniti fra di loro a modo di Collegio. [24]

L'unione collegiale tra i Vescovi è fondata, insieme, sull'Ordinazione episcopale e sulla comunione gerarchica; tocca pertanto la profondità dell'essere di ogni Vescovo e appartiene alla struttura della Chiesa come è stata voluta da Gesú Cristo. Si è posti, infatti, nella pienezza del ministero episcopale in virtú della Consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col Capo del Collegio e con i membri, cioè con il Collegio che sempre co-intende il suo Capo. È cosí che si è membri del Collegio episcopale, [25] per cui le tre funzioni ricevute nell'Ordinazione episcopale - di santificare, di insegnare e di governare - debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa finalità immediata, in modo distinto. [26]

Ciò costituisce quello che è chiamato "affetto collegiale", o collegialità affettiva, da cui deriva la sollecitudine dei Vescovi per le altre Chiese particolari e per la Chiesa universale. [27] Se, dunque, si deve dire che un Vescovo non è mai solo, in quanto è sempre unito al Padre per il Figlio nello Spirito Santo, si deve pure aggiungere che egli non è mai solo anche perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell'episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro.

Tale affetto collegiale si attua e si esprime secondo gradi diversi in vari modi, anche istituzionalizzati, quali sono, ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, i Concili particolari, le Conferenze dei Vescovi, la Curia Romana, le Visite ad limina, la collaborazione missionaria, ecc. In modo pieno, però, l'affetto collegiale si attua e si esprime solo nell'azione collegiale in senso stretto, cioè nell'azione di tutti i Vescovi insieme con il loro Capo, con il quale esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa. [28]

Questa natura collegiale del ministero apostolico è voluta da Cristo stesso. L'affetto collegiale, pertanto, o collegialità affettiva (collegialitas affectiva), vige sempre tra i Vescovi come communio episcoporum, ma solo in alcuni atti si esprime come collegialità effettiva (collegialitas effectiva). I vari modi di attuazione della collegialità affettiva in collegialità effettiva sono di ordine umano, ma in gradi diversi concretizzano l'esigenza divina che l'episcopato si esprima in modo collegiale. [29] Nei Concili ecumenici, poi, la suprema potestà del Collegio su tutta la Chiesa viene esercitata in modo solenne. [30]

La dimensione collegiale dà all'episcopato il carattere d'universalità. Può, dunque, essere stabilito un parallelismo tra la Chiesa una e universale, quindi indivisa, e l'episcopato uno e indiviso, quindi universale. Principio e fondamento di tale unità, sia della Chiesa sia del Collegio dei Vescovi, è il Romano Pontefice. Come, infatti, insegna il Concilio Vaticano II, il Collegio, "in quanto composto da molti, esprime la varietà e l'universalità del Popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, esprime l'unità del gregge di Cristo". [31] Per questo la "unità dell'Episcopato è uno degli elementi costitutivi dell'unità della Chiesa". [32]

La Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, né una federazione di esse e, neppure, il risultato della loro comunione in quanto, secondo le espressioni degli antichi Padri e della Liturgia, nel suo essenziale mistero essa precede la creazione stessa. [33] Alla luce di questa dottrina si potrà aggiungere che il rapporto di mutua interiorità, che vige tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare, per cui le Chiese particolari sono "formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica", [34] si riproduce nel rapporto tra Collegio episcopale nella sua totalità e il singolo Vescovo. Per questo "il Collegio episcopale non è da intendersi come la somma dei Vescovi preposti alle Chiese particolari, né il risultato della loro comunione, ma, in quanto elemento essenziale della Chiesa universale, è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare". [35]

Possiamo meglio comprendere questo parallelismo tra la Chiesa universale e il Collegio dei Vescovi alla luce di quanto afferma il Concilio Vaticano II: "Gli Apostoli furono, dunque, ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia". [36] Negli Apostoli, non singolarmente considerati, ma nel loro essere Collegio, era contenuta la struttura della Chiesa, che in loro era costituita nella sua universalità e unità, e del Collegio dei Vescovi loro successori, segno di tale universalità e unità. [37]

È cosí che "la potestà del Collegio episcopale su tutta la Chiesa non viene costituita dalla somma delle potestà dei singoli Vescovi sulle loro Chiese particolari; essa è una realtà anteriore a cui partecipano i singoli Vescovi, i quali non possono agire su tutta la Chiesa se non collegialmente". [38] A tale potestà d'insegnare e di governare i Vescovi partecipano solidalmente in maniera immediata per il fatto stesso che sono membri del Collegio episcopale, nel quale realmente persevera il Collegio apostolico. [39]

Come la Chiesa universale è una e indivisibile, cosí pure il Collegio episcopale è un "soggetto teologico indivisibile" e quindi anche la potestà suprema, piena e universale di cui il Collegio è soggetto, come lo è il Romano Pontefice personalmente, è una e indivisibile. Proprio perché il Collegio episcopale è una realtà previa all'ufficio di capitalità sulla Chiesa particolare, vi sono molti Vescovi che, pur esercitando compiti propriamente episcopali, non sono a capo di una Chiesa particolare. [40] Ogni Vescovo, sempre in unione con tutti i Fratelli nell'episcopato e con il Romano Pontefice, rappresenta Cristo Capo e Pastore della Chiesa: non solo in modo proprio e specifico, quando riceve l'ufficio di pastore di una Chiesa particolare, ma anche quando collabora col Vescovo diocesano nel governo della sua Chiesa, [41] oppure partecipa all'ufficio di pastore universale del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale. Erede del fatto che lungo la sua storia la Chiesa, oltre alla forma propria della presidenza di una Chiesa particolare, ha riconosciuto anche altre forme di esercizio del ministero episcopale, come quella di Vescovo ausiliare o di rappresentante del Romano Pontefice negli Uffici della Santa Sede o nelle Legazioni pontificie, anche oggi essa, a norma del diritto, ammette tali forme, quando si rendono necessarie. [42]

 

 

Indole missionaria e unitarietà del ministero episcopale

9. Il Vangelo secondo Luca riferisce che Gesú diede ai Dodici il nome di Apostoli, che letteralmente significa inviati, mandati (cfr. 6, 13). Nel Vangelo secondo Marco leggiamo pure che Gesú costituí i Dodici "anche per mandarli a predicare" (3, 14). Ciò significa che tanto l'elezione quanto la costituzione dei Dodici come Apostoli sono finalizzate alla missione. Il primo loro invio (cfr. Mt 10, 5; Mc 6, 7; Lc 9, 1-2) trova la sua pienezza nella missione che Gesú loro affida, dopo la Risurrezione, al momento dell'Ascensione al Cielo. Sono parole che conservano tutta la loro attualità: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28, 18-20). Questa missione apostolica ha avuto la sua solenne conferma nel giorno dell'effusione pentecostale dello Spirito Santo.

Nel testo del Vangelo secondo Matteo appena citato, l'intero ministero pastorale può essere visto come articolato secondo la triplice funzione d'insegnamento, di santificazione e di guida. Vediamo qui un riflesso della triplice dimensione del servizio e della missione di Cristo. Noi, difatti, come cristiani e, in modo qualitativamente nuovo, come sacerdoti, partecipiamo alla missione del nostro Maestro, che è Profeta, Sacerdote e Re, e siamo chiamati a rendergli una peculiare testimonianza nella Chiesa e dinanzi al mondo.

Queste tre funzioni (triplex munus) e le potestà che ne derivano esprimono sul piano dell'agire il ministero pastorale (munus pastorale), che ogni Vescovo riceve con la consacrazione episcopale. È lo stesso amore di Cristo, partecipato nella consacrazione, che si concretizza nell'annuncio del Vangelo di speranza a tutte le genti (cfr.. Lc 4, 16-19), nell'amministrazione dei Sacramenti a chi accoglie la salvezza e nella guida del Popolo santo verso la vita eterna. Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intimamente connesse, che reciprocamente si spiegano, si condizionano e si illuminano. [43]

Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il Popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant'Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium. [44] Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Gesú Cristo.

 

 

"... chiamò a sé quelli che egli volle" (Mc 3, 13)

10. Molta folla seguiva Gesú, quando egli decise di salire sul monte e di chiamare a sé gli Apostoli. Molti erano i discepoli, ma Egli ne scelse Dodici soltanto per lo specifico compito di Apostoli (cfr. Mc 3, 13-19). Nell'Aula Sinodale è spesso risuonato il detto di S. Agostino: "Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano". [45]

Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il Vescovo è, anzitutto e come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l'insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D'altra parte, in forza della pienezza del sacramento dell'Ordine, il Vescovo è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, incaricato di agire in nome e in persona di Cristo.

Si tratta, evidentemente, di due relazioni non semplicemente accostate fra loro, bensí in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l'una all'altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote. Il Vescovo diventa "padre" proprio perché pienamente "figlio" della Chiesa. Ciò ripropone il rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale: due modi di partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo, nel quale sono presenti due dimensioni, che si uniscono nell'atto supremo del sacrificio della croce.

Questo si riflette sulla relazione che, nella Chiesa, vige tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il fatto che, quantunque differiscano essenzialmente tra di loro, siano ordinati l'uno all'altro, [46] crea una reciprocità che struttura armonicamente la vita della Chiesa come luogo di attualizzazione storica della salvezza operata da Cristo. Tale reciprocità si ritrova proprio nella persona stessa del Vescovo, che è e rimane un battezzato, ma costituito nel sommo sacerdozio. Questa realtà piú profonda del Vescovo è il fondamento del suo "essere tra" gli altri fedeli e del suo essere "di fronte" ad essi.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II in un bellissimo testo: "Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati alla santità e hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio (cfr. 2 Pt 1, 1). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli per l'edificazione del Corpo di Cristo. La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio, include l'unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da un comune necessario rapporto: i Pastori della Chiesa sull'esempio del Signore siano al servizio gli uni degli altri e degli altri fedeli e questi a loro volta prestino volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai dottori". [47]

Il ministero pastorale ricevuto nella consacrazione, che pone il Vescovo "di fronte" agli altri fedeli, si esprime in un "essere per" gli altri fedeli che non lo sradica dal suo "essere con" loro. Ciò vale sia per la sua santificazione personale, da ricercare ed attuare nell'esercizio del suo ministero, sia per lo stile di attuazione del ministero stesso in tutte le funzioni in cui si esplica.

La reciprocità, che esiste tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, e che si ritrova nello stesso ministero episcopale, si manifesta in una sorta di "circolarità" tra le due forme di sacerdozio: circolarità tra la testimonianza di fede di tutti i fedeli e la testimonianza di fede autentica del Vescovo nei suoi atti magisteriali; circolarità tra la vita santa dei fedeli e i mezzi di santificazione che il Vescovo offre ad essi; circolarità, infine, tra la responsabilità personale del Vescovo riguardo al bene della Chiesa a lui affidata e la corresponsabilità di tutti i fedeli rispetto al bene della stessa.

 

 

 

CAPITOLO SECONDO

LA VITA SPIRITUALE DEL VESCOVO

"Ne costituí Dodici che stessero con lui" (Mc 3, 14)

 

11. Con il medesimo atto d'amore con il quale liberamente li costituisce Apostoli, Gesú chiama i Dodici a condividere la sua stessa vita. Anche questa condivisione, che è comunione di animi e d'intenti con Lui, è pertanto un'esigenza iscritta nella loro partecipazione alla sua stessa missione. Non si devono ridurre le funzioni del Vescovo ad un compito meramente organizzativo. Proprio per evitare questo rischio, sia i documenti preparatori del Sinodo sia molti interventi in Aula dei Padri sinodali hanno insistito su ciò che comporta, nella vita personale del Vescovo e nell'esercizio del ministero a lui affidato, la realtà dell'episcopato come pienezza del sacramento dell'Ordine, nei suoi fondamenti teologici, cristologici e pneumatologici.

Alla santificazione oggettiva, che per opera di Cristo si ha nel Sacramento con la comunicazione dello Spirito, deve corrispondere la santità soggettiva, nella quale il Vescovo, con il sostegno della grazia, sempre piú deve progredire attraverso l'esercizio del ministero. La trasformazione ontologica operata dalla consacrazione, come conformazione a Cristo, richiede uno stile di vita che manifesti lo "stare con lui". Varie volte, di conseguenza, nell'Aula del Sinodo si è insistito sulla carità pastorale, come frutto sia del carattere impresso dal Sacramento sia della grazia ad esso propria. La carità, si è detto, è come l'anima del ministero del Vescovo, che viene coinvolto in un dinamismo di pro-existentia pastorale, da cui è spinto a vivere, come Cristo Buon Pastore, per il Padre e per gli altri, nel dono quotidiano di sé.

È soprattutto nell'esercizio del proprio ministero, ispirato all'imitazione della carità del Buon Pastore, che il Vescovo è chiamato a santificarsi e a santificare, avendo come principio unificante la contemplazione del volto di Cristo e l'annunzio del vangelo della salvezza. [48] La sua spiritualità, pertanto, oltre che dal sacramento del Battesimo e della Confermazione, attinge orientamenti e stimoli dalla stessa Ordinazione episcopale che lo impegna a vivere nella fede, nella speranza e nella carità il proprio ministero di evangelizzatore, di liturgo e di guida nella comunità. Quella del Vescovo sarà allora anche una spiritualità ecclesiale, perché tutto nella sua vita è orientato all'edificazione amorosa della Santa Chiesa.

Ciò esige nel Vescovo un atteggiamento di servizio improntato a forza d'animo, coraggio apostolico e fiducioso abbandono all'azione interiore dello Spirito. Egli pertanto si impegnerà ad assumere uno stile di vita che imiti la kénosis di Cristo servo, povero e umile, in modo che l'esercizio del ministero pastorale sia in lui un riflesso coerente di Gesú, Servo di Dio, e lo induca ad essere come Lui vicino a tutti, dal piú grande al piú piccolo. Insomma, ancora una volta con una sorta di reciprocità, l'esercizio fedele e amorevole del ministero santifica il Vescovo e lo rende sul piano soggettivo sempre piú conforme alla ricchezza ontologica di santità che in lui ha posto il Sacramento.

La santità personale del Vescovo, tuttavia, non si ferma mai ad un livello solo soggettivo perché, nella sua efficacia, ridonda sempre a beneficio dei fedeli, affidati alla sua cura pastorale. Nella pratica della carità, come contenuto del ministero pastorale ricevuto, il Vescovo diventa segno di Cristo e acquista quell'autorevolezza morale di cui l'esercizio dell'autorità giuridica ha bisogno per poter efficacemente incidere sull'ambiente. Se, infatti, l'ufficio episcopale non poggia sulla testimonianza della santità manifestata nella carità pastorale, nell'umiltà e nella semplicità di vita, finisce per ridursi ad un ruolo quasi soltanto funzionale e perde fatalmente di credibilità presso il Clero ed i fedeli.

 

 

Vocazione alla santità nella Chiesa del nostro tempo

12. Un'immagine biblica sembra particolarmente adatta per illuminare la figura del Vescovo quale amico di Dio, pastore e guida del popolo. È la figura di Mosè. Guardando a lui, il Vescovo può trarre ispirazione nel suo essere ed agire di pastore, scelto e inviato dal Signore, coraggioso nel precedere il suo popolo verso la terra promessa, fedele interprete della parola e della legge del Dio vivente, mediatore dell'Alleanza, ardente e fiducioso nella preghiera in favore della sua gente. Come Mosè, che dopo il colloquio con il Signore sulla santa montagna tornò in mezzo al suo popolo con il volto raggiante (cfr. Es 34, 29-30), anche il Vescovo potrà portare tra i suoi fratelli i segni del suo essere padre, fratello ed amico soltanto se sarà entrato nella nube oscura e luminosa del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Illuminato dalla luce della Trinità, egli sarà segno della bontà misericordiosa del Padre, viva immagine della carità del Figlio, trasparente uomo dello Spirito, consacrato e inviato per guidare il Popolo di Dio sui sentieri del tempo nel pellegrinaggio verso l'eternità.

I Padri sinodali hanno messo in luce l'importanza dell'impegno spirituale nella vita, nel ministero e nel cammino del Vescovo. Io stesso ho indicato questa priorità in sintonia con le esigenze della vita della Chiesa e l'appello dello Spirito Santo, che in questi anni ha richiamato a tutti il primato della grazia, la diffusa esigenza di spiritualità, l'urgenza di testimoniare la santità.

Il richiamo alla spiritualità scaturisce dal riferimento all'azione dello Spirito Santo nella storia della salvezza. La sua è una presenza attiva e dinamica, profetica e missionaria. Il dono della pienezza dello Spirito Santo, che il Vescovo riceve nell'Ordinazione episcopale, è un prezioso e urgente richiamo ad assecondarne l'azione nella comunione ecclesiale e nella missione universale.

Celebrata dopo il Grande Giubileo del 2000, l'Assemblea sinodale ha sin dal principio fatto proprio il progetto di una vita santa, che io stesso ho indicato alla Chiesa intera: "La prospettiva entro cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità... Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta piú che mai un'urgenza della pastorale". [49] L'accoglienza entusiastica e generosa del mio appello a mettere al primo posto la vocazione alla santità, è stata l'atmosfera nella quale si sono svolti i lavori sinodali e il clima che, in qualche maniera, ha unificato gli interventi e le riflessioni dei Padri. Essi sentivano echeggiare nei loro cuori il monito di san Gregorio Nazianzeno: "Prima purificarsi e poi purificare, prima lasciarsi istruire dalla sapienza e poi istruire, prima diventare luce e poi illuminare, prima avvicinarsi a Dio e poi condurvi gli altri, prima essere santi e poi santificare". [50]

Per questa ragione, dall'Assemblea sinodale si è piú volte levato l'invito a individuare con chiarezza la specificità "episcopale" del cammino di santità di un Vescovo. Sarà sempre una santità vissuta con il popolo e per il popolo, in una comunione che diventa stimolo e reciproca edificazione nella carità. Né si tratta d'istanze secondarie, o marginali. È proprio la vita spirituale del Vescovo, infatti, che favorisce la fecondità della sua opera pastorale. Non sta forse nella meditazione assidua del mistero di Cristo, nella contemplazione appassionata del suo volto, nell'imitazione generosa della vita del Buon Pastore il fondamento di ogni pastorale efficace? Se è vero che il nostro è tempo di continuo movimento e spesso anche di agitazione col facile rischio del "fare per fare", allora il Vescovo per primo deve mostrare, con l'esempio della propria vita, che occorre ristabilire il primato dell'"essere" sul "fare" e, ancora di piú, il primato della grazia, che nella visione cristiana della vita è pure principio essenziale per una "programmazione" del ministero pastorale. [51

 

 

Il cammino spirituale del Vescovo

13. Un Vescovo può ritenersi davvero ministro della comunione e della speranza per il Popolo santo di Dio solo quando cammina alla presenza del Signore. Non è possibile, infatti, essere al servizio degli uomini senza prima essere "servi di Dio". E servi di Dio non si può essere se non si è "uomini di Dio". Perciò nell'omelia dell'inizio del Sinodo ho detto: "Il Pastore deve essere uomo di Dio; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la sua gloria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio luce e vigore". [52]

La chiamata alla santità è insita, per il Vescovo, nello stesso evento sacramentale che è all'origine del suo ministero, ossia l'Ordinazione episcopale. L'antico Eucologio di Serapione formula in questi termini l'invocazione rituale della consacrazione: "Dio di verità fa' del tuo servitore un Vescovo vivente, un Vescovo santo nella successione dei santi Apostoli". [53] Poiché, tuttavia, l'Ordinazione episcopale non infonde la perfezione delle virtú, "il Vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di perfezione con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, Uomo perfetto". [54]

La stessa indole cristologica e trinitaria del suo mistero e ministero esige per il Vescovo un cammino di santità, che consiste nell'avanzamento progressivo verso una sempre piú profonda maturità spirituale ed apostolica, segnata dal primato della carità pastorale. Un cammino evidentemente vissuto insieme con il suo popolo, in un itinerario che è al tempo stesso personale e comunitario, come la vita stessa della Chiesa. In questo cammino, però, il Vescovo diventa, in intima comunione con Cristo e attenta docilità allo Spirito, testimone, modello, promotore e animatore. Cosí si esprime pure la legge canonica: "Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale". [55]

Il cammino spirituale del Vescovo, come quello d'ogni fedele cristiano, ha certamente la sua radice nella grazia sacramentale del Battesimo e della Confermazione. Questa grazia lo accomuna a tutti i fedeli, poiché, come avverte il Concilio Vaticano II, "tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità". [56] Vale specialmente in questo caso la notissima affermazione di sant'Agostino, ricca di realismo e di sapienza soprannaturale: "Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola l'essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo, questo della salvezza". [57] Tuttavia, grazie alla carità pastorale, la carica diventa servizio e il pericolo si trasforma in opportunità di crescita e di maturazione. Il ministero episcopale non è solo fonte di santità per gli altri, ma è già motivo di santificazione per colui che lascia passare attraverso il proprio cuore e la propria vita la carità di Dio.

I Padri sinodali hanno sintetizzato alcune esigenze di questo cammino. Anzitutto hanno richiamato il carattere battesimale e crismale, che sin dal principio dell'esistenza cristiana, mediante le virtú teologali, rende capaci di credere in Dio, di sperare in Lui e di amarlo. Lo Spirito Santo, per parte sua, infonde i suoi doni favorendo la crescita nel bene attraverso l'esercizio delle virtú morali, che danno concretezza anche umana alla vita spirituale. [58] In forza del Battesimo che ha ricevuto, il Vescovo partecipa, come ogni cristiano, alla spiritualità che è radicata nell'incorporazione al Cristo e che si manifesta nella sua sequela secondo il Vangelo. Per questo egli condivide la vocazione di tutti i fedeli alla santità. Deve quindi coltivare una vita di preghiera e di fede profonda e riporre in Dio tutta la sua fiducia, offrendo la sua testimonianza al Vangelo in docile obbedienza ai suggerimenti dello Spirito Santo e riservando una particolare e filiale devozione alla Vergine Maria, che è perfetta maestra di vita spirituale. [59]

La spiritualità del Vescovo sarà, pertanto, una spiritualità di comunione, vissuta in sintonia con tutti gli altri battezzati, figli insieme con lui dell'unico Padre nel cielo e dell'unica Madre sulla terra, la Santa Chiesa. Come tutti i credenti in Cristo, egli ha bisogno di alimentare la sua vita spirituale nutrendosi della viva ed efficace parola del Vangelo e del pane di vita della santa Eucaristia, cibo di vita eterna. A causa dell'umana fragilità, anche il Vescovo è chiamato a ricorrere con frequenza e ritmi regolari al sacramento della Penitenza per ottenere il dono di quella misericordia, di cui pure è divenuto ministro. Consapevole, dunque, della propria umana debolezza e dei propri peccati, ogni Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti, vive anzitutto per se stesso il sacramento della Riconciliazione, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare slancio al proprio impegno di santificazione nell'esercizio del ministero. In tal modo egli esprime anche visibilmente il mistero di una Chiesa in se stessa santa, ma composta anche di peccatori bisognosi di essere perdonati.

Come tutti i sacerdoti e, ovviamente, in speciale comunione con i sacerdoti del presbiterio diocesano, il Vescovo si impegnerà a percorrere uno specifico cammino di spiritualità. Egli, infatti, è chiamato alla santità pure per il nuovo titolo che deriva dall'Ordine sacro. Il Vescovo, perciò, vive di fede, speranza e carità in quanto è ministro della parola del Signore, della santificazione e del progresso spirituale del Popolo di Dio. Egli dev'essere santo perché deve servire la Chiesa come maestro, santificatore e guida. Come tale egli deve anche profondamente e intensamente amare la Chiesa. Ogni Vescovo è conformato a Cristo per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità, per fare cioè della Chiesa "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". [60]

La specifica spiritualità del Vescovo, i Padri sinodali lo hanno sottolineato ripetutamente, si arricchisce ulteriormente dell'apporto di grazia insito nella pienezza del Sacerdozio, a lui conferita nel momento dell'Ordinazione. In quanto pastore del gregge e servitore del Vangelo di Gesú Cristo nella speranza, il Vescovo deve riflettere e fare come trasparire in se medesimo la persona stessa di Cristo, Pastore supremo. Nel Pontificale Romano questo impegno è esplicitamente richiamato: "Ricevi la mitra, e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria". [61]

Per questo il Vescovo ha un costante bisogno della grazia di Dio, che rafforzi e perfezioni la sua natura umana. Egli può affermare con l'apostolo Paolo: "La nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza" (2 Cor 3, 5-6). Lo si deve, perciò, sottolineare: il ministero apostolico è una sorgente di spiritualità per il Vescovo, il quale deve attingere da esso le risorse spirituali che lo fanno crescere nella santità e gli permettono di scoprire l'azione dello Spirito Santo nel Popolo di Dio affidato alle sue sollecitudini pastorali. [62]

Il cammino spirituale del Vescovo coincide, in questa prospettiva, con la stessa carità pastorale, che a buon diritto dev'essere ritenuta come l'anima del suo apostolato, come lo è anche di quello del presbitero e del diacono. Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell'adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli. Giustamente, al riguardo, il Concilio Vaticano II afferma che i Pastori, a immagine di Cristo, devono con santità e slancio, con umiltà e fortezza compiere il proprio ministero, "il quale, cosí adempiuto, sarà anche per loro un eccellente mezzo di santificazione". [63] Nessun Vescovo può ignorare che il vertice della santità rimane Cristo Crocifisso, nella sua suprema donazione al Padre e ai fratelli nello Spirito Santo. Per questo la configurazione a Cristo e la partecipazione alle sue sofferenze (cfr. 1 Pt 4, 13) diventa la via regale della santità del Vescovo in mezzo al suo popolo.

 

 

Maria, Madre della speranza e maestra di vita spirituale

14. Sostegno della vita spirituale sarà anche per il Vescovo la presenza materna della Vergine Maria, Mater spei et spes nostra, come l'invoca la Chiesa. Per Maria, dunque, il Vescovo nutrirà una devozione autentica e filiale, sentendosi chiamato a fare proprio il suo fiat, a rivivere e attualizzare ogni giorno l'affidamento che Gesú fece di Maria, in piedi presso la Croce, al Discepolo e del Discepolo amato a Maria (cfr. Gv 19, 26-27). Ugualmente il Vescovo è chiamato a rispecchiarsi nella preghiera unanime e perseverante dei discepoli ed apostoli del Figlio con la Madre sua, in preparazione alla Pentecoste. In questa icona della Chiesa nascente si esprime il legame indissolubile fra Maria e i successori degli Apostoli (cfr. At 1, 14).

La santa Madre di Dio sarà quindi per il Vescovo maestra nell'ascolto e nella pronta esecuzione della Parola di Dio, nel discepolato fedele verso l'unico Maestro, nella stabilità della fede, nella fiduciosa speranza e nell'ardente carità. Come Maria, "memoria" dell'Incarnazione del Verbo nella prima comunità cristiana, il Vescovo sarà custode e tramite della Tradizione vivente della Chiesa, nella comunione con tutti gli altri Vescovi, in unione e sotto l'autorità del Successore di Pietro.

La solida devozione mariana del Vescovo farà costante riferimento alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare di ascolto e di preghiera, di offerta e di maternità spirituale. Sarà, anzi, compito del Vescovo fare sí che la Liturgia appaia sempre "quale "forma esemplare", fonte di ispirazione, costante punto di riferimento e meta ultima" per la pietà mariana del Popolo di Dio. [64] Fermo restando questo principio, anche il Vescovo nutrirà la sua pietà mariana personale e comunitaria con i pii esercizi approvati e raccomandati dalla Chiesa, specialmente con la recita di quel compendio del Vangelo che è il Santo Rosario. Esperto di questa preghiera, tutta incentrata sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la sua santa Madre, ogni Vescovo è invitato a esserne anche solerte promotore. [65

 

 

Affidarsi alla Parola

15. L'Assemblea del Sinodo dei Vescovi ha indicato alcuni mezzi necessari per nutrire e fare progredire la propria vita spirituale. [66] Tra questi c'è, al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato "al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati" (At 20, 32). Prima, perciò, d'essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa, [67] deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev'essere come "dentro" la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno. Insieme con sant'Ignazio d'Antiochia, anche il Vescovo ripete: "Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo". [68] Ogni Vescovo, pertanto, avrà sempre presente per se stesso quella nota ammonizione di san Girolamo, ripresa pure dal Concilio Vaticano II: "L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo". [69] Non c'è, difatti, primato della santità senza ascolto della Parola di Dio, che della santità è guida e nutrimento.

L'affidarsi alla Parola di Dio e il custodirla, come la Vergine Maria che fu Virgo audiens, [70] comporta il mettere in pratica alcuni aiuti, che la tradizione e l'esperienza spirituale della Chiesa non hanno mai mancato di suggerire. Si tratta, anzitutto, della frequente lettura personale e dello studio attento e assiduo della Sacra Scrittura. Un Vescovo sarebbe vano predicatore della Parola all'esterno, se prima non l'ascoltasse dall'interno. [71] Senza il contatto frequente con la Sacra Scrittura, un Vescovo sarebbe pure ministro poco credibile della speranza, se è vero, come ricorda san Paolo che "in virtú della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza" (Rm 15, 4). È, dunque, sempre valido ciò che scriveva Origene: "Sono queste le due attività del Pontefice: o imparare da Dio, leggendo le Scritture divine e meditandole piú volte, o ammaestrare il popolo. Però, insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio". [72]

Il Sinodo ha richiamato l'importanza della lectio e della meditatio della Parola di Dio nella vita dei Pastori e nel loro stesso ministero a servizio della comunità. Come ho scritto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, "è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza". [73] Negli spazi della meditazione e della lectio, il cuore che ha già accolto la Parola si apre alla contemplazione dell'agire di Dio e, di conseguenza, alla conversione a Lui dei pensieri e della vita, accompagnata dalla richiesta supplice del suo perdono e della sua grazia.

 

 

Nutrirsi dell'Eucaristia

16. Come, poi, il mistero pasquale sta al centro della vita e della missione del Buon Pastore, cosí anche l'Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote.

Con la celebrazione quotidiana della Santa Messa, egli offre se stesso insieme con Cristo. Quando, poi, questa celebrazione avviene nella Cattedrale, o nelle altre chiese, specialmente parrocchiali, con il concorso e la partecipazione attiva dei fedeli, il Vescovo appare sotto gli occhi di tutti qual è, ossia come il Sacerdos et Pontifex, poiché agisce nella persona di Cristo e nella potenza del suo Spirito, e come lo hiereus, il sacerdote santo, occupato nell'operare i sacri misteri dell'altare, che annuncia e spiega con la predicazione. [74]

L'amore del Vescovo verso la Santa Eucaristia si esprime pure quando, nel corso della giornata, dedica parte anche abbastanza prolungata del proprio tempo all'adorazione davanti al Tabernacolo. Qui il Vescovo apre al Signore il suo animo, perché sia tutto pervaso e informato dalla carità effusa sulla Croce dal Pastore grande delle pecore, che per loro ha sparso il suo sangue e ha dato la propria vita. A Lui pure innalza la sua preghiera, continuando a intercedere per le pecore che gli sono state affidate.

 

 

La preghiera e la Liturgia delle Ore

17. Un secondo mezzo indicato dai Padri sinodali è la preghiera, in modo speciale quella elevata al Signore con la celebrazione della Liturgia delle Ore, che è specificamente e sempre preghiera della comunità cristiana nel nome di Cristo e sotto la guida dello Spirito.

La preghiera è in se stessa un particolare dovere per un Vescovo e per quanti hanno "avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, piú disponibili all'esperienza contemplativa". [75] Il Vescovo stesso non può dimenticare di essere successore di quegli Apostoli che furono costituiti da Cristo anzitutto perché "stessero con lui" (Mc 3, 14) e che, all'inizio della loro missione, fecero una solenne dichiarazione, che è un programma di vita: "Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At 6, 4). Il Vescovo, pertanto, riuscirà ad essere per i fedeli un maestro di preghiera solo se potrà contare sulla propria esperienza personale di dialogo con Dio. Egli deve potersi rivolgere a Dio in ogni momento con le parole del Salmista: "Io spero sulla tua parola" (Sal 119 [118], 114). Sarà proprio dalla preghiera che egli potrà attingere quella speranza con la quale deve come contagiare i fedeli. La preghiera, infatti, è il luogo privilegiato dove si esprime e si nutre la speranza poiché essa, secondo un'espressione di san Tommaso d'Aquino, è la "interprete della speranza". [76]

Quella personale del Vescovo sarà in modo tutto speciale una preghiera tipicamente "apostolica", cioè presentata al Padre come intercessione per ogni necessità del popolo, che gli è stato affidato. Nel Pontificale Romano è questo l'ultimo impegno dell'eletto all'episcopato, prima che si proceda all'imposizione delle mani: "Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo Popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio?". [77] In modo tutto particolare il Vescovo prega per la santità dei suoi sacerdoti, per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, perché nella Chiesa sempre piú arda l'impegno missionario e apostolico.

Riguardo, poi, alla Liturgia delle Ore, destinata a consacrare e orientare il corso intero della giornata per mezzo della lode di Dio, come non ricordare le magnifiche espressioni del Concilio Vaticano II? "Quando a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti e altri a ciò deputati da un precetto della Chiesa, o i fedeli che pregano insieme col sacerdote nella forma approvata, allora è veramente la voce della sposa stessa che parla allo sposo, anzi è la preghiera di Cristo che, in unione al suo Corpo, eleva al Padre. Tutti coloro pertanto che compiono questo, adempiono l'obbligo della Chiesa e partecipano al sommo onore della sposa di Cristo perché, rendendo lode a Dio, stanno davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa". [78] Scrivendo sulla preghiera del Divino Ufficio, il mio predecessore di v. m. Paolo VI, affermava che essa è "preghiera della Chiesa locale", nella quale si esprime "la vera natura della Chiesa orante". [79] Nella consecratio temporis che la Liturgia delle Ore realizza, si attua quella laus perennis che è anticipo e prefigurazione della Liturgia celeste, vincolo di unione con gli angeli e i santi che in eterno glorificano il nome di Dio. Tanto, dunque, un Vescovo si mostra e si realizza quale uomo di speranza, quanto s'inserisce nel dinamismo escatologico della preghiera del Salterio. Nei Salmi risuona la Vox sponsae che invoca lo Sposo.

Ogni Vescovo, quindi, prega con il suo popolo e prega per il suo popolo. Egli, però, è pure edificato ed aiutato dalla preghiera dei suoi fedeli, sacerdoti, diaconi, persone di vita consacrata e laici di tutte le età. In mezzo a loro il Vescovo è educatore e promotore della preghiera. Non soltanto trasmette le cose contemplate, ma apre ai cristiani la via stessa della contemplazione. Il noto motto del contemplata aliis tradere diviene, in tal modo, un contemplationem aliis tradere.

 

 

La via dei consigli evangelici e delle beatitudini

18. Per tutti i suoi discepoli, in modo speciale per coloro che già durante la loro vita terrena vogliono seguirlo piú da vicino alla maniera degli Apostoli, il Signore propone la via dei consigli evangelici. Oltre che un dono della Trinità alla Chiesa, i consigli sono nel credente un riflesso della vita trinitaria. [80] Lo sono in special modo nel Vescovo che, come successore degli Apostoli, è chiamato a seguire Cristo sulla strada della perfezione della carità. Per questo egli è consacrato come è consacrato Gesú. La sua vita è dipendenza radicale da Lui e totale trasparenza di Lui dinanzi alla Chiesa e al mondo. Nella vita del Vescovo deve risplendere la vita di Gesú e quindi la sua obbedienza al Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2, 8), il suo amore casto e verginale, la sua povertà che è libertà assoluta dinanzi ai beni terreni.

In questo modo i Vescovi possono con il loro esempio guidare non solo quelli che nella Chiesa sono stati chiamati alla sequela di Cristo nella vita consacrata, ma anche i presbiteri, ai quali pure è proposto il radicalismo della santità secondo lo spirito dei consigli evangelici. Tale radicalismo, del resto, chiama in causa tutti i fedeli, anche i laici, giacché esso "è un'esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall'appello di Cristo a seguirlo e imitarlo, in forza dell'intima comunione di vita con Lui operata dallo Spirito". [81]

Sul volto del Vescovo, insomma, i fedeli devono potere contemplare le qualità che sono dono della grazia e che nelle Beatitudini costituiscono quasi l'autoritratto di Cristo: il volto della povertà, della mitezza e della passione per la giustizia; il volto misericordioso del Padre e dell'uomo pacifico e pacificatore; il volto della purezza di chi guarda costantemente ed unicamente a Dio. I fedeli devono poter vedere nel loro Vescovo anche il volto di colui che rivive la compassione di Gesú verso gli afflitti e talvolta, come è avvenuto nella storia e ancora oggi avviene, il volto pieno di fortezza e di gioia interiore di chi è perseguitato a causa della verità del Vangelo.

 

 

La virtú dell'obbedienza

19. Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesú, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di comunione, tesa con vigile attenzione a costruire la Chiesa, in modo che tutto, parole e opere, sia compiuto nel segno della sottomissione filiale in Cristo e nello Spirito all'amorevole disegno del Padre. In quanto maestro di santità e ministro della santificazione del suo popolo, il Vescovo è chiamato infatti ad adempiere fedelmente la volontà del Padre. L'obbedienza del Vescovo deve essere vissuta avendo come modello - né potrebbe essere diversamente - l'obbedienza stessa di Cristo, il quale ha affermato piú volte di essere disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr. Gv 6, 38; 8, 29; Fil 2, 7-8).

Camminando sulle orme di Cristo, il Vescovo è obbediente al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa, sa leggere i segni dei tempi e riconoscere la voce dello Spirito Santo nel ministero petrino e nella collegialità episcopale. Nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ho messo in luce il carattere apostolico, comunitario e pastorale dell'obbedienza presbiterale. [82] Tali caratteristiche si ritrovano, com'è ovvio, in modo anche piú marcato nell'obbedienza del Vescovo. La pienezza del sacramento dell'Ordine che egli ha ricevuto lo pone infatti in una speciale relazione col Successore di Pietro, con i membri del Collegio episcopale e con la stessa sua Chiesa particolare. Egli deve sentirsi impegnato a vivere intensamente questi rapporti con il Papa e con i confratelli Vescovi in uno stretto vincolo di unità e di collaborazione, rispondendo in tal modo al disegno divino che ha voluto unire inseparabilmente gli Apostoli intorno a Pietro. Questa comunione gerarchica del Vescovo con il Sommo Pontefice rafforza la sua capacità di rendere presente, in virtú dell'Ordine ricevuto, Cristo Gesú, Capo invisibile di tutta la Chiesa.

All'aspetto apostolico dell'obbedienza non può non aggiungersi anche l'aspetto comunitario, in quanto l'episcopato è per sua natura "uno e indiviso". [83] In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell'insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresí attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa. [84] Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un'obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale. [85] Al riguardo, è sempre attuale l'esortazione che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: "Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio". [86

 

 

Lo spirito e la prassi della povertà nel Vescovo

20. I Padri sinodali, in segno di sintonia collegiale, hanno raccolto l'appello da me lanciato nella Liturgia d'apertura del Sinodo, perché la beatitudine evangelica della povertà fosse ritenuta come una delle condizioni necessarie per attuare, nell'odierna situazione, un fecondo ministero episcopale. Anche in questa circostanza, in mezzo all'assemblea dei Vescovi si è come stagliata la figura di Cristo Signore, che "ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni" e che invita anche la Chiesa, con i suoi pastori in primo luogo, "a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza". [87]

Il Vescovo, perciò, che vuole essere autentico testimone e ministro del vangelo della speranza, deve essere vir pauper. Lo richiede la testimonianza che egli è tenuto a rendere a Cristo povero; lo richiede anche la sollecitudine della Chiesa verso i poveri, verso i quali è doverosa una scelta preferenziale. La decisione del Vescovo di vivere il proprio ministero nella povertà contribuisce decisamente a fare della Chiesa la "casa dei poveri".

Tale decisione, inoltre, pone il Vescovo in una situazione di interiore libertà nell'esercizio del ministero consentendogli di comunicare efficacemente i frutti della salvezza. L'autorità episcopale deve essere esercitata con un'instancabile generosità e con un'inesauribile gratuità. Ciò richiede da parte del Vescovo una piena fiducia nella provvidenza del Padre celeste, una magnanima comunione di beni, un austero tenore di vita, una permanente conversione personale. Solo per questa via egli sarà capace di partecipare alle angosce e ai dolori del Popolo di Dio, che egli deve non solo guidare e nutrire, ma con il quale deve essere solidale, condividendone i problemi e contribuendo ad alimentarne la speranza.

Compirà questo servizio con efficacia se la sua vita sarà semplice, sobria e, insieme, attiva e generosa e se metterà coloro che sono ritenuti gli ultimi della nostra società non ai margini ma al centro della comunità cristiana. [88] Quasi senza accorgersene, favorirà la "fantasia della carità", che metterà in evidenza piú che l'efficacia dei soccorsi prestati, la capacità di vivere la condivisione fraterna. Infatti nella Chiesa apostolica, come ampiamente testimoniano gli Atti, la povertà di alcuni suscitava la solidarietà degli altri con il risultato sorprendente che "nessuno fra loro era bisognoso" (4, 34). La Chiesa è debitrice di questa profezia al mondo assediato dai problemi della fame e delle disuguaglianze fra i popoli. In questa prospettiva di condivisione e di semplicità il Vescovo amministra i beni della Chiesa come il "buon padre di famiglia" e vigila affinché essi siano impiegati secondo i fini propri della Chiesa: il culto di Dio, il sostentamento dei ministri, le opere di apostolato, le iniziative di carità verso i poveri.

Essere procurator pauperum è stato sempre un titolo dei pastori della Chiesa e deve esserlo concretamente anche oggi, per rendere presente ed eloquente il messaggio del Vangelo di Gesú Cristo a fondamento della speranza di tutti, ma specialmente di coloro che solo da Dio possono attendere una vita piú degna e un migliore avvenire. Sollecitate dall'esempio dei Pastori, la Chiesa e le Chiese devono mettere in atto quella "opzione preferenziale per i poveri", che ho indicato come programma per il terzo millennio. [89

 

 

Con la castità al servizio di una Chiesa che riflette la purezza di Cristo

21. "Ricevi l'anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo". Con queste parole, proclamate nel Pontificale Romano, [90] il Vescovo è invitato a prendere coscienza dell'impegno che assume di riflettere in sé l'amore verginale di Cristo per tutti i suoi fedeli. Egli è chiamato innanzitutto a suscitare tra i fedeli rapporti vicendevoli ispirati a quel rispetto e a quella stima che si addicono ad una famiglia dove fiorisce l'amore secondo l'esortazione dell'apostolo Pietro: "Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, essendo stati rigenerati, non da un seme corruttibile ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva ed eterna" (1 Pt 1, 22-23).

Mentre con il suo esempio e con la sua parola egli esorta i cristiani ad offrire i loro corpi come sacrificio vivente, santo e gradito e Dio (cfr. Rm 12, 1), a tutti egli ricorda che "passa la scena di questo mondo" (1 Cor 7, 31), ed è perciò doveroso vivere "nell'attesa della beata speranza" del ritorno glorioso di Cristo (cfr. Tt 2, 13). In particolare, nella sua sollecitudine pastorale egli è vicino con paterno affetto a quanti hanno abbracciato la vita religiosa nella professione dei consigli evangelici ed offrono il loro prezioso servizio alla Chiesa. Egli sostiene poi ed incoraggia i sacerdoti che, chiamati dalla grazia divina, hanno liberamente assunto l'impegno del celibato per il Regno dei cieli, richiamando a se stesso ed a loro le motivazioni evangeliche e spirituali di tale scelta, quanto mai importante per il servizio del Popolo di Dio. Nell'oggi della Chiesa e del mondo la testimonianza dell'amore casto costituisce, per un verso, una specie di terapia spirituale per l'umanità e, per l'altro, una contestazione dell'idolatria dell'istinto sessuale.

Nel presente contesto sociale, il Vescovo deve essere particolarmente vicino al suo gregge e innanzitutto ai suoi sacerdoti, paternamente attento alle loro difficoltà ascetiche e spirituali, prestando loro l'opportuno sostegno per favorirne la fedeltà alla vocazione ed alle esigenze di un'esemplare santità di vita nell'esercizio del ministero. Nei casi, poi, di gravi mancanze e, ancor piú, di delitti che recano danno alla testimonianza stessa del Vangelo, specie quando accade da parte dei ministri della Chiesa, il Vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno. Egli è tenuto ad intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per la correzione e il bene spirituale del sacro ministro, sia per la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia, come pure per quanto riguarda la protezione e l'aiuto alle vittime.

Con la parola, con l'azione vigile e paterna il Vescovo adempie l'impegno di offrire al mondo la verità di una Chiesa santa e casta, nei suoi ministri e nei suoi fedeli. Operando in questo modo, il pastore precede il suo gregge come ha fatto Cristo, lo Sposo, che ha donato la sua vita per noi e che ha lasciato a tutti l'esempio di un amore limpido e verginale e, perciò, anche fecondo e universale.

 

 

Animatore di una spiritualità di comunione e di missione

22. Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho posto in evidenza la necessità di "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione". [91] L'osservazione ha avuto una vasta eco ed è stata ripresa nell'Assemblea sinodale. Ovviamente, il Vescovo per primo, nel suo cammino spirituale, ha il compito di farsi promotore e animatore di una spiritualità di comunione, adoperandosi instancabilmente per farne uno dei principi educativi di fondo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano: nella parrocchia, nelle associazioni cattoliche, nei movimenti ecclesiali, nelle scuole cattoliche, negli oratori. In particolar modo sarà cura del Vescovo di fare sí che la spiritualità della comunione emerga e si affermi laddove si educano i futuri presbiteri, cioè nei seminari, come pure nei noviziati religiosi, nelle case religiose, negli Istituti e nelle Facoltà teologiche.

I punti salienti di questa promozione della spiritualità di comunione li ho indicati sinteticamente nella stessa Lettera apostolica. Qui sarà sufficiente aggiungere che un Vescovo deve particolarmente incoraggiarla all'interno del suo presbiterio, come anche tra i diaconi, i consacrati e le consacrate. Lo farà nel dialogo e nell'incontro personali, ma anche negli incontri comunitari, per i quali egli non mancherà di favorire nella propria Chiesa particolare momenti speciali in cui meglio ci si disponga ad ascoltare lo Spirito "che parla alle Chiese" (Ap 2, 7.11 e al.). Tali sono i ritiri, gli esercizi spirituali e le giornate di spiritualità, come pure l'uso prudente anche dei nuovi strumenti della comunicazione sociale, se ciò risulta opportuno per una maggiore efficacia.

Coltivare una spiritualità di comunione vuol pure dire, per un Vescovo, alimentare la comunione col Romano Pontefice e con gli altri fratelli Vescovi, specialmente all'interno di una medesima Conferenza episcopale e Provincia ecclesiastica. Anche in questo caso, non da ultimo per superare il rischio della solitudine e dello scoraggiamento davanti all'enormità e alla sproporzione dei problemi, un Vescovo farà volentieri ricorso, oltre che alla preghiera, anche all'amicizia e alla comunione fraterna con i suoi Fratelli nell'episcopato.

La comunione nella sua sorgente e nel suo modello trinitari si esprime sempre nella missione. La missione è il frutto e la conseguenza logica della comunione. Si favorisce il dinamismo della comunione quando ci si apre agli orizzonti e alle urgenze della missione, garantendo sempre la testimonianza dell'unità affinché il mondo creda, e dilatando gli spazi dell'amore affinché tutti raggiungano la comunione trinitaria, dalla quale procedono e alla quale sono destinati. Quanto piú è intensa la comunione, tanto piú è favorita la missione, specialmente quando è vissuta nella povertà dell'amore, che è la capacità di muoversi incontro ad ogni persona, gruppo e cultura con la sola forza della Croce, spes unica e testimonianza suprema dell'amore di Dio, che si manifesta anche come amore di fraternità universale.

 

 

Un cammino che procede nel quotidiano

23. Il realismo spirituale induce a riconoscere che il Vescovo è chiamato a vivere la propria vocazione alla santità nel contesto di difficoltà esterne e interne, di debolezze proprie ed altrui, d'imprevisti quotidiani, di problemi personali e istituzionali. È una situazione, questa, costante nella vita dei pastori, della quale è testimone san Gregorio Magno quando constata con sofferenza: "Dopo che mi sono posto sulle spalle del cuore il fardello pastorale, l'animo non può assiduamente raccogliersi in se stesso, perché rimane diviso in molte cose. Infatti sono costretto a discutere ora le cause delle Chiese, ora quelle dei monasteri, spesso a interessarmi della vita e delle azioni dei singoli... E cosí mentre la mente, lacerata e dilaniata, è costretta a pensare a tante cose, quando può rientrare in se stessa per concentrarsi totalmente nella predicazione, senza tirarsi indietro dal ministero di annunziare la Parola? ... La vita della sentinella dev'essere dunque sempre alta e vigilante". [92]

Per controbilanciare le spinte centrifughe, che tentano di frantumare la sua unità interiore, il Vescovo ha bisogno di coltivare un sereno tenore di vita, che favorisca l'equilibrio mentale, psicologico e affettivo, e lo renda capace di aprirsi all'accoglienza delle persone e delle loro domande, in un contesto di autentica partecipazione alle diverse situazioni, liete e tristi. Anche la cura della propria salute nelle sue varie dimensioni costituisce per un Vescovo un atto di amore verso i fedeli ed una garanzia di maggiore apertura e disponibilità alle suggestioni dello Spirito. Sono note, al riguardo, le raccomandazioni fatte da S. Carlo Borromeo, fulgida figura di pastore, nel discorso che egli tenne nell'ultimo suo Sinodo: "Eserciti la cura d'anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso". [93]

Il Vescovo, pertanto, curerà di entrare con equilibrio nella molteplicità dei suoi impegni armonizzandoli tra loro: la celebrazione dei divini misteri e la preghiera privata, lo studio personale e la programmazione pastorale, il raccoglimento e il giusto riposo. Sostenuto da questi sussidi per la sua vita spirituale, egli troverà la pace del cuore sperimentando la profondità della comunione con la Trinità, che lo ha scelto e consacrato. Nella grazia che Dio gli assicura, ogni giorno egli saprà svolgere il suo ministero, attento ai bisogni della Chiesa e del mondo, come testimone della speranza.

 

 

La formazione permanente del Vescovo

24. In stretto collegamento con l'impegno del Vescovo di proseguire instancabilmente sulla via della santità vivendo una spiritualità cristocentrica ed ecclesiale, l'Assemblea sinodale ha posto anche l'istanza di una sua formazione permanente. Necessaria per tutti i fedeli, come è stato sottolineato nei precedenti Sinodi e ribadito nelle successive Esortazioni apostoliche Christifideles Laici, Pastores dabo vobis e Vita consecrata, la formazione permanente è da ritenersi necessaria specialmente per il Vescovo, che porta su di sé la responsabilità del comune progresso e del concorde cammino nella Chiesa.

Come per i sacerdoti e le persone di vita consacrata, anche per un Vescovo la formazione permanente è un'esigenza intrinseca alla sua vocazione e missione. Grazie ad essa, infatti, è possibile discernere le nuove chiamate con cui Dio precisa ed attualizza la chiamata iniziale. Anche l'apostolo Pietro, dopo il "seguimi" del primo incontro con Cristo (cfr. Mt 4, 19), si sente ripetere lo stesso invito dal Risorto che, prima di lasciare la terra, preannunciandogli le fatiche e le tribolazioni del futuro ministero, aggiunge: "Tu seguimi" (Gv 21, 22). "C'è, dunque, un "seguimi" che accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un "seguimi" che attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte, un "seguimi" che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel martirio". [94] Non si tratta, è evidente, di attuare soltanto un adeguato aggiornamento, richiesto da una realistica conoscenza della situazione della Chiesa e del mondo, cosí da permettere al Pastore di essere inserito nel presente con mente aperta e cuore compassionevole. A questa buona ragione di un'aggiornata formazione permanente, si uniscono le motivazioni antropologiche derivanti dal fatto che la vita stessa è un incessante cammino verso la maturità, e quelle teologiche connesse in profondità con la radice sacramentale: il Vescovo, infatti, deve "custodire con vigile amore il "mistero" che porta in sé per il bene della Chiesa e dell'umanità". [95]

Per l'aggiornamento periodico, specialmente su alcuni temi di grande importanza, si richiedono dei veri momenti prolungati di ascolto, di comunione e di dialogo con persone esperte - Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici -, in uno scambio di esperienze pastorali, di conoscenze dottrinali, di risorse spirituali che non mancheranno di assicurare un vero arricchimento personale. Allo scopo, i Padri sinodali hanno sottolineato l'utilità di speciali corsi di formazione per i Vescovi, come i convegni annuali promossi dalla Congregazione per i Vescovi o da quella per l'Evangelizzazione dei Popoli a favore dei Vescovi di recente ordinazione episcopale. Ugualmente è stato auspicato che brevi corsi di formazione o giornate di studio e di aggiornamento, come pure corsi di esercizi spirituali per i Vescovi, siano disposti e preparati dai Sinodi patriarcali, dalle Conferenze nazionali o regionali e pure dalle Assemblee continentali di Vescovi.

Converrà che la stessa Presidenza della Conferenza episcopale si assuma il compito di provvedere alla preparazione ed alla realizzazione di tali programmi di formazione permanente, incoraggiando i Vescovi a partecipare a questi corsi, cosí da ottenere anche in questo modo una maggiore comunione fra i Pastori, in vista di una migliore efficacia pastorale nelle singole diocesi. [96]

È evidente in ogni caso che, come la vita della Chiesa, cosí anche lo stile di azione, le iniziative pastorali, le forme del ministero del Vescovo sono in evoluzione. Anche da questo punto di vista si rende necessario un aggiornamento, in conformità con le disposizioni del Codice di Diritto Canonico e in rapporto alle nuove sfide e ai nuovi impegni della Chiesa nella società. In tale contesto l'Assemblea sinodale ha proposto di rivedere il Direttorio Ecclesiae imago, già pubblicato dalla Congregazione per i Vescovi il 22 febbraio 1973, e di adattarlo alle mutate esigenze dei tempi e ai cambiamenti intercorsi nella Chiesa e nella vita pastorale. [97

 

 

L'esempio dei santi Vescovi

25. Nella loro vita e nel loro ministero, nel cammino spirituale e nello sforzo di adeguare la loro azione apostolica, i Vescovi sono sempre confortati dall'esempio di Pastori santi. Io stesso nell'Omelia per la Celebrazione eucaristica conclusiva del Sinodo ho proposto l'esempio di santi Pastori canonizzati durante l'ultimo secolo, come testimonianza di una grazia dello Spirito che non è mai mancata alla Chiesa e non mancherà mai. [98]

La storia della Chiesa, a partire dagli Apostoli, conosce un numero davvero grande di Pastori la cui dottrina e santità sono in grado d'illuminare e orientare il cammino spirituale anche dei Vescovi del terzo millennio. Le gloriose testimonianze dei grandi Pastori dei primi secoli della Chiesa, dei Fondatori delle Chiese particolari, dei confessori della fede e dei martiri, che in tempi di persecuzione hanno dato la vita per Cristo, restano come luminosi punti di riferimento a cui i Vescovi del nostro tempo possono guardare per trarne indicazioni e stimoli nel loro servizio al Vangelo.

Molti, in particolare, sono stati esemplari nell'esercizio della virtú della speranza, quando in tempi difficili hanno risollevato il loro popolo, hanno ricostruito le chiese dopo tempi di persecuzione e di calamità, hanno edificato ospizi dove accogliere pellegrini e poveri, hanno aperto ospedali dove curare ammalati e vecchi. Tanti altri Vescovi sono stati guide illuminate, che hanno aperto nuovi sentieri per il loro popolo. In tempi difficili, conservando fisso lo sguardo su Cristo crocifisso e risorto, nostra speranza, hanno dato risposte positive e creative alle sfide del momento. All'inizio del terzo millennio, vi sono ancora di questi Pastori, che hanno una storia da raccontare, fatta di fede ancorata saldamente alla Croce. Pastori che sanno cogliere le umane aspirazioni, assumerle, purificarle e interpretarle alla luce del Vangelo e che, perciò, hanno pure una storia da costruire, insieme con tutto il popolo a loro affidato.

Ogni Chiesa particolare avrà, dunque, la cura di celebrare i propri santi Vescovi, ricordando anche i Pastori che per la vita santa e gli insegnamenti illuminati hanno lasciato nel popolo speciale eredità di ammirazione e di affetto. Sono essi le spirituali sentinelle che guidano dal cielo il cammino della Chiesa pellegrina nel tempo. Anche per questo, affinché sia conservata sempre viva la memoria della fedeltà dei Vescovi eminenti nell'esercizio del loro ministero, l'Assemblea sinodale ha raccomandato che le Chiese particolari o, secondo il caso, le Conferenze episcopali si adoperino per farne conoscere ai fedeli la figura per mezzo di biografie aggiornate e, se è il caso, esaminino l'opportunità di introdurre le loro cause di canonizzazione. [99]

La testimonianza di una vita spirituale ed apostolica pienamente realizzata rimane ancora oggi la grande prova della forza del Vangelo nel trasformare le persone e le comunità, facendo penetrare nel mondo e nella storia la stessa santità di Dio. Anche questo è un motivo di speranza, specialmente per le nuove generazioni che attendono dalla Chiesa proposte stimolanti a cui ispirarsi nell'impegno di rinnovare in Cristo la società del nostro tempo.

 

 

CAPITOLO TERZO

MAESTRO DELLA FEDE E ARALDO DELLA PAROLA

"Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo" (Mc 16,15)

 

26. Ai suoi Apostoli Gesú risorto affida la missione di "fare discepoli" tutti i popoli insegnando loro ad osservare tutto ciò che Lui stesso ha comandato. Alla Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocifisso e risorto, è dunque affidato solennemente il compito di predicare il Vangelo a tutte le creature. È compito che durerà sino alla fine dei tempi. A partire da quel primo inizio non è ormai piú possibile pensare ad una Chiesa senza tale missione evangelizzatrice. Ne ha manifestato la consapevolezza l'apostolo Paolo con le ben note parole: "Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1 Cor 9, 16).

Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo "invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede". [100]

L'attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede o ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità. Egli perciò può ripetere con Paolo: "Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesú, mediante il Vangelo" (1 Cor 4, 15). Proprio per questa dinamica generatrice di vita nuova secondo lo Spirito, il ministero episcopale si mostra nel mondo come segno di speranza per i popoli, per ogni uomo.

Molto opportunamente, perciò, i Padri sinodali hanno ricordato che l'annuncio di Cristo ha sempre il primo posto e che il Vescovo è il primo annunciatore del Vangelo con le parole e con la testimonianza della vita. Egli deve essere cosciente delle sfide che l'ora presente reca con sé ed avere il coraggio di affrontarle. Tutti i Vescovi, quali ministri della verità, sosterranno questo loro compito con forza e fiducia. [101

 

 

Cristo nel cuore del Vangelo e dell'uomo

27. Il tema dell'annuncio del Vangelo è stato davvero preminente negli interventi dei Padri sinodali, i quali hanno a piú riprese e nei modi piú vari affermato che centro vivo dell'annuncio del Vangelo è Cristo crocifisso e risorto per la salvezza di tutti gli uomini. [102]

Cristo, infatti, è il cuore dell'evangelizzazione, il cui programma "s'incentra, in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, da amare, da imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio". [103]

Da Cristo, cuore del Vangelo, si dipartono tutte le altre verità della fede e s'irradia pure la speranza per tutti gli uomini. Cristo, infatti, è la luce che illumina ogni uomo e chiunque è rigenerato in Lui riceve le primizie dello Spirito, che lo mettono in grado di adempiere la legge nuova dell'amore. [104]

In forza, perciò, della sua stessa missione apostolica, il Vescovo è abilitato ad introdurre il suo popolo nel cuore del mistero della fede, ove potrà incontrare la persona viva di Gesú Cristo. I fedeli giungeranno cosí a comprendere che tutta l'esperienza cristiana ha la sua fonte e il suo indefettibile punto di riferimento nella Pasqua di Gesú, vincitore del peccato e della morte. [105]

Nell'annuncio della morte e risurrezione del Signore, poi, è incluso "l'annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell'uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa [...] L'evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella Nuova Alleanza in Gesú Cristo". [106

 

 

Il Vescovo, uditore e custode della Parola

28. Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell'insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede. [107]

Da questo punto di vista, si rivela in tutta la sua ricchezza di significato il gesto previsto nel Rito romano di Ordinazione episcopale, quando sul capo dell'eletto è imposto l'Evangeliario aperto: si vuole con ciò esprimere, da una parte, che la Parola avvolge e custodisce il ministero del Vescovo e, dall'altra, che la vita di lui dev'essere interamente sottomessa alla Parola di Dio nella quotidiana dedizione alla predicazione del Vangelo con ogni pazienza e dottrina (cfr. 2 Tm 4). Anche i Padri sinodali hanno piú volte ricordato che il Vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, testimoniandone il messaggio di salvezza. In effetti, il senso del munus docendi episcopale scaturisce dalla natura stessa di ciò che dev'essere custodito, cioè il deposito della fede.

Cristo nostro Signore, nella Sacra Scrittura dell'uno e dell'altro Testamento e nella Tradizione, ha affidato alla sua Chiesa l'unico deposito della Rivelazione divina, che è come lo specchio nel quale essa, "pellegrina in terra, contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia cosí come egli è". [108] È quanto è avvenuto nel corso dei secoli sino ad oggi: le diverse comunità, accogliendo la Parola sempre nuova ed efficace nel succedersi dei tempi, hanno docilmente ascoltato la voce dello Spirito Santo, impegnandosi a renderla viva e operante nell'attualità dei diversi periodi storici. Cosí la Parola tramandata, la Tradizione, è divenuta sempre piú consapevolmente Parola di vita e, intanto, il compito del suo annuncio e della sua custodia si è progressivamente realizzato, sotto la guida e l'assistenza dello Spirito di Verità, come ininterrotta trasmissione di tutto ciò che la Chiesa è e di tutto ciò che essa crede. [109]

Questa Tradizione, che trae la sua origine dagli Apostoli, progredisce nella vita della Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II. Similmente cresce e si sviluppa la comprensione delle cose e delle parole trasmesse, sicché nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si stabilisce una singolare unità di sentimenti tra Vescovi e fedeli. [110] Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all'interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s'incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei. È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: "La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo (cfr. 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando "dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi". [111]

Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l'esercizio della sua missione d'insegnare. Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all'interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede. Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all'assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant'Agostino: "A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell'unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola". [112] Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d'essere istruiti dallo Spirito.

Sono davvero molti i luoghi dai quali lo Spirito elargisce il suo interiore ammaestramento. Il cuore di ciascuno, anzitutto, e poi la vita delle diverse Chiese particolari, dove emergono e si fanno sentire le molteplici necessità delle persone e delle diverse comunità ecclesiali, mediante linguaggi conosciuti, ma anche diversi e nuovi.

Lo Spirito si fa ancora ascoltare mentre suscita nella Chiesa differenti forme di carismi e di servizi. Anche per questa ragione, certamente, molte volte nell'Aula sinodale si sono udite voci che esortavano il Vescovo all'incontro diretto e al contatto personale, sul modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome, con i fedeli che vivono nelle comunità affidate alla sua premura pastorale. Infatti l'incontro frequente del Vescovo con i suoi presbiteri, in primo luogo, e poi con i diaconi, con i consacrati e le loro comunità, con i fedeli laici, singolarmente e nelle diverse forme di aggregazione, ha grande importanza per l'esercizio di un ministero efficace in mezzo al Popolo di Dio.

 

 

Il servizio autentico e autorevole della Parola

29. Con l'Ordinazione episcopale ciascun Vescovo ha ricevuto la fondamentale missione di annunciare autorevolmente la Parola. Ogni Vescovo infatti, in forza della sacra Ordinazione, è dottore autentico che predica al popolo a lui affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale. Ciò vuol dire che i Vescovi sono rivestiti dell'autorità stessa di Cristo ed è per questa fondamentale ragione che "quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, i Vescovi devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito". [113] In questo servizio alla Verità, ogni Vescovo è posto di fronte alla comunità, in quanto egli è per la comunità, verso la quale dirige la propria sollecitudine pastorale e per la quale eleva a Dio con insistenza la sua preghiera.

Ciò, dunque, che ha ascoltato e accolto dal cuore della Chiesa, ogni Vescovo lo restituisce ai suoi fratelli, di cui deve avere cura come il Buon Pastore. Il sensus fidei raggiunge in lui la sua completezza. Il Concilio Vaticano II difatti insegna: "Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2, 13), aderisce "indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi" (Gd 3), con retto giudizio vi penetra in essa piú a fondo e piú pienamente l'applica nella vita". [114] È, dunque, parola che, all'interno della comunità e di fronte ad essa, non è piú semplicemente parola del Vescovo come persona privata, ma parola del Pastore che conferma la fede, raduna attorno al mistero di Dio e genera la vita.

I fedeli hanno bisogno della parola del proprio Vescovo, hanno bisogno della conferma e della purificazione della loro fede. L'Assemblea sinodale ha sottolineato, per sua parte, questo bisogno, mettendo in rilievo alcuni ambiti specifici nei quali esso è avvertito in modo tutto particolare. Uno di tali ambiti è costituito dal primo annuncio o kerygma, che è sempre necessario per suscitare l'obbedienza della fede, ma che è ancora piú urgente nell'odierna situazione segnata dall'indifferenza e dall'ignoranza religiosa di tanti cristiani. [115] Anche nell'ambito della catechesi è evidente che il Vescovo è il catechista per eccellenza. Il ruolo incisivo di santi e grandi Vescovi, i cui testi catechetici sono ancora oggi consultati con ammirazione, incoraggia a sottolineare che è compito sempre attuale del Vescovo assumere l'alta direzione della catechesi. In questo suo compito, egli non mancherà di fare riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica.

È perciò sempre valido quanto ho scritto nell'Esortazione apostolica Catechesi tradendae: "Voi [Vescovi] avete una missione particolare nelle vostre Chiese; voi siete in esse i primissimi responsabili della catechesi". [116] Per questo è dovere di ogni Vescovo assicurare nella propria Chiesa particolare la effettiva priorità di una catechesi attiva ed efficace. Egli stesso, anzi, deve esercitare la sua sollecitudine mediante interventi diretti destinati pure a suscitare e a conservare un'autentica passione per la catechesi. [117]

Consapevole, poi, della sua responsabilità nell'ambito della trasmissione e dell'educazione della fede, ogni Vescovo deve adoperarsi perché simile sollecitudine ci sia in quanti, a motivo della loro vocazione e missione, sono chiamati a trasmettere la fede. Si tratta dei sacerdoti e dei diaconi, dei fedeli di vita consacrata, dei padri e delle madri di famiglia, degli operatori pastorali e in special modo dei catechisti, come pure dei docenti di teologia e di scienze ecclesiastiche e degli insegnanti di religione cattolica. [118] Perciò il Vescovo si prenderà cura della loro formazione, iniziale e permanente.

Particolarmente utile, anche per questo suo dovere, è il dialogo aperto e la collaborazione con i teologi, a cui spetta di approfondire con metodo appropriato l'insondabile ricchezza del mistero di Cristo. I Vescovi non manchino di offrire loro, come pure alle istituzioni scolastiche e accademiche nelle quali essi operano, incoraggiamento e sostegno, perché svolgano il loro lavoro a servizio del Popolo di Dio nella fedeltà alla Tradizione e nell'attenzione alle emergenze della storia. [119] Qualora si renda opportuno, i Vescovi difendano con fermezza l'unità e l'integrità della fede, giudicando con autorità ciò che è conforme o meno alla Parola di Dio. [120]

I Padri sinodali hanno pure richiamato l'attenzione dei Vescovi sulle loro responsabilità magisteriali in ambito morale. Le norme che la Chiesa propone riflettono i comandamenti divini, che hanno la loro sintesi ed il loro coronamento nel comandamento evangelico della carità. Il fine a cui tende ogni norma divina è il maggior bene dell'uomo. Vale anche oggi la raccomandazione del Deuteronomio: "Camminate in tutto e per tutto per la via che il Signore vostro Dio vi ha prescritto, perché viviate e siate felici" (5, 33). Non si deve, inoltre, dimenticare che i comandamenti del Decalogo hanno un saldo radicamento nella stessa natura umana e che perciò i valori che essi difendono hanno una validità universale. Questo vale, in particolare, per la vita umana, da difendere dal suo concepimento alla sua conclusione con la morte naturale, la libertà delle persone e delle nazioni, la giustizia sociale e le strutture per attuarla. [121

 

 

Il ministero episcopale per l'inculturazione del Vangelo

30. L'evangelizzazione della cultura e l'inculturazione del Vangelo sono parte integrante della nuova evangelizzazione e sono, perciò, un compito proprio dell'ufficio episcopale. Riprendendo, al riguardo, alcune mie precedenti espressioni, il Sinodo ha ripetuto: "Una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta". [122]

Si tratta, in realtà, di un compito antico e sempre nuovo, che ha la sua origine nel mistero stesso dell'Incarnazione e la sua ragione nella capacità intrinseca del Vangelo di radicarsi in ogni cultura, di informarla e di promuoverla, purificandola e aprendola alla pienezza di verità e di vita che si è realizzata in Cristo Gesú. A questo tema molta attenzione è stata rivolta durante i Sinodi continentali, da cui sono venute preziose indicazioni. Su di esso mi sono soffermato io stesso in piú circostanze.

Pertanto ogni Vescovo, considerando i valori culturali presenti nel territorio in cui vive la sua Chiesa particolare, metterà ogni impegno perché il Vangelo sia annunciato nella sua integrità, sí da plasmare il cuore degli uomini e i costumi dei popoli. In quest'impresa evangelizzatrice potrà essergli di prezioso aiuto il contributo dei teologi, come pure quello degli esperti nella valorizzazione del patrimonio culturale, artistico e storico della Diocesi: esso riguarda sia l'antica sia la nuova evangelizzazione e costituisce un efficace strumento pastorale. [123]

Ugualmente di grande importanza per l'annuncio del Vangelo nei "nuovi areopaghi" e per la trasmissione della fede sono i mezzi della comunicazione sociale, ai quali si è pure rivolta l'attenzione dei Padri sinodali, i quali hanno incoraggiato i Vescovi ad una maggiore collaborazione tra le Conferenze episcopali, in ambito sia nazionale sia internazionale, perché piú qualificata ne risulti l'azione in questo delicato e prezioso ambito della vita sociale. [124]

In realtà, quando si tratta dell'annuncio del Vangelo, oltre che della sua ortodossia, è pure importante preoccuparsi di una sua proposta incisiva che ne promuova l'ascolto e l'accoglimento. Questo, evidentemente, comporta l'impegno di riservare, specialmente nei Seminari, uno spazio adeguato per la formazione dei candidati al sacerdozio circa l'uso dei mezzi della comunicazione sociale, in modo che gli evangelizzatori siano buoni proclamatori e buoni comunicatori.

 

 

Predicare con la parola e con l'esempio

31. Il ministero del Vescovo quale annunciatore del Vangelo e custode della fede nel Popolo di Dio non sarebbe compiutamente esposto, se mancasse l'accenno al dovere della coerenza personale: il suo insegnamento continua con la testimonianza e con l'esempio di un'autentica vita di fede. Se il Vescovo, che insegna con un'autorità esercitata nel nome di Gesú Cristo [125] la Parola ascoltata nella comunità, non vivesse ciò che ha insegnato, darebbe alla comunità stessa un messaggio contraddittorio.

Appare cosí chiaro che tutte le attività del Vescovo devono essere finalizzate alla proclamazione del Vangelo, "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1, 16). Il suo compito essenziale è di aiutare il Popolo di Dio a rendere alla parola della Rivelazione l'obbedienza della fede (cfr. Rm 1, 5) e ad abbracciare integralmente l'insegnamento di Cristo. Si potrebbe dire che, nel Vescovo, missione e vita si uniscono in maniera tale che non si può piú pensare ad esse come a due cose distinte: noi Vescovi siamo la nostra missione. Se non la compissimo, non saremmo piú noi. È nella testimonianza della nostra fede che la nostra vita diventa segno visibile della presenza di Cristo nelle nostre comunità.

La testimonianza della vita diventa per un Vescovo come un nuovo titolo d'autorità, che si accosta al titolo oggettivo ricevuto nella consacrazione. All'autorità si affianca cosí l'autorevolezza. Ambedue sono necessarie. Dall'una, infatti, sorge l'esigenza oggettiva dell'adesione dei fedeli all'insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio. Mi piace riprendere, a tale proposito, quello che scriveva un grande Vescovo della Chiesa antica, sant'Ilario di Poitiers: "Il beato apostolo Paolo, volendo definire il tipo di Vescovo ideale e formare con i suoi insegnamenti un uomo di Chiesa completamente nuovo, spiegò qual era, per cosí dire, il massimo della perfezione in lui. Affermò che doveva professare una dottrina sicura, consona all'insegnamento, onde essere in grado di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che contraddicono [...] Da una parte, un ministro dalla vita irreprensibile, se non è colto, riuscirà solo a giovare a se stesso; dall'altra, un ministro colto perderà l'autorità che proviene dalla cultura, se la sua vita non risulta irreprensibile". [126]

È sempre l'apostolo Paolo a fissare in queste parole la condotta da seguire: offri "te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro" (Tt 2, 7-8).

 

 

 

CAPITOLO QUARTO

MINISTRO DELLA GRAZIA DEL SUPREMO SACERDOZIO

"Santificati in Gesú Cristo, chiamati ad essere santi" (1 Cor 1, 2)

 

32. Nell'accingermi a trattare di una delle prime e fondamentali funzioni del Vescovo, il ministero della santificazione, il mio pensiero va alle parole che l'apostolo Paolo rivolgeva ai fedeli di Corinto, quasi mettendo sotto i loro occhi il mistero della loro vocazione: "santificati in Cristo Gesú, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesú Cristo" (1 Cor 1, 2). La santificazione del cristiano si realizza nel lavacro battesimale, è corroborata dai sacramenti della Confermazione e della Riconciliazione ed è alimentata dall'Eucaristia, il bene piú prezioso della Chiesa, il sacramento dal quale la Chiesa è costantemente edificata come Popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. [127]

Di questa santificazione, che si diffonde nella vita della Chiesa, il Vescovo è ministro soprattutto mediante la Santa Liturgia. Della Liturgia, e in modo speciale della Celebrazione eucaristica, si afferma che è culmine e fonte della vita della Chiesa. [128] In qualche modo l'affermazione trova riscontro nello stesso ministero liturgico del Vescovo, che si presenta come il momento centrale nella sua attività mirante alla santificazione del Popolo di Dio.

Appare da ciò chiaramente l'importanza della vita liturgica nella Chiesa particolare, dove il Vescovo esercita il suo ministero di santificazione, proclamando e predicando la parola di Dio, guidando la preghiera per il suo popolo e con il suo popolo, presiedendo la celebrazione dei Sacramenti. Per questa ragione, la Costituzione dogmatica Lumen gentium attribuisce al Vescovo un bel titolo, preso dalla preghiera di consacrazione episcopale nel rito bizantino, quello, cioè, di "distributore della grazia del supremo sacerdozio, specialmente nell'Eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce". [129]

Tra il ministero della santificazione e gli altri due, della parola e del governo, vige una profonda e intima corrispondenza. La predicazione, infatti, è ordinata alla partecipazione della vita divina, attinta alla duplice mensa della Parola e dell'Eucaristia. Essa si sviluppa e si manifesta nella vita quotidiana dei fedeli, giacché tutti sono chiamati a esprimere nel comportamento quanto hanno ricevuto nella fede. [130] Il ministero di governo, poi, come quello di Gesú Buon Pastore, si esprime in funzioni ed opere miranti a fare emergere nella comunità dei fedeli la pienezza di vita nella carità, a gloria della Santa Trinità e a testimonianza della sua amorevole presenza nel mondo.

Ogni Vescovo, pertanto, mentre esercita il ministero della santificazione (munus sanctificandi), attua ciò a cui mira il ministero dell'insegnamento (munus docendi) e, insieme, attinge la grazia per il ministero del governo (munus regendi), modellando i suoi atteggiamenti ad immagine di Cristo Sommo Sacerdote, in modo che tutto sia ordinato all'edificazione della Chiesa e alla gloria della Trinità Santa.

 

 

Fonte e culmine della vita della Chiesa particolare

33. Il Vescovo esercita il ministero della santificazione mediante la celebrazione dell'Eucaristia e degli altri Sacramenti, la lode divina della Liturgia delle Ore, la presidenza degli altri riti sacri e anche mediante la promozione della vita liturgica e dell'autentica pietà popolare. Fra tutte le celebrazioni presiedute dal Vescovo, poi, hanno una speciale rilevanza quelle da cui emerge la peculiarità del ministero episcopale, come pienezza del sacerdozio. Si tratta, specialmente, del conferimento del sacramento della Confermazione, delle Sacre Ordinazioni, della solenne celebrazione dell'Eucaristia in cui il Vescovo è circondato dal suo presbiterio e dagli altri ministri - come nella liturgia della Messa Crismale -, della dedicazione delle chiese e degli altari, della consacrazione delle vergini e di altri riti importanti per la vita della Chiesa particolare. In queste celebrazioni il Vescovo si presenta in modo visibile come il padre e il pastore dei fedeli, il "sacerdote grande" del suo popolo (cfr. Eb 10, 21), l'orante e il maestro della preghiera, che intercede per i suoi fratelli e con lo stesso popolo implora e ringrazia il Signore, mettendo in evidenza il primato di Dio e della sua gloria.

In questi vari momenti sgorga, come da fonte, la grazia divina, che permea tutta la vita dei figli di Dio nel corso del loro cammino terreno, orientandola verso il suo culmine e la sua pienezza nella patria beata. Il ministero della santificazione è, per questo, un momento fondamentale per la promozione della speranza cristiana. Il Vescovo non solo annuncia con la predicazione della parola le promesse di Dio e traccia i sentieri del futuro, ma incoraggia il Popolo di Dio nel suo pellegrinaggio terreno e attraverso la celebrazione dei Sacramenti, caparra della gloria futura, gli fa pregustare il suo destino finale, in comunione con la Vergine Maria ed i Santi, nell'incrollabile certezza della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, e della sua venuta nella gloria.

 

 

L'importanza della chiesa cattedrale

34. Il Vescovo, pur esercitando il suo ministero di santificazione in tutta la Diocesi, ha come suo punto focale la chiesa cattedrale, che è come la chiesa madre e il centro di convergenza della Chiesa particolare.

La cattedrale, difatti, è il luogo dove il Vescovo ha la sua Cattedra, da cui educa e fa crescere il suo popolo mediante la predicazione e presiede le principali celebrazioni dell'anno liturgico e dei Sacramenti. Proprio quando è assiso sulla sua Cattedra, un Vescovo si mostra di fronte all'assemblea dei fedeli come colui che presiede in loco Dei Patris; ed è per questo, come ho già ricordato, che, secondo un'antichissima tradizione propria dell'Oriente e dell'Occidente, soltanto il Vescovo si può assidere sulla Cattedra episcopale. La presenza di questa Cattedra, appunto, fa della chiesa cattedrale il centro spaziale e spirituale di unità e di comunione per il presbiterio diocesano e per tutto il Popolo santo di Dio.

In proposito, non può essere dimenticato l'insegnamento del Concilio Vaticano II circa la massima importanza che tutti devono riconoscere "alla vita liturgica della Diocesi che si svolge intorno al Vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare, cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri". [131] Nella cattedrale, dunque, dove si realizza il momento piú alto della vita della Chiesa, si compie pure l'atto piú eccelso e sacro del munus sanctificandi del Vescovo, che comporta insieme, come la liturgia stessa che egli presiede, la santificazione delle persone, il culto e la gloria di Dio.

Speciali circostanze per questa manifestazione del mistero della Chiesa sono alcune particolari celebrazioni. Ricordo, fra queste, la liturgia annuale della Messa crismale, che dev'essere considerata "una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del Vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui". [132] Durante questa celebrazione, insieme con l'Olio degli infermi e l'Olio dei catecumeni, è benedetto il santo Crisma, segno sacramentale di salvezza e di vita perfetta per tutti i rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo. Tra le liturgie piú solenni sono certamente da annoverare pure quelle per il conferimento degli Ordini sacri: riti, questi, che hanno nella chiesa cattedrale il loro luogo proprio e normale. [133] A ciò si aggiungano altre circostanze, come la celebrazione dell'anniversario della sua dedicazione e le feste dei santi Patroni della Diocesi.

Queste ed altre occasioni, secondo il calendario liturgico di ogni Diocesi, sono circostanze preziose per rinsaldare i vincoli di comunione con i presbiteri, le persone consacrate, i fedeli laici, e per stimolare gli impulsi della missione fra tutti i membri della Chiesa particolare. Per questo il Caeremoniale Episcoporum mette in luce l'importanza della chiesa cattedrale e delle celebrazioni che in essa si svolgono, per il bene e l'esempio di tutta la Chiesa particolare. [134

 

 

Il Vescovo, moderatore della Liturgia come pedagogia della fede

35. I Padri sinodali hanno voluto, nelle attuali circostanze, richiamare l'attenzione sull'importanza del ministero della santificazione che si esercita nella Liturgia, la quale deve svolgersi in modo da esercitare la sua efficacia didattica ed educativa. [135] Ciò richiede che le celebrazioni liturgiche siano davvero epifania del mistero. Dovranno perciò esprimere con chiarezza la natura del culto divino, riflettendo il senso genuino della Chiesa che prega e che celebra i misteri divini. Se le celebrazioni saranno convenientemente partecipate da tutti secondo i vari ministeri, non mancheranno di risplendere per dignità e bellezza.

Io stesso, nell'esercizio del mio ministero, ho voluto dare una priorità alle celebrazioni liturgiche, sia in Roma sia anche durante i miei viaggi apostolici nei diversi continenti e nazioni. Facendo brillare la bellezza e la dignità della liturgia cristiana in tutte le sue espressioni, ho inteso promuovere il genuino senso della santificazione del nome di Dio, al fine di educare il sentimento religioso dei fedeli e di aprirlo alla trascendenza.

Esorto, quindi, i miei fratelli Vescovi, quali maestri della fede e partecipi del supremo sacerdozio di Cristo, ad adoperarsi con tutte le forze per l'autentica promozione della liturgia. Essa esige che nel modo di celebrare si annunci con chiarezza la verità rivelata, si trasmetta fedelmente la vita divina, si esprima senza ambiguità la genuina natura della Chiesa. Siano tutti consapevoli dell'importanza delle sacre celebrazioni dei misteri della fede cattolica. La verità della fede e della vita cristiana non si trasmette solo con le parole, ma anche con i segni sacramentali e l'insieme dei riti liturgici. È ben noto, in proposito, l'antico assioma che vincola strettamente la lex credendi alla lex orandi. [136]

Ogni Vescovo, pertanto, sia esemplare nell'arte del presiedere, consapevole di tractare mysteria. Abbia pure una profonda vita teologale, che ne ispiri il comportamento in ogni contatto con il Popolo santo di Dio. Sia capace di trasmettere il senso soprannaturale delle parole, delle preghiere e dei riti, in modo da coinvolgere tutti nella partecipazione ai santi misteri. Il Vescovo, inoltre, mediante una concreta ed appropriata promozione della pastorale liturgica nella Diocesi, deve fare sí che i ministri e il popolo acquisiscano un'autentica comprensione ed esperienza della liturgia, in modo da far giungere i fedeli a quella piena, consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione ai santi misteri, auspicata dal Concilio Vaticano II. [137]

In tal modo le celebrazioni liturgiche, specialmente quelle presiedute dal Vescovo nella sua Cattedrale, saranno limpide proclamazioni della fede della Chiesa, momenti privilegiati in cui il Pastore presenta il mistero di Cristo ai fedeli e li aiuta ad entrarvi progressivamente per farne una gioiosa esperienza, da testimoniare poi nelle opere di carità (cfr. Gal 5, 6).

Considerata l'importanza della retta trasmissione della fede nella santa liturgia della Chiesa, il Vescovo non mancherà di vigilare con cura, per il bene dei fedeli, affinché siano osservate sempre, da tutti e dappertutto, le norme liturgiche in vigore. Ciò comporta anche una ferma e tempestiva correzione degli abusi e la eliminazione degli arbítri in campo liturgico. Lo stesso Vescovo sia anche attento, per quanto da lui dipende, o in collaborazione con le Conferenze episcopali e le Commissioni liturgiche pertinenti, affinché la stessa dignità e verità delle azioni liturgiche sia osservata nelle trasmissioni radiofoniche e televisive.

 

 

La centralità del Giorno del Signore e dell'anno liturgico

36. La vita ed il ministero del Vescovo debbono essere come permeati dalla presenza del Signore nel suo mistero. La promozione nell'intera Diocesi della convinzione circa la centralità spirituale, catechistica e pastorale della liturgia, infatti, dipende in gran parte dall'esempio del Vescovo.

Al centro di questo suo ministero c'è la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo nel Giorno del Signore, o Domenica. Come ho piú volte ripetuto, anche di recente, per dare un segno forte dell'identità cristiana nel nostro tempo occorre restituire centralità alla celebrazione del Giorno del Signore e, in esso, alla celebrazione dell'Eucaristia. La Domenica è un giorno che deve essere sentito come "giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana". [138]

La presenza del Vescovo, che alla Domenica, Giorno anche della Chiesa, presiede l'Eucaristia nella sua cattedrale o nelle parrocchie della Diocesi, può essere un segno esemplare di fedeltà al mistero della Risurrezione e un motivo di speranza per il Popolo di Dio nel suo pellegrinare, di domenica in domenica, fino all'ottavo giorno senza tramonto della Pasqua eterna. [139]

Nel corso dell'anno liturgico la Chiesa rivive l'intero mistero di Cristo, dall'Incarnazione e dalla Natività del Signore sino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa nella speranza del ritorno glorioso del Signore. [140] Naturalmente il Vescovo riserverà una particolare attenzione alla preparazione e alla celebrazione del Triduo Pasquale, cuore dell'intero anno liturgico, con la solenne Veglia di Pasqua ed il suo prolungamento nella cinquantina pasquale.

L'anno liturgico, con la sua cadenza ciclica, può essere opportunamente valorizzato per una programmazione pastorale della vita della Diocesi attorno al mistero di Cristo, nell'attesa della sua venuta nella gloria. In questo itinerario di fede la Chiesa è sostenuta dalla "memoria della Vergine Maria, la quale, in cielo glorificata ormai nel corpo e nell'anima [...] sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio pellegrinante". [141] È una speranza che si alimenta anche alla memoria dei martiri e degli altri santi, "che, giunti alla perfezione con l'aiuto della multiforme grazia di Dio e già in possesso della salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi". [142

 

 

Il Vescovo, ministro della Celebrazione eucaristica

37. Nel cuore del munus sanctificandi del Vescovo c'è l'Eucaristia, che egli stesso offre o fa offrire, e dove specialmente si manifesta il suo ufficio di "economo" o ministro della grazia del supremo sacerdozio. [143]

È soprattutto presiedendo l'assemblea eucaristica che il Vescovo contribuisce all'edificazione della Chiesa, mistero di comunione e di missione. L'Eucaristia, infatti, è il principio essenziale della vita non solo dei singoli fedeli, ma della stessa comunità in Cristo. I fedeli, radunati dalla predicazione del Vangelo, formano delle comunità in cui è veramente presente la Chiesa di Cristo, e ciò si rende manifesto con singolare evidenza nella stessa celebrazione del Sacrificio eucaristico. [144] È noto, al riguardo, l'insegnamento del Concilio Vaticano II: "In ogni comunità che partecipa all'altare, sotto il ministero sacro del Vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e "unità del Corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza". In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere o che vivono nella dispersione, è presente Cristo, per virtú del quale si raccoglie la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Infatti "la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che prendiamo"". [145]

Dalla Celebrazione eucaristica, poi, che è "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione", [146] sgorga anche tutto l'impegno missionario della Chiesa, tesa a manifestare ad altri con la testimonianza della vita il mistero vissuto nella fede.

Tra tutte le incombenze del ministero pastorale del Vescovo, l'impegno per la celebrazione dell'Eucaristia è il piú cogente e importante. A lui spetta pure, come uno dei suoi principali compiti, quello di provvedere affinché i fedeli abbiano la possibilità di accedere alla mensa del Signore, soprattutto alla Domenica, che, come ho appena ricordato, è il giorno in cui la Chiesa, comunità e famiglia dei figli di Dio, trova la sua peculiare identità cristiana attorno ai propri presbiteri. [147]

Accade, però, che in certe regioni, sia a motivo della scarsità dei sacerdoti, sia per altre gravi e persistenti ragioni, non si riesca a provvedere alla Celebrazione eucaristica con l'opportuna normalità. Ciò accresce il dovere del Vescovo, quale padre di famiglia e ministro della grazia, di essere sempre attento a discernere gli effettivi bisogni e la gravità delle situazioni. Occorrerà procedere ad una sapiente distribuzione dei membri del presbiterio cosí che, anche in simili emergenze, le comunità non rimangano troppo a lungo prive della Celebrazione eucaristica.

In mancanza della Santa Messa, il Vescovo farà in modo che la comunità, pur restando sempre in attesa della pienezza dell'incontro con Cristo nella celebrazione del Mistero pasquale, possa contare, almeno nelle domeniche e nelle feste, su di una speciale celebrazione. In questo caso i fedeli, presieduti da ministri responsabili, potranno usufruire del dono della Parola proclamata e della comunione all'Eucaristia, mediante previste e apposite celebrazioni delle assemblee domenicali in assenza di presbitero. [148

 

 

Il Vescovo, responsabile dell'iniziazione cristiana

38. Nelle attuali circostanze della Chiesa e del mondo, sia nelle Chiese giovani sia nei Paesi in cui il cristianesimo è stabilito da secoli, risulta provvidenziale il recupero, soprattutto per gli adulti, della grande tradizione della disciplina dell'iniziazione cristiana. È stata questa una provvida disposizione del Concilio Vaticano II, [149] che ha voluto in tal modo offrire un cammino d'incontro con Cristo e con la Chiesa a tanti uomini e donne, toccati dalla grazia dello Spirito e desiderosi di entrare in comunione con il mistero della salvezza in Cristo, morto e risorto per noi.

Mediante il cammino dell'iniziazione cristiana, i catecumeni sono progressivamente introdotti nella conoscenza del mistero di Cristo e della Chiesa, in analogia con l'origine, lo sviluppo e l'accrescimento della vita naturale. I fedeli, infatti, rinati nel Battesimo e resi partecipi del sacerdozio regale, sono corroborati mediante la Confermazione, di cui il Vescovo è ministro originario, e ricevono cosí una speciale effusione di doni dello Spirito. Partecipando poi all'Eucaristia, essi sono nutriti con il cibo della vita eterna e sono pienamente inseriti nella Chiesa, mistico Corpo di Cristo. I fedeli, in tal modo, "per effetto di questi sacramenti dell'iniziazione cristiana, sono in grado di gustare sempre piú e sempre meglio i tesori della vita divina e di progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità". [150]

I Vescovi, tenuto conto delle circostanze odierne, attueranno le prescrizioni del Rito della iniziazione cristiana degli adulti. Avranno pertanto a cuore che in ogni Diocesi vi siano le strutture e gli operatori pastorali necessari per assicurare nel modo piú degno ed efficace l'attuazione degli ordinamenti e della disciplina liturgica, catechistica e pastorale dell'iniziazione cristiana, adattata alle necessità dei nostri tempi.

Per la sua stessa natura d'inserimento progressivo nel mistero di Cristo e della Chiesa, mistero che vive ed è operante in ciascuna Chiesa particolare, l'itinerario dell'iniziazione cristiana richiede la presenza ed il ministero del Vescovo diocesano, in modo speciale nella fase culminante del cammino, cioè nel conferimento dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia, che regolarmente avviene nella Veglia pasquale.

Compito del Vescovo è pure di disciplinare, secondo le leggi della Chiesa, quanto si riferisce all'iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, disponendo circa la loro conveniente preparazione catechistica ed il loro graduale impegno nella vita della comunità. Dovrà anche vegliare perché eventuali percorsi di catecumenato, o di ripresa e rinvigorimento dei cammini dell'iniziazione cristiana, o d'accostamento a quei fedeli che si sono allontanati dalla normale e comunitaria vita di fede, si svolgano secondo le norme della Chiesa e in piena sintonia con la vita delle comunità parrocchiali nella Diocesi.

Quanto, infine, al sacramento della Confermazione, il Vescovo, che ne è ministro originario, curerà di essere normalmente lui a conferirlo. La sua presenza in mezzo alla comunità parrocchiale, che, a motivo del fonte battesimale e della Mensa eucaristica, è il luogo nativo e ordinario del cammino dell'iniziazione cristiana, richiama efficacemente il mistero della Pentecoste e si rivela sommamente utile per rinsaldare i vincoli della comunione ecclesiale tra pastore e fedeli.

 

 

La responsabilità del Vescovo nella disciplina penitenziale

39. I Padri sinodali nei loro interventi hanno riservato una particolare attenzione alla disciplina penitenziale, rilevandone l'importanza e richiamando la speciale cura che, quali successori degli Apostoli, i Vescovi devono riservare alla pastorale e alla disciplina del sacramento della Penitenza. Con gioia ho udito riaffermato da loro quanto è mia profonda convinzione, che cioè deve essere riservata la massima cura pastorale a questo Sacramento della Chiesa, fonte di riconciliazione, di pace e di gioia per noi tutti che abbiamo bisogno della misericordia del Signore e della guarigione delle ferite del peccato.

Al Vescovo, quale primo responsabile della disciplina penitenziale nella sua Chiesa particolare, spetta innanzitutto il compito dell'invito kerygmatico alla conversione e alla penitenza. È suo dovere proclamare con libertà evangelica la triste e rovinosa presenza del peccato nella vita degli uomini e nella storia delle comunità. Al tempo stesso, egli deve annunciare il mistero insondabile della misericordia che Dio ci ha elargito nella Croce e nella Risurrezione del suo Figlio, Gesú Cristo, e nell'effusione dello Spirito per la remissione dei peccati. Quest'annuncio, che è pure invito alla riconciliazione e richiamo alla speranza, sta nel cuore del Vangelo. È il primo annunzio degli Apostoli nel giorno della Pentecoste, un annuncio nel quale si rivela il senso stesso della grazia della salvezza, comunicata attraverso i Sacramenti.

Il Vescovo sarà, nei modi opportuni, un ministro esemplare del sacramento della Penitenza, ed egli stesso vi farà un assiduo e fedele ricorso. Egli non cesserà di esortare i suoi sacerdoti ad avere in grande stima il ministero della riconciliazione, ricevuto nell'ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli ad esercitarlo con generosità e senso soprannaturale, imitando il Padre, che accoglie coloro che ritornano alla casa paterna, e Cristo Buon Pastore, che porta sulle sue spalle la pecorella smarrita. [151]

La responsabilità del Vescovo si estende anche al dovere di vigilare perché il ricorso all'assoluzione generale non avvenga al di fuori delle norme del diritto. A tale riguardo, nel Motu proprio Misericordia Dei ho sottolineato che i Vescovi hanno il dovere di richiamare la disciplina vigente, secondo cui la confessione individuale e integra e l'assoluzione costituiscono l'unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa. Solamente un'impossibilità fisica o morale dispensa da tale via ordinaria, nel qual caso la riconciliazione si potrà ottenere in altri modi. Il Vescovo non mancherà di ricordare a tutti coloro a cui, in forza dell'ufficio, è demandata la cura delle anime, il dovere di offrire ai fedeli l'opportunità di accostarsi alla confessione individuale. [152] Egli provvederà pure a verificare che di fatto siano date ai fedeli le massime facilitazioni per potersi confessare.

Considerato alla luce della Tradizione e del Magistero della Chiesa l'intimo legame esistente fra il sacramento della Riconciliazione e la partecipazione all'Eucaristia, si rende oggi sempre piú necessario formare la coscienza dei fedeli a partecipare degnamente e fruttuosamente al Banchetto eucaristico, accostandovisi in stato di grazia. [153]

Giova, inoltre, ricordare che appartiene altresí al Vescovo il compito di regolare, in modo conveniente e con un'oculata scelta dei ministri adatti, la disciplina che presiede all'esercizio degli esorcismi ed alle celebrazioni di preghiera per ottenere le guarigioni, nel rispetto dei recenti documenti della Santa Sede. [154]

 

 

L'attenzione alla pietà popolare

40. I Padri sinodali hanno ribadito l'importanza che, nella trasmissione e nello sviluppo della fede, ha la pietà popolare. Essa, infatti, come ebbe a dire il mio predecessore di v. m. Paolo VI, è ricca di valori nei confronti sia di Dio che dei fratelli, [155] cosí da costituire un vero e proprio tesoro di spiritualità nella vita della comunità cristiana.

Anche nel nostro tempo, nel quale si avverte una diffusa sete di spiritualità, che spesso porta molti ad aderire a sette religiose o ad altre forme di vago spiritualismo, i Vescovi sono chiamati a discernere e a favorire i valori e le forme della vera pietà popolare.

È sempre attuale ciò che è scritto nell'Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: "La carità pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà cosí ricca e insieme cosí vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, sapere cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre piú, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesú Cristo". [156]

Occorre, quindi, orientare questa religiosità, purificandone, all'occorrenza, le forme espressive secondo i principi della fede e della vita cristiana. I fedeli, mediante la pietà popolare, devono essere condotti all'incontro personale con Cristo, alla comunione con la Beata Vergine Maria e con i Santi, specialmente per mezzo dell'ascolto della parola di Dio, del ricorso alla preghiera, della partecipazione alla vita sacramentale, della testimonianza della carità e delle opere di misericordia. [157]

Per una piú ampia riflessione su quest'argomento e per una preziosa serie di suggerimenti teologici, pastorali e spirituali, mi è grato rimandare ai documenti emanati da questa Sede Apostolica, dove è ricordato che tutte le manifestazioni della pietà popolare sono sotto la responsabilità del Vescovo, nella propria diocesi. A lui compete regolarle, incoraggiarle nella loro funzione d'aiuto ai fedeli per la vita cristiana, purificarle dove è necessario, ed evangelizzarle. [158]

 

 

La promozione della santità per tutti i fedeli

41. La santità del Popolo di Dio, cui è ordinato il ministero di santificazione del Vescovo, è dono della grazia divina e manifestazione del primato di Dio nella vita della Chiesa. Per questo, nel suo ministero, egli deve promuovere instancabilmente una vera e propria pastorale e pedagogia della santità, sí da realizzare il programma proposto dal capitolo quinto della Costituzione Lumen gentium circa la vocazione universale alla santità.

Questo programma io stesso ho voluto proporre a tutta la Chiesa, all'inizio del terzo millennio, come priorità pastorale e come frutto del grande Giubileo dell'Incarnazione. [159] La santità, infatti, è ancora oggi un segno dei tempi, una prova della verità del cristianesimo che rifulge nei suoi esponenti migliori, sia in quelli elevati in grande numero agli onori degli altari, sia in quelli ancora piú numerosi che nascostamente hanno fecondato e fecondano la storia degli uomini con l'umile e gioiosa santità del quotidiano. Anche nel nostro tempo, infatti, non mancano preziose testimonianze di forme di santità, personale e comunitaria, che sono per tutti, anche per le nuove generazioni, un segno di speranza.

Per fare, dunque, emergere la testimonianza della santità, esorto i miei Fratelli Vescovi a volere cogliere e a mettere in luce i segni della santità e delle virtú eroiche, che ancora oggi si manifestano, specialmente quando riguardano i fedeli laici delle loro diocesi, soprattutto i coniugi cristiani. Dove ciò, poi, risulti davvero opportuno, li incoraggio a promuovere i relativi processi di canonizzazione. [160] Ciò potrà essere per tutti un segno di speranza e, per il cammino del Popolo di Dio, un motivo d'incoraggiamento nella sua testimonianza, di fronte al mondo, della permanente presenza della grazia nel tessuto delle umane vicende.

 

 

 

CAPITOLO QUINTO

IL GOVERNO PASTORALE DEL VESCOVO

"Vi ho dato l'esempio" (Gv 13,15)

 

42. Trattando del dovere di governare la famiglia di Dio e di assumere la cura abituale e quotidiana del gregge del Signore Gesú, il Concilio Vaticano II spiega che i Vescovi nell'esercizio del loro ministero di padri e pastori in mezzo ai loro fedeli debbono comportarsi come "coloro che servono", avendo sempre sotto gli occhi l'esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore (cfr. Mt 20, 28; Mc 10, 45; Lc 22, 26- 27; Gv 10, 11). [161]

Quest'immagine di Gesú, modello supremo del Vescovo, ha una sua eloquente espressione nel gesto della lavanda dei piedi, narrato nel Vangelo secondo Giovanni: "Prima della festa di Pasqua Gesú, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano [...] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto [...]. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro [...] Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (13, 1-15).

Contempliamo, allora, Gesú mentre compie questo gesto che sembra offrirci la chiave per la comprensione del suo stesso essere e della sua missione, della sua vita e della sua morte. Contempliamo pure l'amore di Gesú, che si traduce in azione, in gesti concreti. Contempliamo Gesú che assume sino in fondo, con radicalità assoluta, la forma di servo (cfr. Fil 2, 7). Lui, il Maestro e Signore, che ha ricevuto tutto nelle sue mani dal Padre, ci ha amati fino alla fine, fino a mettersi totalmente nelle mani degli uomini, accettando da loro tutto ciò che essi avrebbero poi fatto di Lui. Quello di Gesú è un gesto d'amore compiuto nel contesto dell'istituzione dell'Eucaristia e nella chiara prospettiva della passione e della morte. È un gesto rivelatore del senso dell'Incarnazione, ma, ancora di piú, dell'essenza stessa di Dio. Dio è amore, e per questo ha assunto la condizione di servo: Dio si è posto a servizio dell'uomo per portare l'uomo alla piena comunione con Lui.

Se questo, dunque, è il Maestro e Signore, il senso del ministero e dell'essere stesso di chi è chiamato, come i Dodici, ad entrare nella piú grande intimità con Gesú, non può consistere che nella totale e incondizionata disponibilità verso gli altri, sia verso coloro che già fanno parte dell'ovile, sia verso quelli che ancora non vi appartengono (cfr. Gv 10, 16).

 

 

L'autorità di servizio pastorale del Vescovo

43. Il Vescovo è inviato in nome di Cristo come pastore per la cura di una determinata porzione del Popolo di Dio. Per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia, egli deve farla crescere quale realtà di comunione nello Spirito Santo. [162] Da questo deriva per il Vescovo la rappresentanza e il governo della Chiesa affidatagli, con la potestà necessaria per esercitare il ministero pastorale sacramentalmente ricevuto (munus pastorale), come partecipazione alla stessa consacrazione e missione di Cristo. [163] In forza di ciò, "i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è il piú grande si deve fare come il piú piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr. Lc 22, 26-27)". [164]

Questo brano conciliare è una mirabile sintesi della dottrina cattolica riguardo al governo pastorale del Vescovo ed è ripreso nel rito dell'Ordinazione del Vescovo: "Episcopato è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al Vescovo compete piú il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro". [165] C'è qui il principio fondamentale per cui nella Chiesa, secondo quanto afferma san Paolo, l'autorità ha come scopo l'edificazione del Popolo di Dio, non la sua rovina (cfr. 2 Cor 10, 8). L'edificazione del gregge di Cristo nella verità e nella santità richiede da parte del Vescovo, come piú volte è stato detto nell'aula sinodale, alcune caratteristiche, fra cui l'esemplarità della vita, la capacità di relazione autentica e costruttiva con le persone, l'attitudine a stimolare e sviluppare la cooperazione, la bontà d'animo e la pazienza, la comprensione e la compassione per le miserie dell'anima e del corpo, l'indulgenza e il perdono. Si tratta, infatti, di esprimere nel miglior modo possibile il supremo modello, che è Gesú Buon Pastore.

Quella del Vescovo è una vera potestà, ma una potestà illuminata dalla luce del Buon Pastore e informata dal suo modello. Esercitata in nome di Cristo, essa è "propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere circoscritto. In virtú di questo potere, i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato". [166] Il Vescovo, dunque, è investito, in virtú dell'ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo (munus pastorale) ricevuto nel Sacramento.

Il governo del Vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace - occorre ricordarlo anche in questo caso - se poggerà su un'autorevolezza morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del Popolo di Dio. Ammoniva, perciò, sant'Ambrogio: "Nei sacerdoti non si ricerca nulla di volgare, nulla di comune con le aspirazioni, le abitudini, i costumi della moltitudine grossolana. La dignità sacerdotale rivendica per sé una gravità che si tiene lontana dai tumulti, una vita austera e una singolare autorevolezza". [167]

L'esercizio dell'autorità nella Chiesa non può essere concepito come qualcosa d'impersonale e di burocratico, proprio perché si tratta di un'autorità che nasce dalla testimonianza. In tutto ciò che viene detto e fatto dal Vescovo deve essere rivelata l'autorità della parola e dell'agire di Cristo. Se mancasse l'autorevolezza della santità di vita del Vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa.

Ministri per volontà del Signore dell'apostolicità della Chiesa e rivestiti della potenza dello Spirito del Padre, che regge e guida (Spiritus principalis), i Vescovi sono successori degli Apostoli non solo nell'autorità e nella sacra potestà, ma pure nella forma di vita apostolica, nelle sofferenze apostoliche per l'annuncio e la diffusione del Vangelo, nella cura tenera e misericordiosa dei fedeli loro affidati, nella difesa dei deboli, nella costante attenzione per il Popolo di Dio.

Nell'aula sinodale è stato ricordato che, dopo il Concilio Vaticano II, l'esercizio dell'autorità nella Chiesa s'è rivelato spesso faticoso. Tale situazione, anche se alcune delle difficoltà piú acute sembrano superate, permane tuttora. Si pone perciò il problema di come il necessario servizio dell'autorità possa essere meglio compreso, accettato e adempiuto. Al riguardo, una prima risposta scaturisce dalla natura stessa dell'autorità ecclesiale: essa è - e come tale deve mostrarsi il piú chiaramente possibile - partecipazione alla missione di Cristo, da viversi ed esercitarsi nell'umiltà, nella dedizione e nel servizio.

La valorizzazione dell'autorità del Vescovo non s'esprime nelle esteriorità, ma nell'approfondimento del significato teologico, spirituale e morale del suo ministero, fondato nel carisma dell'apostolicità. Quanto è stato detto in aula sinodale circa l'icona della lavanda dei piedi, e il collegamento che, in tale contesto, è stato stabilito tra la figura del servo e quella del pastore, fa capire che l'episcopato è veramente un onore quando è servizio. Ogni Vescovo, perciò, deve applicare a se stesso la parola di Gesú: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è cosí; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 42- 45). Memore di queste parole del Signore, il Vescovo governa col cuore del servo umile e del pastore affettuoso, che guida il suo gregge, cercando la gloria di Dio e la salvezza delle anime (cfr. Lc 22, 26-27). Vissuta cosí, quella del Vescovo è davvero una forma di governo unica al mondo.

È già stato ricordato il testo della Lumen gentium, dove si afferma che i Vescovi reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e legati di Cristo, "col consiglio, la persuasione, l'esempio". [168] Non c'è in questo contraddizione con le parole che seguono, quando il Concilio Vaticano II aggiunge che i Vescovi governano, sí, "col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà". [169] Si tratta infatti di una "sacra potestà" che affonda le radici nell'autorevolezza morale di cui il Vescovo è insignito in virtú della sua santità di vita. Proprio questa agevola la ricezione di tutta la sua azione di governo e la rende efficace.

 

 

Stile pastorale di governo e comunione diocesana

44. La comunione ecclesiale vissuta porterà il Vescovo ad uno stile pastorale sempre piú aperto alla collaborazione di tutti. Vi è una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a decidere con responsabilità personale per il bene della Chiesa affidata alla sua cura e l'apporto che i fedeli gli possono offrire attraverso gli organi consultivi, quali il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio episcopale, il consiglio pastorale. [170]

I Padri sinodali non hanno omesso di fare riferimento a queste modalità di esercizio del governo episcopale, mediante le quali si organizza l'azione pastorale nella diocesi. [171] La Chiesa particolare, infatti, non dice riferimento soltanto al triplice ministero episcopale (munus episcopale), ma anche alla triplice funzione profetica, sacerdotale e regale dell'intero Popolo di Dio. Tutti i fedeli, in virtú del Battesimo, partecipano, nel modo ad essi proprio, al triplice munus di Cristo. La loro reale uguaglianza nella dignità e nell'agire fa sí che tutti siano chiamati a cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo, quindi ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa nel mondo, ciascuno secondo la propria condizione e i propri compiti. [172]

Ogni tipo di differenziazione tra i fedeli, in base ai diversi carismi, funzioni, ministeri è ordinata al servizio delle altre membra del Popolo di Dio. La differenziazione ontologico-funzionale, che pone il Vescovo "di fronte" agli altri fedeli sulla base della pienezza del sacramento dell'Ordine che ha ricevuto, è un essere per gli altri fedeli, che non lo sradica dal suo essere con essi.

La Chiesa è una comunione organica, che si realizza nel coordinamento dei diversi carismi, ministeri e servizi, in ordine al conseguimento del fine comune che è la salvezza. Il Vescovo è responsabile della realizzazione di questa unità nella diversità, favorendo, come è stato detto nell'Assemblea sinodale, la sinergia di diversi operatori, cosí che sia possibile percorrere insieme il comune cammino di fede e di missione. [173]

Ciò detto, però, è necessario aggiungere che il ministero del Vescovo non si può affatto ridurre al compito di un semplice moderatore. Per natura sua il munus episcopale implica un chiaro e inequivocabile diritto-dovere di governo, in cui è inclusa anche la componente giurisdizionale. I Pastori sono testimoni pubblici e la loro potestas testandi fidem giunge alla sua pienezza nella potestas iudicandi: il Vescovo non è solo chiamato a testimoniare la fede, ma anche a valutarne e a disciplinarne le manifestazioni da parte dei credenti affidati alle sue cure pastorali. Nell'adempiere a questo suo compito egli farà tutto il possibile per suscitare il consenso dei suoi fedeli, ma alla fine dovrà sapersi assumere la responsabilità delle decisioni che appariranno necessarie alla sua coscienza di pastore, preoccupato soprattutto del futuro giudizio di Dio.

La comunione ecclesiale nella sua organicità chiama in causa la responsabilità personale del Vescovo, ma suppone anche la partecipazione di tutte le categorie di fedeli, in quanto corresponsabili del bene della Chiesa particolare che essi stessi formano. Ciò che garantisce l'autenticità di tale comunione organica è l'azione dello Spirito, il quale opera sia nella responsabilità personale del Vescovo, sia nella partecipazione ad essa dei fedeli. È lo Spirito infatti che, fondando l'uguaglianza battesimale di tutti i fedeli come anche la diversità carismatica e ministeriale di ciascuno, è in grado di attuare efficacemente la comunione. Sulla base di questi principi si reggono i Sinodi diocesani, il cui profilo canonico, stabilito nei canoni 460-468 del Codice di Diritto Canonico, è stato precisato dall'Istruzione interdicasteriale del 19 marzo 1997. [174] Alla sostanza di tali norme dovranno attenersi anche le altre assemblee diocesane, che il Vescovo presiederà non abdicando mai alla sua specifica responsabilità.

Se nel Battesimo ogni cristiano riceve l'amore di Dio tramite l'effusione dello Spirito Santo, il Vescovo - ha ricordato opportunamente l'Assemblea sinodale - mediante il sacramento dell'Ordine riceve nel suo cuore la carità pastorale di Cristo. Questa carità pastorale è finalizzata a creare la comunione. [175] Prima di tradurre quest'amore-comunione in linee di azione, il Vescovo deve impegnarsi a renderlo presente nel proprio cuore e nel cuore della Chiesa attraverso una vita autenticamente spirituale.

Se la comunione esprime l'essenza della Chiesa, è normale che la spiritualità di comunione tenda a manifestarsi nell'ambito sia personale che comunitario suscitando forme sempre nuove di partecipazione e di corresponsabilità nelle varie categorie di fedeli. Il Vescovo si sforzerà, pertanto, di suscitare nella sua Chiesa particolare strutture di comunione e di partecipazione, che consentano di ascoltare lo Spirito che vive e parla nei fedeli, per poi orientarli a porre in atto quanto lo stesso Spirito suggerisce in ordine al vero bene della Chiesa.

 

 

Le articolazioni della Chiesa particolare

45. Molti interventi dei Padri sinodali hanno fatto riferimento a vari aspetti e momenti della vita della Diocesi. Cosí, una debita attenzione è stata dedicata alla Curia diocesana, quale struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti. [176] È stata richiamata, in particolare, l'opportunità che l'amministrazione economica della Diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche. Se nella Diocesi si vive una spiritualità di comunione, non si potrà non prestare un'attenzione privilegiata alle parrocchie e comunità piú povere, facendo inoltre il possibile per riservare una parte delle disponibilità economiche alle Chiese piú indigenti, specialmente nelle terre di missione e di migrazione. [177]

È sulla parrocchia, tuttavia, che i Padri sinodali hanno ritenuto conveniente fermare la loro attenzione, ricordando che di questa comunità, eminente fra tutte quelle presenti in una Diocesi, il Vescovo è il primo responsabile: ad essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura. [178] La parrocchia infatti - come è stato affermato a piú voci - rimane ancora il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi.

 

 

La visita pastorale

46. È proprio in questa prospettiva che emerge l'importanza della Visita pastorale, autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all'incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli. [179] Il Vescovo Bartolomeu dos Martires, che io stesso ho beatificato pochi giorni dopo la conclusione del Sinodo, nella sua classica opera Stimulus Pastorum, molto apprezzata dallo stesso san Carlo Borromeo, definisce la Visita pastorale quasi anima episcopalis regiminis ed efficacemente la descrive come un'espansione della presenza spirituale del Vescovo tra i suoi fedeli. [180]

Nella sua Visita pastorale alla parrocchia, lasciato ad altri delegati l'esame delle questioni di carattere amministrativo, il Vescovo privilegi l'incontro con le persone, a cominciare dal parroco e dagli altri sacerdoti. È questo il momento in cui egli esercita piú da vicino per il suo popolo il ministero della parola, della santificazione e della guida pastorale, entrando a piú diretto contatto con le ansie e le preoccupazioni, le gioie e le attese della gente e potendo rivolgere a tutti un invito alla speranza. Qui, soprattutto, il Vescovo ha il diretto contatto con le persone piú povere, con gli anziani e con gli ammalati. Realizzata cosí, la Visita pastorale si mostra qual è, un segno della presenza del Signore che visita il suo popolo nella pace.

 

 

Il Vescovo con il suo presbiterio

47. Non è senza ragione che il decreto conciliare Christus Dominus, offrendo la descrizione della Chiesa particolare, la indica come comunità di fedeli affidata alla cura pastorale del Vescovo "cum cooperatione presbyterii". [181] Esiste, infatti, tra il Vescovo e i presbiteri una communio sacramentalis in virtú del sacerdozio ministeriale o gerarchico, che è partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo e pertanto, anche se in grado diverso, in virtú dell'unico ministero ecclesiale ordinato e dell'unica missione apostolica.

I presbiteri e, tra di loro specialmente i parroci, sono, dunque i collaboratori piú stretti del ministero del Vescovo. I Padri sinodali hanno rinnovato le raccomandazioni e gli inviti, già presenti nei documenti conciliari e ripresi piú recentemente nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, [182] alla speciale qualità delle relazioni fra il Vescovo e i suoi presbiteri. Il Vescovo cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li ascolta, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale e economico. [183]

L'affetto privilegiato del Vescovo per i suoi sacerdoti si manifesta come accompagnamento paterno e fraterno nelle tappe fondamentali della loro vita ministeriale, a partire dai primi passi nel ministero pastorale. Fondamentale resta la formazione permanente dei presbiteri, che costituisce per tutti come una "vocazione nella vocazione" perché, nelle sue differenti e complementari dimensioni, tende ad aiutare il prete ad essere e a fare il prete secondo lo stile di Gesú.

Ogni Vescovo diocesano ha tra i suoi primi doveri la cura spirituale del suo presbiterio: "Il gesto del sacerdote che pone le proprie mani nelle mani del Vescovo, nel giorno dell'ordinazione presbiterale, professandogli "filiale rispetto e obbedienza", a prima vista può sembrare un gesto a senso unico. Il gesto in realtà impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il giovane presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani". [184]

In due altri momenti, vorrei aggiungere, il presbitero può giustamente attendersi la manifestazione di una speciale vicinanza da parte del proprio Vescovo. Il primo è quando gli viene affidata una missione pastorale, sia che ciò accada per la prima volta, come nel caso del sacerdote da poco ordinato, sia che avvenga per un avvicendamento ministeriale, o per il conferimento di un nuovo mandato pastorale. Il conferimento di una missione pastorale è, per lo stesso Vescovo, un momento significativo di paterna responsabilità nei riguardi di un suo presbitero. San Girolamo ha parole che ben si possono applicare a questa circostanza: "Lo stesso rapporto che passava tra Aronne e i suoi figli noi sappiamo che passa tra il Vescovo e i suoi sacerdoti. Uno solo è il Signore, uno il tempio: ci sia pure unità nel ministero [...] La gloria di un padre non è il figlio saggio? Il Vescovo si congratuli con se stesso d'avere avuto buon fiuto nella scelta di simili sacerdoti per Cristo". [185]

L'altro momento è quello in cui un sacerdote, a motivo dell'età avanzata, lascia l'effettiva guida pastorale di una comunità, oppure gli incarichi di diretta responsabilità. In queste e in analoghe circostanze, il Vescovo ha il dovere di far sí che il sacerdote avverta sia la gratitudine della Chiesa particolare per le fatiche apostoliche fino ad allora svolte, sia la specificità della sua nuova collocazione all'interno del presbiterio diocesano: egli infatti conserva, ed anzi vede accresciuta, la possibilità di contribuire all'edificazione della Chiesa mediante la testimonianza esemplare di una preghiera piú assidua e la generosa messa a disposizione, a vantaggio dei confratelli piú giovani, dell'esperienza acquisita. Ai sacerdoti, poi, che si trovano nella medesima situazione a motivo di una malattia grave, o per un'altra forma di persistente debilitazione, il Vescovo farà sentire la propria vicinanza fraterna, aiutandoli a conservare viva la convinzione di "essere membri attivi nell'edificazione della Chiesa anche e specialmente in forza della loro unione a Gesú Cristo sofferente e a tanti altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del Signore". [186]

Il Vescovo seguirà, pure, con la preghiera e con una fattiva compassione i sacerdoti che, per una qualsivoglia ragione, hanno messo in questione la loro vocazione e la loro fedeltà alla chiamata del Signore e sono in qualche modo venuti meno ai loro doveri. [187]

Egli non mancherà, infine, di esaminare i segni di virtú eroiche che si fossero eventualmente manifestati tra i sacerdoti diocesani e, quando lo ritenesse opportuno, procederà al loro pubblico riconoscimento, muovendo i passi necessari per introdurre la causa di canonizzazione. [188

 

 

La formazione dei candidati al presbiterato

48. Approfondendo il tema del ministero dei presbiteri, l'attenzione dei Padri sinodali si è rivolta in particolare alla formazione dei candidati al sacerdozio, che si svolge nel Seminario. [189] Con ciò che comporta di preghiera, di dedizione, di fatica, la formazione dei presbiteri costituisce per il Vescovo una preoccupazione di primaria importanza. Al riguardo, i Padri sinodali, ben sapendo che il Seminario è per la Diocesi un bene tra i piú preziosi, si sono soffermati a trattarne con attenzione, ed hanno ribadito la necessità indiscutibile del Seminario Maggiore, senza tuttavia trascurare la rilevanza che anche il Minore riveste per la trasmissione dei valori cristiani in ordine alla sequela di Cristo. [190]

Ogni Vescovo, pertanto, esprimerà la sua premura anzitutto scegliendo con massima cura gli educatori dei futuri presbiteri e stabilendo le forme piú opportune e appropriate per la necessaria loro preparazione a svolgere il ministero in un ambito tanto fondamentale per la vita della comunità cristiana. Il Vescovo non mancherà di visitare con frequenza il Seminario, anche quando circostanze particolari lo avessero condotto insieme con altri Vescovi alla scelta, in non pochi casi necessaria e addirittura da preferirsi, di un Seminario interdiocesano. [191] La conoscenza personale e approfondita dei candidati al presbiterato nella propria Chiesa particolare è un elemento dal quale il Vescovo non può prescindere. Sulla base di tali contatti diretti, egli si impegnerà a far sí che nei Seminari siano formate personalità mature ed equilibrate, capaci di stabilire solide relazioni umane e pastorali, teologicamente preparate, forti nella vita spirituale, amanti della Chiesa. Ugualmente si sforzerà di promuovere e sollecitare iniziative di carattere economico per il sostegno e l'aiuto dei giovani candidati al presbiterato.

È evidente, però, che forza suscitatrice e formatrice di vocazioni è innanzitutto la preghiera. Le vocazioni hanno bisogno di una diffusa rete di intercessori presso il "Padrone della messe". Quanto piú il problema della vocazione sarà affrontato nel contesto della preghiera, tanto piú la preghiera aiuterà il prescelto ad ascoltare la voce di Colui che lo chiama.

Giunto il momento di conferire gli Ordini sacri, ogni Vescovo terrà il dovuto scrutinio. [192] A tale proposito, consapevole della sua grave responsabilità nel conferimento dell'Ordine presbiterale, soltanto dopo un'indagine accurata ed un'ampia consultazione, a norma del diritto, il Vescovo accoglierà nella propria Diocesi candidati che provengono da altra Diocesi, o da un Istituto religioso. [193

 

 

Il Vescovo e i diaconi permanenti

49. In quanto dispensatori dei sacri Ordini, i Vescovi hanno una responsabilità diretta anche riguardo ai Diaconi permanenti, che l'Assemblea sinodale riconosce come autentici doni di Dio per annunciare il Vangelo, istruire le comunità cristiane e promuovere il servizio della carità nella Famiglia di Dio. [194]

Ogni Vescovo, perciò, avrà grande cura per queste vocazioni, del cui discernimento e formazione è lui il responsabile ultimo. Benché, normalmente, debba esercitare questa responsabilità mediante collaboratori di sua stretta fiducia, impegnati ad agire in maniera conforme alle disposizioni della Santa Sede, [195] il Vescovo cercherà, nei limiti del possibile, di conoscere personalmente quanti si preparano al Diaconato. Dopo averli ordinati, continuerà ad essere per loro un vero padre, incoraggiandoli all'amore verso il Corpo e il Sangue di Cristo, di cui sono ministri, e verso la Santa Chiesa che hanno accettato di servire; quelli poi che sono coniugati, esorterà ad una esemplare vita familiare.

 

 

La premura del Vescovo verso le persone di vita consacrata

50. L'Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata ha già messo in risalto l'importanza che la vita consacrata ha nel ministero del Vescovo. Richiamando quel testo durante quest'ultimo Sinodo, i Padri hanno ricordato che nella Chiesa-comunione il Vescovo deve stimare e promuovere la specifica vocazione e missione della vita consacrata, che appartiene stabilmente e fermamente alla vita e alla santità della Chiesa. [196] Anche nella Chiesa particolare essa adempie il dovere di un'esemplare presenza e missione carismatica. Il Vescovo esaminerà perciò attentamente se, fra le persone consacrate vissute nella Diocesi, vi siano state testimonianze di esercizio eroico delle virtú e, ritenendolo opportuno, procederà ad avviare il processo di canonizzazione.

Nella sua cura premurosa verso tutte le forme di vita consacrata, cura che s'esprime sia nell'incoraggiamento che nella vigilanza, il Vescovo dovrà riservare un posto speciale per la vita contemplativa. I consacrati, a loro volta, accoglieranno cordialmente le indicazioni pastorali del Vescovo, mirando ad una piena comunione con la vita e la missione della Chiesa particolare, ove dimorano. Il Vescovo, infatti, è il responsabile dell'attività apostolica nella Diocesi: con lui devono collaborare i consacrati e le consacrate in modo da arricchire, con la presenza e con il ministero, la comunione ecclesiale. A tale proposito, si deve tener presente il documento Mutuae relationes e quanto attiene il diritto vigente.

Speciale attenzione è stata raccomandata per gli Istituti di diritto diocesano, soprattutto per quelli che si dibattono in serie difficoltà: ad essi il Vescovo riserverà una speciale cura paterna. Nell'iter, infine, di approvazione di nuovi Istituti nati nella propria Diocesi, il Vescovo avrà cura di muoversi secondo quanto indicato e prescritto nell'Esortazione Vita consecrata e nelle altre istruzioni dei competenti Dicasteri della Santa Sede. [197

 

 

I fedeli laici nella cura pastorale del Vescovo

51. Nei fedeli laici, che costituiscono la maggioranza del Popolo di Dio, deve evidenziarsi la forza missionaria del Battesimo. A tal fine, essi hanno bisogno del sostegno, dell'incoraggiamento e dell'aiuto dei loro Vescovi, che li guidino a sviluppare il loro apostolato secondo la loro propria indole secolare, attingendo alla grazia dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. Sarà per questo necessario promuovere itinerari specifici di formazione, che li abilitino ad assumere responsabilità nella Chiesa all'interno delle strutture di partecipazione diocesane e parrocchiali, oltre che nei diversi servizi di animazione della liturgia, di catechesi, di insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ecc.

Spettano soprattutto ai laici - e in questo senso li si deve incoraggiare - l'evangelizzazione delle culture, l'inserimento della forza del Vangelo nelle realtà della famiglia, del lavoro, dei mass-media, dello sport, del tempo libero, l'animazione cristiana dell'ordine sociale e della vita pubblica, nazionale e internazionale. Per la loro collocazione nel mondo, difatti, i fedeli laici sono in grado di esercitare una grande influenza sull'ambiente circostante, allargando per tanti uomini e donne le prospettive e gli orizzonti della speranza. D'altra parte, impegnati come sono per la loro scelta di vita nelle realtà temporali, i fedeli laici sono chiamati, in modo corrispondente alla loro specifica indole secolare, a rendere conto della speranza (cfr. 1 Pt 3, 15) nei rispettivi campi di lavoro, coltivando nel cuore "l'attesa di una terra nuova". [198] I Vescovi, per parte loro, siano vicini ai fedeli laici che, inseriti nel vivo dei complessi problemi del mondo, sono particolarmente esposti al turbamento e alla sofferenza e li sostengano perché siano cristiani di forte speranza, saldamente ancorati alla certezza che il Signore è sempre accanto ai suoi figli.

Dev'essere pure considerata l'importanza dell'apostolato laico associato, sia quello di piú antica tradizione, sia quello costituito dai nuovi movimenti ecclesiali. Tutte queste realtà aggregative arricchiscono la Chiesa, ma hanno sempre bisogno del servizio di discernimento che è proprio del Vescovo, alla cui missione pastorale spetta di favorire la complementarità tra movimenti di ispirazione diversificata, vegliando sul loro sviluppo, sulla formazione teologica e spirituale degli animatori, sull'inserimento delle nuove realtà nella comunità diocesana e nelle parrocchie, da cui non debbono separarsi. [199] Il Vescovo cercherà pure di far sí che le aggregazioni laicali sostengano la pastorale vocazionale nella Diocesi, favorendo l'accoglienza di tutte le vocazioni, specialmente di quelle al ministero ordinato, alla vita consacrata e all'impegno missionario. [200]

 

 

La sollecitudine del Vescovo verso la famiglia

52. Molte voci di Padri sinodali si sono levate a favore della famiglia, giustamente chiamata "chiesa domestica", spazio aperto alla presenza del Signore Gesú, santuario della vita. Fondata sul sacramento del Matrimonio, essa appare quale comunità di importanza primaria, giacché in essa sia i coniugi sia i loro figli vivono la propria vocazione e si perfezionano nella carità. La famiglia cristiana - è stato sottolineato nel Sinodo - è comunità apostolica, aperta alla missione. [201]

È proprio del Vescovo fare in modo che nella società civile siano sostenuti e difesi i valori del matrimonio attraverso giuste scelte politiche ed economiche. All'interno, poi, della comunità cristiana egli non mancherà di incoraggiare la preparazione dei fidanzati al matrimonio, l'accompagnamento delle giovani coppie e la formazione di gruppi di famiglie che sostengano la pastorale familiare e, non da ultimo, siano in grado di aiutare le famiglie in difficoltà. La vicinanza del Vescovo ai coniugi e ai loro figli, anche attraverso iniziative di vario genere a carattere diocesano, sarà per loro di sicuro conforto.

Guardando ai compiti educativi della famiglia stessa, i Padri sinodali hanno unanimemente riconosciuto il valore delle scuole cattoliche in ordine alla formazione integrale delle nuove generazioni, all'inculturazione della fede e al dialogo fra le diverse culture. È perciò necessario che il Vescovo sostenga e qualifichi l'opera delle scuole cattoliche, promuovendone il sorgere laddove non esistono e sollecitando, per quanto sta in lui, le istituzioni civili perché favoriscano un'effettiva libertà d'insegnamento all'interno del Paese. [202]

 

 

I giovani, una priorità pastorale in vista del futuro

53. Il Vescovo, pastore e padre della comunità cristiana, avrà una cura particolare per l'evangelizzazione e l'accompagnamento spirituale dei giovani. Un ministero di speranza non può fare a meno di costruire il futuro insieme con coloro - i giovani, appunto - ai quali è affidato l'avvenire. Come "sentinelle del mattino", i giovani attendono l'aurora di un mondo nuovo. L'esperienza delle Giornate Mondiali della Gioventú, che i Vescovi incoraggiano cordialmente, ci mostra quanto numerosi siano i giovani disponibili a impegnarsi nella Chiesa e nel mondo, se è proposta loro un'autentica responsabilità e offerta una integrale formazione cristiana.

In questa prospettiva, facendomi interprete del pensiero dei Padri sinodali, rivolgo uno speciale appello alle persone di vita consacrata dei molti Istituti impegnati nell'ambito della formazione e della educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, perché non si lascino scoraggiare dalle difficoltà del momento e non desistano dalla loro benemerita opera, ma la intensifichino qualificando sempre meglio i loro sforzi. [203]

I giovani, attraverso una relazione personale con i loro pastori e formatori, siano spinti a crescere nella carità, siano educati a una vita generosa, disponibile al servizio degli altri, soprattutto degli indigenti e degli ammalati. In questo modo sarà piú facile parlare loro anche delle altre virtú cristiane, specialmente della castità. Su questa via giungeranno a capire che una vita è "bella" quando è donata, sull'esempio di Gesú. Potranno cosí compiere scelte responsabili e definitive, sia in ordine al matrimonio, sia nel ministero sacro e nella vita consacrata.

 

 

La pastorale vocazionale

54. Determinante è la promozione di una cultura vocazionale in senso piú ampio: occorre cioè educare i giovani alla scoperta della vita stessa come vocazione. Converrà pertanto che il Vescovo faccia appello alle famiglie, alle comunità parrocchiali e agli istituti educativi, perché aiutino i ragazzi e i giovani a scoprire il progetto di Dio sulla loro vita, accogliendo la chiamata alla santità che Dio originalmente rivolge a ciascuno. [204]

È molto importante, a tale proposito, rinvigorire la dimensione vocazionale di tutta l'azione pastorale. Per questo il Vescovo procurerà che la pastorale giovanile e vocazionale sia affidata a sacerdoti e a persone capaci di trasmettere, con l'entusiasmo e con l'esempio della loro vita, l'amore per Gesú. Sarà loro compito accompagnare i giovani mediante un rapporto personale di amicizia e, se possibile, di direzione spirituale, per aiutarli a cogliere i segni della chiamata di Dio, e a cercare la forza per corrispondervi nella grazia dei Sacramenti e nella vita di preghiera, che è anzitutto ascolto di Dio che parla.

Sono, questi, alcuni degli ambiti nei quali ogni Vescovo esercita il suo ministero di governo ed esprime verso la porzione del Popolo di Dio che gli è affidata la carità pastorale che lo anima. Una delle forme caratteristiche di tale carità è la compassione, a imitazione di Cristo, Sommo Sacerdote, il quale seppe compatire le umane fragilità, poiché egli stesso era stato provato in tutto come noi, anche se, a differenza di noi, non nel peccato (cfr. Ebr 4, 15). Tale compassione è sempre unita alla responsabilità, che il Vescovo ha assunto di fronte a Dio e alla Chiesa. È cosí che egli realizza le promesse e gli impegni assunti nel giorno della sua Ordinazione episcopale, quando ha dato liberamente il suo assenso alla richiesta della Chiesa di prendersi cura, con amore di padre, del Popolo santo di Dio e di guidarlo sulla via della salvezza; di essere sempre accogliente e misericordioso, nel nome del Signore, verso i poveri, i malati e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto e pure, come buon pastore, di andare alla ricerca delle pecore smarrite per riportarle all'ovile di Cristo.205

[ Continua... ]