Venerati Fratelli e diletti Figli e Figlie, salute e Apostolica Benedizione

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

"Vi darò Pastori secondo il mio cuore". [1] Con queste parole del profeta Geremia Dio promette al suo popolo di non lasciarlo mai privo di pastori che lo radunino e lo guidino: "Costituirò sopra di esse (ossia sulle mie pecore) pastori che le faranno pascolare, cosí che non dovranno piú temere né sgomentarsi". [2] La Chiesa, popolo di Dio, sperimenta sempre la realizzazione di questo annuncio profetico e nella gioia continua a rendere grazie al Signore. Essa sa che Gesú Cristo stesso è il compimento vivo, supremo e definitivo della promessa di Dio: "Io sono il buon pastore". [3] Egli, "il Pastore grande delle pecore", [4] ha affidato agli apostoli e ai loro successori il ministero di pascere il gregge di Dio. [5] In particolare, senza sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere quella fondamentale obbedienza che è al cuore stesso della sua esistenza e della sua missione nella storia: l'obbedienza al comando di Gesú: "Andate dunque e ammaestrate tutte le genti" [6] e "Fate questo in memoria di me", [7] ossia il comando di annunciare il Vangelo e di rinnovare ogni giorno il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita del mondo. Nella fede sappiamo che la promessa del Signore non può venir meno. Proprio questa promessa è la ragione e la forza che fa gioire la Chiesa di fronte alla fioritura e alla crescita numerica delle vocazioni sacerdotali, che oggi si registrano in alcune parti del mondo, cosí come rappresenta il fondamento e lo stimolo per un suo atto di fede piú grande e di speranza piú viva di fronte alla grave scarsità di sacerdoti, che pesa in altre parti del mondo. Tutti siamo chiamati a condividere la fiducia piena nell'ininterrotto compiersi della promessa di Dio, che i Padri sinodali hanno voluto testimoniare in modo chiaro e forte: "Il Sinodo con piena fiducia nella promessa di Cristo che ha detto: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" [8] e consapevole dell'attività costante dello Spirito Santo nella Chiesa, intimamente crede che non mancheranno mai completamente nella Chiesa i sacri ministri... Anche se in varie regioni si dà scarsità di clero, tuttavia l'azione del Padre, che suscita le vocazioni, non cesserà mai nella Chiesa". [9] Come ho detto a conclusione del Sinodo, di fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali" la prima risposta che la Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale nello Spirito Santo. Siamo profondamente convinti che questo fiducioso abbandono non deluderà, se peraltro restiamo fedeli alla grazia ricevuta". [10]

2. Restare fedeli alla grazia ricevuta! Infatti, il dono di Dio non annulla la libertà dell'uomo, ma la suscita, la sviluppa e la esige. Per questo la fiducia totale nell'incondizionata fedeltà di Dio alla sua promessa si accompagna nella Chiesa alla grave responsabilità di cooperare all'azione di Dio che chiama, di contribuire a creare e a mantenere le condizioni nelle quali il buon seme, seminato da Dio, possa mettere radici e dare frutti abbondanti. La Chiesa non può mai cessare di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe, [11] di rivolgere una limpida e coraggiosa proposta vocazionale alle nuove generazioni, di aiutarle a discernere la verità della chiamata di Dio e a corrispondervi con generosità, di riservare una cura particolare per la formazione dei candidati al presbiterato. In realtà la formazione dei futuri sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, e l'assidua cura, protratta lungo tutto il corso della vita, per la loro santificazione personale nel ministero e per l'aggiornamento costante del loro impegno pastorale, sono considerate dalla Chiesa come uno dei compiti di massima delicatezza e importanza per il futuro dell'evangelizzazione dell'umanità. Quest'opera formativa della Chiesa è una continuazione nel tempo dell'opera di Cristo, che l'evangelista Marco indica con le parole: "Gesú salí sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituí 12 che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni". [12] Si può affermare che nella sua storia, la Chiesa ha sempre rivissuto, sia pure con intensità e in modalità diverse, questa pagina del Vangelo mediante l'opera formativa riservata ai candidati al presbiterato e ai sacerdoti stessi. Oggi però la Chiesa si sente chiamata a rivivere quanto il Maestro ha fatto con i suoi apostoli con un impegno nuovo, sollecitata com'è dalle profonde e rapide trasformazioni delle società e delle culture del nostro tempo, dalla molteplicità e diversità dei contesti nei quali essa annuncia e testimonia il Vangelo, dal favorevole andamento numerico delle vocazioni sacerdotali che si registra in diverse diocesi, dall'urgenza di una nuova verifica dei contenuti e dei metodi della formazione sacerdotale, dalla preoccupazione dei Vescovi e delle loro comunità per la persistente scarsità di clero, dall'assoluta necessità che la "nuova evangelizzazione" abbia nei sacerdoti i suoi primi "nuovi evangelizzatori". Proprio in questo contesto storico e culturale si è collocata l'ultima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata a "La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali", con l'intento, a distanza di 25 anni dalla fine del Concilio, di portare a compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla piú attuale e incisiva nelle circostanze odierne. [13]

3. In continuità con i testi del Concilio Vaticano II circa l'ordine dei presbiteri e la loro formazione, [14] e nell'intento di applicarne in concreto alle varie situazioni la ricca ed autorevole dottrina, la Chiesa ha affrontato piú volte i problemi della vita, del ministero e della formazione dei sacerdoti. Le occasioni piú solenni sono stati i Sinodi dei Vescovi. Fin dalla prima Assemblea generale, svoltasi nell'ottobre del 1967, il Sinodo dedicò 5 congregazioni generali al tema del rinnovamento dei seminari. Questo lavoro diede impulso decisivo all'elaborazione del documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica: "Norme fondamentali per la formazione sacerdotale". [15] Fu soprattutto la seconda Assemblea generale ordinaria del 1971 a impegnare la metà dei suoi lavori sul sacerdozio ministeriale. I frutti di questo lungo confronto sinodale, ripresi e condensati in alcune "raccomandazioni" sottomesse al mio Predecessore, Papa Paolo VI, e lette in apertura del Sinodo del 1974, riguardavano principalmente la dottrina sul sacerdozio ministeriale ed alcuni aspetti della spiritualità e del ministero sacerdotale. Anche in molte altre occasioni il Magistero della Chiesa ha continuato a testimoniare la sua sollecitudine per la vita e per il ministero dei sacerdoti. Si può dire che negli anni del post-Concilio non ci sia stato intervento magisteriale che in qualche misura non abbia riguardato, in modo esplicito o implicito, il senso della presenza dei sacerdoti nella comunità, il loro ruolo e la loro necessità per la Chiesa e per la vita del mondo. In questi anni piú recenti e da piú parti è stata avvertita la necessità di ritornare sul tema del sacerdozio, affrontandolo da un punto di vista relativamente nuovo e piú adatto alle presenti circostanze ecclesiali e culturali. L'attenzione si è spostata dal problema dell'identità del prete ai problemi connessi con l'itinerario formativo al sacerdozio e con la qualità di vita dei sacerdoti. In realtà le nuove generazioni di chiamati al sacerdozio ministeriale presentano caratteristiche notevolmente diverse rispetto a quelle dei loro immediati predecessori e vivono in un mondo per tanti aspetti nuovo e in continua e rapida evoluzione.

E di tutto ciò non si può non tener conto nella programmazione e nella realizzazione degli itinerari educativi al sacerdozio ministeriale. I sacerdoti poi, già inseriti da un tempo piú o meno lungo nell'esercizio del ministero, sembrano oggi soffrire di eccessiva dispersione nelle sempre crescenti attività pastorali e, di fronte alle difficoltà della società e della cultura contemporanea, si sentono costretti a ripensare i loro stili di vita e le priorità degli impegni pastorali, mentre avvertono sempre piú la necessità di una formazione permanente. Ora all'incremento delle vocazioni al presbiterato, alla loro formazione perché i candidati conoscano e seguano Gesú preparandosi a celebrare e a vivere il sacramento dell'Ordine che li configura a Cristo Capo e Pastore, Servo e Sposo della Chiesa, all'individuazione di itinerari di formazione permanente capaci di sostenere in modo realistico ed efficace il ministero e la vita spirituale dei sacerdoti sono state dedicate le preoccupazioni e le riflessioni del Sinodo dei Vescovi 1990. Questo stesso Sinodo intendeva anche rispondere a una richiesta fatta dal precedente Sinodo sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. I laici stessi avevano sollecitato l'impegno dei sacerdoti alla formazione per essere opportunamente aiutati nel compimento della comune missione ecclesiale. E in realtà, "piú si sviluppa l'apostolato dei laici e piú fortemente viene percepito il bisogno di avere dei sacerdoti che siano ben formati. Cosí la vita stessa del popolo di Dio manifesta l'insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico: infatti nel mistero della Chiesa la gerarchia ha un carattere ministeriale. [16] Piú si approfondisce il senso della vocazione propria dei laici, piú si evidenzia ciò che è proprio del sacerdozio". [17]

4. Nell'esperienza ecclesiale tipica del Sinodo, quella cioè di "una singolare esperienza di comunione episcopale nell'universalità, che rafforza il senso della Chiesa universale, la responsabilità dei Vescovi verso la Chiesa universale e la sua missione, in comunione affettiva ed effettiva attorno a Pietro", [18] si è fatta sentire, limpida ed accurata, la voce delle diverse Chiese particolari - e in questo Sinodo, per la prima volta, di alcune Chiese dell'Est -, le Chiese hanno proclamato la loro fede nel compimento della promessa di Dio: "Vi darò pastori secondo il mio cuore", [19] e hanno rinnovato il loro impegno pastorale per la cura delle vocazioni e per la formazione dei sacerdoti, nella consapevolezza che da queste dipendono l'avvenire della Chiesa, il suo sviluppo e la sua missione universale di salvezza. Riprendendo ora il ricco patrimonio delle riflessioni, degli orientamenti e delle indicazioni che hanno preparato e accompagnato i lavori dei Padri sinodali, con questa Esortazione Apostolica post-sinodale unisco alla loro la mia voce di Vescovo di Roma e di Successore di Pietro e la rivolgo al cuore di tutti i fedeli e di ciascuno di essi, in particolare al cuore dei sacerdoti e di quanti sono impegnati nel delicato ministero della loro formazione. Sí, con tutti i sacerdoti e con ciascuno di loro, sia diocesani sia religiosi, desidero incontrarmi mediante questa Esortazione. Con le labbra e il cuore dei Padri sinodali faccio mie le parole e i sentimenti del "Messaggio finale del Sinodo al popolo di Dio": "Con animo riconoscente e pieno di ammirazione ci rivolgiamo a voi che siete i nostri primi cooperatori nel servizio apostolico. La vostra opera nella Chiesa è veramente necessaria e insostituibile. Voi sostenete il peso del ministero sacerdotale e avete il contatto quotidiano con i fedeli. Voi siete i ministri dell'Eucaristia, i dispensatori della misericordia divina nel Sacramento della Penitenza, i consolatori delle anime, le guide dei fedeli tutti nelle tempestose difficoltà della vita. Vi salutiamo con tutto il cuore, vi esprimiamo la nostra gratitudine e vi esortiamo a perseverare in questa via con animo lieto e pronto. Non cedete allo scoraggiamento. "La nostra opera non è nostra ma di Dio". Colui che ci ha chiamati e che ci ha inviati rimane con noi per tutti i giorni della nostra vita. Noi infatti operiamo per mandato di Cristo". [20]

 

 

 

CAPITOLO I

PRESO FRA GLI UOMINI

 

5. "Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio". [21] La Lettera agli Ebrei afferma chiaramente l'"umanità" del ministro di Dio: egli viene dagli uomini ed è al servizio degli uomini, imitando Gesú Cristo "lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato". [22] Dio chiama i suoi sacerdoti sempre da determinati contesti umani ed ecclesiali, dai quali sono inevitabilmente connotati e ai quali sono mandati per il servizio del Vangelo di Cristo. Per questo il Sinodo ha contestualizzato l'argomento dei sacerdoti, collocandolo nell'oggi della società e della Chiesa e aprendolo alle prospettive del terzo millennio, come del resto risulta dalla stessa formulazione del tema: "La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali". Certamente "c'è una fisionomia essenziale del sacerdote che non muta: il sacerdote di domani infatti, non meno di quello di oggi, dovrà assomigliare a Cristo. Quando viveva sulla terra, Gesú offrí in se stesso il volto definitivo del presbitero, realizzando un sacerdozio ministeriale di cui gli apostoli furono i primi ad essere investiti; esso è destinato a durare, a riprodursi incessantemente in tutti i periodi della storia. Il presbitero del terzo millennio sarà, in questo senso, il continuatore dei presbiteri che, nei precedenti millenni, hanno animato la vita della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale continuerà ad essere la chiamata a vivere l'unico e permanente sacerdozio di Cristo". [23] Altrettanto certamente la vita e il ministero del sacerdote devono anche "adattarsi a ogni epoca e ad ogni ambiente di vita... Da parte nostra dobbiamo perciò cercare di aprirci, per quanto possibile, alla superiore illuminazione dello Spirito Santo, per scoprire gli orientamenti della società contemporanea, riconoscere i bisogni spirituali piú profondi, determinare i compiti concreti piú importanti, i metodi pastorali da adottare, e cosí rispondere in modo adeguato alle attese umane". [24] Dovendo coniugare la permanente verità del ministero presbiterale con le istanze e le caratteristiche dell'oggi, i Padri Sinodali hanno cercato di rispondere ad alcune domande necessarie: quali problemi e, nello stesso tempo, quali stimoli positivi l'attuale contesto socio-culturale ed ecclesiale suscita nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani che devono maturare, per tutta l'esistenza, un progetto di vita sacerdotale? Quali difficoltà e quali nuove possibilità offre il nostro tempo per l'esercizio di un ministero sacerdotale coerente col dono del Sacramento ricevuto e con l'esigenza di una vita spirituale corrispondente? Ripresento ora alcuni elementi dell'analisi della situazione che i Padri sinodali hanno sviluppato, ben consapevole però che la grande varietà delle circostanze socio-culturali ed ecclesiali presenti nei diversi paesi consiglia di segnalare solo i fenomeni piú profondi e piú diffusi, in particolare quelli che si rapportano ai problemi educativi e alla formazione sacerdotale.

6. Molteplici fattori sembrano favorire negli uomini d'oggi una piú matura coscienza della dignità della persona e una nuova apertura ai valori religiosi, al Vangelo e al ministero sacerdotale. Nell'ambito della società troviamo, nonostante tante contraddizioni, una piú diffusa e forte sete di giustizia e di pace, un senso piú vivo della cura dell'uomo per il creato e per il rispetto della natura, una ricerca piú aperta della verità e della tutela della dignità umana, l'impegno crescente, in molte fasce della popolazione mondiale, per una piú concreta solidarietà internazionale e per un nuovo ordine planetario, nella libertà e nella giustizia. Cresce anche, mentre si sviluppa sempre piú il potenziale di energie offerto dalle scienze e dalle tecniche e si diffondono l'informazione e la cultura, una nuova domanda etica, la domanda, cioè, di senso e quindi di un'oggettiva scala di valori che permetta di stabilire le possibilità e i limiti del progresso. Nel campo piú propriamente religioso e cristiano, cadono pregiudizi ideologici e chiusure violente all'annuncio dei valori spirituali e religiosi, mentre sorgono nuove e insperate possibilità per l'evangelizzazione e la ripresa della vita ecclesiale in molte parti del mondo. Si notano cosí una crescente diffusione della conoscenza delle Sacre Scritture; una vitalità e forza espansiva di molte Chiese giovani con un ruolo sempre piú rilevante nella difesa e nella promozione dei valori della persona e della vita umana; una splendida testimonianza del martirio da parte delle Chiese del Centro-Est europeo, come anche della fedeltà e del coraggio di altre Chiese, che ancora sono costrette a subire persecuzioni e tribolazioni per la fede. [25] Il desiderio di Dio e di un rapporto vivo e significativo con Lui si presenta oggi tanto forte da favorire, là dove manca l'autentico e integrale annuncio del Vangelo di Gesú, la diffusione di forme di religiosità senza Dio e di molteplici sette. La loro espansione, anche in alcuni ambienti tradizionalmente cristiani, è sí per tutti i figli della Chiesa, e per i sacerdoti in particolare, un costante motivo di esame di coscienza sulla credibilità della loro testimonianza al Vangelo, ma insieme anche un segno di quanto sia tuttora profonda e diffusa la ricerca di Dio.

7. Ma con questi e con altri fattori positivi si trovano intrecciati molti elementi problematici o negativi. Ancora molto diffuso si presenta il razionalismo, che, in nome di una concezione riduttiva di scienza, rende insensibile la ragione umana all'incontro con la Rivelazione e con la trascendenza divina. È da registrarsi poi una difesa esasperata della soggettività della persona, che tende a chiuderla nell'individualismo, incapace di vere relazioni umane. Cosí molti, soprattutto tra i ragazzi e i giovani, cercano di compensare questa solitudine con surrogati di varia natura, con forme piú o meno acute di edonismo, di fuga dalle responsabilità; prigionieri dell'attimo fuggente, cercano di "consumare" esperienze individuali il piú possibile forti e gratificanti sul piano delle emozioni e delle sensazioni immediate, trovandosi però inevitabilmente indifferenti e come paralizzati di fronte all'appello di un progetto di vita che includa una dimensione spirituale e religiosa e un impegno di solidarietà. Si diffonde, inoltre, in ogni parte del mondo, anche dopo la caduta delle ideologie che avevano fatto del materialismo un dogma e del rifiuto della religione un programma, una sorta di ateismo pratico ed esistenziale, che coincide con una visione secolarista della vita e del destino dell'uomo. Quest'uomo "tutto occupato di sé, quest'uomo che si fa non soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione di ogni realtà", [26] si trova sempre piú impoverito di quel supplemento d'anima che gli è tanto piú necessario quanto piú una larga disponibilità di beni materiali e di risorse lo illude di autosufficienza. Non c'è piú bisogno di combattere Dio, si pensa di poter fare semplicemente a meno di lui. In questo quadro, si devono notare, in particolare, la disgregazione della realtà familiare e l'oscuramento o il travisamento del vero senso della sessualità umana: sono fenomeni che incidono in modo fortemente negativo sull'educazione dei giovani e sulla loro disponibilità ad ogni vocazione religiosa. Si devono notare, inoltre, l'aggravarsi delle ingiustizie sociali e il concentrarsi della ricchezza nelle mani di pochi, come frutto di un capitalismo disumano, [27] che allarga sempre piú la distanza tra popoli opulenti e popoli indigenti: vengono cosí introdotte nella convivenza umana tensioni e inquietudini che turbano profondamente la vita delle persone e delle comunità. Anche nell'ambito ecclesiale, si registrano fenomeni preoccupanti e negativi, che hanno diretto influsso sulla vita e sul ministero dei sacerdoti.

Cosí l'ignoranza religiosa che permane in molti credenti; la scarsa incidenza della catechesi, soffocata dai piú diffusi e piú suadenti messaggi dei mezzi di comunicazione di massa; il malinteso pluralismo teologico, culturale e pastorale che, pur partendo a volte da buone intenzioni, finisce per rendere difficile il dialogo ecumenico e per attentare alla necessaria unità della fede; il persistere di un senso di diffidenza e quasi di insofferenza per il magistero gerarchico; le spinte unilaterali e riduttive della ricchezza del messaggio evangelico, che trasformano l'annuncio e la testimonianza della fede in un esclusivo fattore di liberazione umana e sociale oppure in un alienante rifugio nella superstizione e nella religiosità senza Dio. [28] Un fenomeno di grande rilievo, anche se relativamente recente in molti paesi di antica tradizione cristiana, è la presenza in uno stesso territorio di consistenti nuclei di razze diverse e di diverse religioni. Si sviluppa cosí sempre piú la società multirazziale e multireligiosa. Se questo può essere occasione, da un lato, di un esercizio piú frequente e fruttuoso del dialogo, di un'apertura di mentalità, di esperienze di accoglienza e di giusta tolleranza, dall'altro lato può essere causa di confusione e di relativismo, soprattutto in persone e popolazioni dalla fede meno matura. A questi fattori, e in stretto collegamento con la crescita dell'individualismo, si aggiunge il fenomeno della soggettivizzazione della fede. Si registra cioè, da parte di un numero crescente di cristiani, una minore sensibilità all'insieme globale ed oggettivo della dottrina della fede, per un'adesione soggettiva a ciò che piace, che corrisponde alla propria esperienza, che non scomoda le proprie abitudini. Anche l'appello all'inviolabilità della coscienza individuale, in se stesso legittimo, non manca di assumere, in questo contesto, pericolosi caratteri di ambiguità. Di qui deriva anche il fenomeno delle appartenenze alla Chiesa sempre piú parziali e condizionate, che esercitano un influsso negativo sul nascere di nuove vocazioni al sacerdozio, sulla stessa autocoscienza del sacerdote e sul suo ministero nella comunità. Infine, in molte realtà ecclesiali è, ancora oggi, la scarsa presenza e disponibilità di forze sacerdotali a creare i problemi piú gravi. I fedeli sono spesso abbandonati per lunghi periodi, senza adeguato sostegno pastorale: ne soffrono cosí la crescita della loro vita cristiana nel suo complesso e, ancor piú, la loro capacità di farsi ulteriormente promotori di evangelizzazione.

8. Le numerose contraddizioni e potenzialità di cui sono segnate le nostre società e culture e, nello stesso tempo, le comunità ecclesiali sono percepite, vissute e sperimentate con una intensità del tutto particolare dal mondo dei giovani, con ripercussioni immediate e quanto mai incisive sul loro cammino educativo. In tal senso il sorgere e lo svilupparsi della vocazione sacerdotale nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani incontrano continuamente ad un tempo ostacoli e sollecitazioni. Quanto mai forte è sui giovani il fascino della cosiddetta "società dei consumi", che li fa succubi e prigionieri di un'interpretazione individualista, materialista ed edonista dell'esistenza umana. Il benessere materialmente inteso tende ad imporsi come unico ideale di vita, un benessere da ottenersi a qualsiasi condizione e prezzo: di qui il rifiuto di tutto ciò che sa di sacrificio e la rinuncia alla fatica di cercare e di vivere i valori spirituali e religiosi. La "preoccupazione" esclusiva per l'avere soppianta il primato dell'essere, con la conseguenza di interpretare e di vivere i valori personali e interpersonali non secondo la logica del dono e della gratuità, bensí secondo quella del possesso egoistico e della strumentalizzazione dell'altro. Questo si riflette, in particolare, sulla visione della sessualità umana, che viene fatta decadere dalla sua dignità di servizio alla comunione e alla donazione tra le persone per essere semplicemente ricondotta ad un bene di consumo. Cosí l'esperienza affettiva di molti giovani si risolve non in una crescita armoniosa e gioiosa della propria personalità che si apre all'altro nel dono di sé, ma in una grave involuzione psicologica ed etica, che non potrà non avere i suoi pesanti condizionamenti sul loro domani. Alla radice di queste tendenze si dà per non pochi giovani un'esperienza distorta della libertà: lungi dall'essere obbedienza alla verità oggettiva e universale, la libertà è vissuta come assenso cieco alle forze istintive e alla volontà di potenza del singolo. Si fanno allora in qualche modo naturali, sul piano della mentalità e del comportamento, lo sgretolarsi del consenso intorno ai principii etici, e, sul piano religioso, se non sempre il rifiuto esplicito di Dio, una larga indifferenza e comunque una vita che, anche nei suoi momenti piú significativi e nelle sue scelte piú decisive, viene vissuta come se Dio non esistesse. In un simile contesto si fa difficile non solo la realizzazione ma la stessa comprensione del senso di una vocazione al sacerdozio, che è una specifica testimonianza del primato dell'essere sull'avere, è riconoscimento del senso della vita come dono libero e responsabile di sé agli altri, come disponibilità a porsi interamente al servizio del Vangelo e del Regno di Dio in quella particolare forma. Anche nell'ambito della comunità ecclesiale il mondo dei giovani costituisce, non poche volte, un "problema". In realtà, se nei giovani, ancor piú che negli adulti, sono presenti una forte tendenza alla soggettivizzazione della fede cristiana e un'appartenenza solo parziale e condizionata alla vita e alla missione della Chiesa, nella comunità ecclesiale fatica, per una serie di ragioni, a decollare una pastorale giovanile aggiornata e coraggiosa: i giovani rischiano di essere lasciati a se stessi, in balía della loro fragilità psicologica, insoddisfatti e critici di fronte ad un mondo di adulti che, non vivendo in modo coerente e maturo la fede, non si presentano loro come modelli credibili. Si fa allora evidente la difficoltà di proporre ai giovani un'esperienza integrale e coinvolgente di vita cristiana ed ecclesiale e di educarli ad essa. Cosí la prospettiva della vocazione al sacerdozio rimane lontana dagli interessi concreti e vivi dei giovani.

9. Non mancano però situazioni e stimoli positivi, che suscitano e alimentano nel cuore degli adolescenti e dei giovani una nuova disponibilità, nonché una vera e propria ricerca di valori etici e spirituali, che per loro natura offrono il terreno propizio per un cammino vocazionale verso il dono totale di sé a Cristo e alla Chiesa nel sacerdozio. È da rilevare, anzitutto, come si siano attenuati alcuni fenomeni, che in un recente passato avevano provocato non pochi problemi, quali la contestazione radicale, le spinte libertarie, le rivendicazioni utopiche, le forme indiscriminate di socializzazione, la violenza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche i giovani d'oggi, con la forza e la freschezza tipiche dell'età, sono portatori degli ideali che si fanno strada nella storia: la sete della libertà, il riconoscimento del valore incommensurabile della persona, il bisogno dell'autenticità e della trasparenza, un nuovo concetto e stile di reciprocità nei rapporti tra uomo e donna, la ricerca convinta e appassionata di un mondo piú giusto, piú solidale, piú unito, l'apertura e il dialogo con tutti, l'impegno per la pace. Lo sviluppo, cosí ricco e vivace in tanti giovani del nostro tempo, di numerose e varie forme di volontariato rivolto alle situazioni piú dimenticate e disagiate della nostra società, rappresenta oggi una risorsa educativa particolarmente importante, perché stimola e sostiene i giovani ad uno stile di vita piú disinteressato e piú aperto e solidale con i poveri. Questo stile di vita può facilitare la comprensione, il desiderio e l'accoglienza di una vocazione al servizio stabile e totale verso gli altri anche sulla strada della piena consacrazione a Dio con una vita sacerdotale. Il recente crollo delle ideologie, il modo fortemente critico di porsi di fronte al mondo degli adulti che non sempre offrono una testimonianza di vita affidata a valori morali e trascendenti, la stessa esperienza di compagni che cercano evasioni nella droga e nella violenza, contribuiscono non poco a rendere piú acuta ed ineludibile la fondamentale domanda circa i valori che sono veramente capaci di dare pienezza di significato alla vita, alla sofferenza e alla morte. In tanti giovani si fanno piú espliciti la domanda religiosa e il bisogno di spiritualità: di qui il desiderio di esperienze di deserto e di preghiera, il ritorno ad una lettura piú personale e abituale della Parola di Dio e allo studio della teologia. E come già nell'ambito del volontariato sociale, cosí in quello della comunità ecclesiale i giovani si fanno sempre piú attivi e protagonisti, soprattutto con la partecipazione alle varie aggregazioni, da quelle tradizionali ma rinnovate a quelle piú recenti: l'esperienza di una Chiesa "sollecitata alla nuova evangelizzazione" dalla fedeltà allo Spirito che la anima e dalle esigenze del mondo lontano da Cristo ma bisognoso di Lui, come pure l'esperienza di una Chiesa sempre piú solidale con l'uomo e con i popoli nella difesa e nella promozione della dignità personale e dei diritti umani di tutti e di ciascuno aprono il cuore e la vita dei giovani a ideali quanto mai affascinanti e impegnativi, che possono trovare la loro concreta realizzazione nella sequela di Cristo e nel sacerdozio. È naturale che da questa situazione umana ed ecclesiale, caratterizzata da forte ambivalenza, non si potrà affatto prescindere non solo nella pastorale delle vocazioni e nell'opera di formazione dei futuri sacerdoti, ma anche nell'ambito della vita e del ministero dei sacerdoti e della loro formazione permanente. Cosí, se si possono comprendere le varie forme di "crisi" alle quali vanno soggetti i sacerdoti d'oggi nell'esercizio del ministero, nella loro vita spirituale ed anche nella stessa interpretazione della natura e del significato del sacerdozio ministeriale, si devono pure registrare, con gioia e con speranza, le nuove possibilità positive che il momento storico attuale offre ai sacerdoti per il compimento della loro missione.

10. La complessa situazione attuale, rapidamente evocata per cenni e in modo esemplificativo, chiede di essere non solo conosciuta, ma anche e soprattutto interpretata. Solo cosí si potrà rispondere in modo adeguato alla fondamentale domanda: Come formare sacerdoti che siano veramente all'altezza di questi tempi, capaci di evangelizzare il mondo di oggi? [29] È importante la conoscenza della situazione. Non basta una semplice rilevazione dei dati; occorre un'indagine "scientifica" con la quale delineare un quadro preciso e concreto delle reali circostanze socio-culturali ed ecclesiali. Ancor piú importante è l'interpretazione della situazione. Essa è richiesta dall'ambivalenza e talvolta dalla contraddittorietà di cui è segnata la situazione, che registra profondamente intrecciati tra loro difficoltà e potenzialità, elementi negativi e ragioni di speranza, ostacoli e aperture, come il campo evangelico nel quale sono seminati e "convivono" il buon grano e la zizzania. [30] Non è sempre facile una lettura interpretativa, che sappia distinguere tra bene e male, tra segni di speranza e minacce. Nella formazione dei sacerdoti non si tratta solo e semplicemente di accogliere i fattori positivi e di contrastare frontalmente quelli negativi. Si tratta di sottoporre gli stessi fattori positivi ad attento discernimento, perché non si isolino l'uno dall'altro e non vengano in contrasto tra loro, assolutizzandosi e combattendosi a vicenda. Altrettanto si dica dei fattori negativi: non sono da respingere in blocco e senza distinzioni, perché in ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende di essere liberato e ricondotto alla sua verità piena. Per il credente l'interpretazione della situazione storica trova il principio conoscitivo e il criterio delle scelte operative conseguenti in una realtà nuova e originale, ossia nel discernimento evangelico; è l'interpretazione che avviene nella luce e nella forza del Vangelo, del Vangelo vivo e personale che è Gesú Cristo, e con il dono dello Spirito Santo. In tal modo il discernimento evangelico coglie nella situazione storica e nelle sue vicende e circostanze non un semplice "dato" da registrare con precisione, di fronte al quale è possibile rimanere nell'indifferenza o nella passività, bensí un "compito", una sfida alla libertà responsabile sia della singola persona che della comunità. È una "sfida" che si collega ad un "appello", che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica: anche in essa e attraverso di essa Dio chiama il credente, e prima ancora la Chiesa, a far sí che "il Vangelo della vocazione e del sacerdozio" esprima la sua verità perenne nelle mutevoli circostanze della vita. Anche alla formazione dei sacerdoti sono da applicarsi le parole del Concilio Vaticano II: "È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, cosí che, in un modo adatto a ogni generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche". [31] Questo discernimento evangelico si fonda sulla fiducia nell'amore di Gesú Cristo, che sempre e instancabilmente si prende cura della sua Chiesa, [32] Lui che è il Signore e il Maestro, chiave di volta, centro e fine di tutta la storia umana; [33] si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo, che suscita ovunque e in ogni circostanza l'obbedienza della fede, il coraggio gioioso della sequela di Gesú, il dono della sapienza che tutto giudica e non è giudicata da nessuno; [34] riposa sulla fedeltà del Padre alle sue promesse. In questo modo la Chiesa sente di poter affrontare le difficoltà e le sfide di questo nuovo periodo della storia e di poter assicurare anche per il presente e per il futuro sacerdoti ben formati, che siano convinti e ferventi ministri della "nuova evangelizzazione", servitori fedeli e generosi di Gesú Cristo e degli uomini. Non ci nascondiamo le difficoltà. Non sono né poche né leggere. Ma a vincerle sono la nostra speranza, la nostra fede nell'indefettibile amore di Cristo, la nostra certezza della insostituibilità del ministero sacerdotale per la vita della Chiesa e del mondo.

 

 

 

CAPITOLO II

MI HA CONSACRATO CON L'UNZIONE E MI HA MANDATO

 

La natura e la missione del sacerdozio ministeriale

 

11. "Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui". [35] Quanto dice l'evangelista Luca di coloro che erano presenti quel sabato nella sinagoga di Nazareth in ascolto del commento, che Gesú avrebbe fatto del rotolo del profeta Isaia da lui stesso letto, può applicarsi a tutti i cristiani, sempre chiamati a riconoscere in Gesú di Nazareth il definitivo compimento dell'annuncio profetico: "Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi"". [36] E la "scrittura" era questa: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore". [37] Gesú, dunque, si autopresenta come ripieno di Spirito, "consacrato con l'unzione", "mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio": è il Messia, il Messia sacerdote, profeta e re. È questo il volto di Cristo sul quale gli occhi della fede e dell'amore dei cristiani devono stare fissi. Proprio a partire da e in riferimento a questa "contemplazione" i Padri sinodali hanno riflettuto sul problema della formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali. Tale problema non può trovare risposta senza una previa riflessione sulla meta alla quale è ordinato il cammino formativo: la meta è il sacerdozio ministeriale, piú precisamente il sacerdozio ministeriale come partecipazione nella Chiesa del sacerdozio stesso di Gesú Cristo. La conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida piú sicura e lo stimolo piú incisivo, per sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato. La retta e approfondita conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è la via da seguire, e il Sinodo di fatto l'ha seguita, per uscire dalla crisi sull'identità del sacerdote: "Questa crisi - dicevo nel Discorso al termine del Sinodo - era nata negli anni immediatamente successivi al Concilio. Si fondava su un'errata comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della dottrina del magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che hanno gravemente colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni missionarie. È come se il Sinodo del 1990, riscoprendo, attraverso tanti interventi che abbiamo ascoltato in quest'aula, tutta la profondità dell'identità sacerdotale, fosse venuto a infondere la speranza dopo queste perdite dolorose. Questi interventi hanno manifestato la coscienza del legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Questa identità sottende alla natura della formazione che deve essere impartita in vista del sacerdozio, e quindi lungo tutta la vita sacerdotale. Era questo lo scopo proprio del Sinodo". [38] Per questo il Sinodo ha ritenuto necessario richiamare, in modo sintetico e fondamentale, la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, cosí come la fede della Chiesa le ha riconosciute lungo i secoli della sua storia e come il Concilio Vaticano II le ha ripresentate agli uomini del nostro tempo. [39]

12. "L'identità sacerdotale - hanno scritto i Padri sinodali -, come ogni identità cristiana, ha la sua fonte nella Santissima Trinità", [40] che si rivela e si autocomunica agli uomini in Cristo, costituendo in Lui e per mezzo dello Spirito la Chiesa come "germe e inizio del Regno". [41] L'Esortazione "Christifideles Laici", sintetizzando l'insegnamento conciliare, presenta la Chiesa come mistero, comunione e missione: essa "è mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito, [42] chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione)". [43] È all'interno del mistero della Chiesa, come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria, che si rivela ogni identità cristiana, e quindi anche la specifica identità del sacerdote e del suo ministero. Il presbitero, infatti, in forza della consacrazione che riceve con il sacramento dell'Ordine, è mandato dal Padre, per mezzo di Gesú Cristo, al quale come Capo e Pastore del suo popolo è configurato in modo speciale, per vivere e operare nella forza dello Spirito Santo a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo. [44] Si può cosí comprendere la connotazione essenzialmente "relazionale" dell'identità del presbitero: mediante il sacerdozio, che scaturisce dalle profondità dell'ineffabile mistero di Dio, ossia dall'amore del Padre, dalla grazia di Gesú Cristo e dal dono dell'unità dello Spirito Santo, il presbitero è inserito sacramentalmente nella comunione con il Vescovo e con gli altri presbiteri, [45] per servire il Popolo di Dio che è la Chiesa e attrarre tutti a Cristo, secondo la preghiera del Signore: "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi... Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato". [46] Non si può allora definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. [47] In questo contesto l'ecclesiologia di comunione diventa decisiva per cogliere l'identità del presbitero, la sua originale dignità, la sua vocazione e missione nel Popolo di Dio e nel mondo. Il riferimento alla Chiesa è, perciò, necessario, anche se non prioritario nella definizione dell'identità del presbitero. In quanto mistero, infatti, la Chiesa è essenzialmente relativa a Gesú Cristo: di Lui, infatti, è la pienezza, il corpo, la sposa. È il "segno" e il "memoriale" vivo della sua permanente presenza e azione fra noi e per noi. Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell'essere una derivazione, una partecipazione specifica ed una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza: egli è un'immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote. Il sacerdozio di Cristo, espressione della sua assoluta "novità" nella storia della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali.

13. Gesú Cristo ha manifestato in se stesso il volto perfetto e definitivo del sacerdozio della nuova Alleanza: [48] questo ha fatto in tutta la sua vita terrena, ma soprattutto nell'evento centrale della sua passione, morte e risurrezione. Come scrive l'autore della Lettera agli Ebrei, Gesú, essendo uomo come noi e insieme il Figlio unigenito di Dio, è nel suo stesso essere mediatore perfetto tra il Padre e l'umanità, [49] Colui che ci dischiude l'accesso immediato a Dio, grazie al dono dello Spirito: "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, Padre!". [50] Gesú porta a piena attuazione il suo essere mediatore attraverso l'offerta di Se stesso sulla croce, con la quale ci apre, una volta per tutte, l'accesso al santuario celeste, alla casa del Padre. [51] Al confronto di Gesú, Mosè e tutti i mediatori dell'Antico Testamento tra Dio e il suo popolo - i re, i sacerdoti e i profeti - si presentano solo come figure ed ombre dei beni futuri e non come la realtà stessa. [52] Gesú è il Buon Pastore preannunciato, [53] Colui che conosce le sue pecore una ad una, che offre la sua vita per loro e che tutti vuol raccogliere in un solo gregge con un solo pastore. [54] È il pastore venuto "non per essere servito, ma per servire", [55] che, nell'atto pasquale della lavanda dei piedi, [56] lascia ai suoi il modello del servizio che dovranno avere gli uni verso gli altri e che si offre liberamente come agnello innocente immolato per la nostra redenzione. [57] Con l'unico e definitivo sacrificio della croce, Gesú comunica a tutti i suoi discepoli la dignità e la missione di sacerdoti della nuova ed eterna Alleanza. Si adempie cosí la promessa che Dio ha fatto a Israele: "Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa". [58] È tutto il popolo della nuova Alleanza - scrive San Pietro - ad essere costituito come "un edificio spirituale", "un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesú Cristo". [59] Sono i battezzati le "pietre vive", che costruiscono l'edificio spirituale stringendosi a Cristo "pietra viva... scelta e preziosa davanti a Dio". [60] Il nuovo popolo sacerdotale che è la Chiesa, non solo ha in Cristo la propria autentica immagine, ma anche da Lui riceve una partecipazione reale e ontologica al suo eterno e unico sacerdozio, al quale deve conformarsi con tutta la sua vita.

14. A servizio di questo sacerdozio universale della nuova Alleanza, Gesú chiama a sé, nel corso della sua missione terrena, alcuni discepoli [61] e con un mandato specifico e autorevole chiama e costituisce i Dodici, affinché "stessero con lui e anche per mandarli a predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni". [62] Per questo, già durante il suo ministero pubblico [63] e poi in pienezza dopo la morte e risurrezione, [64] Gesú conferisce a Pietro e ai Dodici poteri del tutto particolari nei confronti della futura comunità e per l'evangelizzazione di tutte le genti. Dopo averli chiamati alla sua sequela, li tiene accanto a sé e vive con loro, impartendo con l'esempio e con la parola il suo insegnamento di salvezza e, infine, li manda a tutti gli uomini. E per il compimento di questa missione Gesú conferisce agli apostoli, in virtú di una specifica effusione pasquale dello Spirito Santo, la stessa autorità messianica che gli viene dal Padre e che gli è conferita in pienezza con la risurrezione: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo". [65] Gesú stabilisce cosí uno stretto collegamento tra il ministero affidato agli apostoli e la sua propria missione: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato"; [66] "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato". [67] Anzi, il quarto vangelo, nella luce dell'evento pasquale della morte e della risurrezione, afferma con grande forza e chiarezza: "Come il Padre ha mandato me, cosí io mando voi". [68] Come Gesú ha una missione che gli viene direttamente da Dio e che concretizza l'autorità stessa di Dio, [69] cosí gli apostoli hanno una missione che viene loro da Gesú. E come "il Figlio non può fare nulla da se stesso", [70] sicché la sua dottrina non è sua ma di colui che lo ha mandato, [71] cosí agli apostoli Gesú dice: "Senza di me non potete far nulla": [72] la loro missione non è loro, ma è la stessa missione di Gesú. E ciò è possibile non a partire dalle forze umane, ma solo con il "dono" di Cristo e del suo Spirito, con il "sacramento": "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". [73] Cosí, non per qualche loro merito particolare, ma soltanto per la gratuita partecipazione alla grazia di Cristo, gli apostoli prolungano nella storia, sino alla consumazione dei tempi, la stessa missione di salvezza di Gesú a favore degli uomini. Segno e presupposto dell'autenticità e della fecondità di questa missione è l'unità degli apostoli con Gesú e, in Lui, tra di loro e col Padre, come testimonia la preghiera sacerdotale del Signore, sintesi della sua missione. [74]

15. A loro volta, gli apostoli costituiti dal Signore assolveranno via via alla loro missione chiamando, in forme diverse ma alla fine convergenti, altri uomini, come Vescovi, come presbiteri e come diaconi, per adempiere al mandato di Gesú risorto che li ha inviati a tutti gli uomini di tutti i tempi. Il Nuovo Testamento è unanime nel sottolineare che è lo stesso Spirito di Cristo a introdurre nel ministero questi uomini, scelti di mezzo ai fratelli. Attraverso il gesto dell'imposizione delle mani, [75] che trasmette il dono dello Spirito, essi sono chiamati e abilitati a continuare lo stesso ministero di riconciliare, di pascere il gregge di Dio e di insegnare. [76] Pertanto i presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso la prima Lettera di Pietro: "Esorto i presbiteri che sono tra voi, quale com-presbitero, testimone della sofferenza di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo: non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce". [77] I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesú Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore. [78] Questo è il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati partecipano all'unico sacerdozio di Cristo. Lo Spirito Santo mediante l'unzione sacramentale dell'Ordine li configura, ad un titolo nuovo e specifico, a Gesú Cristo Capo e Pastore, li conforma ed anima con la sua carità pastorale e li pone nella Chiesa nella condizione autorevole di servi dell'annuncio del Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza della vita cristiana di tutti i battezzati. La verità del presbitero quale emerge dalla Parola di Dio, ossia da Gesú Cristo stesso e dal suo disegno costitutivo della Chiesa, viene cosí cantata con gioiosa gratitudine dalla Liturgia nel Prefazio della Messa del Crisma: "Con l'unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l'imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza. Tu vuoi che nel suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale, e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti. Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all'immagine del tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso".

16. Il sacerdote ha come sua relazione fondamentale quella con Gesú Cristo Capo e Pastore: egli, infatti, partecipa, in modo specifico e autorevole, alla "consacrazione-unzione" e alla "missione" di Cristo. [79] Ma, intimamente intrecciata con questa relazione, sta quella con la Chiesa. Non si tratta di "relazioni" semplicemente accostate tra loro, ma interiormente unite in una specie di mutua immanenza. Il riferimento alla Chiesa è iscritto nell'unico e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel senso che è la "rappresentanza sacramentale" di Cristo a fondare e ad animare il riferimento del sacerdote alla Chiesa. In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: "In quanto rappresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla Parola di Dio e ai segni sacramentali di cui è al servizio, appartiene agli elementi costitutivi della Chiesa. Il ministero del presbitero è totalmente a favore della Chiesa; è per la promozione dell'esercizio del sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio; è ordinato non solo alla Chiesa particolare, ma anche alla Chiesa universale, [80] in comunione con il Vescovo, con Pietro e sotto Pietro. Mediante il sacerdozio del Vescovo, il sacerdozio di secondo ordine è incorporato nella struttura apostolica della Chiesa. Cosí il presbitero come gli apostoli funge da ambasciatore per Cristo. [81] In questo si fonda l'indole missionaria di ogni sacerdote". [82] Il ministero ordinato sorge dunque con la Chiesa ed ha nei Vescovi, e in riferimento e comunione con essi nei presbiteri, un particolare rapporto al ministero originario degli apostoli, al quale realmente succede, anche se rispetto ad esso assume modalità diverse di esistenza. Non si deve allora pensare al sacerdozio ordinato come se fosse anteriore alla Chiesa, perché è totalmente al servizio della Chiesa stessa; ma neppure come se fosse posteriore alla comunità ecclesiale, quasi che questa possa essere concepita come già costituita senza tale sacerdozio. La relazione del sacerdote con Gesú Cristo e, in Lui, con la sua Chiesa si situa nell'essere stesso del sacerdote, in forza della sua consacrazione-unzione sacramentale, e nel suo agire, ossia nella sua missione o ministero. In particolare "il sacerdote ministro è servitore di Cristo presente nella Chiesa mistero, comunione e missione. Per il fatto di partecipare all'"unzione" e alla "missione" di Cristo, egli può prolungare nella Chiesa la sua preghiera, la sua parola, il suo sacrificio, la sua azione salvifica. È dunque servitore della Chiesa mistero perché attua i segni ecclesiali e sacramentali della presenza di Cristo risorto. È servitore della Chiesa comunione perché - unito al Vescovo e in stretto rapporto con il presbiterio - costruisce l'unità della comunità ecclesiale nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi e servizi. È, infine, servitore della Chiesa missione perché rende la comunità annunciatrice e testimone del Vangelo". [83] Cosí, per la sua stessa natura e missione sacramentale, il sacerdote appare, nella struttura della Chiesa, come segno della priorità assoluta e della gratuità della grazia, che alla Chiesa viene donata dal Cristo risorto. Per mezzo del sacerdozio ministeriale la Chiesa prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo. Gli apostoli e i loro successori, quali detentori di un'autorità che viene loro da Cristo Capo e Pastore, sono posti - col loro ministero - di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo, come origine permanente e sempre nuova della salvezza, "lui che è il salvatore del suo corpo". [84]

17. Il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il presbitero è unito con Cristo mediante l'inserimento sacramentale nell'ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio Vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale "forma comunitaria" e può essere assolto solo come "un'opera collettiva". [85] Su questa natura comunionale del sacerdozio si è soffermato a lungo il Concilio, [86] esaminando distintamente il rapporto del presbitero con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri e con i fedeli laici. Il ministero dei presbiteri è innanzi tutto comunione e collaborazione responsabile e necessaria al ministero del Vescovo, nella sollecitudine per la Chiesa universale e per le singole Chiese particolari, a servizio delle quali essi costituiscono con il Vescovo un unico presbiterio. Ciascun sacerdote, sia diocesano che religioso, è unito agli altri membri di questo presbiterio, sulla base del sacramento dell'Ordine, da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità. Tutti i presbiteri infatti, sia diocesani sia religiosi, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo Capo e Pastore, "lavorano per la stessa causa, cioè per l'edificazione del corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi", [87] e si arricchisce nel corso dei secoli di sempre nuovi carismi. I presbiteri, infine, poiché la loro figura e il loro compito nella Chiesa non sostituiscono, bensí promuovono il sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio, conducendolo alla sua piena attuazione ecclesiale, si trovano in relazione positiva e promovente con i laici. Della loro fede, speranza e carità sono al servizio. Ne riconoscono e sostengono, come fratelli ed amici, la dignità di figli di Dio e li aiutano ad esercitare in pienezza il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della Chiesa. [88] Il sacerdozio ministeriale conferito dal sacramento dell'Ordine e quello comune o "regale" dei fedeli, che differiscono tra loro per essenza e non solo per grado, [89] sono tra loro coordinati, derivando entrambi - in forme diverse - dall'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggiore grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito. [90]

18. Come sottolinea il Concilio, "il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensí a una vastissima e universale missione di salvezza sino agli ultimi confini della terra, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli". [91] Per la natura stessa del loro ministero, essi debbono dunque essere penetrati e animati di un profondo spirito missionario e "di quello spirito veramente cattolico che li abitua a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo". [92] Inoltre, proprio perché all'interno della vita della Chiesa è l'uomo della comunione, il presbitero dev'essere, nel rapporto con tutti gli uomini, l'uomo della missione e del dialogo. Profondamente radicato nella verità e nella carità di Cristo, e animato dal desiderio e dall'imperativo di annunciare a tutti la sua salvezza, egli è chiamato a intessere rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca della verità, di promozione della giustizia e della pace, con tutti gli uomini. In primo luogo con i fratelli delle altre Chiese e confessioni cristiane; ma anche con i fedeli delle altre religioni; con gli uomini di buona volontà, in special modo con i poveri e i piú deboli, e con tutti coloro che anelano, anche senza saperlo ed esprimerlo, alla verità e alla salvezza di Cristo, secondo la parola di Gesú che ha detto: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori". [93] Oggi, in particolare, il prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che investe tutto il Popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione per l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale, segnato dalla profonda comunione con il Papa, i Vescovi e tra di loro, e da un feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto e nella promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all'interno della comunità ecclesiale. [94] "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". [95] Ascoltiamo, ancora una volta, queste parole di Gesú, alla luce del sacerdozio ministeriale che abbiamo presentato nella sua natura e missione. L'"oggi" di cui parla Gesú, proprio perché appartiene alla "pienezza del tempo", ossia al tempo della salvezza piena e definitiva, indica il tempo della Chiesa. La consacrazione e la missione di Cristo: "Lo Spirito del Signore... mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio...", [96] sono la radice viva da cui germogliano la consacrazione e la missione della Chiesa, "pienezza"di Cristo: [97] con la rigenerazione battesimale, su tutti i credenti si effonde lo Spirito del Signore, che li consacra a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo e li manda a far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li ha chiamati all'ammirabile sua luce. [98] Il presbitero partecipa alla consacrazione e alla missione di Cristo in modo specifico e autorevole, ossia mediante il sacramento dell'Ordine, in virtú del quale è configurato nel suo essere a Gesú Cristo Capo e Pastore e condivide la missione di "annunciare ai poveri un lieto messaggio" nel nome e nella persona di Cristo stesso. Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno compendiato in poche ma quanto mai ricche parole la "verità", meglio, il "mistero" e il "dono" del sacerdozio ministeriale, dicendo: "La nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da Lui mandato, Sacerdote Sommo e buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita". [99]

 

 

 

CAPITOLO III

LO SPIRITO DEL SIGNORE È SOPRA DI ME

 

La vita spirituale del sacerdote

 

19. "Lo Spirito del Signore è sopra di me". [100] Lo Spirito non sta semplicemente "sopra" il Messia, ma lo "riempie", lo penetra, lo raggiunge nel suo essere ed operare. Lo Spirito, infatti, è il principio della "consacrazione" e della "missione" del Messia: "per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio...". [101] In forza dello Spirito, Gesú appartiene totalmente ed esclusivamente a Dio, partecipa all'infinita santità di Dio che lo chiama, lo elegge e lo manda. Cosí lo Spirito del Signore si rivela fonte di santità e appello alla santificazione. Questo stesso "Spirito del Signore" è "sopra" l'intero popolo di Dio, che viene costituito come popolo "consacrato" a Dio e da Dio "mandato" per l'annuncio del Vangelo che salva. Dallo Spirito i membri del Popolo di Dio sono "inebriati"e "segnati" [102] e chiamati alla santità. In particolare, lo Spirito ci rivela e ci comunica la vocazione fondamentale che il Padre dall'eternità rivolge a tutti: la vocazione ad essere "santi e immacolati al suo cospetto nella carità", in virtú della predestinazione "a essere suoi figli adottivi per opera di Gesú Cristo". [103] Non solo. Rivelandoci e comunicandoci questa vocazione, lo Spirito si fa in noi principio e risorsa della sua realizzazione: lui, lo Spirito del Figlio, [104] ci conforma a Cristo Gesú e ci rende partecipi della sua vita filiale, ossia della sua carità verso il Padre e verso i fratelli. "Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito". [105] Con queste parole l'apostolo Paolo ci ricorda che l'esistenza cristiana è "vita spirituale", ossia vita animata e guidata dallo Spirito verso la santità o perfezione della carità. L'affermazione del Concilio: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" [106] trova una sua particolare applicazione per i presbiteri: essi sono chiamati non solo in quanto battezzati, ma anche e specificamente in quanto presbiteri, ossia ad un titolo nuovo e con modalità originali, derivanti dal sacramento dell'Ordine.

20. Della "vita spirituale" dei presbiteri e del dono e della responsabilità di divenire "santi" il Decreto conciliare sul ministero e sulla vita sacerdotale ci offre una sintesi quanto mai ricca e stimolante: "Con il sacramento dell'Ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del Capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il Corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori dell'ordine episcopale. Già fin dalla consacrazione del Battesimo, essi, come tutti i fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una vocazione e di una grazia cosí grande che, pur nell'umana debolezza, possono e devono tendere alla perfezione, secondo quanto ha detto il Signore: "Siate dunque perfetti cosí come il Padre vostro celeste è perfetto". [107] Ma i sacerdoti sono specialmente obbligati a tendere a questa perfezione, poiché essi - che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione - vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia l'intero genere umano. Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è proprio, agisce a nome e nella persona di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia speciale, in virtú della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e di tutto il Popolo di Dio, egli può avvicinarsi piú efficacemente alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e l'umana debolezza della carne viene sanata dalla santità di Lui, il quale è fatto per noi pontefice "santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori" [108]. [109] Il Concilio afferma, anzitutto, la vocazione "comune" alla santità. Questa vocazione si radica nel Battesimo, che caratterizza il presbitero come un "fedele" (Christifidelis), come "fratello tra fratelli", inserito e unito con il Popolo di Dio, nella gioia di condividere i doni della salvezza [110] e nell'impegno comune di camminare "secondo lo Spirito", seguendo l'unico Maestro e Signore. Ricordiamo la celebre parola di Sant'Agostino: "Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di un ufficio assunto, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza". [111] Con identica chiarezza il testo conciliare parla anche di una vocazione "specifica" alla santità, piú precisamente di una vocazione che si fonda sul sacramento dell'Ordine, quale sacramento proprio e specifico del sacerdote, in forza dunque di una nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione. A questa vocazione specifica allude ancora Sant'Agostino, che all'affermazione "Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano", fa seguire queste altre parole: "Se dunque mi è causa di maggior gioia l'essere stato con voi riscattato che l'esservi posto a capo, seguendo il comando del Signore, mi dedicherò col massimo impegno a servirvi, per non essere ingrato a chi mi ha riscattato con quel prezzo che mi ha fatto vostro conservo". [112] Il testo del Concilio procede oltre segnalando alcuni elementi necessari a definire il contenuto della "specificità" della vita spirituale dei presbiteri. Sono elementi che si connettono con la "consacrazione" propria dei presbiteri, che li configura a Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa; con la "missione" o ministero tipico degli stessi presbiteri, che li abilita e li impegna ad essere strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote e ad agire "nel nome e nella persona di Cristo stesso"; con la loro intera "vita", chiamata a manifestare e a testimoniare in modo originale il "radicalismo evangelico". [113]

21. Mediante la consacrazione sacramentale, il sacerdote è configurato a Gesú Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa e riceve in dono un "potere spirituale" che è partecipazione all'autorità con la quale Gesú Cristo mediante il suo Spirito guida la Chiesa. [114] Grazie a questa consacrazione operata dallo Spirito nell'effusione sacramentale dell'Ordine, la vita spirituale del sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e comportamenti che sono propri di Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa e che si compendiano nella sua carità pastorale. Gesú Cristo è Capo della Chiesa, suo Corpo. È "Capo" nel senso nuovo e originale dell'essere servo, secondo le sue stesse parole: "Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". [115] Il servizio di Gesú giunge a pienezza con la morte in croce, ossia con il dono totale di sé, nell'umiltà e nell'amore: "Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce...". [116] L'autorità di Gesú Cristo Capo coincide dunque con il suo servizio, con il suo dono, con la sua dedizione totale, umile e amorosa nei riguardi della Chiesa. E questo in perfetta obbedienza al Padre: egli è l'unico vero Servo sofferente del Signore, insieme Sacerdote e Vittima. Da questo preciso tipo di autorità, ossia dal servizio verso la Chiesa, viene animata e vivificata l'esistenza spirituale di ogni sacerdote, proprio come esigenza della sua configurazione a Gesú Cristo Capo e servo della Chiesa. [117] Cosí Sant'Agostino ammoniva un vescovo nel giorno della sua ordinazione: "Chi è capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto che egli è il servo di molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni di essere il servo di molti, poiché non disdegnò di farsi nostro servo il Signore dei signori". [118] La vita spirituale dei ministri del Nuovo Testamento dovrà essere improntata, dunque, a questo essenziale atteggiamento di servizio al popolo di Dio, [119] scevro da ogni presunzione e da ogni desiderio di "spadroneggiare" sul gregge affidato. [120] Un servizio fatto di buon animo, secondo Dio e volentieri: in questo modo i ministri, gli "anziani" della comunità, cioè i presbiteri, potranno essere "modello" del gregge, che, a sua volta, è chiamato ad assumere nei confronti del mondo intero questo atteggiamento sacerdotale di servizio alla pienezza della vita dell'uomo e alla sua liberazione integrale.

22. L'immagine di Gesú Cristo Pastore della Chiesa, suo gregge, riprende e ripropone, con nuove e piú suggestive sfumature, gli stessi contenuti di quella di Gesú Cristo Capo e servo. Inverando l'annuncio profetico del Messia Salvatore, cantato gioiosamente dal salmista e dal profeta Ezechiele, [121] Gesú si autopresenta come il "buon Pastore" [122] non solo di Israele, ma di tutti gli uomini. [123] E la sua vita è ininterrotta manifestazione, anzi quotidiana realizzazione della sua "carità pastorale": sente compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come pecore senza pastore; [124] cerca le smarrite e le disperse [125] e fa festa per il loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama ad una ad una, [126] le conduce ai pascoli erbosi e alle acque tranquille, [127] per loro imbandisce una mensa, nutrendole con la sua stessa vita. Questa vita il buon Pastore offre con la sua morte e risurrezione, come la liturgia romana della Chiesa canta: "È risorto il Pastore buono che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia". [128] Pietro chiama Gesú il "Principe dei pastori", [129] perché la sua opera e missione continuano nella Chiesa attraverso gli apostoli [130] e i loro successori [131] e attraverso i presbiteri. In forza della loro consacrazione, i presbiteri sono configurati a Gesú Buon Pastore e sono chiamati a imitare e a rivivere la sua stessa carità pastorale. Il donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del suo amore, si connota di quella dedizione originale che è propria dello sposo nei riguardi della sposa, come piú volte suggeriscono i testi sacri. Gesú è il vero Sposo che offre il vino della salvezza alla Chiesa. [132] Lui, che è il "capo della Chiesa... e il salvatore del suo corpo", [133] "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata". [134] La Chiesa è sí il corpo, nel quale è presente e operante Cristo Capo, ma è anche la Sposa, che scaturisce come nuova Eva dal costato aperto del Redentore sulla croce: per questo Cristo sta "davanti" alla Chiesa, "la nutre e la cura" [135] con il dono della sua vita per lei. Il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesú Cristo Sposo della Chiesa: [136] certamente egli rimane sempre parte della comunità come credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle convocati dallo Spirito, ma in forza della sua configurazione a Cristo Capo e Pastore si trova in tale posizione sponsale di fronte alla comunità. "In quanto ripresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non solo nella Chiesa ma anche di fronte alla Chiesa". [137] È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l'amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. La sua vita dev'essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che gli chiede di essere testimone dell'amore sponsale di Cristo, di essere quindi capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, e insieme con una specie di "gelosia" divina, [138] con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell'affetto materno, capace di farsi carico dei "dolori del parto" finché "Cristo non sia formato" nei fedeli. [139]

23. Il principio interiore, la virtú che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesú Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero. Il contenuto essenziale della carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo".La carità pastorale è quella virtú con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi...". [140] Il dono di sé, radice e sintesi della carità pastorale, ha come destinataria la Chiesa. Cosí è stato di Cristo che "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei"; [141] cosí dev'essere del sacerdote. Con la carità pastorale che impronta l'esercizio del ministero sacerdotale come "amoris officium", [142] "il sacerdote, che accoglie la vocazione al ministero, è in grado di fare di questo una scelta di amore, per cui la Chiesa e le anime diventano il suo interesse principale e, con tale spiritualità concreta, diventa capace di amare la Chiesa universale e quella porzione di essa, che gli è affidata, con tutto lo slancio di uno sposo verso la sposa". [143] Il dono di sé non ha confini, essendo segnato dallo stesso slancio apostolico e missionario di Cristo, del buon Pastore, che ha detto: "E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore". [144] All'interno della comunità ecclesiale, la carità pastorale del sacerdote sollecita ed esige in un modo particolare e specifico il suo rapporto personale con il presbiterio, unito nel e con il Vescovo, come esplicitamente scrive il Concilio: "La carità pastorale esige che i presbiteri, se non vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione con i Vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio". [145] Il dono di sé alla Chiesa la riguarda in quanto essa è il corpo e la sposa di Gesú Cristo. Per questo la carità del sacerdote si riferisce primariamente a Gesú Cristo: solo se ama e serve Cristo Capo e Sposo, la carità diventa fonte, criterio, misura, impulso dell'amore e del servizio del sacerdote alla Chiesa, corpo e sposa di Cristo.

È stata questa la coscienza limpida e forte dell'apostolo Paolo, che ai cristiani della Chiesa di Corinto scrive: "Quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesú". [146] È questo, soprattutto, l'insegnamento esplicito e programmatico di Gesú quando affida a Pietro il ministero di pascere il gregge solo dopo la sua triplice attestazione di amore, anzi di un amore di predilezione: "Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesú: "Pasci le mie pecorelle..."". [147] La carità pastorale, che ha la sua sorgente specifica nel sacramento dell'Ordine, trova la sua espressione piena e il suo supremo alimento nell'Eucaristia: "Questa carità pastorale - leggiamo nel Concilio - scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, cosicché l'anima sacerdotale si studia di rispecchiare in sé ciò che viene realizzato sull'altare". [148] È nell'Eucaristia, infatti, che viene ripresentato, ossia fatto di nuovo presente il sacrificio della croce, il dono totale di Cristo alla sua Chiesa, il dono del suo corpo dato e del suo sangue sparso, quale suprema testimonianza del suo essere Capo e Pastore, Servo e Sposo della Chiesa. Proprio per questo, la carità pastorale del sacerdote non solo scaturisce dall'Eucaristia, ma trova nella celebrazione di questa la sua piú alta realizzazione, cosí come dall'Eucaristia riceve la grazia e la responsabilità di connotare in senso "sacrificale" la sua intera esistenza. Questa stessa carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del sacerdote. Grazie ad essa può trovare risposta l'essenziale e permanente esigenza dell'unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero, esigenza quanto mai urgente in un contesto socio-culturale ed ecclesiale fortemente segnato dalla complessità, dalla frammentarietà e dalla dispersività. Solo la concentrazione di ogni istante e di ogni gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di "dare la vita per il gregge" può garantire questa unità vitale, indispensabile per l'armonia e per l'equilibrio spirituale del sacerdote: "L'unità di vita - ci ricorda il Concilio - può essere raggiunta dai presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera... Cosí, rappresentando il buon Pastore, nello stesso esercizio pastorale della carità troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l'unità nella loro vita e attività". [149]

24. Lo Spirito del Signore ha consacrato Cristo e lo ha mandato ad annunciare il Vangelo. [150] La missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione. Cosí, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore. Cosí è stato di Gesú. Cosí è stato degli apostoli e dei loro successori. Cosí è dell'intera Chiesa e in essa dei presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione all'interno e attraverso il compimento della missione. [151] Esiste dunque un intimo rapporto tra la vita spirituale del presbitero e l'esercizio del suo ministero, [152] rapporto che il Concilio cosí esprime: "Esercitando il ministero dello Spirito e della giustizia essi (presbiteri) vengono consolidati nella vita dello spirito, a condizione però che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce. I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il Vescovo e tra di loro. Ma la stessa santità dei presbiteri, a sua volta, contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro ministero". [153] "Vivi il mistero che è posto nelle tue mani"! È questo l'invito, il monito che la Chiesa rivolge al presbitero nel rito dell'ordinazione, quando gli vengono consegnate le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Il "mistero", di cui il presbitero è dispensatore, [154] è, in definitiva, Gesú Cristo stesso, che nello Spirito è sorgente di santità e appello alla santificazione. Il "mistero" chiede di essere inserito nella vita vissuta del presbitero. Per questo esige grande vigilanza e viva consapevolezza. È ancora il rito dell'ordinazione a far precedere le parole ricordate dalla raccomandazione: "Renditi conto di ciò che farai". Già Paolo ammoniva il vescovo Timoteo: "Non trascurare il dono spirituale che è in te". [155] Il rapporto tra la vita spirituale e l'esercizio del ministero sacerdotale può trovare una sua spiegazione anche a partire dalla carità pastorale donata dal sacramento dell'Ordine. Il ministero del sacerdote, proprio perché è una partecipazione al ministero salvifico di Gesú Cristo Capo e Pastore, non può non riesprimere e rivivere quella sua carità pastorale che insieme è la sorgente e lo spirito del suo servizio e del suo dono di sé. Nella sua realtà oggettiva il ministero sacerdotale è "amoris officium", secondo la citata espressione di Sant'Agostino: proprio questa realtà oggettiva si pone come fondamento e appello per un ethos corrispondente, che non può essere se non quello di vivere l'amore, come rileva lo stesso Sant'Agostino: "Sit amoris officium pascere dominicum gregem". [156] Tale ethos, e quindi la vita spirituale, altro non è che l'accoglienza nella coscienza e nella libertà, e pertanto nella mente, nel cuore, nelle decisioni e nelle azioni, della "verità" del ministero sacerdotale come "amoris officium".

25. È essenziale, per una vita spirituale che si sviluppa attraverso l'esercizio del ministero, che il sacerdote rinnovi continuamente e approfondisca sempre piú la coscienza di essere ministro di Gesú Cristo in forza della consacrazione sacramentale e della configurazione a Lui Capo e Pastore della Chiesa. Una simile coscienza non soltanto corrisponde alla vera natura della missione che il sacerdote svolge a favore della Chiesa e dell'umanità, ma decide anche della vita spirituale del sacerdote che compie quella missione. Il sacerdote, infatti, viene scelto da Cristo non come una "cosa", bensí come una "persona": egli non è uno strumento inerte e passivo ma uno "strumento vivo", come si esprime il Concilio, proprio là dove parla dell'obbligo di tendere alla perfezione. [157] È ancora il Concilio a parlare dei sacerdoti come di "soci e collaboratori" di Dio "santo e santificatore". [158] In tale senso nell'esercizio del ministero è profondamente coinvolta la persona cosciente, libera e responsabile del sacerdote. Il legame con Gesú Cristo, che la consacrazione e configurazione del sacramento dell'Ordine assicurano, fonda ed esige nel sacerdote un ulteriore legame che è dato dalla "intenzione", ossia dalla volontà cosciente e libera di fare, mediante il gesto ministeriale, ciò che intende fare la Chiesa. Un simile legame tende, per sua natura, a farsi il piú ampio e il piú profondo possibile, investendo la mente, i sentimenti, la vita, ossia una serie di "disposizioni" morali e spirituali corrispondenti ai gesti ministeriali che il sacerdote pone. Non c'è dubbio che l'esercizio del ministero sacerdotale, in specie la celebrazione dei Sacramenti, riceve la sua efficacia di salvezza dall'azione stessa di Gesú Cristo resa presente nei Sacramenti. Ma per un disegno divino, che vuole esaltare l'assoluta gratuità della salvezza facendo dell'uomo un "salvato" e insieme un "salvatore"- sempre e solo con Gesú Cristo -, l'efficacia dell'esercizio del ministero è condizionata anche dalla maggior o minor accoglienza e partecipazione umana. [159] In particolare, la maggiore o minore santità del ministro influisce realmente sull'annuncio della Parola, sulla celebrazione dei Sacramenti, sulla guida della comunità nella carità. È quanto afferma con chiarezza il Concilio: "La stessa santità dei presbiteri ...contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro ministero: infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi piú docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l'apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e alla santità di vita: "Ormai non sono piú io che vivo, bensí è Cristo che vive in me" [160]. [161] La coscienza di essere ministro di Gesú Cristo Capo e Pastore comporta anche la coscienza grata e gioiosa di una singolare grazia ricevuta da Gesú Cristo: la grazia di essere stato scelto gratuitamente dal Signore come "strumento vivo" dell'opera della salvezza. Questa scelta testimonia l'amore di Gesú Cristo per il sacerdote. Proprio quest'amore, come e piú d'ogni altro amore, esige la corrispondenza. Dopo la sua risurrezione, Gesú pone a Pietro la fondamentale domanda sull'amore: "Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu piú di costoro?". E alla risposta di Pietro segue l'affidamento della missione: "Pasci i miei agnelli". [162] Gesú chiede a Pietro se lo ami, prima di e per potergli consegnare il suo gregge. Ma, in realtà, è l'amore libero e preveniente di Gesú stesso a originare la sua richiesta all'apostolo e l'affidamento a lui delle "sue" pecore. Cosí ogni gesto ministeriale, mentre conduce ad amare e a servire la Chiesa, spinge a maturare sempre piú nell'amore e nel servizio a Gesú Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, un amore che si configura sempre come risposta a quello preveniente, libero e gratuito di Dio in Cristo. A sua volta, la crescita dell'amore a Gesú Cristo determina la crescita dell'amore alla Chiesa: "Siamo vostri pastori (pascimus vobis), con voi siamo nutriti (pascimur vobiscum). Il Signore ci dia la forza di amarvi a tal punto da poter morire per voi, o di fatto o col cuore (aut effectu aut affectu)". [163]

26. Grazie al prezioso insegnamento del Concilio Vaticano II, [164] possiamo cogliere le condizioni e le esigenze, le modalità e i frutti dell'intimo rapporto che esiste tra la vita spirituale del sacerdote e l'esercizio del suo triplice ministero: della Parola, del Sacramento e del servizio della Carità. Il sacerdote è, anzitutto, ministro della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all'obbedienza della fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre piú profonde del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo. Per questo, il sacerdote stesso per primo deve sviluppare una grande familiarità personale con la Parola di Dio: non gli basta conoscerne l'aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli occorre accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità nuova - "il pensiero di Cristo" [165] -, in modo che le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti siano sempre piú una trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo. Solo "rimanendo" nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente libero, superando ogni condizionamento contrario od estraneo al Vangelo. [166] Il sacerdote dev'essere il primo "credente" alla Parola, nella piena consapevolezza che le parole del suo ministero non sono "sue", ma di Colui che lo ha mandato. Di questa Parola egli non è padrone: è servo. Di questa Parola egli non è unico possessore: è debitore nei riguardi del Popolo di Dio. Proprio perché evangelizza e perché possa evangelizzare, il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato. [167] Egli annuncia la Parola nella sua qualità di "ministro", partecipe dell'autorità profetica di Cristo e della Chiesa. Per questo, per avere in se stesso e per dare ai fedeli la garanzia di trasmettere il Vangelo nella sua integrità il sacerdote è chiamato a coltivare una sensibilità, un amore e una disponibilità particolari nei confronti della Tradizione viva della Chiesa e del suo Magistero: questi non sono estranei alla Parola, ma ne servono la retta interpretazione e ne custodiscono il senso autentico. [168]

È soprattutto nella celebrazione dei Sacramenti e nella celebrazione della Liturgia delle Ore che il sacerdote è chiamato a vivere e a testimoniare l'unità profonda tra l'esercizio del suo ministero e la sua vita spirituale: il dono di grazia offerto alla Chiesa si fa principio di santità e appello di santificazione. Anche per il sacerdote il posto veramente centrale, sia nel ministero sia nella vita spirituale, è dell'Eucaristia, perché in essa "è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire insieme a lui se stessi, le proprie fatiche e tutte le cose create". [169] Dai diversi Sacramenti, e in particolare dalla grazia specifica e propria a ciascuno di essi, la vita spirituale del presbitero riceve connotazioni particolari. Essa, infatti, viene strutturata e plasmata dalle molteplici caratteristiche ed esigenze dei diversi Sacramenti celebrati e vissuti. Una parola speciale voglio riservare per il Sacramento della Penitenza, del quale i sacerdoti sono i ministri ma devono anche esserne i beneficiari, divenendo testimoni della compassione di Dio per i peccatori. La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come quella dei suoi fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall'assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza. Ripropongo quanto ho scritto nell'Esortazione "Reconciliatio et Paenitentia": "La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come quella dei suoi fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall'assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza. La celebrazione dell'Eucaristia e il ministero degli altri Sacramenti, lo zelo pastorale, il rapporto con i fedeli, la comunione con i confratelli, la collaborazione col Vescovo, la vita di preghiera, in una parola tutta l'esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato d'autentica fede e devozione, al Sacramento della Penitenza. In un prete che non si confessasse piú o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la Comunità, di cui egli è pastore". [170] Infine, il sacerdote è chiamato a rivivere l'autorità e il servizio di Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa animando e guidando la comunità ecclesiale, ossia riunendo "la famiglia di Dio come fraternità animata nell'unità" e conducendola "al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo". [171] Questo "munus regendi" è compito molto delicato e complesso, che include, oltre all'attenzione alle singole persone e alle diverse vocazioni, la capacità di coordinare tutti i doni e i carismi che lo Spirito suscita nella comunità, verificandoli e valorizzandoli per l'edificazione della Chiesa sempre in unione con i Vescovi. Si tratta di un ministero che richiede al sacerdote una vita spirituale intensa, ricca di quelle qualità e virtú che sono tipiche della persona che "presiede" e "guida" una comunità, dell'"anziano" nel senso piú nobile e ricco del termine: tali sono la fedeltà, la coerenza, la saggezza, l'accoglienza di tutti, l'affabile bontà, l'autorevole fermezza sulle cose essenziali, la libertà da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la pazienza, il gusto dell'impegno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto della grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri. [172]

27. "Lo Spirito del Signore è sopra di me". [173] Lo Spirito Santo effuso dal sacramento dell'Ordine è fonte di santità e appello alla santificazione, non solo perché configura il sacerdote a Cristo Capo e Pastore della Chiesa e gli affida la missione profetica, sacerdotale e regale da compiere nel nome e nella persona di Cristo, ma anche perché anima e vivifica la sua esistenza quotidiana, arricchendola di doni e di esigenze, di virtú e di impulsi, che si compendiano nella carità pastorale. Una simile carità è sintesi unificante dei valori e delle virtú evangeliche e insieme forza che sostiene il loro sviluppo sino alla perfezione cristiana. [174] Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il radicalismo evangelico è un'esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall'appello di Cristo a seguirlo e ad imitarlo, in forza dell'intima comunione di vita con lui operata dallo Spirito. [175] Questa stessa esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono "nella" Chiesa, ma anche perché sono "di fronte" alla Chiesa, in quanto sono configurati a Cristo Capo e Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati dalla carità pastorale. Ora, all'interno e come manifestazione del radicalismo evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtú ed esigenze etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote, come, ad esempio, la fede, l'umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i diversi "consigli evangelici", che Gesú propone nel Discorso della Montagna [176] e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d'obbedienza, castità e povertà: [177] il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle modalità, e piú profondamente secondo quelle finalità e quel significato originale, che derivano dall'identità propria del presbitero e la esprimono.

28. "Tra le virtú che piú sono necessarie nel ministero dei presbiteri, va ricordata quella disposizione d'animo per cui sempre sono pronti a cercare non la propria volontà, ma il compimento della volontà di colui che li ha inviati" [178]. [179] È l'obbedienza, che nel caso della vita spirituale del sacerdote si riveste di alcune caratteristiche peculiari. Essa è, anzitutto, un'obbedienza "apostolica", nel senso che riconosce, ama e serve la Chiesa nella sua struttura gerarchica. Non si dà, infatti, ministero sacerdotale se non nella comunione con il sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi "il filiale rispetto e l'obbedienza" promessi nel rito dell'ordinazione. Questa "sottomissione" a quanti sono rivestiti dell'autorità ecclesiale non ha nulla di umiliante, ma deriva dalla libertà responsabile del presbitero, che accoglie non solo le esigenze di una vita ecclesiale organica e organizzata, ma anche quella grazia di discernimento e di responsabilità nelle decisioni ecclesiali, che Gesú ha garantito ai suoi apostoli e ai loro successori, perché sia custodito con fedeltà il mistero della Chiesa e perché la compagine della comunità cristiana venga servita nel suo unitario cammino verso la salvezza. L'obbedienza cristiana autentica, rettamente motivata e vissuta senza servilismi, aiuta il presbitero ad esercitare con evangelica trasparenza l'autorità che gli è affidata nei confronti del Popolo di Dio: senza autoritarismi e senza scelte demagogiche. Solo chi sa obbedire in Cristo, sa come richiedere, secondo il Vangelo, l'obbedienza altrui. L'obbedienza presbiterale presenta inoltre un'esigenza "comunitaria": non è l'obbedienza di un singolo che individualmente si rapporta con l'autorità, ma è invece profondamente inserita nell'unità del presbiterio, che come tale è chiamato a vivere la concorde collaborazione con il Vescovo e, per suo tramite, con il successore di Pietro. [180] Questo aspetto dell'obbedienza del sacerdote richiede una notevole ascesi, sia nel senso di un'abitudine a non legarsi troppo alle proprie preferenze o ai propri punti di vista, sia nel senso di lasciare spazio ai confratelli perché possano valorizzare i loro talenti e le loro capacità, al di fuori di ogni gelosia, invidia e rivalità. Quella del sacerdote è un'obbedienza solidale, che parte dalla sua appartenenza all'unico presbiterio e che sempre all'interno di esso e con esso esprime orientamenti e scelte corresponsabili. Infine, l'obbedienza sacerdotale ha un particolare carattere di "pastoralità". È vissuta, cioè, in un clima di costante disponibilità a lasciarsi afferrare, quasi "mangiare", dalle necessità e dalle esigenze del gregge. Queste ultime devono avere una giusta razionalità, e talvolta vanno selezionate e sottoposte a verifica, ma è innegabile che la vita del presbitero è "occupata" in modo pieno dalla fame di Vangelo, di fede, di speranza e di amore di Dio e del suo mistero, la quale piú o meno consapevolmente è presente nel Popolo di Dio a lui affidato.

29. Tra i consigli evangelici - scrive il Concilio - "eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni [181] di votarsi a Dio solo piú facilmente e con un cuore senza divisioni [182] nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel mondo". [183] Nella verginità e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso servizio all'amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo significato sussiste pienamente nella verginità, che realizza, pur nella rinuncia al matrimonio, il "significato sponsale" del corpo mediante una comunione e una donazione personale a Gesú Cristo e alla sua Chiesa che prefigurano e anticipano la comunione e la donazione perfette e definitive dell'al di là: "Nella verginità l'uomo è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna". [184] In questa luce si possono piú facilmente comprendere e apprezzare i motivi della scelta plurisecolare che la Chiesa di Occidente ha fatto e che ha mantenuto, nonostante tutte le difficoltà e le obiezioni sollevate lungo i secoli, di conferire l'ordine presbiterale solo a uomini che diano prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo. I Padri sinodali hanno espresso con chiarezza e con forza il loro pensiero con un'importante Proposizione, che merita di essere integralmente e letteralmente riferita: "Ferma restante la disciplina delle Chiese Orientali, il Sinodo, convinto che la castità perfetta nel celibato sacerdotale è un carisma, ricorda ai presbiteri che essa costituisce un dono inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore profetico per il mondo attuale. Questo Sinodo nuovamente e con forza afferma quanto la Chiesa Latina e alcuni riti orientali richiedono, che cioè il sacerdozio venga conferito solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della vocazione alla castità celibe (senza pregiudizio della tradizione di alcune Chiese orientali e dei casi particolari di clero uxorato proveniente da conversioni al cattolicesimo, per il quale si dà eccezione nell'enciclica di Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus). Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino.

Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza biblica, teologica e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua Chiesa e come segno del Regno che non è di questo mondo, segno dell'amore di Dio verso questo mondo nonché dell'amore indiviso del sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio, cosí che il celibato sia visto come arricchimento positivo del sacerdozio". [185] È particolarmente importante che il sacerdote comprenda la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul celibato. In quanto legge, esprime la volontà della Chiesa, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità. Ma la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesú Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesú Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesú Cristo Capo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore. Per un'adeguata vita spirituale del sacerdote occorre che il celibato sia considerato e vissuto non come un elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di un orientamento positivo, specifico e caratteristico del sacerdote: egli, lasciando il padre e la madre, segue Gesú buon Pastore, in una comunione apostolica, a servizio del Popolo di Dio. Il celibato è dunque da accogliere con libera e amorosa decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come "stimolo della carità pastorale", [186] come singolare partecipazione alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del Regno escatologico. Per vivere tutte le esigenze morali, pastorali e spirituali del celibato sacerdotale è assolutamente necessaria la preghiera umile e fiduciosa, come ci avverte il Concilio: "Al mondo d'oggi, quanto piú la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare insieme alla Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la richiede, ricorrendo allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti dispongono". [187] Sarà ancora la preghiera, unita ai Sacramenti della Chiesa e all'impegno ascetico, ad infondere speranza nelle difficoltà, perdono nelle mancanze, fiducia e coraggio nella ripresa del cammino.

30. Della povertà evangelica i Padri sinodali hanno dato una descrizione quanto mai concisa e profonda, presentandola come "sottomissione di tutti i beni al Bene supremo di Dio e del suo Regno". [188] In realtà, solo chi contempla e vive il mistero di Dio quale unico e sommo Bene, quale vera e definitiva Ricchezza, può capire e realizzare la povertà, che non è certamente disprezzo e rifiuto dei beni materiali, ma è uso grato e cordiale di questi beni ed insieme lieta rinuncia ad essi con grande libertà interiore, ossia in ordine a Dio e ai suoi disegni. La povertà del sacerdote, in forza della sua configurazione sacramentale a Cristo Capo e Pastore, assume precise connotazioni "pastorali", sulle quali, riprendendo e sviluppando l'insegnamento conciliare, [189] si sono soffermati i Padri sinodali. Scrivono tra l'altro: "I sacerdoti, sull'esempio di Cristo che da ricco come era si è fatto povero per nostro amore, [190] devono considerare i poveri e piú deboli come loro affidati in una maniera speciale e devono essere capaci di testimoniare la povertà con una vita semplice e austera, essendo già abituati a rinunciare generosamente alle cose superflue" [191]. [192] È vero che "l'operaio è degno della sua mercede" e che "il Signore ha disposto che quelli che annunziano il Vangelo vivano del Vangelo", [193] ma è altrettanto vero che questo diritto dell'apostolo non può assolutamente confondersi con qualsiasi pretesa di piegare il servizio del Vangelo e della Chiesa ai vantaggi e agli interessi che ne possono derivare. Solo la povertà assicura al sacerdote la sua disponibilità ad essere mandato là dove la sua opera è piú utile ed urgente, anche con sacrificio personale. È condizione e premessa indispensabile alla docilità dell'apostolo allo Spirito, che lo rende pronto ad "andare", senza zavorre e senza legami, seguendo solo la volontà del Maestro. [194] Personalmente inserito nella vita della comunità e responsabile di essa, il sacerdote deve offrire anche la testimonianza di una totale "trasparenza" nell'amministrazione dei beni della comunità stessa, che egli non tratterà mai come fossero un patrimonio proprio, ma come cosa di cui deve rendere conto a Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri. La coscienza poi di appartenere all'unico presbiterio spingerà il sacerdote ad impegnarsi per favorire sia una piú equa distribuzione dei beni tra i confratelli, sia un certo uso in comune dei beni. [195] La libertà interiore, che la povertà evangelica custodisce e alimenta, abilita il prete a stare accanto ai piú deboli, a farsi solidale con i loro sforzi per l'instaurazione d'una società piú giusta, ad essere piú sensibile e piú capace di comprensione e di discernimento dei fenomeni riguardanti l'aspetto economico e sociale della vita, a promuovere la scelta preferenziale dei poveri: questa, senza escludere nessuno dall'annuncio e dal dono della salvezza, sa chinarsi sui piccoli, sui peccatori, sugli emarginati di ogni specie, secondo il modello dato da Gesú nello svolgimento del suo ministero profetico e sacerdotale. [196] Né va dimenticato il significato profetico della povertà sacerdotale, particolarmente urgente nelle società opulente e consumiste: "Il sacerdote veramente povero è di certo un segno concreto della separazione, della rinuncia e non della sottomissione alla tirannia del mondo contemporaneo che ripone ogni sua fiducia nel denaro e nella sicurezza materiale". [197] Gesú Cristo, che sulla croce conduce a perfezione la sua carità pastorale con un'abissale spogliazione esteriore e interiore, è il modello e la fonte delle virtú di obbedienza, castità e povertà, che il sacerdote è chiamato a vivere come espressione del suo amore pastorale per i fratelli. Secondo quanto Paolo scrive ai cristiani di Filippi, il sacerdote deve avere gli "stessi sentimenti" di Gesú, spogliandosi del proprio "io", per trovare, nella carità obbediente, casta e povera, la via maestra dell'unione con Dio e dell'unità con i fratelli. [198]

31. Come ogni vita spirituale autenticamente cristiana, anche quella del sacerdote possiede un'essenziale e irrinunciabile dimensione ecclesiale: è partecipazione alla santità della Chiesa stessa, che nel Credo professiamo quale "Comunione dei Santi". La santità del cristiano deriva da quella della Chiesa, la esprime e nello stesso tempo l'arricchisce. Questa dimensione ecclesiale riveste modalità, finalità e significati particolari nella vita spirituale del presbitero, in forza del suo specifico rapporto con la Chiesa, sempre a partire dalla sua configurazione a Cristo Capo e Pastore, dal suo ministero ordinato, dalla sua carità pastorale. In questa prospettiva occorre considerare come valore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione alla Chiesa particolare. Queste, in realtà, non sono motivate soltanto da ragioni organizzative e disciplinari. Al contrario, il rapporto con il Vescovo nell'unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si può prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote e della sua vita spirituale. In questo senso la incardinazione non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla figura vocazionale del presbitero. È necessario che il sacerdote abbia la coscienza che il suo "essere in una Chiesa particolare" costituisce, di sua natura, un elemento qualificante per vivere la spiritualità cristiana. In tal senso il presbitero trova proprio nella sua appartenenza e dedicazione alla Chiesa particolare una fonte di significati, di criteri di discernimento e di azione, che configurano sia la sua missione pastorale sia la sua vita spirituale. Al cammino verso la perfezione possono contribuire anche altre ispirazioni o riferimenti ad altre tradizioni di vita spirituale, capaci di arricchire la vita sacerdotale dei singoli e di animare il presbiterio di preziosi doni spirituali. È questo il caso di molte aggregazioni ecclesiali antiche e nuove, che accolgono nel proprio ambito anche sacerdoti: dalle società di vita apostolica agli istituti secolari presbiterali, dalle varie forme di comunione e di condivisione spirituale ai movimenti ecclesiali. I sacerdoti, che appartengono ad ordini e a congregazioni religiose, sono una ricchezza spirituale per l'intero presbiterio diocesano, al quale offrono il contributo di specifici carismi e di ministeri qualificati, stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere piú intensamente la sua apertura universale. [199] L'appartenenza del sacerdote alla Chiesa particolare e la sua dedicazione, fino al dono della vita, per l'edificazione della Chiesa "nella persona" di Cristo Capo e Pastore, a servizio di tutta la comunità cristiana, in cordiale e filiale riferimento al Vescovo, devono essere rafforzate da ogni altro carisma che entri a far parte di un'esistenza sacerdotale o si affianchi ad essa. [200] Perché l'abbondanza dei doni dello Spirito venga accolta nella gioia e fatta fruttificare a gloria di Dio per il bene della Chiesa intera, si esige da parte di tutti, in primo luogo, la conoscenza ed il discernimento dei carismi propri ed altrui, e un loro esercizio accompagnato sempre dall'umiltà cristiana, dal coraggio dell'autocritica, dall'intenzione, prevalente su ogni altra preoccupazione, di giovare all'edificazione dell'intera comunità al cui servizio è posto ogni carisma particolare. Si chiede, inoltre, a tutti un sincero sforzo di reciproca stima, di rispetto vicendevole e di coordinata valorizzazione di tutte le positive e legittime diversità presenti nel presbiterio. Anche tutto questo fa parte della vita spirituale e della continua ascesi del sacerdote.

32. L'appartenenza e la dedicazione alla Chiesa particolare non rinchiudono in essa l'attività e la vita del presbitero: queste non possono affatto esservi rinchiuse, per la natura stessa sia della Chiesa particolare [201] sia del ministero sacerdotale. Il Concilio scrive al riguardo: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensí ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli ultimi confini della terra", [202] dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli". [203] Ne deriva che la vita spirituale dei sacerdoti dev'essere profondamente segnata dall'anelito e dal dinamismo missionario. Tocca loro, nell'esercizio del ministero e nella testimonianza della vita, plasmare la comunità loro affidata come comunità autenticamente missionaria. Come ho scritto nell'enciclica "Redemptoris Missio", "tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo, attenti ai piú lontani e, soprattutto, ai gruppi non cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la Chiesa per tutta l'umanità". [204] Se questo spirito missionario animerà generosamente la vita dei sacerdoti, sarà facilitata la risposta a quell'esigenza sempre piú grave oggi nella Chiesa che nasce da una diseguale distribuzione del clero. In questo senso già il Concilio è stato quanto mai preciso e forte: "Ricordino i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chiese. Pertanto i presbiteri di quelle diocesi che hanno maggior abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l'invito del proprio ordinario, in quelle regioni, missioni o opere che soffrano di scarsezza di clero". [205]

33. "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato, e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio...". [206] Gesú fa risuonare anche oggi nel nostro cuore di sacerdoti le parole che ha pronunciato nella sinagoga di Nazaret. La nostra fede, infatti, ci rivela la presenza operante dello Spirito di Cristo nel nostro essere, nel nostro agire e nel nostro vivere cosí come l'ha configurato, abilitato e plasmato il sacramento dell'Ordine. Sí, lo Spirito del Signore è il grande protagonista della nostra vita spirituale. Egli crea il "cuore nuovo", lo anima e lo guida con la "legge nuova" della carità, della carità pastorale. Per lo sviluppo della vita spirituale è decisiva la consapevolezza che non manca mai al sacerdote la grazia dello Spirito Santo, come dono totalmente gratuito e come compito responsabilizzante. La coscienza del dono infonde e sostiene l'incrollabile fiducia del sacerdote nelle difficoltà, nelle tentazioni, nelle debolezze che s'incontrano sul cammino spirituale. Ripropongo a tutti i sacerdoti quanto dissi a tanti di loro in altra occasione: "La vocazione sacerdotale è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento dell'Ordine. La santità è intimità con Dio, è imitazione di Cristo, povero, casto e umile; è amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene; è amore alla Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione che Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i fratelli a seguire la loro vocazione alla santità. Come non riflettere... sul ruolo essenziale che lo Spirito Santo svolge nella specifica chiamata alla santità, che è propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo le parole del rito dell'Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute centrali nella formula sacramentale: "Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro l'effusione del tuo Spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un'integra condotta di vita". Mediante l'Ordinazione, carissimi, avete ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a Lui, perché possiate agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi sentimenti. Questa intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre garantisce l'efficacia dell'azione sacramentale che voi ponete "in persona Christi", chiede anche di esprimersi nel fervore della preghiera, nella coerenza della vita, nella carità pastorale di un ministero instancabilmente proteso alla salvezza dei fratelli. Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione". [207]

 

 

 

CAPITOLO IV

VENITE E VEDRETE

 

La vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa

 

34. "Venite e vedrete". [208] Cosí Gesú risponde ai due discepoli di Giovanni il Battista, che gli chiedevano dove abitasse. In queste parole troviamo il significato della vocazione. Ecco come l'evangelista racconta la chiamata di Andrea e di Pietro: "Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesú che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare cosí, seguirono Gesú. Gesú allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbi (che significa maestro), dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo condusse da Gesú. Gesú, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"". [209] Questa pagina di Vangelo è una delle tante del Libro Sacro nelle quali si descrive il "mistero" della vocazione, nel nostro caso il mistero della vocazione ad essere apostoli di Gesú. La pagina di Giovanni, che ha un significato anche per la vocazione cristiana come tale, riveste un valore emblematico per la vocazione sacerdotale. La Chiesa, quale comunità dei discepoli di Gesú, è chiamata a fissare il suo sguardo su questa scena che, in qualche modo, si rinnova continuamente nella storia. È invitata ad approfondire il senso originale e personale della vocazione alla sequela di Cristo nel ministero sacerdotale e l'inscindibile legame tra la grazia divina e la responsabilità umana, racchiuso e rivelato nei due termini che piú volte troviamo nel Vangelo: vieni e seguimi. [210] È sollecitata a decifrare e a percorrere il dinamismo proprio della vocazione, il suo svilupparsi graduale e concreto nelle fasi del cercare Gesú, del seguirlo e del rimanere con lui. La Chiesa coglie in questo "Vangelo della vocazione" il paradigma, la forza e l'impulso della sua pastorale vocazionale, ossia della sua missione destinata a curare la nascita, il discernimento e l'accompagnamento delle vocazioni, in particolare delle vocazioni al sacerdozio. Proprio perché "la mancanza di sacerdoti è certamente la tristezza di ogni Chiesa", [211] la pastorale vocazionale esige, oggi soprattutto, di essere assunta con un nuovo, vigoroso e piú deciso impegno da parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è piuttosto, come hanno ripetutamente affermato i Padri sinodali, un'attività intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa, [212] una cura che dev'essere integrata e pienamente identificata con la "cura delle anime" cosiddetta ordinaria, [213] una dimensione connaturale ed essenziale della pastorale della Chiesa, ossia della sua vita e della sua missione. [214] Sí, la dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa. La ragione sta nel fatto che la vocazione definisce, in un certo senso, l'essere profondo della Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, Ecclesia, è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente "convocazione", assemblea dei chiamati: "Dio ha convocato l'assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesú, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica". [215] Una lettura propriamente teologica della vocazione sacerdotale e della pastorale che la riguarda può scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium vocationis.

35. Ogni vocazione cristiana trova il suo fondamento nell'elezione gratuita e preveniente da parte del Padre "che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesú Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà". [216] Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e mediante la Chiesa, perché, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, "piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse". [217] La Chiesa non solo raccoglie in sé tutte le vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza, ma essa stessa si configura come mistero di vocazione, quale luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità santissima. In realtà la Chiesa, "popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo", [218] porta in sé il mistero del Padre che, non chiamato e non inviato da nessuno, [219] tutti chiama a santificare il suo nome e a compiere la sua volontà; custodisce in sé il mistero del Figlio che dal Padre è chiamato e mandato ad annunciare a tutti il Regno di Dio e che tutti chiama alla sua sequela; ed è depositaria del mistero dello Spirito Santo che consacra per la missione quelli che il Padre chiama mediante il Figlio suo Gesú Cristo. La Chiesa, che per nativa costituzione è "vocazione", è generatrice ed educatrice di vocazioni. Lo è nel suo essere di "sacramento", in quanto "segno" e "strumento" in cui risuona e si compie la vocazione di ogni cristiano; e lo è nel suo operare, ossia nello svolgimento del suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione dei Sacramenti e di servizio e testimonianza della carità. Si può cogliere ora l'essenziale dimensione ecclesiale della vocazione cristiana: non solo essa deriva "dalla" Chiesa e dalla sua mediazione, non solo si fa riconoscere e si compie "nella" Chiesa, ma si configura - nel fondamentale servizio a Dio - anche e necessariamente come servizio "alla" Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un dono destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno di Dio nel mondo. [220] Ciò che diciamo di ogni vocazione cristiana trova una sua specifica realizzazione nella vocazione sacerdotale: questa è chiamata, mediante il sacramento dell'Ordine ricevuto nella Chiesa, a porsi al servizio del Popolo di Dio con una peculiare appartenenza e configurazione a Gesú Cristo e con l'autorità di agire nel nome e nella persona di lui Capo e Pastore della Chiesa. In questa prospettiva si comprende quanto scrivono i Padri sinodali: "La vocazione di ciascun presbitero sussiste nella Chiesa e per la Chiesa: per essa una simile vocazione si compie. Ne segue che ogni presbitero riceve la vocazione dal Signore attraverso la Chiesa come un dono grazioso, una gratia gratis data (charisma). È proprio del Vescovo o del superiore competente non solo sottoporre ad esame l'idoneità e la vocazione del candidato, ma anche riconoscerla. Un simile elemento ecclesiastico inerisce alla vocazione al ministero presbiterale come tale. Il candidato al presbiterato deve ricevere la vocazione non imponendo le proprie personali condizioni ma accettando anche le norme e le condizioni che la Chiesa stessa, per la sua parte di responsabilità, pone". [221]

36. La storia di ogni vocazione sacerdotale, come peraltro di ogni vocazione cristiana, è la storia di un ineffabile dialogo tra Dio e l'uomo, tra l'amore di Dio che chiama e la libertà dell'uomo che nell'amore risponde a Dio. Questi due aspetti indissociabili della vocazione, il dono gratuito di Dio e la libertà responsabile dell'uomo, emergono in modo splendido e quanto mai efficace nelle brevissime parole con le quali l'evangelista Marco presenta la vocazione dei dodici: Gesú "salí poi sul monte, chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui". [222] Da un lato sta la decisione assolutamente libera di Gesú, dall'altro l'"andare" dei dodici, ossia il loro "seguire" Gesú. È questo il paradigma costante, il dato irrinunciabile di ogni vocazione: quella dei profeti, degli apostoli, dei sacerdoti, dei religiosi, dei fedeli laici, di ogni persona. Ma del tutto prioritario, anzi preveniente e decisivo è l'intervento libero e gratuito di Dio che chiama. Sua è l'iniziativa del chiamare. È questa, ad esempio, l'esperienza del profeta Geremia: "Mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni"". [223] È la stessa verità presentata dall'apostolo Paolo, che radica ogni vocazione nell'eterna elezione in Cristo, fatta "prima della creazione del mondo e secondo il beneplacito della sua volontà". [224] L'assoluto primato della grazia nella vocazione trova la sua perfetta proclamazione nella parola di Gesú: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". [225] Se la vocazione sacerdotale testimonia in modo inequivocabile il primato della grazia, la libera e sovrana decisione di Dio di chiamare l'uomo domanda assoluto rispetto, non può minimamente essere forzata da qualsiasi pretesa umana, non può essere sostituita da qualsiasi decisione umana. La vocazione è un dono della grazia divina e mai un diritto dell'uomo, cosí che "non si può mai considerare la vita sacerdotale come una promozione semplicemente umana, né la missione del ministro come un semplice progetto personale". [226]

È cosí escluso in radice ogni vanto e ogni presunzione da parte dei chiamati. [227] L'intero spazio spirituale del loro cuore è per una gratitudine ammirata e commossa, per una fiducia ed una speranza incrollabili, perché i chiamati sanno di essere fondati non sulle proprie forze, ma sull'incondizionata fedeltà di Dio che chiama. "Chiamò quelli che volle ed essi andarono da lui". [228] Questo "andare", che s'identifica con il "seguire" Gesú, esprime la risposta libera dei 12 alla chiamata del Maestro. Cosí è stato di Pietro e di Andrea: "E disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono". [229] Identica è stata l'esperienza di Giacomo e di Giovanni. [230] Cosí sempre: nella vocazione risplendono insieme l'amore gratuito di Dio e l'esaltazione piú alta possibile della libertà dell'uomo: quella dell'adesione alla chiamata di Dio e dell'affidamento a lui. In realtà, grazia e libertà non si oppongono tra loro. Al contrario, la grazia anima e sostiene la libertà umana, liberandola dalla schiavitú del peccato, [231] sanandola ed elevandola nelle sue capacità di apertura e di accoglienza del dono di Dio. E se non si può attentare all'iniziativa assolutamente gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all'estrema serietà con la quale l'uomo è sfidato nella sua libertà. Cosí al "vieni e seguimi" di Gesú il giovane ricco oppone un rifiuto, segno - sia pure negativo - della sua libertà: "Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni". [232] La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione, una libertà che nella risposta positiva si qualifica come adesione personale profonda, come donazione d'amore, o meglio come ri-donazione al Donatore che è Dio che chiama, come oblazione. "La chiamata - diceva Paolo VI - si commisura con la risposta. Non vi possono essere vocazioni, se non libere; se esse non sono cioè offerte spontanee di sé, coscienti, generose, totali... Oblazioni, diciamo: qui sta praticamente il vero problema... È la voce umile e penetrante di Cristo, che dice, oggi come ieri, piú di ieri: vieni. La libertà è posta al suo supremo cimento: quello appunto dell'oblazione, della generosità, del sacrificio". [233] L'oblazione libera, che costituisce il nucleo intimo e piú prezioso della risposta dell'uomo a Dio che chiama, trova il suo incomparabile modello, anzi la sua radice viva nell'oblazione liberissima di Gesú Cristo, il primo dei chiamati, alla volontà del Padre: "Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà"". [234] In intima comunione con Cristo, Maria, la Vergine Madre, è stata la creatura che piú di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come lei ha risposto con un amore cosí grande all'amore immenso di Dio. [235]

37. "Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni". [236] Il giovane ricco del Vangelo, che non segue la chiamata di Gesú, ci ricorda gli ostacoli che possono bloccare o spegnere la risposta libera dell'uomo: non soltanto i beni materiali possono chiudere il cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali esigenze del Regno di Dio, ma anche alcune condizioni sociali e culturali del nostro tempo possono presentare non poche minacce e imporre visioni distorte e false circa la vera natura della vocazione, rendendone difficili, se non impossibili, l'accoglienza e la stessa comprensione. Molti hanno di Dio un'idea cosí generica e confusa da sconfinare in forme di religiosità senza Dio, nelle quali la volontà di Dio è concepita come un destino immutabile e ineluttabile, al quale l'uomo deve solo adeguarsi e rassegnarsi in piena passività. Ma non è questo il volto di Dio che Gesú Cristo è venuto a rivelarci: Dio, infatti, è il Padre che con amore eterno e preveniente chiama l'uomo e lo costituisce in un meraviglioso e permanente dialogo con lui, invitandolo a condividere, da figlio, la sua stessa vita divina. È certo che con una visione errata di Dio l'uomo non può riconoscere neppure la verità di se stesso, sicché la vocazione non può essere né percepita né vissuta nel suo autentico valore: può essere sentita soltanto come un peso imposto e insopportabile. Anche talune idee distorte sull'uomo, spesso sostenute da pretestuosi argomenti filosofici o "scientifici", inducono talvolta l'uomo a interpretare la propria esistenza e la propria libertà come totalmente determinate e condizionate da fattori esterni, di ordine educativo, psicologico, culturale o ambientale. Altre volte la libertà viene intesa in termini di assoluta autonomia, pretende di essere l'unica e insindacabile fonte delle scelte personali, si qualifica come affermazione di sé ad ogni costo. Ma in tal modo si preclude la strada per intendere e vivere la vocazione quale libero dialogo d'amore, che nasce dalla comunicazione di Dio all'uomo e si conclude nel dono sincero di se stesso. Nel contesto attuale non manca anche la tendenza a pensare in modo individualistico e intimistico il rapporto dell'uomo con Dio, come se la chiamata di Dio raggiungesse la singola persona per via diretta, senza alcuna mediazione comunitaria, e avesse di mira un vantaggio, o la stessa salvezza, del singolo chiamato e non la dedizione totale a Dio nel servizio della comunità. Incontriamo cosí un'altra piú profonda ed insieme sottile minaccia, che rende impossibile riconoscere e accettare con gioia la dimensione ecclesiale iscritta nativamente in ogni vocazione cristiana, ed in quella presbiterale in specie: infatti, come ci ricorda il Concilio, il sacerdozio ministeriale acquista il suo autentico significato e realizza la piena verità di se stesso nel servire e nel far crescere la comunità cristiana e il sacerdozio comune dei fedeli. [237] Il contesto culturale ora ricordato, il cui influsso non è assente tra gli stessi cristiani e specialmente tra i giovani, aiuta a comprendere il diffondersi della crisi delle stesse vocazioni sacerdotali, originate e accompagnate da piú radicali crisi di fede. Lo hanno dichiarato esplicitamente i Padri sinodali, riconoscendo che la crisi delle vocazioni al presbiterato ha profonde radici nell'ambiente culturale e nella mentalità e prassi dei cristiani. [238] Di qui l'urgenza che la pastorale vocazionale della Chiesa punti decisamente e in modo prioritario sulla ricostruzione della "mentalità cristiana", quale è generata e sostenuta dalla fede. È piú che mai necessaria una evangelizzazione che non si stanchi di presentare il vero volto di Dio, il Padre che in Gesú Cristo chiama ciascuno di noi, e il senso genuino della libertà umana quale principio e forza del dono responsabile di se stessi. Solo cosí saranno poste le basi indispensabili perché ogni vocazione, compresa quella sacerdotale, possa essere percepita nella sua verità, amata nella sua bellezza e vissuta con dedizione totale e con gioia profonda.

38. Certamente la vocazione è un mistero imperscrutabile, che coinvolge il rapporto che Dio instaura con l'uomo nella sua unicità e irripetibilità, un mistero che viene percepito e sentito come un appello che attende una risposta nel profondo della coscienza, in quel "sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria". [239] Ma ciò non elimina la dimensione comunitaria, ed ecclesiale in specie, della vocazione: anche la Chiesa è realmente presente e operante nella vocazione di ogni sacerdote. Nel servizio alla vocazione sacerdotale e al suo itinerario, ossia alla nascita, al discernimento e all'accompagnamento della vocazione, la Chiesa può trovare un modello in Andrea, uno dei primi due discepoli che si pongono al seguito di Gesú. È lui stesso a raccontare al fratello ciò che gli era accaduto: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)". [240] E il racconto di questa "scoperta" apre la strada all'incontro: "E lo condusse da Gesú". [241] Nessun dubbio sull'iniziativa assolutamente libera e sulla decisione sovrana di Gesú. È Lui che chiama Simone e gli dà un nuovo nome: "Gesú, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"". [242] Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l'incontro del fratello con Gesú". E lo condusse da Gesú". Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito. La Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a promuovere e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni sacerdotali con la preghiera e con la vita sacramentale, con l'annuncio della Parola e con l'educazione alla fede, con la guida e la testimonianza della carità. La Chiesa, nella sua dignità e responsabilità di popolo sacerdotale, ha nella preghiera e nella celebrazione della liturgia i momenti essenziali e primari della pastorale vocazionale.

La preghiera cristiana, infatti, nutrendosi della Parola di Dio, crea lo spazio ideale perché ciascuno possa scoprire la verità del proprio essere e l'identità del personale e irripetibile progetto di vita che il Padre gli affida. È necessario, quindi, educare in particolare i ragazzi e i giovani perché siano fedeli alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio: nel silenzio e nell'ascolto potranno percepire la chiamata del Signore al sacerdozio e seguirla con prontezza e generosità. La Chiesa deve accogliere ogni giorno l'invito suadente ed esigente di Gesú, che chiede di "pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe". [243] Obbedendo al comando di Cristo, la Chiesa compie, prima di ogni altra cosa, un'umile professione di fede: pregando per le vocazioni, mentre ne avverte tutta l'urgenza per la sua vita e per la sua missione, riconosce che esse sono un dono di Dio e, come tali, sono da invocarsi con una supplica incessante e fiduciosa. Questa preghiera, cardine di tutta la pastorale vocazionale, deve però impegnare non solo i singoli ma anche le intere comunità ecclesiali. Nessuno dubita dell'importanza delle singole iniziative di preghiera, dei momenti speciali riservati a questa invocazione, a cominciare dall'annuale Giornata Mondiale per le Vocazioni, e dell'impegno esplicito di persone e di gruppi particolarmente sensibili al problema delle vocazioni sacerdotali. Ma oggi l'attesa orante di nuove vocazioni deve diventare sempre piú un'abitudine costante e largamente condivisa nell'intera comunità cristiana e in ogni realtà ecclesiale. Cosí si potrà rivivere l'esperienza degli apostoli che nel cenacolo, uniti con Maria, attendono in preghiera l'effusione dello Spirito, [244] il quale non mancherà di suscitare ancora nel Popolo di Dio "degni ministri dell'altare, annunziatori forti e miti della parola che ci salva". [245] Culmine e fonte della vita della Chiesa [246] e, in particolare, di ogni preghiera cristiana, anche la liturgia ha un ruolo indispensabile e un'incidenza privilegiata nella pastorale delle vocazioni. Essa, infatti, costituisce un'esperienza viva del dono di Dio e una grande scuola della risposta alla sua chiamata. Come tale, ogni celebrazione liturgica, e innanzitutto quella eucaristica, ci svela il vero volto di Dio, ci fa comunicare al mistero della Pasqua, ossia all'"ora" per la quale Gesú è venuto nel mondo e verso la quale si è liberamente e volontariamente incamminato in obbedienza alla chiamata del Padre, [247] ci manifesta il volto della Chiesa quale popolo di sacerdoti e comunità ben compaginata nella varietà e complementarità dei carismi e delle vocazioni. Il sacrificio redentore di Cristo, che la Chiesa celebra nel mistero, dona un valore particolarmente prezioso alla sofferenza vissuta in unione con il Signore Gesú. I Padri sinodali ci hanno invitato a non dimenticare mai che "attraverso l'offerta delle sofferenze, cosí frequenti nella vita degli uomini, il cristiano ammalato offre se stesso come vittima a Dio, ad immagine di Cristo, che per tutti noi ha consacrato se stesso" [248] e che "l'offerta delle sofferenze secondo tale intenzione è di grande giovamento per la promozione delle vocazioni". [249]

39. Nell'esercizio della sua missione profetica, la Chiesa sente incombente e irrinunciabile il compito di annunciare e di testimoniare il senso cristiano della vocazione, potremmo dire "il Vangelo della vocazione". Avverte, anche in questo campo, l'urgenza delle parole dell'apostolo: "Guai a me se non evangelizzassi!". [250] Tale ammonimento risuona innanzitutto per noi pastori e riguarda, insieme con noi, tutti gli educatori nella Chiesa. La predicazione e la catechesi devono sempre manifestare la loro intrinseca dimensione vocazionale: la Parola di Dio illumina i credenti a valutare la vita come risposta alla chiamata di Dio e li accompagna ad accogliere nella fede il dono della vocazione personale. Ma tutto questo, che pure è importante ed essenziale, non basta: occorre una "predicazione diretta sul mistero della vocazione nella Chiesa, sul valore del sacerdozio ministeriale, sulla sua urgente necessità per il Popolo di Dio". [251] Una catechesi organica e offerta a tutte le componenti della Chiesa, oltre a dissipare dubbi e a contrastare idee unilaterali o distorte sul ministero sacerdotale, apre i cuori dei credenti all'attesa del dono e crea condizioni favorevoli per la nascita di nuove vocazioni. È giunto il tempo di parlare coraggiosamente della vita sacerdotale come di un valore inestimabile e come di una forma splendida e privilegiata di vita cristiana. Gli educatori, e specialmente i sacerdoti, non devono temere di proporre in modo esplicito e forte la vocazione al presbiterato come una reale possibilità per quei giovani che mostrano di avere i doni e le doti ad essa corrispondenti. Non si deve aver alcuna paura di condizionarli o di limitarne la libertà; al contrario, una proposta precisa, fatta al momento giusto, può essere decisiva per provocare nei giovani una risposta libera e autentica. Del resto, la storia della Chiesa e quella di tante vocazioni sacerdotali, sbocciate anche in tenera età, attestano ampiamente la provvidenzialità della vicinanza e della parola di un prete: non solo della parola, ma anche della vicinanza, cioè di una testimonianza concreta e gioiosa, capace di far sorgere interrogativi e di condurre a decisioni anche definitive.

40. Come popolo regale, la Chiesa si riconosce radicata e animata dalla "legge dello Spirito che dà vita", [252] che è essenzialmente la legge regale della carità [253] o la legge perfetta della libertà. [254] Essa, perciò, adempie la sua missione quando guida ogni fedele a scoprire e a vivere la propria vocazione nella libertà e a portarla a compimento nella carità. Nel suo compito educativo, la Chiesa mira, con attenzione privilegiata, a suscitare nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani il desiderio e la volontà di una sequela integrale e avvincente di Gesú Cristo. L'opera educativa, che pure riguarda la comunità cristiana come tale, deve rivolgersi alla singola persona: Dio, infatti, con la sua chiamata raggiunge il cuore di ciascun uomo e lo Spirito, che dimora nell'intimo di ogni discepolo, [255] si dona a ciascun cristiano con carismi diversi e con manifestazioni particolari. Ciascuno, dunque, dev'essere aiutato a cogliere il dono che proprio a lui, come a persona unica e irripetibile, è affidato e ad ascoltare le parole che lo Spirito di Dio gli rivolge singolarmente. In questa prospettiva, la cura delle vocazioni al sacerdozio saprà esprimersi anche in una ferma e persuasiva proposta di direzione spirituale. È necessario riscoprire la grande tradizione dell'accompagnamento spirituale personale, che ha sempre portato tanti e preziosi frutti nella vita della Chiesa: esso può essere aiutato in determinati casi e a precise condizioni, ma non sostituito, da forme di analisi o di aiuto psicologico. [256] I ragazzi, gli adolescenti e i giovani siano invitati a scoprire e ad apprezzare il dono della direzione spirituale, a ricercarlo e a sperimentarlo, a chiederlo con fiduciosa insistenza ai loro educatori nella fede. I sacerdoti, per parte loro, siano i primi a dedicare tempo ed energie a quest'opera di educazione e di aiuto spirituale personale: non si pentiranno mai di aver trascurato o messo in secondo piano tante altre cose, pure belle e utili, se questo era inevitabile per mantenere fede al loro ministero di collaboratori dello Spirito nell'illuminazione e nella guida dei chiamati. Fine dell'educazione del cristiano è di giungere, sotto l'influsso dello Spirito, alla "piena maturità di Cristo". [257] Ciò si verifica quando, imitandone e condividendone la carità, si fa di tutta la propria vita un servizio d'amore, [258) offrendo a Dio un culto spirituale a lui gradito [259] donandosi ai fratelli. Il servizio d'amore è il senso fondamentale di ogni vocazione, che trova una realizzazione specifica nella vocazione del sacerdote: egli, infatti, è chiamato a rivivere, nella forma piú radicale possibile, la carità pastorale di Gesú, l'amore cioè del buon Pastore che "offre la vita per le pecore". [260] Per questo un'autentica pastorale vocazionale non si stancherà mai di educare i ragazzi, gli adolescenti e i giovani al gusto dell'impegno, al senso del servizio gratuito, al valore del sacrificio, alla donazione incondizionata di sé. Si fa allora particolarmente utile l'esperienza del volontariato, verso cui sta crescendo la sensibilità di tanti giovani: se sarà un volontariato evangelicamente motivato, capace di educare al discernimento dei bisogni, vissuto con dedizione e fedeltà ogni giorno, aperto all'eventualità di un impegno definitivo nella vita consacrata, nutrito di preghiera, esso saprà piú sicuramente sostenere una vita di impegno disinteressato e gratuito e renderà piú sensibile chi ad esso si dedica alla voce di Dio che lo può chiamare al sacerdozio. Diversamente dal giovane ricco, il volontario potrebbe accettare l'invito, colmo d'amore, che Gesú gli rivolge; [261] e lo potrebbe accettare perché gli unici suoi beni consistono già nel donarsi agli altri e nel "perdere" la sua vita.

41. La vocazione sacerdotale è un dono di Dio, che costituisce certamente un grande bene per colui che ne è il primo destinatario. Ma è anche un dono per l'intera Chiesa, un bene per la sua vita e per la sua missione. La Chiesa, dunque, è chiamata a custodire questo dono, a stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e della maturazione delle vocazioni sacerdotali. Di conseguenza la pastorale vocazionale ha come soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e, analogamente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del Popolo di Dio. È quanto mai urgente, oggi soprattutto, che si diffonda e si radichi la convinzione che tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni. Il Concilio Vaticano II è stato quanto mai esplicito nell'affermare che "il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana". [262] Solo sulla base di questa convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il suo volto veramente ecclesiale, sviluppare un'azione concorde, servendosi anche di organismi specifici e di adeguati strumenti di comunione e di corresponsabilità. La prima responsabilità della pastorale orientata alle vocazioni sacerdotali è del Vescovo, [263] che è chiamato a viverla in prima persona, anche se potrà e dovrà suscitare molteplici collaborazioni. Egli è padre e amico nel suo presbiterio, ed è anzitutto sua la sollecitudine di "dare continuità" al carisma e al ministero presbiterale, associandovi nuove forze con l'imposizione delle mani. Egli sarà sollecito che la dimensione vocazionale sia sempre presente in tutto l'ambito della pastorale ordinaria, anzi sia pienamente integrata e quasi identificata con essa. A lui spetta il compito di promuovere e di coordinare le varie iniziative vocazionali. [264] Il Vescovo sa di poter contare anzitutto sulla collaborazione del suo presbiterio. Tutti i sacerdoti sono con lui solidali e corresponsabili nella ricerca e nella promozione delle vocazioni presbiterali. Infatti, come afferma il Concilio, "spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori della fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica". [265] È questa "una funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale, in virtú della quale il presbitero partecipa della sollecitudine per la Chiesa intera, affinché nel Popolo di Dio qui sulla terra non manchino mai gli operai". [266] La vita stessa dei presbiteri, la loro dedizione incondizionata al gregge di Dio, la loro testimonianza di amorevole servizio al Signore e alla sua Chiesa - una testimonianza segnata dalla scelta della croce accolta nella speranza e nella gioia pasquale -, la loro concordia fraterna e il loro zelo per l'evangelizzazione del mondo sono il primo e il piú persuasivo fattore di fecondità vocazionale. [267] Una responsabilità particolarissima è affidata alla famiglia cristiana, che in virtú del Sacramento del Matrimonio partecipa in modo proprio e originale alla missione educativa della Chiesa maestra e madre.

Come hanno scritto i Padri sinodali, "la famiglia cristiana, che è veramente "come Chiesa domestica", [268] ha sempre offerto e continua ad offrire le condizioni favorevoli per la nascita delle vocazioni. Poiché oggi l'immagine della famiglia cristiana è in pericolo, grande importanza dev'essere attribuita alla pastorale familiare, cosí che le famiglie stesse, accogliendo generosamente il dono della vita umana, costituiscano "come il primo seminario", [269] nel quale i figli possano acquisire dall'inizio il senso della pietà e della preghiera e l'amore verso la Chiesa". [270] In continuità e in sintonia con l'opera dei genitori e della famiglia deve porsi la scuola, la quale è chiamata a vivere la sua identità di "comunità educante" anche con una proposta culturale capace di far luce sulla dimensione vocazionale come valore nativo e fondamentale della persona umana. In tal senso, se opportunamente arricchita di spirito cristiano (sia attraverso significative presenze ecclesiali nella scuola statale, secondo i vari ordinamenti nazionali, sia soprattutto nel caso della scuola cattolica), può infondere "nell'animo dei ragazzi e dei giovani il desiderio di compiere la volontà di Dio nello stato di vita piú idoneo a ciascuno, senza mai escludere la vocazione al ministero sacerdotale". [271] Anche i fedeli laici, in particolare i catechisti, gli insegnanti, gli educatori, gli animatori della pastorale giovanile, ciascuno con le risorse e modalità proprie, hanno una grande importanza nella pastorale delle vocazioni sacerdotali: quanto piú approfondiranno il senso della loro vocazione e missione nella Chiesa, tanto piú potranno riconoscere il valore e l'insostituibilità della vocazione e della missione sacerdotale. Nell'ambito delle comunità diocesane e parrocchiali sono da stimare e promuovere quei gruppi vocazionali, i cui membri offrono il loro contributo di preghiera e di sofferenza per le vocazioni sacerdotali e religiose, nonché di sostegno morale e materiale. Sono qui da ricordare anche i numerosi gruppi, movimenti e associazioni di fedeli laici che lo Spirito Santo fa sorgere e crescere nella Chiesa in ordine ad una presenza cristiana piú missionaria nel mondo. Queste diverse aggregazioni di laici si stanno rivelando come un campo particolarmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacrate, veri e propri luoghi di proposta e di crescita vocazionale. Non pochi giovani, infatti, proprio nell'ambito e grazie a queste aggregazioni hanno avvertito la chiamata del Signore a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale [272] e hanno risposto con confortante generosità. Sono, quindi, da valorizzare perché, in comunione con tutta la Chiesa e per la sua crescita, diano il loro specifico contributo allo sviluppo della pastorale vocazionale. Le varie componenti e i diversi membri della Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno tanto piú efficace la loro opera quanto piú stimoleranno la comunità ecclesiale come tale, a cominciare dalla parrocchia, a sentire che il problema delle vocazioni sacerdotali non può minimamente essere delegato ad alcuni "incaricati" (i sacerdoti in genere, i sacerdoti del seminario in specie) perché, essendo "un problema vitale che si colloca nel cuore stesso della Chiesa", [273] deve stare al centro dell'amore di ogni cristiano verso la Chiesa.

[ Continua... ]