CAPITOLO SESTO

NELLA COMUNIONE DELLE CHIESE

"La preoccupazione per tutte le Chiese" (2 Cor 11,28)

 

 

55. Scrivendo ai cristiani di Corinto, l'apostolo Paolo rievoca tutto ciò che egli ha patito per il Vangelo: "Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese" (2 Cor 11, 26-28). La conclusione a cui egli giunge è un interrogativo appassionato: "Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?" (2 Cor 11, 29). È lo stesso interrogativo che interpella la coscienza di ogni Vescovo, in quanto membro del Collegio episcopale.

Lo ricorda espressamente il Concilio Vaticano II quando afferma che tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa. "Tutti i Vescovi infatti devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all'amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr. Mt 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca, e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di Chiese". [206]

Accade cosí che ogni Vescovo è simultaneamente in relazione con la sua Chiesa particolare e con la Chiesa universale. Lo stesso Vescovo, infatti, che è visibile principio e fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale. Tutti i Vescovi, pertanto, risiedendo nelle loro Chiese particolari sparse nel mondo, ma sempre custodendo la comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale e con il Collegio stesso, danno consistenza ed espressione alla cattolicità della Chiesa e nel contempo conferiscono alla loro Chiesa particolare tale nota di cattolicità. Ogni Vescovo, cosí, è quasi punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e testimonianza visibile della presenza dell'unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare. Nella comunione delle Chiese, dunque, il Vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare e, in questa, egli rappresenta la comunione delle Chiese. Mediante il ministero episcopale, infatti, le portiones Ecclesiae partecipano alla totalità dell'Una-Santa, mentre questa, sempre attraverso tale ministero, si rende presente nella singola Ecclesiae portio. [207]

La dimensione universale del ministero episcopale è pienamente manifestata e attuata quando tutti i Vescovi, in comunione gerarchica col Romano Pontefice, agiscono come Collegio. Riuniti solennemente in un Concilio Ecumenico o sparsi per il mondo, ma sempre in comunione gerarchica col Romano Pontefice, essi costituiscono la prosecuzione del Collegio apostolico. [208] Anche in altre forme, però, tutti i Vescovi collaborano tra di loro e con il Romano Pontefice in bonum totius Ecclesiae, e ciò avviene anzitutto perché il Vangelo sia annunciato in tutta la terra e anche per fare fronte ai vari problemi che assillano le diverse Chiese particolari. Nello stesso tempo, anche l'esercizio del ministero del Successore di Pietro per il bene di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa particolare, come pure l'azione del Collegio in quanto tale, sono di valido aiuto perché, nelle Chiese particolari affidate alla cura pastorale dei singoli Vescovi diocesani, siano salvaguardate l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa. Nella Cattedra di Pietro i Vescovi, sia come singoli sia uniti tra di loro come Collegio, trovano il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità della fede e della comunione. [209]

 

 

Il Vescovo diocesano in relazione alla suprema autorità

56. Il Concilio Vaticano II insegna che "ai Vescovi, come a successori degli Apostoli, nelle Diocesi loro affidate, per sé spetta tutto il potere ordinario, proprio e immediato, che è necessario per l'esercizio del loro dovere pastorale (munus pastorale), ferma sempre restando in ogni campo la potestà del Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, di riservare alcune cause a se stesso o ad altra autorità". [210]

Nell'aula sinodale è stata sollevata da qualcuno la questione se non si possa trattare la relazione tra il Vescovo e la suprema autorità alla luce del principio di sussidiarietà, specialmente per quanto concerne i rapporti tra il Vescovo e la Curia romana, auspicando che tali rapporti, in linea con un'ecclesiologia di comunione, si svolgano nel rispetto delle competenze di ciascuno e, quindi, nell'attuazione di una maggiore decentralizzazione. È stato pure chiesto che si studi la possibilità di applicare tale principio alla vita della Chiesa, salvaguardando in ogni caso il fatto che principio costitutivo per l'esercizio dell'autorità episcopale è la comunione gerarchica dei singoli Vescovi con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale.

Come si sa, il principio di sussidiarietà fu formulato dal mio predecessore di v. m. Pio XI per la società civile. [211] Il Concilio Vaticano II, che non ha mai usato il termine "sussidiarietà", ha però incoraggiato la condivisione tra gli organismi della Chiesa, avviando una nuova riflessione sulla teologia dell'Episcopato, che sta dando i suoi frutti nella concreta applicazione del principio della collegialità alla comunione ecclesiale. I Padri sinodali hanno tuttavia ritenuto, per quanto riguarda l'esercizio dell'autorità episcopale, che il concetto di sussidiarietà risulti ambiguo e hanno insistito di approfondire teologicamente la natura dell'autorità episcopale alla luce del principio di comunione. [212]

Nell'Assemblea sinodale si è parlato piú volte del principio di comunione. [213] Si tratta di una comunione organica, che si ispira all'immagine del Corpo di Cristo, di cui parla l'apostolo Paolo quando sottolinea le funzioni di complementarità e mutuo aiuto tra le diverse membra nell'unico corpo (cfr. 1 Cor 12, 12-31).

Perché, dunque, il ricorso al principio di comunione sia fatto correttamente ed efficacemente, saranno ineludibili alcuni punti di riferimento. Si dovrà innanzitutto tener conto del fatto che nella sua Chiesa particolare, il Vescovo diocesano possiede tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l'adempimento del suo ministero pastorale. A lui, pertanto, compete un ambito proprio di esercizio autonomo di tale autorità, ambito riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale. [214] La potestà del Vescovo, dall'altra parte, coesiste con la potestà suprema del Romano Pontefice, anch'essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le singole Chiese e i raggruppamenti di esse, su tutti i pastori e i fedeli. [215]

Altro punto fermo da tener presente: l'unità della Chiesa è radicata nell'unità dell'episcopato, il quale, per essere uno, richiede un Capo del Collegio. Analogamente la Chiesa, per essere una, esige una Chiesa come Capo delle Chiese, quella di Roma il cui Vescovo, Successore di Pietro, è il Capo del Collegio. [216] Affinché, dunque, "ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, cioè presenza particolare della Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali, quindi costituita ad immagine della Chiesa universale, in essa dev'essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa [...] Il primato del Vescovo di Roma e il Collegio episcopale sono elementi propri della Chiesa universale "non derivati dalla particolarità delle Chiese", ma tuttavia interiori a ogni Chiesa particolare [...] L'essere il ministero del successore di Pietro interiore ad ogni Chiesa particolare è espressione necessaria di quella fondamentale mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare". [217]

La Chiesa di Cristo, nella sua nota di cattolicità, si realizza pienamente in ogni Chiesa particolare, la quale riceve tutti i mezzi naturali e soprannaturali per adempiere la missione, che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Tra questi c'è anche la potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo, richiesta per l'esercizio del suo ministero pastorale (munus pastorale), il quale esercizio, però, è sottoposto alle leggi universali e alle riserve, fatte dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice, alla suprema autorità, oppure ad altra autorità ecclesiastica. [218]

La capacità di governo proprio, comprendente anche l'esercizio del magistero autentico, [219] intrinsecamente appartenente al Vescovo nella sua Diocesi, si trova all'interno di quella realtà misterica della Chiesa, la quale fa sí che nella Chiesa particolare sia immanente la Chiesa universale, che rende presente la suprema autorità, cioè il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi con la loro potestà suprema, piena, ordinaria e immediata su tutti i fedeli e pastori. [220]

Conformemente alla dottrina del Concilio Vaticano II, si deve affermare che la funzione di insegnare (munus docendi) e quella di governare (munus regendi) - quindi la corrispondente potestà di magistero e di governo - nella Chiesa particolare sono da ciascun Vescovo diocesano esercitate, per loro natura, nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con il Collegio stesso. [221] Ciò non indebolisce l'autorità episcopale, anzi la rafforza, in quanto i vincoli della comunione gerarchica che legano i Vescovi alla Sede Apostolica richiedono una necessaria coordinazione tra la responsabilità del Vescovo diocesano e quella della suprema autorità, che è dettata dalla natura stessa della Chiesa. È lo stesso diritto divino a porre i limiti dell'esercizio dell'una e dell'altra. La potestà dei Vescovi, per questo, "non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata, poiché lo Spirito Santo conserva invariata la forma di governo da Cristo Signore stabilita nella sua Chiesa". [222]

Bene si espresse pertanto il Papa Paolo VI quando, aprendo il terzo periodo del Concilio Vaticano II, affermò: "Come voi, venerati Fratelli nell'episcopato, sparsi sulla terra per dare consistenza ed espressione alla vera cattolicità della Chiesa, avete bisogno di un centro, d'un principio di unità nella fede e nella comunione, quale appunto trovate in questa Cattedra di Pietro; cosí Noi abbiamo bisogno che voi Ci siate sempre vicini per dare sempre piú al volto della Sede Apostolica la sua prestanza, la sua umana e storica realtà, anzi la consonanza alla sua fede, l'esempio al compimento dei suoi doveri, il conforto nelle sue tribolazioni". [223]

La realtà della comunione, che è alla base di tutte le relazioni intraecclesiali [224] e che è stata messa in luce anche nella discussione sinodale, costituisce una relazione di reciprocità tra il Romano Pontefice e i Vescovi. Infatti, se da una parte il Vescovo, per esprimere in pienezza il suo stesso ufficio e fondare la cattolicità della sua Chiesa, deve esercitare la potestà di governo che gli è propria (munus regendi), nella comunione gerarchica con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, dall'altra parte il Romano Pontefice, Capo del Collegio, nell'esercizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa (munus supremi Ecclesiae pastoris), agisce sempre nella comunione con tutti gli altri Vescovi, anzi con tutta la Chiesa. [225] Nella comunione ecclesiale, allora, come il Vescovo non è solo, ma è continuamente riferito al Collegio e al suo Capo ed è da essi sostenuto, cosí anche il Romano Pontefice non è solo, ma è sempre in riferimento ai Vescovi ed è da essi sostenuto. È questa un'altra ragione per cui l'esercizio della potestà suprema del Romano Pontefice non annulla, ma afferma, corrobora e rivendica la stessa potestà ordinaria, propria e immediata del Vescovo nella sua Chiesa particolare.

 

 

Le visite "ad limina Apostolorum"

57. Una manifestazione e insieme un mezzo di comunione tra i Vescovi e la Cattedra di Pietro sono le visite ad limina Apostolorum. [226] Tre, infatti, sono i momenti principali di tale avvenimento, con un loro proprio significato. [227] Anzitutto il pellegrinaggio ai sepolcri dei principi degli Apostoli Pietro e Paolo, che indica il riferimento a quell'unica fede di cui essi diedero testimonianza a Roma con il loro martirio.

 Ad limina

 

 

 

Connesso con questo momento è l'incontro col Successore di Pietro. In occasione della visita ad limina, infatti, i Vescovi si riuniscono attorno a lui e attuano, secondo il principio di cattolicità, una comunicazione di doni tra tutti quei beni che per opera dello Spirito si ritrovano nella Chiesa, sia a livello particolare e locale, sia a livello universale. [228] Ciò che allora si attua non è semplicemente una reciproca informazione, ma soprattutto l'affermazione e il consolidamento della collegialità (collegialis confirmatio) nel corpo della Chiesa, per la quale si ha l'unità nella diversità, generando una specie di "perichoresis" tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, che si può paragonare al movimento per il quale il sangue parte dal cuore verso le estremità del corpo e da queste torna al cuore. [229]

La linfa vitale che viene da Cristo, unisce tutte le parti, come la linfa della vite che va ai tralci (cfr. Gv 15, 5). Ciò si rende evidente, in particolare, nella Celebrazione eucaristica dei Vescovi con il Papa. Ogni Eucaristia, infatti, è celebrata in comunione col Vescovo proprio, col Romano Pontefice e col Collegio Episcopale e, mediante questi, con i fedeli della Chiesa particolare e di tutta la Chiesa, cosí che la Chiesa universale è presente in quella particolare e questa è inserita, insieme con le altre Chiese particolari, nella comunione della Chiesa universale. Fin dai primi secoli il riferimento ultimo della comunione è alla Chiesa di Roma, dove Pietro e Paolo hanno dato la loro testimonianza di fede. Infatti con essa, per la sua posizione preminente, è necessario che concordi ogni Chiesa, perché essa è la garanzia ultima dell'integrità della tradizione trasmessa dagli Apostoli. [230] La Chiesa di Roma presiede alla comunione universale della carità, [231] tutela le legittime varietà e nello stesso tempo veglia perché la particolarità non solo non nuoccia all'unità, ma la serva. [232]

[ ] Tutto ciò comporta la necessità della comunione delle varie Chiese con la Chiesa di Roma, perché tutte si possano trovare nell'integrità della Tradizione apostolica e nell'unità della disciplina canonica per la custodia della fede, dei Sacramenti e della via concreta alla santità. Tale comunione delle Chiese è espressa dalla comunione gerarchica tra i singoli Vescovi e il Romano Pontefice. [233] Dalla comunione cum Petro et sub Petro di tutti i Vescovi, attuata nella carità, scaturisce il dovere della collaborazione di tutti con il Successore di Pietro, per il bene della Chiesa intera e quindi di ogni Chiesa particolare. La visita ad limina è diretta appunto a questo fine.

Il terzo aspetto delle visite ad limina è costituito dall'incontro con i responsabili dei Dicasteri della Curia romana: trattando con loro, i Vescovi hanno diretto accesso ai problemi di competenza dei singoli Dicasteri, e sono cosí introdotti ai vari aspetti della comune sollecitudine pastorale. Al riguardo, i Padri sinodali hanno chiesto che, nel segno della mutua conoscenza e fiducia, si facciano piú frequenti i rapporti tra Vescovi, singoli o uniti nelle Conferenze episcopali, e Dicasteri della Curia romana, [234] in modo che questi, direttamente informati sui problemi concreti delle Chiese, possano meglio svolgere il loro servizio universale.

Senza dubbio le visite ad limina, insieme con la relazione quinquennale sullo stato della Diocesi, [235] sono mezzi efficaci per l'attuazione dell'esigenza di reciproca conoscenza, che sgorga dalla stessa realtà della comunione tra i Vescovi e il Romano Pontefice. La presenza dei Vescovi a Roma per la visita può, anzi, essere occasione opportuna per affrettare, da una parte, la risposta alle questioni da loro presentate ai Dicasteri e per favorire, dall'altra, secondo l'auspicio da essi manifestato, una loro consultazione individuale o collettiva, in vista della predisposizione di documenti di rilevante importanza generale; nell'occasione potranno, inoltre, essere opportunamente illustrati ai medesimi Vescovi, prima della loro pubblicazione, eventuali documenti che la Santa Sede intendesse indirizzare alla Chiesa nel suo insieme o specificamente alle loro Chiese particolari.

 

 

Il Sinodo dei Vescovi

58. Secondo un'esperienza ormai consolidata, ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, in qualche modo espressiva dell'episcopato, mostra in maniera peculiare lo spirito di comunione che unisce i Vescovi con il Romano Pontefice e i Vescovi tra di loro, permettendo di esprimere un approfondito giudizio ecclesiale, sotto l'azione dello Spirito, riguardo ai vari problemi che assillano la vita della Chiesa. [236]

Come è noto, durante il Concilio Vaticano II emerse l'esigenza che i Vescovi potessero aiutare meglio il Romano Pontefice nell'esercizio del suo ufficio. Fu proprio in considerazione di ciò che il mio predecessore di v. m. Paolo VI istituí il Sinodo dei Vescovi, [237] pur tenendo presente l'apporto che già recava al Romano Pontefice il Collegio dei Cardinali. Mediante il nuovo organismo si poteva cosí esprimere piú efficacemente l'affetto collegiale e la sollecitudine dei Vescovi per il bene di tutta la Chiesa.

Gli anni trascorsi hanno mostrato come i Vescovi, in unione di fede e di carità, possano prestare valido aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nell'esercizio del suo ministero apostolico, sia per la salvaguardia della fede e dei costumi, che per l'osservanza della disciplina ecclesiastica. Lo scambio di notizie sulle Chiese particolari, infatti, facilitando la concordanza di sentenze anche su questioni dottrinali, è un modo valido per rafforzare la comunione. [238]

Ogni Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è una forte esperienza ecclesiale, anche se nelle modalità delle sue procedure rimane sempre perfettibile. [239] I Vescovi riuniti nel Sinodo rappresentano anzitutto le proprie Chiese, ma tengono presenti anche i contributi delle Conferenze episcopali dalle quali sono designati e dei cui pareri circa le questioni da trattare si fanno portatori. Essi esprimono cosí il voto del Corpo gerarchico della Chiesa e, in qualche modo, quello del popolo cristiano, del quale sono i pastori.

Il Sinodo è un evento in cui si rende particolarmente evidente che il Successore di Pietro, nell'adempimento del suo ufficio, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e con tutta la Chiesa. [240] "Spetta al Sinodo dei Vescovi - stabilisce al riguardo il Codice di Diritto Canonico - discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non abbia concesso potestà deliberativa". [241] Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva non ne diminuisce l'importanza. Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa. Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell'azione dello Spirito, anima dell'unica Chiesa di Cristo.

Proprio perché il Sinodo è al servizio della verità e della Chiesa, come espressione della vera corresponsabilità da parte di tutto l'episcopato in unione con il suo Capo riguardo al bene della Chiesa, nel dare il voto o consultivo o deliberativo i Vescovi, insieme agli altri membri del Sinodo, esprimono comunque la partecipazione al governo della Chiesa universale. Come il mio predecessore di v. m. Paolo VI, anche io ho sempre fatto tesoro delle proposte e dei pareri espressi dai Padri sinodali, facendoli entrare nel processo di elaborazione del documento che raccoglie i risultati del Sinodo, e che proprio per questo amo qualificare come "post-sinodale".

 

 

La comunione tra i Vescovi e tra le Chiese a livello locale

59. Oltre che a livello universale, sono molte e varie le forme nelle quali può esprimersi, e di fatto si esprime, la comunione episcopale e quindi la sollecitudine per tutte le Chiese sorelle. I rapporti scambievoli tra i Vescovi, poi, vanno ben oltre i loro incontri istituzionali. La coscienza viva della dimensione collegiale del ministero che è stato loro comunicato deve spingerli a realizzare fra di loro, soprattutto nell'ambito della medesima Conferenza episcopale, a livello sia della Provincia che della Regione ecclesiastica, le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dalla reciproca accoglienza e stima alle varie attenzioni di carità e concreta collaborazione.

Come ho già scritto in precedenza, "molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II in poi anche per quanto riguarda la riforma della Curia Romana, l'organizzazione dei Sinodi, il funzionamento delle Conferenze episcopali. Ma certamente molto resta da fare, per esprimere al meglio le potenzialità di questi strumenti della comunione, oggi particolarmente necessari di fronte all'esigenza di rispondere con prontezza ed efficacia ai problemi che la Chiesa deve affrontare nei cambiamenti cosí rapidi del nostro tempo". [242] Il nuovo secolo, allora, deve trovarci tutti impegnati piú che mai a valorizzare e sviluppare gli ambiti e gli strumenti che servono ad assicurare e a garantire la comunione tra i Vescovi e tra le Chiese.

Ogni azione del Vescovo compiuta nell'esercizio del proprio ministero pastorale è sempre un'azione compiuta nel Collegio. Che si tratti di esercizio del ministero della Parola o del governo nella propria Chiesa particolare, o anche di decisione presa con gli altri Fratelli nell'episcopato riguardo alle altre Chiese particolari della stessa Conferenza episcopale, in ambito provinciale o regionale, rimane sempre azione nel Collegio, perché compiuta conservando la comunione con tutti gli altri Vescovi e con il Capo del Collegio, nonché impegnando la propria responsabilità pastorale. Tutto questo, poi, si realizza non già in virtú di una convenienza umana di coordinamento, bensí di una sollecitudine verso le altre Chiese, che deriva dall'essere, ciascun Vescovo, inserito e raccolto in un Corpo o Collegio. Ogni Vescovo, infatti, è simultaneamente responsabile, anche se in modi diversi, della Chiesa particolare, delle Chiese sorelle piú vicine e della Chiesa universale.

Opportunamente, pertanto, i Padri sinodali hanno ribadito che "Vivendo nella comunione episcopale, i singoli Vescovi sentano come proprie le difficoltà e le sofferenze dei loro Fratelli nell'episcopato. Affinché questa comunione episcopale sia rafforzata e divenga sempre piú forte, i singoli Vescovi e le singole Conferenze episcopali considerino attentamente la possibilità che le loro Chiese hanno di aiutare quelle piú povere". [243] Sappiamo che tale povertà può consistere sia in una forte penuria di sacerdoti o di altri operatori pastorali, sia in una grave mancanza di mezzi materiali. Tanto in un caso come nell'altro, a soffrire è l'annuncio del Vangelo. È per questo che, in linea con quanto già il Concilio Vaticano II inculcava, [244] faccio mio il pensiero dei Padri sinodali i quali hanno auspicato che siano favorite le relazioni di fraterna solidarietà tra le Chiese di antica evangelizzazione e le cosiddette "giovani Chiese", anche stabilendo dei "gemellaggi", che si concretizzino nella comunicazione di esperienze e di agenti pastorali, nonché di aiuti pecuniari. Ciò infatti conferma l'immagine della Chiesa come "famiglia di Dio", nella quale i piú forti sostengono i piú deboli per il bene di tutti. [245]

Si traduce cosí nella comunione delle Chiese la comunione dei Vescovi, la quale si esprime pure nelle amorevoli attenzioni verso quei Pastori che, piú degli altri Fratelli e per ragioni soprattutto legate a situazioni locali, sono stati o, purtroppo, sono ancora provati dalla sofferenza, nella condivisione il piú delle volte delle sofferenze dei loro fedeli. Una categoria di Pastori meritevole di particolare attenzione, a motivo del numero crescente di coloro che si trovano a farne parte, è quella dei Vescovi emeriti. Ad essi, nella Liturgia di conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria, insieme con i Padri sinodali ho spesso rivolto il pensiero. La Chiesa intera ha grande considerazione per questi carissimi Fratelli, che restano membri importanti del Collegio episcopale, ed è grata per il servizio pastorale che hanno svolto e ancora svolgono mettendo la loro saggezza e la loro esperienza a disposizione della comunità. L'autorità competente non manchi di valorizzare questo loro personale patrimonio spirituale, in cui è pure depositata una parte preziosa della memoria delle Chiese che hanno guidato per anni. È doveroso porre ogni impegno per assicurare loro condizioni di serenità spirituale ed economica nel contesto umano da essi ragionevolmente desiderato. Si studino inoltre le possibilità di un ulteriore utilizzo delle loro competenze all'interno dei vari organismi delle Conferenze Episcopali. [246]

 

 

Le Chiese cattoliche orientali

60. Nella medesima prospettiva della comunione tra i Vescovi e tra le Chiese i Padri sinodali hanno riservato un'attenzione tutta particolare alle Chiese cattoliche orientali, tornando a considerare le venerande e antiche ricchezze delle loro tradizioni, le quali costituiscono un tesoro vivo che coesiste con analoghe espressioni della Chiesa latina. Le une e le altre insieme illuminano maggiormente l'unità cattolica del Popolo santo di Dio. [247]

Non c'è dubbio, poi, che le Chiese cattoliche dell'Oriente, in ragione della loro affinità spirituale, storica, teologica, liturgica e disciplinare con le Chiese ortodosse e le altre Chiese orientali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, hanno un titolo specialissimo per la promozione dell'unità dei cristiani, sopratutto dell'Oriente. E ciò sono chiamate a fare, come tutte le Chiese, con la preghiera e con l'esemplare vita cristiana; inoltre, come loro specifico contributo, esse sono chiamate ad aggiungere la loro religiosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali. [248]

 

 

Le Chiese patriarcali e il loro Sinodo

61. Tra le istituzioni proprie delle Chiese cattoliche orientali emergono le Chiese patriarcali. Esse appartengono a quei raggruppamenti di Chiese che, come afferma il Concilio Vaticano II, [249] per divina Provvidenza, nel succedersi del tempo si sono organicamente costituiti e che godono sia di disciplina e di usi liturgici propri, sia di un comune patrimonio teologico e spirituale, sempre conservando l'unità della fede e dell'unica divina costituzione della Chiesa universale. La loro particolare dignità è data dal fatto che esse, quasi matrici di fede, hanno generato altre Chiese, le quali sono come loro figlie e perciò fino ai nostri tempi a loro legate da un piú stretto vincolo di carità nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto dei diritti e dei doveri.

Quest'istituzione patriarcale è ben antica nella Chiesa. Già attestata nel primo Concilio ecumenico di Nicea, essa è stata riconosciuta dai primi Concili ecumenici ed è tuttora la forma tradizionale di governo nelle Chiese orientali. [250] Nella sua origine e struttura particolare, pertanto, essa è d'istituzione ecclesiastica. Appunto per questo il Concilio Ecumenico Vaticano II ha espresso il desiderio che "dove sia necessario si erigano nuovi Patriarcati, la cui fondazione è riservata al Concilio Ecumenico o al Romano Pontefice". [251] Chiunque nelle Chiese orientali ha una potestà sovraepiscopale e sovralocale - come i Patriarchi e i Sinodi dei Vescovi delle Chiese patriarcali - partecipa della suprema autorità che il Successore di Pietro ha su tutta la Chiesa, ed esercita questa sua potestà nel rispetto, oltre che del Primato del Romano Pontefice, [252] anche dell'ufficio dei singoli Vescovi, senza invadere il campo della loro competenza e senza limitare il libero esercizio delle funzioni loro proprie.

I rapporti, infatti, tra i Vescovi di una Chiesa patriarcale e il Patriarca, che a sua volta è il Vescovo dell'eparchia patriarcale, si sviluppano sulla base stabilita già in antichità nei Canoni degli Apostoli: "Bisogna che i Vescovi di ciascuna nazione sappiano chi tra loro è il primo e lo considerino come loro capo e non facciano nulla di importante senza il suo assenso; ciascuno non si occuperà che di ciò che riguarda il suo distretto e i territori che da esso dipendono; ma anch'egli non faccia nulla senza l'assenso di tutti; cosí la concordia regnerà e Dio sarà glorificato, per Cristo nello Spirito Santo". [253] Questo canone esprime l'antica prassi della sinodalità nelle Chiese d'Oriente, offrendone al tempo stesso il fondamento teologico e il significato dossologico, poiché è affermato chiaramente che l'azione sinodale dei Vescovi nella concordia rende culto e gloria a Dio Uno e Trino.

Nella vita sinodale delle Chiese patriarcali, dunque, dev'essere riconosciuta un'attuazione effettiva della dimensione collegiale del ministero episcopale. Tutti i Vescovi legittimamente consacrati partecipano al Sinodo della loro Chiesa patriarcale in quanto pastori di una porzione del Popolo di Dio. Tuttavia, il ruolo del primo, ossia del Patriarca, è riconosciuto come un elemento a suo modo costituente l'azione collegiale. Non si dà, infatti, alcuna azione collegiale senza un "primo" riconosciuto come tale. La sinodalità, per altro verso, non distrugge né diminuisce la legittima autonomia d'ogni Vescovo nel governo della propria Chiesa; afferma, però, l'affetto collegiale dei Vescovi corresponsabili di tutte le Chiese particolari comprese nel Patriarcato.

Al Sinodo patriarcale è riconosciuta una vera potestà di governo. Esso, infatti, elegge il Patriarca e i Vescovi per gli uffici entro il territorio della Chiesa patriarcale, nonché i candidati all'episcopato per gli uffici fuori dai confini della Chiesa patriarcale da proporre per la nomina al Romano Pontefice. [254] Oltre al consenso o parere necessari per la validità di determinati atti di competenza del Patriarca, al Sinodo spetta emanare le leggi, che hanno il loro vigore entro - e in caso di leggi liturgiche anche oltre - i confini della Chiesa patriarcale. [255] Il Sinodo, inoltre, restando salva la competenza della Sede Apostolica, è il tribunale superiore dentro i confini della stessa Chiesa patriarcale. [256] Per la gestione, poi, degli affari piú importanti, specialmente di quelli che riguardano l'aggiornamento delle forme e dei modi di apostolato e della disciplina ecclesiastica, il Patriarca e anche il Sinodo patriarcale si avvalgono della collaborazione consultiva dell'Assemblea patriarcale, che il Patriarca convoca almeno ogni cinque anni. [257]

 

 

L'organizzazione metropolitana e delle Province ecclesiastiche

62. Un modo concreto per favorire la comunione tra i Vescovi e la solidarietà tra le Chiese è ridare vitalità all'antichissima istituzione delle Province ecclesiastiche, dove i Metropoliti sono strumento e segno sia della fraternità tra i Vescovi della Provincia che della loro comunione con il Romano Pontefice. [258] Un lavoro pastorale comune, difatti, per la somiglianza dei problemi che assillano i singoli Vescovi e per il fatto che il numero limitato di essi permette un'intesa maggiore e piú efficace, sarà certamente meglio programmato nelle assemblee dei Vescovi della stessa Provincia e soprattutto nei Concili provinciali.

Dove, per il bene comune, si riterrà opportuna l'erezione delle Regioni ecclesiastiche, simile funzione potrà essere svolta dalle assemblee dei Vescovi della medesima Regione o, comunque, dai Concili plenari. Al riguardo, poi, è da ribadire quanto già espresso dal Concilio Vaticano II: "La veneranda istituzione dei Sinodi e dei Concili riprenda nuovo vigore, per provvedere piú adeguatamente e piú efficacemente all'incremento della fede e alla tutela della disciplina nelle varie Chiese, secondo le mutate circostanze dei tempi". [259] In essi i Vescovi potranno agire esprimendo non solo la comunione tra di loro, ma anche quella con tutte le componenti della porzione di Popolo di Dio loro affidata; tali componenti sono rappresentate nei Concili a norma del diritto.

Nei Concili particolari, infatti, proprio per la partecipazione in essi anche di presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e laici, sebbene solo con voto consultivo, è in modo immediato espressa non soltanto la comunione tra i Vescovi, ma anche la comunione tra le Chiese. I Concili particolari, inoltre, come momento ecclesiale solenne, richiedono una riflessione accurata nella preparazione, che coinvolge tutte le categorie di fedeli, in modo tale da renderli luogo adatto per le decisioni piú importanti, specialmente quelle riguardanti la fede. Il posto dei Concili particolari, perciò, non può essere preso dalle Conferenze episcopali, come precisa lo stesso Concilio Vaticano II quando auspica che i Concili particolari riprendano nuovo vigore. Le Conferenze episcopali, invece, possono essere un valido strumento per la preparazione dei Concili plenari. [260]

 

 

Le Conferenze episcopali

63. Non s'intende affatto, con questo, sottacere l'importanza e l'utilità delle Conferenze dei Vescovi, che hanno trovato nell'ultimo Concilio una loro configurazione istituzionale, precisata ulteriormente nel Codice di Diritto Canonico e nel recente Motu proprio Apostolos suos. [261] Istituzioni analoghe sono, nelle Chiese cattoliche orientali, le Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris previste dal Codice dei Canoni delle Chiese Orientali "affinché in uno scambio luminoso di prudenza ed esperienza e mediante un confronto di pareri nasca una santa cospirazione di forze per il bene comune delle Chiese, con cui favorire l'unità di azione, aiutare le attività comuni, promuovere piú speditamente il bene della religione e inoltre osservare piú efficacemente la disciplina ecclesiastica". [262]

Queste assemblee di Vescovi sono oggi, come si esprimevano anche i Padri sinodali, un valido strumento per esprimere e portare a pratica attuazione lo spirito collegiale dei Vescovi. Per questo, le Conferenze episcopali sono da valorizzare ulteriormente in tutte le loro potenzialità. [263] Esse, infatti, "si sono sviluppate notevolmente ed hanno assunto il ruolo di organo preferito dai Vescovi di una nazione o di un determinato territorio per lo scambio di vedute, per la consultazione reciproca e per la collaborazione a vantaggio del bene comune della Chiesa: "esse sono diventate in questi anni una realtà concreta, viva ed efficiente in tutte le parti del mondo". La loro rilevanza appare dal contributo efficace che recano all'unità tra i Vescovi, e quindi all'unità della Chiesa, rivelandosi uno strumento assai valido per rinsaldare la comunione ecclesiale". [264]

Poiché membri delle Conferenze episcopali sono solo i Vescovi e tutti quelli che nel diritto sono equiparati ai Vescovi diocesani, anche se non insigniti del carattere episcopale, [265] il fondamento teologico di esse è, a differenza dei Concili particolari, immediatamente la dimensione collegiale della responsabilità del governo episcopale. Solo indirettamente lo è la comunione tra le Chiese.

Essendo, in ogni caso, le Conferenze episcopali un organo permanente che si riunisce periodicamente, la loro funzione sarà efficace se si porrà come ausiliaria rispetto a quella che i singoli Vescovi svolgono per diritto divino nella loro Chiesa. A livello di singola Chiesa, infatti, il Vescovo diocesano pasce nel nome del Signore il gregge a lui affidato come pastore proprio, ordinario e immediato e il suo agire è strettamente personale, non collegiale, anche se animato dallo spirito comunionale. A livello, quindi, di raggruppamenti di Chiese particolari per zone geografiche (nazione, regione, ecc.), i Vescovi ad esse preposti non esercitano congiuntamente la loro cura pastorale con atti collegiali pari a quelli del Collegio episcopale, il quale, come soggetto teologico è indivisibile. [266] Per questo i Vescovi della stessa Conferenza episcopale riuniti in Assemblea esercitano congiuntamente per il bene dei loro fedeli, nei limiti delle competenze loro attribuite dal diritto o da un mandato delle Sede Apostolica, solo alcune delle funzioni che scaturiscono dal loro ministero pastorale (munus pastorale). [267]

È certo che le Conferenze episcopali piú numerose richiedono, proprio per svolgere il loro servizio a favore dei singoli Vescovi che le formano e quindi delle singole Chiese, una complessa organizzazione. In ogni caso è da "evitare la burocratizzazione degli uffici e delle commissioni operanti tra le riunioni plenarie". [268] Le Conferenze episcopali, infatti, "con le loro commissioni e uffici esistono per aiutare i Vescovi e non per sostituirsi a essi", [269] e ancor meno per costituire una struttura intermedia tra la Sede Apostolica e i singoli Vescovi. Le Conferenze episcopali possono offrire un valido aiuto alla Sede Apostolica esprimendo il loro parere su specifici problemi di carattere piú generale. [270]

Le Conferenze episcopali, poi, esprimono e attuano lo spirito collegiale che unisce i Vescovi e, di conseguenza, la comunione tra le varie Chiese, stabilendo tra di loro, specialmente tra le piú vicine, strette relazioni nella ricerca di un bene maggiore. [271] Ciò può essere realizzato in vari modi, mediante consigli, simposi, federazioni. Di notevole rilevanza sono specialmente le riunioni continentali dei Vescovi, che però non assumono mai le competenze che sono riconosciute alle Conferenze episcopali. Tali riunioni sono di grande aiuto per fomentare tra le Conferenze episcopali delle diverse nazioni quella collaborazione che, in questo tempo di "globalizzazione", si rivela particolarmente necessaria per affrontarne le sfide ed attuare una vera "globalizzazione della solidarietà". [272]

 

 

L'unità della Chiesa e il dialogo ecumenico

64. La preghiera del Signore Gesú per l'unità fra tutti i suoi discepoli (ut unum sint: Gv 17, 21) costituisce per ogni Vescovo un pressante appello ad un preciso dovere apostolico. Non è possibile attendersi questa unità come frutto dei nostri sforzi; essa è principalmente dono della Trinità Santa alla Chiesa. Ciò tuttavia non dispensa i cristiani dal porre ogni impegno, a cominciare da quello della preghiera, per affrettare il cammino verso la piena unità. Rispondendo alle preghiere e alle intenzioni del Signore e alla sua oblazione sulla Croce per radunare i figli dispersi (cfr. Gv 11, 52), la Chiesa cattolica si sente impegnata in modo irreversibile nel dialogo ecumenico, dal quale dipende l'efficacia della sua testimonianza nel mondo. Occorre, dunque, perseverare sulla via del dialogo della verità e dell'amore.

Molti Padri sinodali hanno richiamato la specifica vocazione che ogni Vescovo ha di promuovere nella propria diocesi questo dialogo e di svilupparlo in veritate et caritate (cfr. Ef 4, 15). Lo scandalo della divisione fra i cristiani, infatti, è avvertito da tutti come un segnale opposto alla speranza cristiana. Le forme concrete per questa promozione del dialogo ecumenico, poi, sono state indicate nella migliore conoscenza reciproca tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con essa; in incontri e iniziative appropriate, e soprattutto nella testimonianza della carità. Esiste, in effetti, un ecumenismo della vita quotidiana, fatto di reciproca accoglienza, ascolto e collaborazione, che possiede una singolare efficacia.

D'altra parte, i Padri sinodali hanno pure avvertito il rischio di gesti poco ponderati, segnali di un "ecumenismo impaziente", che possono arrecare danno al cammino in atto verso l'unità piena. È, perciò, molto importante che da tutti siano accolti e messi in pratica i retti principi del dialogo ecumenico, come pure che su di essi s'insista nei seminari con i candidati al ministero sacro, nelle parrocchie e nelle altre strutture ecclesiali. La stessa vita interna della Chiesa, poi, deve offrire una testimonianza d'unità nel rispetto e nell'apertura di spazi sempre piú ampi nei quali siano accolte e sviluppino le loro grandi ricchezze le diverse tradizioni teologiche, spirituali, liturgiche e disciplinari. [273]

 

 

La missionarietà nel ministero episcopale

65. In quanto membri del Collegio episcopale, i Vescovi sono consacrati non solo per una Diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini. [274] Questa dottrina esposta nel Concilio Vaticano II è stata richiamata dai Padri sinodali per mettere in evidenza il fatto che ogni Vescovo dev'essere consapevole dell'indole missionaria del proprio ministero pastorale. Tutta la sua azione pastorale, dunque, deve essere caratterizzata da uno spirito missionario, per suscitare e conservare nell'animo dei fedeli l'ardore per la diffusione del Vangelo. Per questo è compito del Vescovo suscitare, promuovere e dirigere nella propria Diocesi attività e iniziative missionarie, anche sotto l'aspetto economico. [275]

Non meno importante, poi, come è stato affermato nel Sinodo, è incoraggiare la dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare promovendo, a seconda delle diverse situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità culturale e una sana interazione fra le differenti culture. Il carattere sempre piú multiculturale delle città e delle società, d'altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni internazionali, stabilisce nuove situazioni dalle quali emerge una particolare sfida missionaria.

Nell'Aula sinodale vi sono stati anche interventi che hanno posto in evidenza alcune questioni relative ai rapporti tra i Vescovi diocesani e le Congregazioni religiose missionarie, sottolineando la necessità al riguardo di una piú approfondita riflessione. Al tempo stesso, è stato riconosciuto il grande contributo di esperienza che una Chiesa particolare può ricevere dalle stesse Congregazioni di vita consacrata per mantenere viva tra i fedeli la dimensione missionaria.

In questo suo zelo il Vescovo si mostri servo e testimone della speranza. La missione, infatti, è senza dubbio l'indice esatto della fede in Cristo e nel suo amore per noi: [276] l'uomo di tutti i tempi è da essa sospinto ad una vita nuova, animata dalla speranza. Annunciando Cristo risorto, infatti, i cristiani presentano Colui che inaugura una nuova era della storia e proclamano al mondo la buona notizia di una salvezza integrale e universale, che contiene in sé la caparra di un mondo nuovo, in cui il dolore e l'ingiustizia faranno posto alla gioia e alla bellezza. All'inizio di un nuovo millennio, poi, quando si è acuita la coscienza dell'universalità della salvezza e si sperimenta che l'annuncio del Vangelo deve essere ogni giorno rinnovato, dall'Assemblea sinodale giunge l'invito a non diminuire l'impegno missionario, anzi ad ampliarlo in una sempre piú profonda cooperazione missionaria.

 

 

 

CAPITOLO SETTIMO

IL VESCOVO DI FRONTE ALLE SFIDE ATTUALI

"Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33)

 

66. Nella Sacra Scrittura la Chiesa è paragonata ad un gregge, "di cui Dio stesso ha preannunciato di voler essere il pastore e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il Pastore buono e il Principe dei pastori". [277] Non è forse Gesú stesso a qualificare i suoi discepoli come pusillus grex e ad esortarli a non avere paura, ma a coltivare la speranza? (cfr. Lc 12, 32).

Questa esortazione Gesú l'ha ripetuta piú volte ai suoi discepoli: "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16, 33). Quando stava per tornare al Padre, dopo avere lavato i piedi agli Apostoli, disse loro: "Non sia turbato il vostro cuore" e aggiunse: "Io sono la Via [...] Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14, 1-6). Su questa Via, che è Cristo, il piccolo gregge, la Chiesa, si è incamminata, e a guidarla è Lui, il Pastore Buono, che "quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce" (Gv 10, 4).

Ad immagine di Cristo Gesú e sulle sue orme, anche il Vescovo esce per annunziarlo al mondo come Salvatore dell'uomo, di ogni uomo. Missionario del Vangelo, egli agisce in nome della Chiesa, esperta in umanità e vicina agli uomini del nostro tempo. Per questo il Vescovo, forte del radicalismo evangelico, ha pure il dovere di smascherare le false antropologie, di riscattare i valori schiacciati dai processi ideologici e di discernere la verità. Egli sa di poter ripetere con l'Apostolo: "Noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono" (1 Tim 4, 10).

L'azione del Vescovo, allora, sarà caratterizzata da quella parresía, che è frutto dell'operazione dello Spirito (cfr. At 4, 31). Sicché, uscendo da se stesso per annunciare Gesú Cristo, il Vescovo assume con fiducia e coraggio la sua missione, factus pontifex, fatto veramente "ponte" proteso verso ogni uomo. Con passione di pastore egli esce per cercare le pecore, al seguito di Gesú, che dice: "Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Gv 10, 16).

 

 

Il Vescovo operatore di giustizia e pace

67. Nell'ambito di questa missionarietà, i Padri sinodali hanno indicato il Vescovo come un profeta di giustizia. La guerra dei potenti contro i deboli ha, oggi piú che ieri, aperto profonde divisioni tra ricchi e poveri. I poveri sono legione! All'interno di un sistema economico ingiusto, con dissonanze strutturali molto forti, la situazione degli emarginati si aggrava di giorno in giorno. In tante parti della terra oggi c'è fame, mentre altrove c'è opulenza. Soprattutto i poveri, i giovani, i rifugiati, sono le vittime di queste drammatiche sperequazioni. Anche la donna in molti luoghi è avvilita nella sua dignità di persona, vittima di una cultura edonista e materialista.

Di fronte, e tante volte dentro, a queste situazioni d'ingiustizia, che aprono inevitabilmente la porta ai conflitti e alla morte, il Vescovo è il difensore dei diritti dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Egli predica la dottrina morale della Chiesa, in difesa del diritto della vita, dal concepimento sino alla sua naturale conclusione; predica pure la dottrina sociale della Chiesa, fondata sul Vangelo, e prende a cuore la difesa di chiunque è debole, rendendosi voce di chi non ha voce, per farne valere i diritti. Non c'è dubbio che la dottrina sociale della Chiesa è in grado di suscitare speranza anche nelle situazioni piú difficili, perché, se non c'è speranza per i poveri, non ve ne sarà per nessuno, neppure per i cosiddetti ricchi.

I Vescovi hanno condannato con vigore il terrorismo e il genocidio e hanno levato la loro voce a favore di coloro che piangono a motivo di ingiustizie, che sono sottoposti a persecuzione, che sono senza lavoro, per i bambini vessati in vari e sempre gravissimi modi. Come la santa Chiesa che nel mondo è sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, [278] anche il Vescovo è difensore e padre dei poveri, è sollecito della giustizia e dei diritti umani, è portatore di speranza. [279]

La parola dei Padri sinodali, unita alla mia, è stata esplicita e forte. "Non abbiamo potuto non ascoltare, nel corso del Sinodo, l'eco di tanti altri drammi collettivi [...] S'impone un cambiamento di ordine morale [...] Alcuni mali endemici, troppo a lungo sottovalutati, possono portare alla disperazione intere popolazioni. Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà estrema, in un'epoca in cui l'umanità ha a disposizione come non mai gli strumenti per un'equa condivisione? Non possiamo non esprimere la nostra solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a causa di guerre, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione economica, sono costretti ad abbandonare la propria terra, alla ricerca di un lavoro e nella speranza della pace. I disastri causati dalla malaria, l'aumento dell'AIDS, l'analfabetismo, la mancanza di futuro per tanti bambini e giovani abbandonati su una strada, lo sfruttamento delle donne, la pornografia, l'intolleranza e la strumentalizzazione inaccettabile della religione per scopi violenti, il traffico di droga e il commercio di armi: il catalogo non è completo! E tuttavia, pur in mezzo a tutte queste difficoltà, gli umili rialzano la testa. Il Signore li guarda e li sostiene: "Per l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri io sorgerò, dice il Signore" (Sal 12[11], 6)". [280]

Al quadro drammatico appena delineato, conseguono con ovvia urgenza l'appello e l'impegno alla pace. Sono, infatti, sempre attivi i focolai di conflitto ereditati dal precedente secolo e dall'intero millennio. Neppure mancano conflitti locali, che creano lacerazioni profonde tra le culture e le nazionalità. E come tacere dei fondamentalismi religiosi, sempre nemici del dialogo e della pace? In molte regioni del mondo la terra somiglia ad una polveriera, pronta ad esplodere e a rovesciare sulla famiglia umana enormi dolori.

In questa situazione la Chiesa continua ad annunciare la pace di Cristo, che nel discorso della montagna ha proclamato la beatitudine degli "operatori di pace" (Mt 5, 9). La pace è una responsabilità universale, che passa attraverso i mille piccoli atti della vita di ogni giorno. Essa attende i suoi profeti e i suoi artefici, che non possono mancare anzitutto nelle comunità ecclesiali, di cui il Vescovo è pastore. Sull'esempio di Gesú, venuto per annunciare la libertà agli oppressi e per proclamare l'anno di grazia del Signore (cfr. Lc 4, 16-21), egli sarà pronto sempre a mostrare che la speranza cristiana è intimamente congiunta con lo zelo per la promozione integrale dell'uomo e della società, come insegna la dottrina sociale della Chiesa.

All'interno, poi, di eventuali e purtroppo non rare situazioni di conflitto armato, il Vescovo, anche quando esorta il popolo a far valere i propri diritti, deve sempre avvertire che, per un cristiano, è in ogni caso doveroso escludere la vendetta e aprirsi al perdono e all'amore dei nemici. [281] Non c'è giustizia, infatti, senza perdono. Per quanto difficile da accettare, l'affermazione per ogni persona sensata appare scontata: una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono. [282]

 

 

Il dialogo interreligioso, soprattutto a favore della pace nel mondo

68. Come in piú circostanze ho ripetuto, il dialogo tra le religioni dev'essere al servizio della pace tra i popoli. Le tradizioni religiose, infatti, possiedono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. Dal Sinodo è giunto l'appello perché i Vescovi si facciano promotori di incontri insieme con i rappresentanti dei popoli per riflettere attentamente sui dissidi e sulle guerre che lacerano il mondo, cosí da individuare cammini percorribili per un comune impegno di giustizia, di concordia e di pace.

I Padri sinodali hanno fortemente sottolineato l'importanza del dialogo interreligioso in ordine alla pace ed hanno chiesto ai Vescovi di impegnarsi in tal senso nelle rispettive Diocesi. Nuove strade verso la pace possono essere aperte attraverso l'affermazione della libertà religiosa, di cui ha parlato il Concilio Vaticano II nel Decreto Dignitatis humanae, come anche attraverso l'opera educativa a vantaggio delle nuove generazioni, ed il corretto uso dei mezzi di comunicazione sociale. [283]

La prospettiva del dialogo interreligioso, tuttavia, è sicuramente piú ampia e per questa ragione i Padri sinodali hanno ribadito che esso è parte della nuova evangelizzazione, soprattutto in questi tempi in cui, molto piú che in passato, convivono nelle stesse regioni, nelle medesime città, nei posti di lavoro della vita quotidiana persone appartenenti a diverse religioni. Il dialogo interreligioso, è, dunque, postulato dalla vita quotidiana di molte famiglie cristiane e anche per questo i Vescovi, come maestri della fede e pastori del Popolo di Dio, debbono avere verso di esso una giusta attenzione.

Da questo contesto di convivenza con persone di altre religioni nasce per i cristiani uno speciale dovere di testimoniare l'unicità e l'universalità del mistero salvifico di Gesú Cristo e la conseguente necessità della Chiesa come strumento di salvezza per l'intera umanità. "Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che "una religione vale l'altra"". [284] È chiaro quindi che il dialogo interreligioso non può mai sostituire l'annuncio e la propagazione della fede, i quali costituiscono la finalità prioritaria della predicazione, della catechesi e della missione della Chiesa.

Affermare con franchezza e senza ambiguità che la salvezza dell'uomo dipende dalla redenzione operata da Cristo non impedisce il dialogo con le altre religioni. Nella prospettiva della professione della speranza cristiana, poi, non si dimenticherà che è proprio essa a fondare il dialogo interreligioso. Come, infatti, si afferma nel Dichiarazione conciliare Nostra aetate, "tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti si riuniscano nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove i popoli cammineranno nella sua luce". [285]

 

 

La vita civile, sociale ed economica

69. Nell'azione pastorale del Vescovo non può mancare una particolare attenzione alle esigenze di amore e di giustizia che derivano dalle condizioni sociali ed economiche delle persone piú povere, abbandonate, maltrattate, nelle quali il credente vede altrettante speciali icone di Gesú. La loro presenza all'interno delle comunità ecclesiali e civili è un banco di prova per l'autenticità della nostra fede cristiana.

Una parola vorrei spendere circa il complesso fenomeno della cosiddetta globalizzazione, che è una delle caratteristiche del mondo attuale. Esiste, infatti, una "globalizzazione" dell'economia, della finanza e anche della cultura, che si va progressivamente affermando come effetto dei rapidi progressi legati alle tecnologie informatiche. Come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, essa richiede un attento discernimento allo scopo di individuarne gli aspetti positivi e negativi e le varie conseguenze che ne possono derivare per la Chiesa e per l'intero genere umano. In tale opera è importante l'apporto dei Vescovi, i quali richiameranno sempre l'urgenza di pervenire ad una globalizzazione nella carità, senza marginalizzazione. In proposito, anche i Padri sinodali hanno richiamato il dovere di promuovere una "globalizzazione della carità", considerando in questo medesimo contesto le questioni relative alla remissione del debito estero, che compromette le economie di intere popolazioni, frenando il loro progresso sociale e politico. [286]

Senza riprendere qui una cosí grave problematica, ripeto solo alcuni punti fondamentali già altrove esposti: la visione della Chiesa in tale materia ha tre essenziali e concomitanti punti di riferimento, che sono la dignità della persona umana, la solidarietà e la sussidiarietà. Pertanto, "l'economia globalizzata dev'essere analizzata alla luce dei principi della giustizia sociale, rispettando l'opzione preferenziale per i poveri, che devono essere messi in grado di difendersi in un'economia globalizzata, e le esigenze del bene comune internazionale". [287] Innestata nel dinamismo della solidarietà, la globalizzazione non è piú emarginante. La globalizzazione della solidarietà, infatti, è conseguenza diretta di quella carità universale che è l'anima del Vangelo.

 

 

Il rispetto dell'ambiente e la salvaguardia del creato

70. I Padri sinodali hanno pure ricordato gli aspetti etici della questione ecologica. [288] In effetti, il senso profondo dell'appello a globalizzare la solidarietà riguarda pure, e con urgenza, la questione della salvaguardia del creato e delle risorse della terra. Il "gemito della creazione", a cui accenna l'Apostolo (cfr. Rm 8, 22), sembra oggi verificarsi in una prospettiva capovolta, poiché non si tratta piú di una tensione escatologica, nell'attesa della rivelazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8, 19), bensí di uno spasimo di morte che tende ad afferrare l'uomo stesso per distruggerlo.

È qui, difatti, che si svela, nella sua forma piú insidiosa e perversa, la questione ecologica. In effetti, "il segno piú profondo e piú grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l'inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, talora configura un vero e proprio disprezzo dell'uomo". [289]

È evidente che la posta in gioco non è solo un'ecologia fisica, cioè attenta a tutelare l'habitat dei vari esseri viventi, ma anche un'ecologia umana, che protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e prepari alle generazioni future un ambiente che si avvicini il piú possibile al progetto del Creatore. C'è dunque bisogno di una conversione ecologica, alla quale i Vescovi daranno il proprio contributo insegnando il corretto rapporto dell'uomo con la natura. Alla luce della dottrina su Dio Padre, creatore del cielo e della terra, si tratta di un rapporto "ministeriale": l'uomo, infatti, è collocato al centro della creazione come ministro del Creatore.

 

 

Il ministero del Vescovo riguardo alla salute

71. La premura per l'uomo spinge il Vescovo a imitare Gesú, il vero "buon Samaritano", pieno di compassione e di misericordia, che si prende cura dell'uomo senza discriminazione alcuna. La tutela della salute occupa un posto di rilievo tra le sfide attuali. Sono, purtroppo, ancora molte le forme di malattia presenti nelle varie parti del mondo e, sebbene la scienza umana progredisca in modo esponenziale nella ricerca di nuove soluzioni, o aiuti per meglio affrontarle, emergono sempre nuove situazioni in cui la salute fisica e psichica viene ad essere minata.

Nell'ambito della propria Diocesi, ogni Vescovo, con l'aiuto di persone qualificate, è chiamato ad operare perché sia integralmente annunciato il "Vangelo della vita". L'impegno di umanizzare la medicina e l'assistenza agli ammalati da parte di cristiani che testimoniano a chi soffre la propria sollecita vicinanza, risvegliano nell'animo di ciascuno la figura di Gesú, medico dei corpi e delle anime. Tra le istruzioni affidate ai suoi apostoli, Egli non ha omesso d'inserire l'esortazione a guarire gli ammalati (cfr. Mt 10, 8). [290] Pertanto l'organizzazione e la promozione di un'adeguata pastorale per gli operatori sanitari meritano davvero una priorità nel cuore di un Vescovo.

In particolare, i Padri sinodali hanno sentito il bisogno di esprimere con forza la loro sollecitudine per la promozione di un'autentica "cultura della vita" nella società contemporanea: "Ciò che, forse, sconvolge maggiormente il nostro cuore di pastori è il disprezzo della vita dal suo concepimento al suo termine, e la disgregazione della famiglia. Il no della Chiesa all'aborto e all'eutanasia è un alla vita, un alla bontà originaria della creazione, un che può raggiungere ogni essere umano nel santuario della sua coscienza, un alla famiglia, prima cellula di speranza nella quale Dio si compiace sino a chiamarla a diventare chiesa domestica". [291]

 

 

La cura pastorale del Vescovo verso i migranti

72. I movimenti dei popoli oggi hanno assunto proporzioni inedite e si presentano come movimenti di massa, che coinvolgono un enorme numero di persone. Tra queste, sono molte quelle allontanate o in fuga dal proprio paese a motivo di conflitti armati, di precarie condizioni economiche, di scontri politici, etnici e sociali, di catastrofi naturali. Tutte queste migrazioni, pur nella loro diversità, pongono seri interrogativi alle nostre comunità, in rapporto a problemi pastorali come l'evangelizzazione e il dialogo interreligioso.

È dunque opportuno che nelle Diocesi si provveda ad istituire strutture pastorali apposite per l'accoglienza e l'appropriata cura pastorale di queste persone, a seconda delle diverse condizioni in cui si trovano. Occorre favorire anche la collaborazione tra Diocesi confinanti, al fine di garantire un servizio piú efficiente e competente, curando anche la formazione di sacerdoti e operatori laici particolarmente generosi e disponibili per quest'impegnativo servizio, soprattutto in merito ai problemi di natura legale che possono sorgere nell'inserimento di queste persone nel nuovo ordinamento sociale. [292]

In tale contesto i Padri sinodali provenienti dalle Chiese cattoliche orientali hanno riproposto il problema, nuovo per alcuni aspetti e dalle gravi conseguenze nella vita concreta, dell'emigrazione dei fedeli delle loro Comunità. Accade, infatti, che un numero assai rilevante di fedeli provenienti dalle Chiese cattoliche orientali risiedano ormai abitualmente e stabilmente fuori dalle terre di origine e dalle sedi delle Gerarchie orientali. Si tratta, com'è comprensibile, di una situazione che interpella quotidianamente la responsabilità dei Pastori.

Per questo, anche il Sinodo dei Vescovi ha ritenuto necessario un piú approfondito esame sui modi con cui le Chiese cattoliche, sia Orientali sia Occidentali, possono stabilire opportune e adatte strutture pastorali in grado di venire incontro alle esigenze di questi fedeli in condizione di "diaspora". [293] In ogni caso, rimane doveroso per i Vescovi del luogo, per quanto di rito diverso, essere per questi fedeli di rito orientale dei veri padri, garantendo loro, nella cura pastorale, la salvaguardia dei valori religiosi e culturali specifici, nei quali sono nati e hanno ricevuto la loro iniziale formazione cristiana.

Sono, questi, solo alcuni ambiti nei quali la testimonianza cristiana e il ministero episcopale sono chiamati in causa con particolare urgenza. L'assunzione di responsabilità nei riguardi del mondo, dei suoi problemi, delle sue sfide, delle sue attese appartiene all'impegno di annuncio del Vangelo della speranza. La posta in gioco, infatti, è sempre il futuro dell'uomo, in quanto "essere di speranza".

È ben comprensibile che, nell'accumularsi delle sfide a cui è esposta la speranza, sorga la tentazione dello scetticismo e della sfiducia. Ma il cristiano sa di poter fronteggiare anche le situazioni piú difficili, perché il fondamento della sua speranza sta nel mistero della Croce e della Risurrezione del Signore. Da lí soltanto è possibile attingere la forza per mettersi e rimanere a servizio di Dio, che vuole la salvezza e la liberazione integrale dell'uomo.

 

 

 

CONCLUSIONE

 

73. Di fronte a scenari umanamente tanto complessi per l'annuncio del Vangelo, torna quasi spontaneamente alla memoria il racconto della moltiplicazione dei pani narrata nei Vangeli. I discepoli espongono a Gesú le loro perplessità riguardo alla folla, che affamata della sua parola lo ha seguito sin nel deserto, e gli propongono: "Dimitte turbas [...] Congeda la folla [...]" (Lc 9, 12). Hanno, forse, timore e non sanno davvero come sfamare un numero cosí grande di persone.

Un analogo atteggiamento potrebbe insorgere nell'animo nostro, quasi sconfortato dall'enormità dei problemi, che interpellano le Chiese e noi Vescovi personalmente. Occorre, in questo caso, fare ricorso a quella nuova fantasia della carità che deve dispiegarsi non solo e non tanto nell'efficienza dei soccorsi prestati, ma piú ancora nella capacità di farsi vicini a chi è nel bisogno, permettendo ai poveri di sentire ogni comunità cristiana come la propria casa. [294]

Gesú, però, ha una maniera sua propria di risolvere i problemi. Quasi provocando gli Apostoli, dice loro: "Dategli voi stessi da mangiare" (Lc 9, 13). Conosciamo bene la conclusione del racconto: "Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste" (Lc 9, 17). Quell'abbondanza residua è presente ancora oggi nella vita della Chiesa!

Ai Vescovi del terzo millennio è chiesto di fare ciò che tanti santi Vescovi seppero fare lungo la storia, sino ad oggi. Come san Basilio, ad esempio, il quale volle addirittura costruire, alle porte di Cesarea, una vasta struttura di accoglienza per i bisognosi, una vera cittadella della carità, che da lui prese il nome di Basiliade: traspare da ciò chiaramente che "la carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole". [295] Questa è la strada che anche noi dobbiamo percorrere: il Buon Pastore ha affidato il suo gregge ad ogni Vescovo, perché lo alimenti con la parola e lo formi con l'esempio.

Donde, allora, noi Vescovi prenderemo il pane necessario per dare risposta alle tante domande, interne ed esterne alle Chiese e alla Chiesa? Ci verrebbe da lamentarci, come gli Apostoli con Gesú: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla cosí numerosa?" (Mt 15, 33). Quali sono i "luoghi", da cui attingeremo le risorse? Possiamo almeno accennare ad alcune, fondamentali risposte.

La nostra prima, trascendente risorsa è la carità di Dio diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato donato (cfr. Rm 5, 5). L'amore con cui Dio ci ha amati è tale da poterci sempre sostenere nel trovare le vie giuste attraverso cui giungere al cuore dell'uomo e della donna di oggi. In ogni istante il Signore ci dona, con la forza del suo Spirito, la capacità d'amare e d'inventare le forme piú giuste e piú belle dell'amore. Chiamati ad essere servitori del Vangelo per la speranza del mondo, noi sappiamo che questa speranza non proviene da noi, ma dallo Spirito Santo, il quale "non cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell'uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che "possiedono le primizie dello Spirito" e "aspettano la redenzione del corpo"". [296]

L'altra nostra risorsa è la Chiesa, in cui siamo inseriti mediante il Battesimo con tanti altri nostri fratelli e sorelle, con i quali confessiamo l'unico Padre celeste e ci abbeveriamo all'unico Spirito di santità. [297] Fare della Chiesa "la casa e la scuola della comunione" è l'impegno a cui ci invita la situazione presente, se vogliamo rispondere alle attese del mondo. [298]

La nostra comunione nel corpo episcopale, in cui siamo stati inseriti mediante la consacrazione, è anch'essa una formidabile ricchezza, poiché costituisce un validissimo sostegno per leggere con attenzione i segni dei tempi e discernere con chiarezza quello che lo Spirito dice alle Chiese. Nel cuore del Collegio dei Vescovi c'è il sostegno e la solidarietà del Successore dell'apostolo Pietro, la cui potestà suprema e universale non annulla, anzi afferma, rafforza e rivendica la potestà dei Vescovi, successori degli Apostoli. Sarà importante, in questa prospettiva, valorizzare gli strumenti della comunione secondo le grandi direttive del Concilio Vaticano II. Non v'è dubbio, infatti, che vi sono circostanze - ed oggi non sono poche - nelle quali una singola Chiesa particolare ed anche piú Chiese vicine si trovano nell'incapacità o nella pratica impossibilità d'intervenire adeguatamente su problemi di piú grande rilievo. È soprattutto in queste circostanze che il ricorso agli strumenti della comunione episcopale può offrire un autentico aiuto.

Un'ultima, immediata risorsa per un Vescovo alla ricerca del "pane" per alleviare la fame dei suoi fratelli è la propria Chiesa particolare, quando la spiritualità della comunione emerga in essa come principio educativo "in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità". [299] È qui che il collegamento tra la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi e le altre tre Assemblee generali, che immediatamente l'hanno preceduta torna ancora una volta a mostrarsi. Poiché un Vescovo non è mai solo: non è solo nella Chiesa universale e neppure lo è nella sua Chiesa particolare.

74. L'impegno del Vescovo all'inizio di un nuovo millennio è cosí chiaramente delineato. È l'impegno di sempre: annunciare il Vangelo di Cristo, salvezza del mondo. Ma è impegno caratterizzato da urgenze nuove, che esigono la concorde dedizione di tutte le componenti del Popolo di Dio. Il Vescovo dovrà poter contare sui membri del presbiterio diocesano e sui diaconi, ministri del sangue di Cristo e della carità; sulle sorelle e sui fratelli consacrati, chiamati ad essere nella Chiesa e nel mondo testimoni eloquenti del primato di Dio nella vita cristiana e della potenza del suo amore nella fragilità della condizione umana; sui fedeli laici, infine, le cui accresciute possibilità di apostolato nella Chiesa costituiscono per i Pastori una fonte di particolare sostegno e un motivo di speciale conforto.

Al termine delle riflessioni svolte in queste pagine, ci rendiamo conto come il tema della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo riporti ciascuno di noi Vescovi verso tutti i nostri fratelli e sorelle nella Chiesa e verso tutti gli uomini e donne del mondo. Ad essi Cristo ci invia, come un giorno inviò gli Apostoli (cfr. Mt 28, 19-20). Nostro compito è quello di essere, per ogni persona, in modo eminente e visibile, un segno vivo di Gesú Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore. [300]

Cristo Gesú è dunque l'icona a cui, venerati Fratelli nell'episcopato, guardiamo per svolgere il nostro ministero di araldi della speranza. Come Lui dobbiamo anche noi saper offrire la nostra esistenza per la salvezza di quanti ci sono affidati, annunciando e celebrando la vittoria dell'amore misericordioso di Dio sul peccato e sulla morte.

Invochiamo su questo nostro compito l'intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli. Ella, che nel Cenacolo sostenne la preghiera del Collegio apostolico, ci ottenga la grazia di non venire mai meno alla consegna d'amore che Cristo ci ha affidato. Testimone della vera vita, Maria "brilla innanzi al peregrinante Popolo di Dio - e perciò in particolare dinanzi a noi, che ne siamo i Pastori - quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore". [301]

Dato a Roma, presso san Pietro, il 16 ottobre dell'anno 2003, venticinquesimo anniversario della mia elezione al Pontificato.

Giovanni Paolo II

 

 

 

 

Note

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[1] Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Preghiera di Ordinazione.

[2] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

[3] S. Tommaso d'Aquino, Super Ev. Joh., X, 3.

[4] Giovanni Paolo II, Omelia a conclusione della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (27 ottobre 2001), 3: AAS 94 (2002), 114.

[5] Discorso ai Cardinali, Arcivescovi e Vescovi d'Italia (6 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 68.

[6] Propositio 3.

[7] Cfr. Giovanni Paolo II, Preghiera nel trigesimo dell'11 settembre: L'Osservatore Romano, 12 ottobre 2001, p. 1.

[8] Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 8: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5; cfr. Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 41: AAS 63 (1971), 429-430.

[9] Cfr. Propositio 6.

[10] Cfr. Propositio 1.

[11] Cfr. Ottato di Milevi, Contra Parmenianum donat. 2,2: PL 11, 947; S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani, 1,1: PG 5, 685.

[12] Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 6: AAS 94 (2002), 111-112.

[13] Cfr. Messale Romano, Prefazio dei Santi Pastori.

[14] S. Agostino, Sermo 340/A,9: PLS 2, 644.

[15] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3.

[16] Cfr. Contro le eresie, III, 2, 2; 3, 1: PG 7, 847.848; Propositio 2.

[17] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; 27.

[18] Cfr. Ai Magnesiani, 6, 1: PG 5, 764; Ai Tralliani, 3, 1: PG 5, 780; Agli Smirnesi, 8, 1: PG 5, 852.

[19] Cfr. Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

[20] Cfr. Didascalia Apostolorum II, 33, 1, ed. F. X. Funk, I, 115.

[21] Cfr. Propositio 6.

[22] Cfr. Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

[23] N. 19.

[24] Cfr. ibid., 22; Codice di Diritto Canonico, can. 330; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 42.

[25] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, can. 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 49.

[26] Cfr. Propositio 20; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

[27] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 3; 5; 6; Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

[28] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), Adnexum I, 4: AAS 80 (1988), 914-915; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico can. 337 §§ 1, 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 50 §§ 1, 2.

[29] Cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione alla conclusione della VII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (29 ottobre 1987), 4: AAS 80 (1988), 610; Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum I (28 giugno 1988): AAS 80 (1988) 915-916; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

[30] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

[31] Ibid.

[32] Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos, (21 maggio 1998), 8: AAS 90 (1998), 647.

[33] Cfr. Sacramentario di Angoulême, In dedicatione basilicae novae: "Dirige, Domine, ecclesiam tuam dispensatione cælesti, ut quae ante mundi principium in tua semper est praesentia præparata, usque ad plenitudinem gloriamque promissam te moderante perveniat": CCSL 159 C, rubr. 1851; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 758-760; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9: AAS 85 (1993), 843.

[34] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

[35] Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

[36] Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 5.

[37] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

[38] Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 650.

[39] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22.

[40] Cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 12: AAS 90 (1998), 649-650.

[41] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 25-26.

[42] Cfr. Propositio 33.

[43] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21, 27; Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti (8 aprile 1979), 3: AAS 71 (1979), 397.

[44] Cfr. In Io. Ev. tract. 123, 5: PL 35, 1967.

[45] Sermo 340, 1: PL 38, 1483: "Vobis enim sum episcopus; vobiscum sum christianus".

[46] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

[47] Ibid., 32.

[48] Cfr. Propositio 8.

[49] Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 30: AAS 93 (2001), 287.

[50] Orazione II, n. 71: PG 35, 479.

[51] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 15.31: AAS 93 (2001), 276.288.

[52] N. 5: AAS 94 (2002), 111.

[53] Sacramentarium Serapionis, 28, ed. F. X. Funk, II, 191.

[54] Giovanni Paolo II, Omelia di inizio della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (30 settembre 2001), 5: AAS 94 (2002), 111.

[55] Codice di Diritto Canonico, can. 387; cfr. Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 197.

[56] Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 40.

[57] Sermo 340, 1: PL 38, 1483.

[58] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1804.1839.

[59] Cfr. Propositio 7.

[60] S. Cipriano, De oratione dominica, 23: PL 4, 535; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 4.

[61] Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna della mitra.

[62] Cfr. Propositio 7.

[63] Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 41.

[64] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 184: Città del Vaticano, 2002, p. 154.

[65] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 43: AAS 95 (2003), 35-36.

[66] Cfr. Propositio 8.

[67] Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 59: AAS 68 (1976), 50.

[68] Ai Filadelfiesi, 5: PG 5, 700.

[69] Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 25.

[70] Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus (2 febbraio 1974), 17: AAS 66 (1974), 128.

[71] Cfr. S. Agostino, Sermo 179, 1: PL 38, 966.

[72] Omelie sul Lev., VI : PG 12, 474 C.

[73] N. 39: AAS 93 (2001), 294.

[74] Cfr. Pseudo Dionigi Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica, III: PG 3, 512; S. Tommaso d'Aquino, S. Th. II-II, q. 184, a. 5.

[75] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 34: AAS 93 (2001), 290.

[76] S. Th. II-II, q. 17, a. 2.

[77] Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

[78] Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 84-85.

[79] Cost. ap. Laudis canticum (1 novembre 1970): AAS 63 (1971), 532.

[80] Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 20-21: AAS 88 (1996), 393-395.

[81] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 27: AAS 84 (1992), 701.

[82] Cfr. n. 28: l.c. 701-703.

[83] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18.

[84] Cfr. ibid., 27.37.

[85] Cfr. Propositio 10.

[86] A Policarpo, IV: PG 5, 721.

[87] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.

[88] Cfr. Propositio 9.

[89] Cfr. Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 49: AAS 93 (2001), 302.

[90] Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Consegna dell'anello.

[91] N. 43: AAS 93 (2001), 296.

[92] Hom. in Ez. I, 11: PL 76, 908.

[93] Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, p. 1178.

[94] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 70: AAS 84 (1992), 781.

[95] Ibid., 72: l. c., 787.

[96] Cfr. Propositio 12.

[97] Cfr. Propositio 13.

[98] Cfr. n. 6: AAS 94 (2002), 116.

[99] Cfr. Propositio 11.

[100] Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 12; cfr. Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

[101] Cfr.. Propositiones 14; 15.

[102] Cfr.. Propositio 14.

[103] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29: AAS 93 (2001), 285-286.

[104] Cfr.. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

[105] Cfr.. Propositio 15.

[106] Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 28: AAS 68 (1976), 24.

[107] Cfr. Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25; Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10; Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.

[108] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 7.

[109] Cfr. ibid., 8.

[110] Cfr. ibid., 10.

[111] Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 12.

[112] En. in Ps. 126, 3: PL 37, 1669.

[113] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.

[114] Ibid., 12.

[115] Cfr. Propositio 15.

[116] N. 63: AAS 71 (1979), 1329.

[117] Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 233: Ench. Vat. 16, 1065.

[118] Cfr. Propositio 15.

[119] Cfr. Propositio 47.

[120] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum veritatis (24 maggio 1990), 19: AAS 82 (1990), 1558; Codice di Diritto Canonico, can. 386 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 196 § 2.

[121] Cfr. Propositio 16.

[122] Discorso ai partecipanti al congresso nazionale italiano del Movimento ecclesiale di impegno culturale (16 gennaio 1982), 2: Insegnamenti V/1 (1982), 131; cfr. Propositio 64.

[123] Cfr. Propositio 65.

[124] Cfr. Propositio 66.

[125] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10.

[126] De Trinitate, VIII, 1: PL 10, 236.

[127] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 22-24: AAS 95 (2003), 448-449.

[128] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.

[129] N. 26.

[130] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, 10.

[131] Ibid., 41.

[132] Pontificale Romano, Benedizione degli oli, Premesse, 1.

[133] Cfr. Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, 21, 120, 202.

[134] Cfr. nn. 42-54.

[135] Cfr. Propositio 17.

[136] "Legem credendi lex statuat supplicandi": S. Celestino, Ad Galliarum episcopos: PL 45, 1759.

[137] Cfr. Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 11.14.

[138] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 35: AAS 93 (2001), 291.

[139] Cfr. Propositio 17.

[140] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.

[141] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 68.

[142] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 104.

[143] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

[144] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 21: AAS 95 (2003), 447-448.

[145] Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 26.

[146] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum ordinis, 5.

[147] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 28; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 41-42: AAS 95 (2003), 460-461.

[148] Cfr. Congregazione per il Clero (et aliae), Istr. interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997), "Disposizioni pratiche", art. 7: AAS 89 (1997), 869-870.

[149] Cfr. Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 64.

[150] Paolo VI, Cost. ap. Divinae consortium naturae (15 agosto 1971): AAS 63 (1971), 657.

[151] Cfr. Propositio 18.

[152] Cfr. Motu proprio Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1: AAS 94 (2002), 453-454.

[153] Cfr. Propositio 18.

[154] Cfr. Rituale Romano, Rito degli esorcismi (22 novembre 1998), Città del Vaticano 1999; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione (14 settembre 2000): L'Osservatore Romano, 24 novembre 2000, p. 6.

[155] Cfr. Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 48: AAS 68 (1976), 37-38.

[156] Ibid.

[157] Cfr. Propositio 19.

[158] Cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), 21: Città del Vaticano, 2002, 28-29.

[159] Cfr. Lettera ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 29-41:AAS 93 (2001), 285-295.

[160] Cfr. Propositio 48.

[161] Cfr. Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

[162] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 11; Codice di Diritto Canonico, can. 369; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 177 § 1.

[163] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

[164] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27.

[165] Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: proposta di omelia.

[166] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

[167] Ad Irenaeum, Epistulae, lib. I, ep. VI: Sancti Ambrosii episcopi Mediolanensis opera, Milano-Roma 1988, 19, p. 66.

[168] N. 27.

[169] Ibid.

[170] Cfr. Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208; 212 §§ 2, 3; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 7 § 1; 11; 15 §§ 2, 3.

[171] Cfr. Propositio 35.

[172] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 32; Codice di Diritto Canonico, cann. 204 § 1; 208.

[173] Cfr. Propositio 35.

[174] Cfr. AAS 89 (1997), 706-727. Un analogo discorso deve essere fatto per le Assemblee eparchiali, delle quali trattano i cann. 235-242 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

[175] Cfr. Propositio 35.

[176] Cfr. Propositio 36.

[177] Cfr. Propositio 39.

[178] Cfr. Propositio 37.

[179] Cfr. ibid.

[180] Cfr. Romae 1572, p. 52 v.

[181] N. 11.

[182] Cfr. nn. 16-17: AAS 84 (1992), 681-684.

[183] Cfr. Propositio 40.

[184] Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi eletti di recente (23 settembre 2002), 4: L'Osservatore Romano (23-24 settembre 2002), p. 5.

[185] Ep. ad Nepotianum presb., LII, 7: PL 22, 534.

[186] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 77: AAS 84 (1992), 795.

[187] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 16.

[188] Cfr. Propositio 40.

[189] Cfr. Propositio 41.

[190] Cfr. ibid.; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 60-63: AAS 84 (1992), 762-769.

[191] Cfr. ibid., 65: l.c. 771-772.

[192] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 1051.

[193] Cfr. Propositio 41.

[194] Cfr. Propositio 42.

[195] Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 843-879; Congregazione per il Clero, Directorium pro ministerio et vita Diaconorum permanentium (22 febbraio 1998): AAS 90 (1998), 879-926.

[196] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 44.

[197] Cfr. Propositio 43.

[198] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 39.

[199] Cfr. Propositiones 45, 46 e 49.

[200] Cfr. Propositio 52.

[201] Cfr. Propositio 51.

[202] Cfr. ibid.

[203] Cfr. Propositio 53.

[204] Cfr. Propositio 52.

[205] Cfr. Pontificale Romano, Rito dell'Ordinazione del Vescovo: Impegni dell'eletto.

[206] Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

[207] Cfr. Paolo VI, Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992), 9. 11-14: AAS 85 (1993), 843-845.

[208] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 337; 749 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 50; 597 § 2.

[209] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

[210] Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 8.

[211] Cfr. Lett. enc. Quadragesimo anno (15 maggio 1931): AAS 23 (1931), 203.

[212] Cfr. Propositio 20.

[213] Cfr. Relatio post disceptationem, 15-17: L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2001, p. 4; Propositio 20.

[214] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

[215] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 331 e 333; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43 e 45 § 1.

[216] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Communionis notio (28 maggio 1992),12: AAS 85 (1993), 845-846.

[217] Ibid., 13: l. c., 846.

[218] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 27; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus 8; Codice di Diritto Canonico, can. 381 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 178.

[219] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 753; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 600.

[220] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 22; Codice di Diritto Canonico, cann. 333 § 1; 336; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 43; 45 § 1; 49.

[221] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21; Codice di Diritto Canonico, can. 375 § 2.

[222] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 27; cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 1.

[223] Cfr. Discorso in apertura del terzo periodo del Concilio (14 settembre 1964): AAS 56 (1964), 813.

[224] Cfr. Sinodo dei Vescovi, II Assemblea Generale Straordinaria, Relazione Finale Exeunte coetu (7 dicembre 1985), C. 1: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, p. 7.

[225] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

[226] Cfr. Propositio 27.

[227] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988) art. 31: AAS 80 (1988), 868; Adnexum I, 6: ibid., 916-917; Codice di Diritto Canonico, can. 400 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 208.

[228] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

[229] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus, Adnexum (28 giugno 1988) I, 2; I, 5: AAS 80 (1988), 913; 915.

[230] Cfr. S. Ireneo, Contro le eresie 3, 3, 2: PG 7, 848.

[231] Cfr. S. Ignazio d'Antiochia, Ai Romani 1, 1: PG 5, 685.

[232] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 13.

[233] Cfr. ibid., 21-22; Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 4.

[234] Cfr. Propositiones 26 e 27.

[235] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 399; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 206.

[236] Cfr. Propositio 25.

[237] Cfr. Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965): AAS 57 (1965), 775-780; Conc. Ecum. Vat. II., Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 5.

[238] Cfr. Paolo VI, Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), II: AAS 57 (1965), 776-777; Allocuzione ai Padri sinodali (30 settembre 1967): AAS 59 (1967), 970-971.

[239] Cfr. Propositio 25.

[240] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 333 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 45 § 2.

[241] Can. 343.

[242] Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 44: AAS 93 (2001), 298.

[243] Propositio 31; Cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 13: AAS 90 (1998), 650-651.

[244] Cfr. Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 6.

[245] Cfr. Propositio 32.

[246] Cfr. Propositio 33.

[247] Cfr. Propositio 21.

[248] Cfr. Propositio 22.

[249] Cfr. Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 11.

[250] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacri canones (18 ottobre 1990): AAS 82 (1990), 1037.

[251] Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 11.

[252] Cfr. Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 76 e 77.

[253] Cfr. Canones Apostolorum, VIII, 47, 34: ed. F. X. Funk, I, 572-574.

[254] Cfr. Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 110 § 3 e 149.

[255] Cfr. ibid., cann. 110 § 1 e 150 §§ 2,3.

[256] Cfr. ibid., cann. 110 § 2 e 1062.

[257] Cfr. ibid., cann. 140-143.

[258] Cfr. Propositio 28; Codice di Diritto Canonico, can. 437 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 156 § 1.

[259] Decr. sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 36.

[260] Cfr. Codice di Diritto Canonico, cann. 441; 443.

[261] Cfr. AAS 90 (1998), 641-658.

[262] Can. 322.

[263] Cfr. Propositiones 29 e 30.

[264] Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 6: AAS 90 (1998), 645-646.

[265] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 450.

[266] Cfr. Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 10.12: AAS 90 (1998), 648-650.

[267] Cfr. ibid., nn. 12; 13; 19: l. c., 649-651.653-654; Codice di Diritto Canonico, cann. 381 § 1; 447; 455 § 1.

[268] Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos (21 maggio 1998), 18: AAS 90 (1998), 653.

[269] Ibid.

[270] Cfr. Propositio 25.

[271] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 459 § 1.

[272] Cfr. Propositio 30.

[273] Cfr. Propositio 60.

[274] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 38.

[275] Cfr. Propositio 63.

[276] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 11: AAS 83 (1991), 259-260.

[277] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 6.

[278] Cfr. ibid., 1.

[279] Cfr. Propositiones 54-55.

[280] Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 10-11: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

[281] Cfr. Propositio 55.

[282] Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 (8 dicembre 2001), 8: AAS 94 (2002), 137.

[283] Cfr. Propositiones 61 e 62.

[284] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Dominus Iesus (6 agosto 2000), 22: AAS 92 (2000), 763.

[285] N. 1.

[286] Cfr. Propositio 56.

[287] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999), 55: AAS 91 (1999), 790-791.

[288] Cfr. Propositio 56.

[289] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990 (8 dicembre 1989), 7: AAS 82 (1990), 150.

[290] Cfr. Propositio 57.

[291] Sinodo dei Vescovi, X Assemblea Generale Ordinaria, Messaggio (25 ottobre 2001), 12: L'Osservatore Romano, 27 ottobre 2001, p. 5.

[292] Cfr. Propositio 58.

[293] Cfr. Propositio 23.

[294] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 50: AAS 93 (2001), 303.

[295] Cfr. ibid.

[296] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986), 67: AAS 78 (1986), 898.

[297] Cfr. Tertulliano, Apologeticum, 39, 9: CCL 1, 151.

[298] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 296.

[299] Ibid.

[300] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21.

[301] Ibid., 68.

 

 

 

 

 

 

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