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Attenzione!

Il testo, per la natura degli argomenti trattati e per le immagini usate, è rivolto esclusivamente ad un pubblico adulto.

 

 

 

 

La situazione delle donne nel mondo militare di rado è oggetto di profonda riflessione e attenzione da parte del mondo politico e forse ancor meno da parte della pubblica opinione. Si tratta di una problematica che è vittima di tutto il peso del conformismo ipocrita che regna incontrastato nelle nostre società. È tacitamente vietato trattare di questi temi se non all’insegna di un rigoroso “politically correct”, dove le menzogne piú spudorate sono ben accette, specie se confacenti all’ideologia dominante, alle riviste patinate e alle pubbliche parate. Parliamo dell’ideologia del gender, che rende quanto mai difficoltosa, ai vertici militari e soprattutto politici, una riflessione schietta, serena e libera da ogni condizionamento. Un esercito moderno oggi, di fronte all’opinione pubblica occidentale, non può non esibire donne in uniforme, poco importa se ciò risponda alle reali esigenze operative dello strumento bellico e nondimeno al bene stesso della donna. Per millenni, gli eserciti regolari dei popoli civili, non hanno mai ammesso le donne fra le loro fila, se non in compiti logistici e nelle retrovie. Quello che le nostre società hanno fatto è sí un passo in avanti, ma solo verso la barbarie. Se la presenza femminile in alcuni settori delle Forze dell’Ordine è parzialmente giustificata da esigenze umane e sociali ben note a tutti, non si vede in alcun modo come possa esserlo nelle Forze Armate che, nell'eventualità, sono sempre affiancate dai corpi militari della Croce Rossa o da altre agenzie umanitarie. L’unica giustificazione possibile è esclusivamente politico-ideologica e nel teatro operativo questo non è mai un dato rassicurante, né tanto meno vincente.

L’articolo proposto e tradotto liberamente, del giornalista statunitense Jared Taylor, ha il merito di affrontare questa problematica, talvolta con grande crudezza e franchezza, senza fare sconti a nessuno: né al mondo politico, né agli alti vertici militari, né all’ideologia dominante. Quello di Jared Taylor è anche un modo di concepire lo strumento militare, in questo caso quello americano, a cui molti, da tempo, non sono piú abituati. Lungi dal condividerne tutte le posizioni occorre ammettere che decenni di politiche pacifiste e buoniste hanno trasformato il nostro modo di intendere il mondo militare come ad una sorta di organizzazione "filantropica" o - per dirla spiritosamente con l’Autore - come ad una congrega di seminaristi votati alla castità perpetua. Indubbiamente si tratta di un tema complesso e particolarmente delicato e proprio per questo va affrontato con realismo e decisione. Un realismo talvolta imbarazzante, quello di Taylor, ma sempre piú sincero e costruttivo dei silenzi ufficiali e dei moralismi che spesso aggravano la situazione.

Sí, la realtà è ben diversa e Dio voglia che la storia futura non ci costringa ad un brusco e drammatico risveglio. È vero, esistono anche le missioni di pace, a scopo umanitario, ma esse non sono la norma, sono l’eccezione; inoltre anche nelle missioni cosiddette “di pace” può essere necessario l’uso della forza, con esiti spesso imprevedibili e dolorosi. La guerra non è mai una passeggiata e nessuno può illudersi di prender parte ad un’operazione militare e di tornare a casa senza riportarne alcun segno. È facile purtroppo minimizzare i fatti stando comodamente seduti su una poltrona, in casa o in ufficio, comunque al sicuro, in tempo di pace. La guerra, anche per chi ha la fortuna di tornare a casa incolume, lascia sempre segni terribili, nel cuore e nella mente dei soldati. È soprattutto allora, oltre che nel campo di battaglia, che occorre aiutare questi esseri umani recuperandoli alla serenità e alla pace, ma il cammino non è né semplice, né facile, per nessuno.

 

 

 Iraq War

Teatro iracheno

 

 

 

La verità è che i problemi esistono e sono gravi e non possono essere risolti voltando scioccamente la testa dall’altra parte o coprendoli con il silenzio stampa. L’esperienza del mondo militare americano in queste tematiche è piú lunga di quella di tanti altri paesi, purtroppo le scelte fin qui fatte non appaiono sagge, né credibili; la mentalità di fondo e gli errori sono fondamentalmente gli stessi ovunque, cosí pure le inutili soluzioni adottate. Inutili, perché l’esperienza insegna che l’unica opzione possibile, per risolvere definitivamente il problema, è ripensare radicalmente alla questione tagliando tutto ciò che è superfluo. Se infatti c’è un settore della nazione, di qualsiasi nazione, dove non è possibile permettersi pericolosi compromessi questo è proprio quello delle Forze Armate.

Lo strumento operativo deve poter garantire, in ogni situazione, il massimo dell’efficienza e della risolutezza, ottimizzando al meglio tutte le risorse, spesso limitate. Certamente sta alla politica decidere di quale strumento militare dotare la propria nazione ma ad una tacita e fatale condizione: in caso di guerra sarà lo strumento militare a decidere della sopravvivenza della nazione e della sua classe dirigente e, se questo strumento non sarà piú che adeguato, sarà la fine dell’una e dell’altra. Senza sconti. È questa la dura lezione che la storia ci ha già impartito molte volte.

[9 maggio 2014]

 

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 Iraq War

Teatro iracheno

 

 

 

LA VIOLENZA SESSUALE NEL MONDO MILITARE

Jared Taylor

 

19 agosto 2008

 

 

 

La rivista irrimediabilmente liberale In These Times, ha appena pubblicato un lungo articolo sugli stupri nell’esercito [Perché i soldati stuprano, di Helen Benedict, 13 agosto 2008]. Riprendendo un punto di vista molto in voga, l’articolista afferma che uno stupratore è “un torturatore che usa il sesso come arma per umiliare e distruggere le sue vittime”, ed attribuisce la colpa dello stupro fra i militari alla loro “cultura misogina”. L’articolo riferisce che quel 14% di soldati che attualmente è composto da donne, deve sottostare al “linguaggio militare” che è indicativo di una “ostilità imperturbabile nei confronti delle donne”, e che stupri e molestie sessuali sono stati un problema per decenni. È stata quindi proposta una soluzione: un radicale rinnovamento della “cultura” militare per rendere la vita militare piú sicura per le donne.

Fermiamoci un attimo e ricordiamo a cosa servono i soldati. Il loro lavoro è trovare ed uccidere il nemico. È cosí dall’Età della Pietra, ed è sempre stato chiaro che i tipi migliori per questo lavoro sono uomini, giovani, aggressivi e duri. I soldati devono buttare giú porte a pedate, rimanere impassibili sotto il fuoco nemico e, se necessario, uccidere le persone a mani nude. Potrebbero dover passare ore nel caricare pezzi di artiglieria, marciare in zone di combattimento, trascorrere giorni e giorni con gli stessi indumenti. E oggi, ancor piú in un esercito di soli volontari, devono aspirare a fare queste cose.

I soldati devono avere anche una grande fiducia reciproca fondata sulla vita vissuta in comune. Dai tempi dei Greci, i comandanti sanno bene cos’è quella che oggi chiamiamo una “unità compatta”: i soldati hanno sempre apprezzato la lealtà temprata nel fuoco della battaglia. Capita cosí che questi uomini abbiano per il sesso, come minimo, un interesse di livello medio, tenendo presente l’età nella quale “medio” significa quasi “ossessivo”. Un esercito sul campo è come una gigantesca “camerata” dove i giovani sfoggiano la loro natura e assumono atteggiamenti volgari proprio perché non ci sono donne in giro.

Cosa succede quando compaiono delle donne? Si calcola che il 10% dei soldati inviati in Iraq ed Afghanistan fossero donne [Women in Combat: NPR, ottobre 2007]. La maggior parte, con poche eccezioni, avevano incarichi di combattimento, con tutto il pericolo, lo stress ed i disagi che ne conseguono. Cosa succede quando ad una unità viene assegnata una donna? Se è anche solo un po’ gradevole da guardare, ogni uomo - e voglio dire proprio tutti - cercherà di avere una relazione. Ciò significa avances, rifiuti, gelosie, risentimenti, e ragazzi che, se prima erano commilitoni ora diventano avversari, anche feroci. Se poi uno o piú di loro avranno una relazione con lei tutti lo sapranno. Gli altri sentiranno tutto, stando solo ad un paio di metri di distanza, magari separati appena da un paio di tende.

Chiunque non comprenda quanto, tutto questo, avveleni il morale e l’efficienza di un'unità combattente o non è mai stato adolescente o rifiuta semplicemente di guardare in faccia la realtà. Ma questo spiega davvero gli stupri? La rivista In These Times lamenta il fatto che nell’esercito gli stupri siano il doppio che nella vita civile, con una frequenza particolarmente alta nelle zone di guerra. Solo il doppio? I soldati vengono scelti proprio fra quelle fasce di popolazione responsabili della maggior parte degli stupri. All’opposto, le fasce restanti comprendono perlopiú anziani e bambini. Ne deriva che i soldati sono piú propensi allo stupro dei civili della stessa fascia di età.

Quello che è piú interessante è che il tipo di stupro piú comune nell’esercito è lo stupro “su appuntamento” o “da persona nota” [Reported Cases of Sexual Assault in Military Rise, by Michael Norris, NPR, 4 ottobre 2007], che difficilmente si configura come quel tipo di tortura e degradazione sessuale per la quale la rivista In These Times inorridisce. I giovani - in particolare i piú duri e aggressivi - desiderano il sesso piú di qualunque altra cosa. A volte, purtroppo, se lo prendono con la forza. Quello che la rivista In These Times definisce stupidamente “cultura misogina” è la normale conseguenza di un’adolescenza repressa ed esasperata da un cameratismo coattivo. È inevitabile che accada questo in una categoria di uomini dai quali ci si aspetta che mettano in gioco le loro vite per noi.

Diciamo semplicemente che i soldati non hanno una considerazione cosí alta dell’onore delle fanciulle come ce l’hanno i seminaristi. Essere sconcertati dal fatto che talora dei soldati trattino male delle donne è tanto stupido quanto pensare che i componenti di una squadra di rugby non siano piú maneschi dei giocatori di scacchi. Noi scegliamo i giocatori di rugby e i soldati in base a delle specifiche qualità ed è giusto che sia cosí: non si possono eliminare certi problemi senza escludere anche una parte di quelle doti necessarie in combattimento. Finché non saremo pronti ad affidare la difesa delle nostre vite e delle nostre libertà a dei seminaristi, dovremo accettare nei nostri soldati una certa dose di egocentrismo.

 

 Iraq War

Teatro iracheno

 

 

 

Le donne non dovrebbero mai trovarsi nelle zone dove si combatte, neppure vicino. Come rileva Dave Grossman in On Killing: The Psychological Cost of Learning to Kill in War and Society, anche gli uomini hanno una forte ed innata resistenza ad uccidere. Devono essere addestrati per superarla. Ciò che noi facciamo è imbarbarire deliberatamente gli uomini affinché diventino assassini efficienti, e la legge è sempre piú permissiva nei confronti di questi mezzi-barbari. Anche le donne dunque rischiano di essere colpite e devono starne alla larga. Tutto ciò non ha alcuna relazione con il chiedersi se le donne siano o meno in grado di svolgere lo stesso lavoro. Il Center for Military Readiness evidenzia l’ovvietà: le donne hanno, mediamente, metà della corporatura degli uomini ed hanno negli arti superiori metà della forza degli uomini. Hanno solo dal 70 al 75% della capacità aerobica degli uomini e quindi si esauriscono prima [Women in Combat: Frequently Asked Questions, Center for Military Readiness, 22 Novembre 2004]. Forse, fra le atlete olimpiche c’è qualche donna che possa competere con gli uomini, ma l’esercito non arruola gli atleti olimpici: nelle sue fila si trova la donna media, cosí l’esercito, per poterle arruolare, ha notevolmente abbassato i requisiti fisici minimi richiesti.

Gli alti papaveri militari sanno che fa parte della politica ufficiale dell’esercito inviare le donne vicino al fronte, anche se non è previsto che vengano assegnate alle zone di combattimento. Quanti pensano davvero che sia una buona idea? Tutti i soldati con i quali ho parlato mi hanno garantito in confidenza che se una donna ufficiale medico non ce la fa a caricarsi sulle spalle un soldato ferito per metterlo al sicuro, e quel soldato muore, gli alti gradi militari fanno in modo che nessuno lo venga a sapere. Alcuni casi di incompetenza però sono stati troppo macroscopici per restare nascosti. Per esempio, nel 1994 Kara Hultgreen, appena pochi mesi dopo aver avuto la certificazione quale prima donna pilota di F-14, si uccise in un atterraggio sbagliato sulla portaerei Lincoln [USS Abraham Lincoln (CVN-72)]. Il suo addestramento era talmente pieno di lacune che l’avrebbero dovuta cacciare dalla scuola di volo, ma la Marina Militare voleva avere a tutti i costi una donna pilota.

Poche nazioni mandano le donne in combattimento: nel 1948, Israele ha dato alle donne armi automatiche e brevetti di volo per aerei da caccia. Ma ha smesso: le donne non possono volare e causano problemi a terra. Dave Grossman, nello stesso libro già citato, osserva che gli uomini si assumono rischi stupidi, pericolosi, nel tentativo di proteggere le donne, e i soldati sono cosí stravolti dalle grida delle donne ferite, da non riuscire a controllarsi. Anche l’esercito australiano, che voleva arruolare le donne fra le sue fila, ha scoperto le stesse cose: è piú facile insegnare agli uomini ad uccidere che a trattare le donne in modo diverso dai loro commilitoni [Women in the Military Service, by Melody Kemp, Isis, 1999].

Jessica Lynch è un perfetto esempio di quelle ragioni per cui le donne non dovrebbero mai trovarsi in nessuna zona di combattimento. Senza dubbio, è proprio perché l’esercito conosce la mentalità della maggior parte degli americani circa le donne combattenti, che hanno inventato la storiella di quella eroica ragazza di 45 chili, che ha fatto a coltellate con gli iracheni, benché non avesse mai sparato neppure un colpo. L’Esercito poi ha commesso il classico errore di impantanarsi in un recupero lunghissimo per salvarla: mandarono una squadra congiunta di Delta Force, Army Rangers, Navy Seals ed Air Force Pararescue Jumpers - che avevano cose di gran lunga piú importanti da fare - per liberarla da un ospedale che poi risultò privo di sorveglianza.

 

 Jessica Linch

La stampa USA smaschera la falsa storia della Linch

 

 

 

Anche se le donne fossero dei validi soldati, il sesso fra commilitoni è un grave problema, fosse solo per il fatto che è una seria distrazione. Come mi spiegò un furiere, la sua unità di base in Iraq aveva “fatto piú sesso che sparato”. Un altro soldato mi raccontò che anche alle donne che non erano particolarmente disponibili piaceva avere foto audaci da portarsi dietro. Le navi della Marina Militare, dove uomini e donne passano mesi insieme e si ritrovano spesso anche in locali chiusi, sono notoriamente delle love boats che offrono tutto il campionario di distrazioni, gelosie e gravidanze. La Marina tiene in conto le gravidanze piú di ogni altra cosa, perché non vuole puerpere in alto mare. Benché fornisca contraccettivi come se fossero souvenirs i dati raccolti fin dal 2000 mostrano che un significativo 10-12% di donne imbarcate rimane comunque incinta. Per le donne che restano a terra è anche peggio. Una ricerca del 2005 ha rilevato che il 64% delle donne della Marina rimangono incinte senza volerlo (il valore generale, riferito alla nazione, è del 49%). Questo è proprio quello che succede quando si mettono un po’ di giovani donne in una barca, insieme ad un mucchio di giovani uomini.

La Marina Militare non permette alle madri non sposate e con prole di arruolarsi e fino al 1975 espelleva tutte le donne arruolate che restavano incinte. Ora non piú. Dal 2005, il 14% di tutte le donne arruolate in Marina sono diventate madri single: rifilano i loro figli ai familiari a terra, e se ne vanno in mare anche per mesi. Le donne che restano incinte a bordo, vengono sbarcate dalla nave alla ventesima settimana e gli altri devono svolgere il loro lavoro. I sottomarini sono l’unico tipo di imbarcazione della Marina Militare che non ammette donne a bordo. La ragione ufficiale è data dai costi: 300.000 dollari a cuccetta per modificare e creare locali riservati, mentre le stesse modifiche su una portaerei costano “solo” 4.000 dollari a cuccetta. Come ben sanno tutti quelli con i quali ho parlato, i sottomarini sono orgogliosi di essere l’ultimo bastione di quello che considerano essere il buon senso.

Per quanto riguarda il problema che preoccupa Helen Benedict, giornalista di In These Times, la soluzione ovvia è quella di tenere lontane le donne dai lavori pericolosi che non sanno fare, lontano dagli uomini che sanno farli. Benedict afferma che 38 delle 40 donne che ha intervistato negli ultimi due anni “sono state costantemente molestate sessualmente dai loro commilitoni mentre erano di stanza in Iraq o in Afghanistan”. Anche tenendo in conto l’autocommiserazione e l’esagerazione che inevitabilmente distorcono i dati, tutto ciò non ci dice niente?

Cioè, almeno, che le donne e la guerra forse non sono una buona accoppiata?

Apparentemente no: piuttosto che risolvere il problema nell’unico modo possibile, alcuni liberali, insieme ad alcune femministe, preferirebbero avere un esercito di lavoratori impegnati nel sociale ai quali mettere in mano dei fucili, piuttosto che avere dei veri soldati.

Che Dio ci aiuti, se le cose andranno cosí.

 

 

 

 

 

 

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