[ Il documento della Commissione per la dottrina della fede della Conferenza Episcopale Spagnola ha per oggetto le teologia spagnola ma ha indubbiamente un orizzonte universale, da ciò il suo interesse. Il documento ha la forma di un'istruzione pastorale ed è frutto di tre anni di attento e puntuale lavoro.

Con tale istruzione l'episcopato spagnolo ha posto in evidenza un problema diffuso e grave, il disorientamento della teologia e la sua crescente secolarizzazione, ma ha anche voluto indicare alcuni rimedi efficaci.

La conseguenza della secolarizzazione interna alla Chiesa è un diffuso smarrimento della fede causato anche da proposte teologiche che hanno in comune una presentazione deformata del mistero di Cristo. Il rimedio principale è quello di ridar vita alla professione di fede: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16), sui quattro versanti dove essa è oggi piú insidiata che mai:

1) l'interpretazione delle sacre Scritture,

2) Gesú Cristo in quanto unico salvatore di tutti gli uomini,

3) la Chiesa come Corpo di Cristo e

4) la vita morale. L'istruzione si articola cosí in quattro grandi capitoli. In ciascuno, essa dà prima le coordinate della dottrina autentica e poi denuncia le teologie che la deformano recuperando una corretta visione teologica ].

 

 

 

 

 

 

Teologia e secolarizzazione in Spagna

A quaranta anni dalla chiusura del concilio Vaticano II

 

Istruzione pastorale dell'86º assemblea plenaria

della Conferenza Episcopale Spagnola

 

Madrid - 30 marzo 2006

 

 

 

Introduzione

 

1. «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). La domanda di Gesú Cristo ai suoi discepoli si estende nel corso della storia ai cristiani di tutti i tempi. La risposta che diamo determinerà il nostro modo di avvicinarci alla persona di Cristo e il nostro modo di concepire l'esistenza cristiana. La risposta insufficiente che nasce dalle possibili opinioni umane - «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?» (Mt 16,13) - viene superata a partire dall'incontro personale con il Salvatore nella Chiesa nascente. Gesú si rivolge alla comunità dei suoi discepoli e, in mezzo a loro, ascolta le parole di Simon Pietro, la cui verità si fonda sulla rivelazione del Padre e non sull'opinione della gente (1): «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). L'affermazione dell'apostolo non ha origine né dalla carne né dal sangue, cosí come la sua solidità di «pietra», che Pietro riceve direttamente da Cristo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).

2. In occasione del quarantesimo anniversario dalla chiusura del concilio Vaticano II vogliamo ritornare nella regione di Cesarea di Filippo per ascoltare la domanda di Gesú Cristo e fare nostra la risposta di Pietro (2).

Lo sforzo di recepire l'insegnamento conciliare non è ancora terminato. Passati quarant'anni siamo testimoni dei frutti preziosi che ha prodotto la buona semente. Nel contempo, non sono pochi coloro che in questo arco temporale, all'ombra di un concilio inesistente, tanto nella lettera quanto nello spirito, hanno seminato agitazione e inquietudine nel cuore di molti fedeli. In un ambiente culturale in cui si riflettono le opinioni piú diverse su Gesú, occorre invece accogliere docilmente la rivelazione del Padre, quanto cioè lo Spirito ci dice nel concilio Vaticano II, lasciarci colmare dalla gioia che viene dall'Alto, riposare serenamente sulla roccia che è la Chiesa e rinnovare ogni giorno la nostra confessione di fede (3).

3. Consapevoli di aver ricevuto mediante l'imposizione delle mani la missione di conservare integro il deposito della fede (cf. 1Tm 6,20) e attenti alla voce di tanti fedeli che si sentono «portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14), parlando con una sola voce in comunione con il successore di Pietro, come testimoni della verità divina e cattolica (4), desideriamo offrire una parola di orientamento e discernimento di fronte a determinate teorie dottrinali, che hanno preso piede all'interno della Chiesa e che hanno trovato una diffusa accoglienza anche in Spagna, turbando la vita ecclesiale e la fede delle persone semplici. Siamo motivati unicamente dalla sollecitudine pastorale. Siamo convinti che la nuova evangelizzazione non potrà compiersi senza l'aiuto di una sana e profonda teologia, in cui risplendano lo spirito di fede e l'appartenenza ecclesiale. Al fine di vigilare mediante la comunione reale nella fede e nella carità, la nostra missione magisteriale, senza limitare la legittima autonomia della riflessione teologica, deve custodire la sua fedeltà alla parola di Dio scritta e trasmessa (5). L'annuncio del Vangelo sarà mediocre, se persistono e si propagano insegnamenti che minacciano l'unità e l'integrità della fede, la comunione della Chiesa e insinuano dubbi e ambiguità rispetto alla vita cristiana.

4. Con la presente istruzione pastorale intendiamo rivolgere il nostro sguardo su alcuni aspetti del lavoro teologico realizzato in Spagna negli ultimi decenni, con il desiderio di promuovere l'annuncio integrale del Vangelo, in mezzo a una società che si sente tentata da un'apostasia silenziosa da Dio (6). Vorremmo, anzitutto, e una volta ancora, riaffermare il nostro piú profondo riconoscimento e ringraziamento a tante persone che svolgono, con impegno esemplare, la loro missione ecclesiale nell'ambito della teologia. Constatiamo con gioia come la maggior parte di essi «si pongano nel loro ruolo di teologi cattolici, sia in merito alla dottrina sia per il loro atteggiamento ecclesiale, in sintonia con il magistero e al servizio del popolo di Dio» (7), sforzandosi di mantenere un dialogo aperto di fronte alle sfide e sollecitazioni di un mondo secolarizzato poiché, nonostante tutte le contraddizioni della nostra società, il cuore dell'uomo non smette di cercare e sperare. Nella teologia spagnola attuale ci sono segni di speranza: cresce lo spirito di collaborazione nell'ambito della ricerca e dell'insegnamento; la teologia si apre sempre piú diffusamente a tutto il popolo di Dio; possiamo contare su maggiori strumenti di studio; si percepisce con maggiore chiarezza il vincolo inscindibile tra la teologia e la vita cristiana; il dialogo tra vescovi e teologi è piú fluido nella maggior parte delle diocesi; e si sono consolidate le associazioni teologiche specializzate, fedeli alla dottrina della Chiesa.

5. Insieme a questi luminosi segni di speranza, osserviamo con viva preoccupazione ombre che oscurano la verità. Noi vescovi abbiamo ricordato in varie occasioni che la questione principale con cui deve confrontarsi la Chiesa in Spagna è la sua secolarizzazione interna (8). All'origine della secolarizzazione vi è la perdita della fede e dell'intelligenza della fede, nella quale giocano, senza dubbio, un ruolo importante alcune proposte teologiche non sufficientemente fondate relative alla confessione di fede cristologica. Si tratta di interpretazioni riduttive che non accolgono il mistero rivelato nella sua integrità. Gli aspetti della crisi possono riassumersi in quattro punti: concezione razionalista della fede e della rivelazione (9); umanesimo immanentista applicato a Gesú Cristo; interpretazione meramente sociologica della Chiesa e soggettivismo-relativismo secolarizzato nella morale cattolica. Ciò che unisce tutte queste argomentazioni non sufficientemente fondate è l'abbandono e il non riconoscimento dell'essenza specificamente cristiana, in special modo del valore definitivo e universale di Cristo nella sua rivelazione, nella sua condizione di Figlio del Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale (10). La presente istruzione pastorale si articola intorno a questi quattro punti, segnalando, a partire dalla confessione di fede di Pietro, alcuni insegnamenti che mettono in pericolo la professione di fede e la comunione ecclesiale, che causano confusione tra i fedeli e sono d'ostacolo allo sviluppo dell'evangelizzazione.

 

 

1. Gesú Cristo, pienezza della rivelazione

6. «Perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). Quando l'apostolo san Pietro confessa Gesú come Figlio di Dio, lo stesso Signore Gesú dichiara che questa verità non è stata indotta da una realtà umana, bensí rivelata dal Padre che sta nei cieli. Nelle sue parole si trova formulato il carattere specifico e assoluto della rivelazione cristiana, dono gratuito che non si riduce alla sapienza di questo mondo («la carne e il sangue»).

 

 

a) Concezione cattolica della rivelazione

7. Il concilio Vaticano Il ha descritto la rivelazione di Dio in termini di dialogo di amicizia: «Con questa rivelazione infatti Dio invisibile per la ricchezza del suo amore parla agli uomini come amici e si intrattiene con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (11). Avendo deciso di rivelarsi, Dio ha parlato agli uomini e ha adottato il linguaggio umano dell'amicizia con una finalità ben precisa: portare l'uomo alla comunione di vita con Lui mediante la partecipazione alla sua natura divina (12). «Dio che "abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16), vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben piú di quanto sarebbero capaci da sé stessi» (13).

8. L'insegnamento conciliare ha posto in evidenza gli elementi specifici del compimento della rivelazione, intesa come manifestazione che Dio fa di se stesso all'uomo. È il risultato della libera e assoluta iniziativa di Dio. Il suo oggetto è Dio stesso e i propositi della sua volontà, vale a dire che Dio non ci fa semplicemente conoscere qualcosa, bensí se stesso, come Dio vivente in Gesú Cristo, suo Figlio (14). La sua finalità è la comunione e la partecipazione di vita con il Padre, resa possibile mediante Gesú Cristo per opera dello Spirito Santo. La pienezza della rivelazione avviene in Gesú Cristo, di modo che conoscere Cristo significa conoscere Dio: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9) (15). Di conseguenza, la concezione cattolica della rivelazione sottolinea tanto il suo carattere gratuito e radicalmente nuovo, quanto il suo carattere completo e definitivo (cf. Eb 1, l-2). Dalla comprensione corretta della rivelazione del Figlio dipende tutto l'edificio della fede, ciò che viviamo e che professiamo.

9. Risulta incompatibile con la fede della Chiesa considerare la rivelazione, secondo quanto sostengono alcuni autori, come una mera percezione soggettiva per la quale «ci si rende conto» del Dio che ci abita e che tenta di manifestarsi a noi. Anche quando usano un linguaggio che apparentemente si avvicina a quello ecclesiale, si allontanano tuttavia dal sentire della Chiesa (16). E necessario riaffermare che la rivelazione presume una novità (17), perché fa parte del disegno di Dio che «guarda con benevolenza i [suoi] figli di adozione» (18). Per questo è sbagliato intendere la rivelazione come lo sviluppo immanente della religiosità dei popoli e considerare che tutte le religioni sono «rivelate», in conformità al grado di progresso raggiunto nella loro storia e, in questo senso vere e salvifiche. La Chiesa riconosce, per disposizione di Dio, quanto vi è di vero e di santo nelle religioni non cristiane (19). Riconosce inoltre che «quando lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica» (20), poiché la sua fonte ultima è Dio. Ne consegue che si possa legittimamente sostenere che, mediante gli elementi di verità e santità contenuti nelle altre religioni, lo Spirito Santo operi la salvezza nei non cristiani; questo non significa, tuttavia, che le altre religioni possano essere considerate, «come tali, vie di salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano le verità fondamentali su Dio, l'uomo e il mondo» (21).

10. La dottrina cattolica sostiene che la rivelazione non può essere equiparata a quelle che alcuni chiamano le «rivelazioni» di altre religioni. Tale equiparazione non tiene conto del fatto che «la profonda verità, sia su Dio sia sulla salvezza dell'uomo, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale nello stesso tempo è il mediatore e la pienezza dell'intera rivelazione» (22). Gesú Cristo, il Figlio eterno del Padre fatto uomo nel seno purissimo della vergine Maria per opera e grazia dello Spirito Santo, è la parola definitiva di Dio all'umanità. In Cristo «si dà la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio» (23). Pretendere che le «rivelazioni» di altre religioni siano equivalenti o complementari alla rivelazione di Gesú Cristo significa negare la verità stessa dell'incarnazione e della redenzione, poiché egli è «colui che mediante il suo amore smisurato si fece quello che siamo noi per renderci perfetti con la sua perfezione» (24).

 

 

b) Risposta alla rivelazione divina

11. La fede è la risposta adeguata alla rivelazione di Dio. Quando Dio si rivela gli dobbiamo l'obbedienza della fede, «che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua verità, in quanto garantita da lui, che è la verità stessa» (25). La fede è un dono di Dio. L'uomo, per credere, ha bisogno della grazia di Dio e dell'ausilio interiore dello Spirito Santo, «il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia "a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità". Affinché l'intelligenza della rivelazione diventi sempre piú profonda, lo stesso Spirito Santo per mezzo dei suoi doni perfeziona continuamente la fede» (26).

12. Tre aspetti dell'insegnamento conciliare meritano di essere sottolineati (27). Primo, la fede va intesa come la dedizione di tutta la persona a Dio che si rivela e comunica. È ascolto e obbedienza nella sua accezione originale e, per questo, sequela. Tramite l'obbedienza della fede, l'essere umano si abbandona, interamente e liberamente a Dio prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà, e assentendo volontariamente alla rivelazione data da lui (28). L'essere umano accoglie come verità ciò che Dio ha detto di sé, precisamente perché Dio lo ha testimoniato, non perché lo rivela la ragione (29). L'aspetto dottrinale della fede - l'insieme delle verità rivelate che raccolgono la testimonianza di Dio - deve essere compreso personalmente: la libera dedizione di tutta la persona a Dio che si rivela permette di accogliere la testimonianza divina. Se si dimentica questo secondo aspetto, non si comprendono le ripercussioni morali dell'atto di fede (30).

Secondo, l'adesione a Dio, che è la fede, ha la sua origine, il suo mezzo e il suo fine in Dio (31). La sua origine in Dio, perché Dio prende l'iniziativa. Molte volte e in diversi modi aveva parlato nei tempi antichi (cf. Eb 1,1), ma in Gesú Cristo, suo Figlio incarnato, abbiamo la sua parola definitiva (cf Gv 1,14-16). Il suo mezzo, perché la grazia divina mette in esercizio la libertà umana e illumina la ragione affinché possa riconoscere la presenza del Signore, rendendo possibile, inoltre, il primo gesto di apertura e accoglienza proprio della semplicità di cuore (cf. Mt 11,25). Il suo fine, perché il movimento della fede tende a Dio.

Terzo, la comprensione della rivelazione è un dono dello Spirito Santo che, con i suoi doni, va continuamente perfezionando la fede. Senza la vita dello Spirito, la fede non si perfeziona e la rivelazione finisce col non essere compresa.

13. Vivere secondo la fede significa necessariamente professare in modo completo e integrale il messaggio di Gesú Cristo, poiché una «selezione» dei diversi aspetti del suo insegnamento, vale a dire accettarne alcuni e rifiutarne altri (32), non risponderebbe alla rivelazione del Padre, bensí «alla carne e al sangue» (cf. Mt 16,17), «perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). È di vitale importanza mantenere integro il deposito della fede, cosí come Cristo lo ha affidato alla Chiesa perché lo custodisse. Cosí fu affermato fin dai primordi della Chiesa (33). Dalla negazione di un aspetto della professione di fede si passa alla perdita totale della fede stessa, in quanto selezionando alcuni aspetti e rifiutandone altri non si rispetta la testimonianza di Dio ma le ragioni umane (34). Quando si altera la professione di fede tutta la vita del cristiano ne risulta compromessa (35).

 

 

c) L'intelligenza e il linguaggio della fede

14. La rivelazione di Dio al popolo eletto, con il quale ha stabilito l'alleanza, non è riducibile all'esperienza religiosa soggettiva; in ugual modo, la rivelazione definitiva in Cristo si è realizzata «con eventi e parole tra loro intimamente connessi» (36). Conseguentemente, non si può affermare che il linguaggio relativo a Dio sia puramente «simbolico, strutturalmente poetico, immaginativo e figurativo, che esprimerebbe e produrrebbe una determinata esperienza di Dio» (37), senza tuttavia comunicarci chi è Dio. Occorre invece sostenere che la fede si esprime mediante affermazioni che usano un linguaggio vero, non semplicemente approssimativo, benché analogico (38).

Nella storia non sono mancati coloro che hanno seminato dubbi in relazione alla rivelazione e all'intelligenza della fede. Alcuni riconoscono certamente che Dio si è rivelato all'uomo, ma a questi si nega la capacità concreta di accogliere la rivelazione. Altri invocano la sproporzione esistente tra Dio che si rivela e l'uomo destinatario della rivelazione. Altri ancora affermano che, dato il carattere contingente, finito e limitato dell'essere umano, si può accogliere la parola di Dio solo in modo frammentario, parziale e riduttivo. Una rivelazione divina considerata definitiva e piena entrerebbe cosí in conflitto con la stessa condizione storica dell'essere umano (39). E quand'anche la rivelazione potesse essere accolta, si dice, non potrà tuttavia, essere espressa in enunciati concreti, che debbano essere considerati delle verità. Se questo fosse vero, la rivelazione cristiana dovrebbe stare alla pari delle «rivelazioni» presenti in altre religioni o anche nell'ordine stesso della creazione. Il linguaggio umano è certamente limitato e parziale (40), però non si deve dimenticare che le parole e le opere di Gesú, seppure circoscritte in quanto realtà umane, hanno come fonte la persona divina del Verbo incarnato, vero Dio e vero uomo, e per questo presentano un carattere definivo e pieno. «La verità su Dio non viene abolita o ridotta perché è espressa in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena e completa perché chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato» (41).

15. La conoscenza della fede ha il suo punto di partenza nella testimonianza personale di Dio che si rivela. La fede ci giunge attraverso l'udito, mediante l'ascolto della parola di Dio (cf. Rm 14-17). Ora, la stessa fede che accoglie la verità rivelata (auditus fidei) suscita il desiderio di progredire nella sua intelligenza (intellectus fidei). La fede, in effetti, cerca l'intelligenza (42). La verità rivelata, pur trascendendo la ragione umana, è in armonia con essa. La ragione, essendo orientata alla verità, con la luce della fede è in grado di penetrare il significato della rivelazione. Contro l'opinione di alcune correnti filosofiche molto diffuse tra di noi, dobbiamo riconoscere la capacità che possiede la ragione umana di raggiungere la verità, come pure la sua capacità metafisica di conoscere Dio a partire dal creato (43). In un mondo che spesso ha perso la speranza di poter cercare e trovare la verità, il messaggio di Cristo ricorda le possibilità a disposizione della ragione umana. In tempi di grave crisi per la ragione, la fede viene in suo aiuto e si fa sua avvocata (44).

16. La mediazione attraverso una riflessione genuinamente filosofica aiuta la teologia nel dialogo autentico con la cultura di ogni tempo (45). È necessario tener conto «della filosofia e della sapienza dei popoli» (46) ma lo scambio fecondo tra le culture non deve portare al relativismo né alla negazione del «valore universale del patrimonio filosofico assunto dalla Chiesa» (47). La filosofia consente di discernere tra le semplici opinioni e la verità oggettiva. La cultura non può mai essere un criterio assoluto di giudizio in relazione alla rivelazione divina. È piuttosto la fede che giudica la cultura ed è il Vangelo che conduce le culture alla piena verità (48). Analogamente, non tutta la riflessione filosofica è compatibile con la rivelazione (49), tanto meno è valido assumere acriticamente i principi della cultura imperante per attualizzare il sempre nuovo messaggio evangelico (50).

17. Il magistero della Chiesa ci dà la garanzia di spiegare correttamente la rivelazione di Dio. Dal momento che l'alleanza instaurata da Dio in Cristo ha un carattere definitivo, occorre che sia salvaguardata da deviazioni e falli che possono corromperla. Per assicurare il suo permanere nella verità, Cristo ha dotato la Chiesa, e specialmente i pastori, del carisma dell'infallibilità (51), che si esercita in diversi modi (52) Suscitare dubbi e diffidenze nei confronti del magistero della Chiesa, anteporre l'autorità di determinati autori a quella del magistero o considerare le indicazioni e i documenti magisteriali semplicemente come un «limite» che ostacola il progresso della teologia e che si deve «rispettare» per motivi esterni alla teologia stessa, è all'opposto della dinamica della fede cristiana (53).

 

 

d) Rivelazione ed esegesi biblica

18. Una concezione erronea della rivelazione è necessariamente esposta a un'interpretazione ugualmente errata della sacra Scrittura. La costituzione conciliare Dei verbum insegna che la Scrittura è parola di Dio e che, nella composizione dei libri sacri, lo Spirito Santo ha ispirato gli autori umani a scrivere la verità che lo Spirito voleva insegnarci in ordine alla nostra salvezza (54). Conseguentemente occorre studiare il modo di composizione dei libri, l'intenzione degli autori e molti altri elementi letterari e storico-critici. I contributi dell'esegesi, a questo proposito, sono stati di grande arricchimento ma, al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che, in quanto Parola ispirata, la sacra Scrittura deve «essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con il quale fu scritta, per scoprire con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenendo debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede» (55).

19. In alcune occasioni i testi biblici si studiano e si interpretano come se si trattasse di semplici testi dell'antichità. Si applicano, inoltre, metodi che escludono sistematicamente la possibilità della rivelazione, del miracolo e dell'intervento di Dio. Invece di integrare i contributi della storia, della filologia e di altri strumenti scientifici con la fede e la tradizione della Chiesa, frequentemente si presenta come problematica proprio l'interpretazione ecclesiale e la si considera estranea, quando non opposta, all'«esegesi scientifica» (56). La tendenza a prescindere dall'ispirazione e dal canone della sacra Scrittura, come se si trattasse di principi irrilevanti per l'autentica comprensione del testo sacro, continua a costituire una grave preoccupazione (57). La questione non si radica tanto nell'utilizzo delle risorse della filologia o di tutti i dati che la ricerca ci offre, quanto in quei presupposti filosofici e ideologici dei metodi (58) che risultano incompatibili con la confessione di Cristo, centro delle Scritture (59). Tali metodi sono molto utili e necessari nel loro ambito di applicazione, ma non possono avere, per la loro stessa natura, l'ultima parola nella comprensione di un testo biblico il cui elemento determinante è l'ispirazione (60). Sarebbe pressappoco come cercare di comprendere la persona e l'identità di Cristo prescindendo dalla sua natura divina (61), e per di piú, presentare tale comprensione come una conclusione «scientifica» (62). La conseguenza di un'esegesi erronea è che la Scrittura non è piú «l'anima della teologia» (63) e non può rappresentare il fondamento né per la catechesi, né per la liturgia, né per la predicazione, né per la vita morale cristiana, né per la devozione dei fedeli (64).

 

 

e) Rivelazione e preghiera cristiana

20. Lo stesso Gesú Cristo che ci rivela il volto del Padre (cf. Gv 14,9) è colui che ci insegna a rivolgerci a lui con la preghiera del Padre nostro. Noi, incorporati a Cristo mediante il battesimo, abbiamo ricevuto il suo stesso Spirito che ci fa gridare Abbà, Padre! (cf. Rm 8,15). L'aspirazione del cuore umano che cerca Dio, pur senza saperlo, è stata realizzata da colui che si è fatto nostro compagno di strada (cf. Lc 24,15), trasmettendoci la sua stessa vita divina. «La preghiera cristiana è relazione personale e viva dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesú Cristo e con lo Spirito Santo che abita nel loro cuore» (65). L'accettazione mediante la fede del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, rappresenta per il cristiano una forma di preghiera che non ha pari nelle altre religioni. Infatti la prima esperienza dello Spirito Santo avviene proprio nell'atto di fede (cf. 1Cor 12,3) ed è lo stesso Spirito che sollecita la preghiera al Padre, che la sostiene compensando la nostra debolezza (cf. Rm 8,26) e che ci guida verso un comportamento cristiano (cf. Gal 5,18.22-25).

21. Il cristiano sa che Dio «chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera» (66). Se Dio vivo e vero può essere conosciuto soltanto quando egli stesso prende l'iniziativa di rivelarsi, la preghiera risulta assolutamente necessaria, perché mette l'uomo nello stato d'animo di ricevere il dono della rivelazione. Quando quest'ultima viene svuotata del suo contenuto trinitario ed è equiparata alle «rivelazioni» di altre religioni, la preghiera si priva di Cristo e, di conseguenza, non è piú una preghiera cristiana. Constatiamo con preoccupazione come la tanta confusione rispetto al mistero di Cristo e alla concezione cattolica della rivelazione abbia indotto alcuni cristiani a sminuire il valore della preghiera di domanda o a ricorrere a «forme sostitutive» di preghiera, in cui i «metodi» si confondono con i contenuti, a prendere distanza dalla preghiera pubblica della Chiesa e a mettere in discussione il rapporto tra ciò che si crede (lex credendi) e ciò che si prega (lex orandi) (67). Le comunità cristiane sono chiamate a essere scuole di preghiera, in cui la fame di spiritualità trovi un orientamento adeguato (68).

 

 

2. Gesú Cristo, il figlio del Dio vivente

22. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Dalla professione di fede nella persona di Gesú Cristo deriva la verità sull'uomo, sulla storia e sul mondo (69). La vita cristiana, l'incorporazione alla Chiesa, l'impegno per la trasformazione del mondo mediante la promozione della giustizia e della solidarietà, la speranza futura..., sono inseparabili dal modo in cui si intende e si vive Gesú Cristo. «È necessario che il mistero del Figlio di Dio fatto uomo e il mistero della santissima Trinità, che fanno parte delle verità principali della rivelazione, illuminino con la purezza della loro verità la vita dei cristiani» (70). La Chiesa è consapevole del fatto che il primo servizio che può e deve prestare a ciascuna persona, e a tutta l'umanità, consiste nell'annunciare Gesú Cristo, rendere possibile l'incontro con lui e, a partire da lui, illuminare la vita degli uomini (71). Per questo, il modo in cui la persona e il mistero di Cristo sono compresi, vissuti e presentati e tutt'altro che indifferente (72).

 

 

a) Cristologia e soteriologia

23. «Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre... si è incarnato: senza perdere la natura divina, ha assunto la natura umana» (73), di modo che «la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l'uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale» (74). «L'incarnazione è quindi il mistero dell'ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell'unica persona del Verbo» (75). Gesú Cristo, persona divina, essendo vero Dio e vero uomo, è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini (76). Proclamare al mondo che Gesú Cristo, il Figlio del Dio vivente, è morto ed è risuscitato, «per noi uomini e per la nostra salvezza» (77), costituisce la buona novella che la Chiesa, fin dalle sue origini, ha voluto ardentemente annunciare (78). La predicazione apostolica ha sempre mantenuto unita la verità sulla persona di Cristo - oggetto della «cristologia» - alla verità sull'azione redentrice - oggetto della «soteriologia» -.

24. La riflessione teologica su Gesú Cristo, seguendo gli orientamenti del concilio Vaticano II (79), si è vista arricchita dagli studi biblici, patristici e storici che hanno contribuito ad approfondire, sempre piú, il deposito ricevuto dagli apostoli e custodito dal magistero autentico della Chiesa. Nulla ha determinato tanto la trasmissione della fede negli ultimi decenni quanto il modo in cui sono stati presentati la persona e il mistero di Cristo. Nessuno nega che la recente ricerca su Gesú Cristo, realizzata da prospettive differenti, abbia influito in modo chiaro e decisivo sulla catechesi, sulla predicazione e sull'insegnamento religioso nelle scuole.

25. Tuttavia, non sempre sono stati mantenuti integri gli elementi essenziali della fede della Chiesa sulla persona e sul messaggio di Gesú Cristo. Fraintendimenti nell'impostazione metodologica hanno indotto ad alterare la fede e il linguaggio con cui la fede si esprime. In molte occasioni si è abusato del metodo storico-critico senza percepirne i limiti e si è giunti a ritenere che la preesistenza della persona divina di Cristo sia una mera deformazione filosofica del dato biblico. Quando questo si è verificato, la Chiesa non ha smesso di professare la vera Fede (80), riaffermando la validità del linguaggio con cui proclama che «Gesú Cristo ha due nature, la divina e l'umana, non confuse, ma unite nell'unica Persona del Figlio di Dio» (81). Frequentemente, l'abbandono di questo linguaggio della fede cristologica è stato causa di confusione e occasione per cadere in errore. Analogamente, la missione di Cristo è stata intesa come un evento meramente terreno, quando non politico-rivoluzionario, negando cosí la sua volontà di morire sulla croce per gli uomini. La Chiesa ha ribadito che è stato lo stesso Cristo che ha accettato e si è assunto liberamente la sua passione e morte per la salvezza dell'umanità (82).

 

 

b) Tutta la vita di Cristo è mistero

26. «Tutta la vita di Cristo è evento di rivelazione. Ciò che è visibile nella vita terrena di Gesú conduce al suo mistero invisibile (83). Le parole, i miracoli, le azioni, l'intera vita di Gesú Cristo è rivelazione della sua filiazione divina e della sua missione redentrice. Gli evangelisti, avendo conosciuto mediante la fede chi è Gesú, hanno indicato in tutta la sua vita terrena i tratti caratteristici del suo mistero. La rivelazione dei misteri della vita di Cristo, accolta nella fede, ci apre alla conoscenza di Dio e alla partecipazione alla sua stessa vita. Nella liturgia, in quanto «esercizio della missione sacerdotale di Gesú Cristo» (84), la Chiesa celebra ciò che professa la nostra fede, affinché possiamo entrare in comunione vera con i misteri di Cristo (85). «Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sí che noi possiamo viverlo in Lui e che egli lo viva in noi» (86). Una cristologia profonda dimostrerà la continuità tra la figura storica di Gesú Cristo, la professione di fede ecclesiale e la comunione liturgica e sacramentale nei misteri di Cristo (87).

27. Constatiamo con dolore come in alcuni scritti di cristologia non si dimostri tale continuità, dando luogo a presentazioni incomplete, quando non deformate, del mistero di Cristo. In alcune opere cristologiche si avvertono le seguenti mancanze:

1) Una metodologia teologica errata, in quanto si pretende di leggere la sacra Scrittura a margine della tradizione ecclesiale e con criteri unicamente storico-critici, senza spiegare i presupposti di tali criteri né indicarne i limiti;

2) il sospetto che l'umanità di Gesú Cristo sia minacciata se si afferma la sua divinità (88);

3) la rottura tra il «Gesú storico» e il «Cristo della fede», come se quest'ultimo fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesú, dagli apostoli fino ai nostri giorni;

4) la negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di Cristo (89), ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli (90);

5) l'oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la coscienza di sé, della sua morte e della sua missione redentrice, della risurrezione, dell'ascensione e della glorificazione.

28. Alla radice di queste teorie si trova spesso una rottura tra la storicità di Gesú e la professione di fede della Chiesa: si considerano scarsi i dati storici degli evangelisti su Gesú Cristo (91). Da questa prospettiva, i Vangeli sono studiati esclusivamente come testimonianza di fede in Gesú, che non direbbero nulla o molto poco su Gesú stesso e che necessitano pertanto di essere reinterpretati. Inoltre, questa impostazione prescinde dalla tradizione della Chiesa e la emargina. Questo modo di procedere porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali:

1) svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesú;

2) negare che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio e

3) considerare che Gesú non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento.

Questi errori sono fonte di grave confusione, perché inducono non pochi cristiani a concludere, equivocando, che gli insegnamenti della Chiesa su Gesú Cristo non si fondano sulla sacra Scrittura oppure che devono essere radicalmente reinterpretati.

29. La comprensione errata dell'umanità di Cristo, accompagnata da una metodologia teologica discutibile, procede in parallelo con gli errori sulla vergine Maria. Nel 1978 la Conferenza episcopale spagnola, mediante la Commissione episcopale per la dottrina della fede, confutò alcune pubblicazioni che negavano l'insegnamento della Chiesa sul concepimento verginale di Gesú (92). Alcune tesi sulla santissima Vergine sono segno dell'abbandono della dimensione mariana, propria di un'autentica spiritualità cattolica, e della rottura tra la fede celebrata e la fede confessata (93).

 

 

c) Gesú Cristo, l'unico Salvatore di tutti gli uomini

30. L'affermazione del carattere unico e universale della mediazione salvifica di Cristo è parte centrale della buona novella che la Chiesa proclama ininterrottamente fin dall'epoca apostolica: «Questo Gesú è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'e salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,11-12). La verità sulla persona di Cristo, costituito da Dio «giudice dei vivi e dei morti» (At 10,42), è inseparabile dalla verità sulla sua missione redentrice, di modo che «chiunque crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,43). «Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio uno e trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell'incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio» (94). L'assoluta certezza rispetto a questa verità di fede ha motivato i cristiani di ogni tempo ad annunciare, con parole e fatti, che Gesú Cristo «è il Signore di tutti» (At 10,36).

31. In stretta relazione con il significato della rivelazione, il dibattito cristologico contemporaneo si è incentrato sulle cosiddette teologie del pluralismo religioso, che presentano la figura di Gesú Cristo a partire da presupposti relativisti, sulla base sia della convinzione che la verità divina sia inaccessibile alla ragione, sia di una mentalità simbolica di origine orientale (95). La conseguenza di tali presupposti è stata il rifiuto sostanziale dell'identificazione della figura storica individuale di Gesú Cristo con la realtà stessa del Figlio di Dio. L'assoluto - si afferma - non può rivelarsi nella storia in forma piena e definitiva. Tutt'al piú nella storia si trovano modelli, figure ideali che starebbero a indicare il totalmente altro. Alcune ipotesi teologiche affermano che Gesú Cristo è vero Dio e vero uomo, ma ritengono che, a causa del limite della natura umana di Gesú, la rivelazione di Dio in lui non possa essere considerata completa e definitiva. Si dovrà, pertanto, considerarla in relazione ad altre possibili «rivelazioni» di Dio espresse mediante le guide religiose dell'umanità e i fondatori delle religioni nel mondo. Quando si afferma, erroneamente, che Gesú Cristo non costituisce la pienezza della rivelazione di Dio lo si mette alla pari degli altri massimi esponenti religiosi (96). Ne consegue l'idea, ugualmente erronea, e che semina insicurezza e dubbio, che le religioni mondiali, in quanto tali, sono vie di salvezza complementari al cristianesimo (97).

32. La riflessione cristologica deve salvaguardare, argomentare e giustificare, da un lato, il carattere realmente storico e concreto dell'incarnazione di Cristo e, dall'altro, il carattere definitivo e pieno della sua esistenza storica in relazione alla storia e alla salvezza di tutti gli uomini. Affermare che Gesú Cristo è il verbo di Dio incarnato significa:

1) che egli è Dio, la verità ultima e definitiva;

2) che egli svela chi è l'uomo, in quanto ci rivela la relazione necessaria e appropriata con Dio (98); e

3) che egli è la verità assoluta della storia e della creazione.

Per questo, nell'incontro e nella comunione con Cristo, l'essere umano può riconoscere veramente se stesso. Con l'incarnazione non solo non diminuisce la divinità, ma si accresce anche l'umanità.

 

 

d) Cristologia e catechesi

33. Cristo si trova al centro della catechesi. Il fine della catechesi è quello di condurre alla comunione con Gesú Cristo, attraverso un'istruzione organica e completa in cui progressivamente si arriva a «svelare nella persona di Cristo l'intero disegno di Dio» (99). La gioia di Gesú, che rende grazie al Padre per aver «tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti» e averle «rivelate ai piccoli» (Mt 11,25), si estende a tutti coloro che partecipano alla missione salvifica di trasmettere la fede. Questa gioia viene inibita quando determinate forme di catechesi, anziché favorire l'incontro con Cristo vivo, lo ritardano o addirittura lo impediscono.

34. Determinate teorie erronee sul mistero di Cristo, che sono passate dagli ambiti accademici ad altri piú popolari, alla catechesi e all'insegnamento scolastico, sono per noi motivo di tristezza. In tali teorie non si fa riferimento alla divinità di Gesú Cristo o la si considera espressione di un linguaggio poetico privo di contenuto reale, negando, di conseguenza, la sua preesistenza e la sua filiazione divina (100). La morte di Gesú viene cosí spogliata della sua valenza redentrice e considerata come il risultato dello scontro con la religione del suo tempo. Cristo è considerato prevalentemente dal punto di vista dell'etica e della dinamica di trasformazione della società: secondo questa prospettiva egli sarebbe semplicemente l'uomo del popolo che si schiera dalla parte degli oppressi e degli emarginati al servizio della liberta" (101).

35. La conseguenza di tali ipotesi, contrarie alla fede della Chiesa, è la dissoluzione del soggetto cristiano. La riflessione, che dovrebbe contribuire a rendere ragione della speranza (cf. 1Pt 3,15), si allontana dalla fede ricevuta e celebrata. L'insegnamento della Chiesa e la vita sacramentale si considerano distanti dalla volontà di Cristo, quando non opposte a essa (102). Il cristianesimo e la Chiesa appaiono come separabili. Secondo gli scritti di alcuni autori, non era intenzione di Gesú Cristo fondare né la Chiesa né tanto meno una religione, bensí liberare l'uomo dalla religione e dai poteri costituiti. Consapevoli della gravità di queste affermazioni e del danno che causano al popolo fedele e semplice, non possiamo smettere di ripetere con le parole della Lettera agli Ebrei: «Gesú Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono» (Eb 13,8-9).

 

 

3. la Chiesa sacramento di Cristo

36. «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). La confessione di Gesú come il Figlio del Dio vivente da parte di Pietro ha preceduto la promessa di Gesú di edificare la sua Chiesa. La Chiesa vive per professare Gesú Cristo come l'Unto di Dio e confida, per questo, sull'aiuto dello Spirito Santo. La stessa Chiesa è «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15). La verità che ci rende liberi (cf. Gv 8,32) è un dono dello Spirito datoci mediante Gesú Cristo risuscitato ed è intimamente unita alla salvezza (cf. 1Tm 2,4), cosí che la Chiesa realizza la sua missione annunciando Cristo che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) (103).

 

 

a) Cristo e la Chiesa: il «Cristo totale»

37. «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (104). L'essenza piú profonda della Chiesa consiste nel suo intimo legame con il mistero salvifico di Cristo, che l'ha istituita come «strumento di redenzione per tutti» (105) e «sacramento universale di salvezza» (106), al fine di realizzare e manifestare per mezzo di essa il mistero dell'amore di Dio all'uomo (107) Cristo e la Chiesa, senza confondersi ma anche senza separarsi, costituiscono il Cristo totale (Christus totus) (108). L'unica Chiesa di Cristo, «costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui» (109). L'insegnamento del concilio Vaticano II ha evidenziato tanto la continuità esistente tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica quanto gli elementi distintivi della Chiesa di Cristo presenti in altre Chiese e comunità ecclesiali che, per la loro stessa natura, tendono alla comunione piena (110).

38. «Il Signore Gesú infatti diede inizio alla sua Chiesa predicando il buon annuncio, cioè la venuta del regno di Dio promesso da secoli nelle Scritture» (111). Lo stretto legame tra il regno di Dio e la Chiesa s'illumina a partire dall'unità esistente tra le parole e opere di Cristo e il suo mistero pasquale. Accogliere il Regno significa per i Vangeli, fin dal principio, accogliere e seguire Gesú Cristo. La partecipazione al Regno, oltre la Pasqua, realizza la sua forma definitiva nella comunione piena con il Signore risorto, mediante il dono del suo Spirito. Ogni uomo è chiamato a partecipare, per strade che solo Dio conosce, a questa pasqua del Signore (112), entrando cosí nel Regno. Ne consegue che non si può legittimamente separare il regno di Dio dalla figura storica di Gesú Cristo, morto e risuscitato, e quindi dal Padre (113). Tanto meno è legittimo annullare il significato della Chiesa come vero sacramento della comunione in Cristo. E benché la realizzazione del disegno divino di salvezza possa avvenire fuori dai limiti visibili della Chiesa, non è corretto separare la nozione di regno di Dio dalla realtà della Chiesa (114).

39. Il Sinodo straordinario dei vescovi dell'anno 1985, convocato in occasione del ventennale dalla chiusura del concilio Vaticano II, ha messo in evidenza l'importanza della nozione di comunione per comprendere l'intima natura della Chiesa, cosí come il Concilio l'aveva definite (115). Parlando di comunione si deve tener conto del fatto che, anzitutto, è un dono di Dio, con una dimensione orizzontale e verticale, visibile e invisibile (116). Pertanto, non è sufficiente intendere la comunione come il risultato dell'esercizio associativo proprio di raggruppamenti meramente umani. Il punto di partenza della comunione è l'incontro dell'uomo con Gesú Cristo, il Figlio di Dio, che avviene attraverso l'annuncio della Chiesa e dei sacramenti (117). Se non si tiene conto di questo, ciò che è proprio e specifico del mistero della Chiesa resta in ombra.

 

 

b) Liturgia e speranza escatologica

40. La liturgia, in quanto opera di Cristo e azione della sua Chiesa, realizza e manifesta il suo mistero come segno visibile della comunione tra Dio e gli uomini, introducendo i fedeli nella vita nuova della comunità (118). Per questo, anche se «non esaurisce tutta l'azione della Chiesa» (119), la liturgia costituisce il culmine e la fonte della vita ecclesiale (120), in cui si fa presente e si professa pubblicamente il mistero della fede (121). La trasmissione della fede, l'annuncio missionario, il servizio al mondo nella carità (122), la preghiera cristiana, la speranza rispetto alle realtà future, tutta la vita della Chiesa hanno nella liturgia la loro fonte e il loro termine. Alla luce di questi insegnamenti si comprende il grave danno insito, per il popolo di Dio, negli abusi relativi alla celebrazione liturgica, specialmente ai sacramenti dell'eucaristia e della penitenza. Come non manifestare un profondo dolore quando la disciplina della Chiesa in materia liturgica è vulnerata? (123) «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Cor 4,1-2).

41. «Cos'è la Chiesa, se non l'assemblea dei santi»? (124) «Noi crediamo alla comunione tra tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa» (125). La Chiesa sarà portata alla sua pienezza alla fine dei tempi (cf. At 3,21), quando il genere umano, insieme a tutto l'universo, sarà rinnovato (cf. Ef 1,10; Col 1,20; 2Pt 3,10-13) (126). La speranza rispetto alla vita del mondo futuro è costitutiva della condizione del cristiano. Siamo cristiani precisamente per la fede nella risurrezione di Cristo (127), principio e causa della nostra stessa risurrezione (cf. 1Cor 15,21). Quando si seminano dubbi ed errori rispetto alla fede della Chiesa nella venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi (parusia), rispetto alla risurrezione della carne, al giudizio particolare e finale, al purgatorio, alla possibilità reale di condanna eterna (inferno) o di eterna beatitudine (paradiso) (128), si incide negativamente sulla vita cristiana di tutti coloro che sono ancora pellegrini su questa terra, perché si resta allora «nell'ignoranza circa quelli che sono morti» e si cade nella tristezza di quanti non hanno speranza (cf. 1Ts 4,13). Il silenzio su queste verità della nostra fede, nell'ambito della predicazione e della catechesi, e causa di disorientamento tra i fedeli che sperimentano nella propria esistenza le conseguenze della scissione tra quello in cui si crede e quello che si celebra.

 

 

c) Il ministero ordinato nella Chiesa

42. Il Signore Gesú ha istituito diversi ministeri per il servizio del suo corpo, la Chiesa (129). Secondo la fede ecclesiale, Gesú Cristo ha fondato il ministero della successione apostolica nella vocazione e missione dei dodici apostoli, trasmesso con la consacrazione sacramentale (130). Agli apostoli e ai loro successori Cristo ha affidato la funzione di insegnare, santificare e governare nel suo nome e con la sua autorità. Presentare, poi, il ministero ordinato come il risultato di vicissitudini storiche o lotte di potere nell'ambito religioso è contrario alla verità storica e alla fede della Chiesa (131).

43. Constatiamo che alcuni autori hanno difeso e diffondono concezioni erronee sul ministero ordinato nella Chiesa. Tramite l'applicazione di un metodo esegetico scorretto, hanno separato Cristo dalla Chiesa, come se non fosse nella volontà di Gesú Cristo fondare la sua Chiesa (132). Una volta rotto il vincolo tra la volontà di Cristo e la Chiesa, si cerca l'origine della costituzione gerarchica della Chiesa in ragioni puramente umane, frutto di mere congiunture storiche. S'interpreta cosí la testimonianza biblica sulla base di presupposti ideologici, selezionando alcuni testi ed elementi e dimenticandone altri. Si parla di «modelli di Chiesa» che sarebbero presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, «caratterizzata dal discepolato e dal carisma», libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa «istituzionale e gerarchica». Il modello di Chiesa «gerarchica, legale e piramidale», sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che pongono l'accento sulla comunità e sulla pluralità dei carismi e ministeri, cosí come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella sacra Scrittura né nella tradizione ecclesiale e deforma gravemente il disegno di Dio sul corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli su posizioni di scontro dialettico. In quest'ottica, la ricchezza di carismi e ministeri suscitati dallo Spirito Santo non si considera a favore del bene comune (cf. 1Cor 12,4-12), bensí come espressione di soluzioni umane che rispondono piú a lotte di potere che alla volontà positiva del Signore (133).

44. In modo analogo, alcuni negano la distinzione tra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale, «quantunque differiscano di essenza e non soltanto di grado» (134). Chi ragiona in questo modo parte dal presupposto che nel Nuovo Testamento i ministri non sono considerati come «persone sacre», per concludere che questa «sacralizzazione» del ministero, o di un gruppo all'interno della Chiesa, sarebbe una sovrapposizione storica posteriore. Questa teoria non menziona che Cristo è il sommo sacerdote della nuova alleanza (cf. Eb 4,14-15; 7,26-28; 8-9), il cui ministero è condiviso da alcuni cristiani in modo speciale, per renderlo presente sotto forma sacramentale nella Chiesa. La terminologia sacerdotale posteriore non avrebbe cambiato la realtà del ministero apostolico testimoniato chiaramente nel Nuovo Testamento. Qui si trovano riferimenti all'incorporazione nel ministero mediante l'imposizione delle mani (cf. At 14,23; 1Tm 4,14).

45. La mancanza di chiarezza rispetto al ministero ordinato nella Chiesa non è estranea alla crisi vocazionale degli ultimi anni. In alcuni casi sembra addirittura che si voglia provocare un «deserto vocazionale», cosí da produrre dei cambiamenti nella struttura interna della Chiesa. Tuttavia, la dove, mantenendo la dottrina cattolica, si offrono ai giovani ambiti per l'incontro personale con Cristo nella preghiera liturgica e personale, normalmente sorgono le vocazioni per il sacerdozio ministeriale. È necessario ricordare le disposizioni magisteriali sull'uomo come unico soggetto valido dell'ordine sacramentale, perché tale è stata la volontà di Cristo nell'istituire il sacerdozio (135). Alcuni hanno ingiustificatamente sostenuto che questa volontà non consta nella Scrittura, ma ciò non corrisponde all'interpretazione autentica della parola di Dio scritta e trasmessa (136). La dottrina sull'ordinazione sacerdotale riservata agli uomini deve essere tenuta in modo definitivo, poiché «è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale» (137). La comunione vera con il magistero della Chiesa dispone oggi, su questo punto, di un criterio certo di verifica.

 

 

d) La vita consacrata nella Chiesa

46. La vita consacrata è un dono del Padre alla Chiesa, il quale, mediante lo Spirito Santo, suscita tra i suoi figli una sequela speciale di Cristo, in castità, povertà e obbedienza, testimoniando la speranza del regno dei cieli (138). Nelle persone consacrate, essendo «nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione» (139), risplende in modo singolare la natura intima della vocazione cristiana (140) e l'aspirazione sponsale della Chiesa verso l'unione con Gesú Cristo. La vita consacrata è una forma di sequela et imitatio Christi, sequela e imitazione della persona del Signore. Perciò, risulta gravemente compromessa quando si basa su una cristologia che non corrisponde alla tradizione ecclesiale.

47. Concepire la vita consacrata come un'«istanza critica» all'interno della Chiesa presuppone un riduzionismo ecclesiologico. Quando si vive dialetticamente la comunione gerarchica, opponendo la «Chiesa ufficiale o gerarchica» alla «Chiesa popolo di Dio», dal sentire cum Ecclesia si passa, nella prassi, all'agere contra Ecclesiam. S'invoca allora «il tempo dei profeti», e atteggiamenti di dissenso, che tanto incrinano la comunione ecclesiale, si fanno passare per «denunce profetiche». Le conseguenze di queste argomentazioni sono disastrose per tutto il popolo cristiano e, in particolare, per i consacrati. Per alcuni questo riduzionismo svuota del contenuto cristiano lo stesso nucleo della consacrazione, i consigli evangelici (141).

 

 

e) Il magistero della Chiesa e il fenomeno del dissenso

48. Gli errori ecclesiologici segnalati si esprimono anche attraverso l'esistenza di gruppi che propagano e divulgano sistematicamente insegnamenti contrari al magistero della Chiesa su questioni di fede e di morale. Approfittano della facilità con cui determinati mezzi di comunicazione sociale prestano loro attenzione e moltiplicano le apparizioni in pubblico, le manifestazioni e i comunicati collettivi e gli interventi personali dissentono apertamente dall'insegnamento del papa e dei vescovi. Allo stesso tempo reclamano per sé la condizione di cristiani e cattolici, mentre non rappresentano che associazioni prettamente civili. Non si tratta di associazioni molto numerose, ma la loro ripercussione sui mezzi di comunicazione è tale che le loro opinioni si diffondono ampiamente e seminano dubbi e confusione tra le persone semplici. Questo modo di agire rende manifesta la carenza degli elementi essenziali della fede cristiana, cosí come li trasmette la tradizione apostolica.

49. Questi gruppi, la cui nota comune è il dissenso, si sono espressi in interventi pubblici a favore, tra altri temi e questioni etico-morali, delle assoluzioni collettive e del sacerdozio femminile e hanno travisato il senso vero del matrimonio proponendo e praticando la «benedizione» delle unioni tra persone omosessuali. L'esistenza di questi gruppi semina divisioni e disorienta gravemente il popolo dei fedeli, è causa di sofferenza per molti cristiani (sacerdoti, religiosi e laici) ed è motivo di scandalo e di ulteriore allontanamento per i non credenti.

50. Attraverso queste manifestazioni si offre una concezione deformata della Chiesa, secondo la quale esisterebbe un confronto continuo e inconciliabile tra la «gerarchia» e il «popolo». La gerarchia, identificata con i vescovi, è presentata con tratti alquanto negativi: fonte di «imposizioni», di «condanne» e di «esclusioni». Di fronte ad essa, il «popolo», con cui s'identificano questi gruppi, è presentato con tratti opposti: «liberato», «plurale» e «aperto». Questo modo di presentare la Chiesa implica l'invito esplicito a «rompere con la gerarchia» e a «costruire», in pratica, una «Chiesa parallela». Per questi gruppi, l'attività della Chiesa non consiste principalmente nell'annuncio della persona di Gesú Cristo e nella comunione degli uomini con Dio, che si realizza mediante la conversione di vita e la fede nel Redentore, bensí nella liberazione da strutture oppressive e nella lotta per l'integrazione di gruppi emarginati, secondo una prospettiva prevalentemente immanentista.

51. È necessario ricordare, inoltre, che esiste un dissenso silenzioso che promuove e difende la disaffezione verso la Chiesa, considerando questo un legittimo atteggiamento critico rispetto alla gerarchia e al suo magistero, giustificando il dissenso all'interno della Chiesa stessa, come se un cristiano non potesse essere adulto senza prendere una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Dietro a quest'atteggiamento si cela frequentemente l'idea che la Chiesa attuale non obbedisca al Vangelo e che occorra lottare «dal di dentro» per arrivare a una Chiesa futura autenticamente evangelica. In realtà, non si cerca la vera conversione dei suoi membri, la sua purificazione costante, la penitenza e il rinnovamento (142), bensí la trasformazione della stessa costituzione della Chiesa, per adattarla alle opinioni e alle prospettive del mondo. Questa posizione trova appoggio in membri di centri accademici della Chiesa e in alcune case editrici e librerie gestite da istituzioni cattoliche. Grande è il disorientamento che tale modo di procedere causa tra i fedeli.

 

 

4. la vita in Cristo

52. «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). La scena di Cesarea di Filippo ci porta dalla professione di fede di Pietro e dalla promessa di edificare la Chiesa alla sconcertante ed esigente proposta di sequela di Cristo. Per condurre una vita autenticamente cristiana ed essere in verità un discepolo di Gesú Cristo non basta riconoscerlo come Figlio di Dio di fronte agli uomini nella comunione della Chiesa. Tale annuncio implica una speciale sequela di Cristo. La morale cristiana, intesa come «vita in Cristo» (143), trova qui il suo permanente punto di verifica. «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (144). In Cristo, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), l'uomo è stato creato «a immagine e somiglianza» del Creatore. «È in Cristo, redentore e salvatore, che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata restaurata nella sua bellezza originale e nobilitata dalla grazia di Dio» (145). Di fronte al pericolo, costante nella condizione umana, che «venga resa vana la croce di Cristo» (1Cor 1,17), la grazia di Dio, che suscita in noi la sequela, ci rimanda alla verità di ciò che siamo e di ciò che siamo chiamati ad essere. La Chiesa «sa che proprio sulla strada della vita morale è aperta a tutti la via della salvezza» (146).

53. Attualmente, una delle grandi sfide dell'evangelizzazione riguarda l'ambito morale. Si tratta di una situazione difficile che proviene da un contesto culturale che si dichiara post-cristiano e si propone di vivere «come se Dio non esistesse». Oltre all'ateismo teorico e all'agnosticismo sistematico, si diffondono oggi l'ateismo e l'agnosticismo pratici, secondo i quali Dio non sarebbe rilevante per la ragione, la linea di condotta e la felicità umane (147). In questa situazione l'uomo si mette a misurare la sua vita e le sue azioni in relazione a se stesso, alla vita sociale e al loro grado di compatibilità con il mondo, per soddisfare le sue necessità e i suoi desideri. La sfera del trascendente cessa di essere significativa nella vita sociale e personale quotidiana, per essere relegata alla coscienza individuale come un fattore meramente soggettivo. Il risultato è un radicale relativismo (148), secondo il quale qualunque opinione sui temi della morale sarebbe ugualmente valida. Ognuno possiede «le sue verità» e tutt'al piú, nell'ambito dell'etica, si può aspirare a dei «minimi condivisi», la cui validità non potrà andare oltre il presente e nel quadro di determinate circostanze. La radice piú profonda della crisi morale che colpisce gravemente molti cristiani è la frattura esistente tra fede e vita (149): un fenomeno annoverato dal concilio Vaticano II «tra i piú gravi errori del nostro tempo» (150). Restituire ai cristiani quelle convinzioni e quelle certezze che permettano loro di «non avere paura», nella comprensione che «questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4), è un autentico e imperativo servizio ecclesiale per l'evangelizzazione.

 

 

a) Cristo, norma della morale

54. Cristo, il Signore, è la norma di vita suprema e immutabile per i cristiani. Gesú Cristo, rivelando il mistero del Padre e del suo amore, ci fa conoscere «la condizione dell'uomo e la sua vocazione integrale» (151). Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello Spirito Santo ed è reso figlio di Dio. In virtú di questa adozione filiale, la persona umana è trasformata ricevendo una capacità nuova. È cosí in grado di seguire la vita di Cristo, di operare rettamente e di fare il bene. Il discepolo di Cristo, unito al Salvatore e mosso dallo Spirito Santo è capace di conseguire la perfezione della carità, la santità, che rappresenta la vocazione ultima di ogni persona umana (152). «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesú Cristo... ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,3.4).

55. Cristo è «il punto di riferimento indispensabile e definitivo per acquisire una conoscenza integrale dell'uomo» (153). Ed è inoltre il fondamento di un agire morale integrale, in cui non vi è dicotomia tra fede e ragione. Se Cristo è la norma dell'agire morale (154), la fondatezza della morale deve procedere dalla rivelazione e dal magistero della Chiesa, il cui ambito si estende al comportamento umano senza entrare in conflitto con la giusta ragione (155). Se si porta avanti l'idea che nella rivelazione troviamo soltanto principi generici sull'agire umano (156), senza tener conto che la sacra Scrittura e la tradizione dimostrano il contrario (157) - come nel caso della cosiddetta «autonomia teonoma» - (158), l'insegnamento morale ne risente gravemente. «La sacra Scrittura, infatti, rimane la sorgente viva e feconda della dottrina morale della Chiesa - come ha ricordato il concilio Vaticano II: "Il Vangelo [è]... fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale"» (159).

 

 

b) La dignità della persona umana

56. La dignità della persona umana deriva dal fatto di esser stata creata a immagine e somiglianza di Dio. «Dotata di un'anima spirituale e immortale, d'intelligenza e di libera volontà la persona umana è ordinata a Dio e chiamata, con la sua anima e il suo corpo, alla beatitudine eterna» (160). In ogni uomo esiste un desiderio innato di felicità, che Dio desidera colmare in modo sovrabbondante, dal momento che chiama l'uomo a partecipare, mediante Cristo, alla stessa beatitudine divina: «Cose che occhio non vide, né orecchio udí, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). L'uomo consegue il suo fine ultimo in virtú della grazia di Cristo, «dono gratuito che Dio ci dà per renderci partecipi della sua vita trinitaria e capaci di agire per amor suo» (161). Affrontare la vita «come se Dio non esistesse», pretendere di ignorare Dio o, ancora peggio, negarlo esplicitamente, è il principio dell'infelicità umana. Per questa ragione la Chiesa offre a tutti il suo insegnamento morale (162), nella consapevolezza che è Cristo colui che ha rivelato all'uomo la sua piú sacra dignità e la sua vocazione ultima.

57. La grazia di Cristo non annulla l'ordine creato, ma risponde alle profonde aspirazioni della libertà umana, nel prevenire, preparare e suscitare la libera risposta dell'uomo (163). La realizzazione della dignità dell'uomo impone che si rispetti l'ordine essenziale della natura umana creata da Dio, che trascende le vicissitudini storiche e culturali. Quest'ordine della natura umana si esprime nella legge naturale, che l'uomo può conoscere, benché la legge sia previa alla sua conoscenza (164). «La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa non può essere concepita come normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita come l'ordine razionale secondo il quale l'uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare, a usare e disporre del proprio corpo» (165).

58. La conoscenza della legge naturale presuppone che questa sia inscritta nel piú profondo dell'essere umano e che possa essere percepita, almeno in una certa misura, per mezzo della sola ragione, al di fuori della rivelazione di Cristo (166). Il giudizio della coscienza non stabilisce la legge, bensí afferma la sua autorità percependola come norma oggettiva e immutabile, e incoraggia l'uomo a fare il bene e ad evitare il male (167). «La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano» (168). In questo senso, il magistero ha segnalato le lacune e le carenze di alcune teorie morali come l'«opzione fondamentale» (169), il «proporzionalismo e consequenzialismo» (170) o la cosiddetta «morale delle virtú» (171). È necessario ricordare inoltre che, affinché la persona agisca conformemente alla sua dignità, la coscienza deve essere retta e aperta alla verità (172), vale a dire che deve essere «in accordo con ciò che è giusto e buono secondo la ragione e la legge divina» (173).

59. L'attuale condizione storica della persona umana è segnata dal peccato. A causa del peccato originale, tutti gli uomini nascono privi della santità e della giustizia originali. Benché la loro natura non sia totalmente corrotta per effetto del peccato originale, si trova, tuttavia, «ferita nelle sue forze naturali, e sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, ed è incline al peccato» (174). Per questa ragione, non tutte le inclinazioni che l'uomo sperimenta sono buone (175). L'uomo ha cosí bisogno dell'aiuto di Dio persino per conoscere e realizzare molte cose buone che sono insite nelle potenzialità della natura. Anche per questo risulta assolutamente necessaria l'azione dello Spirito Santo e una formazione morale sostenuta dalla parola di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa, per acquisire una retta coscienza. Quando si presenta in maniera ambigua la dottrina della Chiesa sul peccato originale, o si tace e si nega la gravità del peccato, le conseguenze per la formazione della coscienza sono molto negative, mentre appare confuso il cammino che porta alla felicità autentica.

60. Tuttavia, il peccato non è la parola definitiva sulla condizione umana. La Chiesa insiste nel proclamare che in Cristo l'uomo ha recuperato la santità originale ricevuta da Dio e che, con l'aiuto della sua grazia, può correre per la via dei comandamenti del Signore (cf. Sal 118,32). La grazia, mentre restaura il danno provocato dal peccato, rende pienamente la libertà umana, orientando l'uomo verso la beatitudine. Cristo non è solo il redentore di tutti gli uomini, ma di tutto l'uomo (176). La sua predicazione e i suoi sacramenti, custoditi nella Chiesa «fino al suo ritorno», permettono all'uomo di svolgere una vita morale autentica.

 

 

c) Morale della sessualità e della vita

61. Conseguenza immediata della dignità umana rivelata in Cristo è la dignità intangibile della sessualità (177). In un contesto contrassegnato da un esasperato pansessualismo, il vero significato della sessualità umana risulta molte volte distorto, controverso e contestato, quando non pervertito (178). È necessario che superiamo la tentazione di risolvere «i vecchi e nuovi problemi con risposte che sono piú conformi alla sensibilità e alle esperienze del mondo che al "pensiero di Cristo" (cf. 1Cor 2,16)» (179). La sessualità è inscritta nell'essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, uomo e donna, e deve essere intesa nella prospettiva della vocazione della persona all'amore (180). Cosí, mediante la virtú della castità, si consegue l'integrazione della sessualità nella persona (181).

62. La dignità della vita umana esige che la sua trasmissione avvenga nell'ambito dell'amore coniugale. Pertanto, quei metodi che pretendono di sostituire, e non semplicemente di aiutare l'azione dei coniugi nella procreazione, non sono ammissibili (182). Se si separa la finalità unitiva da quella procreativa, si falsa l'immagine dell'essere umano, dotato di anima e corpo, e si degradano gli atti del vero amore, capace di esprimere la carità coniugale che unisce gli sposi. La conseguenza è che una regolazione moralmente corretta della natalità non può ricorrere a metodi contraccettivi (183).

63. Alla luce di questi principi sulla sessualità si comprende il motivo per cui la Chiesa considera ugualmente «tra i peccati gravemente contrari alla castità (...) la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali» (184). L'insegnamento cristiano sulla sessualità non consente di banalizzare tali questioni né di considerare i rapporti sessuali un «semplice gioco di piacere. La banalizzazione della sessualità comporta la banalizzazione della persona» (185). L'uso delle facoltà sessuali assume il suo vero significato e la sua onestà morale nel matrimonio legittimo e indissolubile di un uomo con una donna, aperto alla vita (186), che è il fondamento della società e il luogo naturale per l'educazione dei figli. Gli attacchi al matrimonio a cui spesso assistiamo non tarderanno ad avere conseguenze gravi per la stessa società (187).

64. Non possiamo dimenticare neppure che la vita umana ha inizio con il concepimento e ha fine con la morte naturale. L'aborto e l'eutanasia sono azioni gravemente disordinate, lesive della dignità umana e contrarie agli insegnamenti di Cristo (188). La Chiesa è consapevole del fatto che tali questioni debbano essere spiegate alla comunità cristiana, assediata costantemente dalla mentalità edonista propria della cultura della morte. Non possiamo neanche mettere in dubbio che, fin dal momento della fecondazione, esista vera e autentica vita umana, distinta da quella dei genitori (189); per cui interrompere lo sviluppo naturale costituisce un gravissimo attentato contro la vita stessa (190). «L'amore di Dio non fa differenza tra l'essere appena concepito, ancora nel seno materno, e il bambino o il giovane o l'uomo maturo o l'anziano. Non fa differenza, perché in ciascuno di loro vede l'impronta della sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,26)» (191). È contrario all'insegnamento della Chiesa sostenere che fino all'annidamento dell'ovulo fecondato non si possa parlare di «vita umana», stabilendo cosí una rottura nell'ordine della dignità umana tra l'embrione e quello che si definisce, erroneamente, «pre-embrione» (192). In modo analogo, nessuno ha la potestà di eliminare una vita innocente, neppure quando si trova allo stadio terminale (193). Dobbiamo ricordare ai fedeli che è lecito, anzi giusto, evitare «certi interventi medici non piú adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia» (194), nonostante tutto questo supponga che si abbrevi la sua speranza di vita. Ben diverso è però realizzare interventi con la diretta intenzione di eliminare la vita della persona malata o anziana (195).

 

 

d) Morale sociale

65. In questo momento storico è particolarmente importante che i fedeli cattolici ricordino la loro responsabilità nell'attività pubblica e politica. L'imperante mentalità laicista tende a relegare le convinzioni religiose nella coscienza individuale e a impedire che si manifestino e che abbiano ripercussioni pubbliche. È facile che si accettino di buon grado le opere di tipo assistenziale e umanitario dei cristiani, ma che si respinga qualsiasi altra manifestazione della loro fede, compresa la difesa dei valori umani piú elementari, come il diritto alla vita dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. Chiedere che il cattolico parli e agisca nella vita pubblica in modo conforme alle sue convinzioni non significa voler imporre la fede né la pratica religiosa agli altri. Contribuiamo al bene di tutti apportando il meglio che abbiamo: la fede in Gesú Cristo salvatore, che non contraddice la ragione umana, ma la eleva ad una migliore comprensione del bene comune e della natura della società (196). Coloro che rivendicano la loro condizione di cristiani operando nell'ordine politico e sociale con proposte che contraddicono espressamente l'insegnamento evangelico, custodito e trasmesso dalla Chiesa, sono causa grave di scandalo e si collocano fuori dalla comunione ecclesiale (197).

66. I fedeli debbono difendere e sostenere quelle formazioni o associazioni politiche che promuovono la dignità della persona umana e della famiglia. Qualora non si possa eliminare una legge negativa su queste materie, il fedele cattolico deve operare al fine di minimizzare i guasti che tale legge provoca (198). Su questioni piú contingenti è possibile un certo pluralismo di opzioni per i cattolici. Tuttavia, quando è in gioco la dignità della persona umana - come oggi spesso succede - il cattolico deve offrire la testimonianza reale della sua fede manifestando un inequivocabile rifiuto di tutto ciò che offende la dignità dell'essere umano. Anche le opere di carattere assistenziale promosse da cattolici, animati da spirito di carità, devono presentare un profilo specifico in cui Dio e Cristo non possono restare a margine, poiché i cristiani sanno che la radice di ogni dolore è l'allontanamento da Dio (199).

 

 

Conclusione

67. «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Riconoscere Gesú Cristo come Figlio del Dio vivente è il principio di una teologia profonda al servizio del popolo di Dio. Quando si offusca la verità sulla persona di Cristo e sulla sua missione, la vita cristiana inesorabilmente s'impoverisce. La teologia non può piú essere definita cattolica, se non pone al centro del suo impegno nel comprendere la fede (intellectus fidei) la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).

68. Nel rivedere sommariamente alcuni degli insegnamenti errati piú diffusi nella nostra società, abbiamo voluto dimostrare lo stretto legame che esiste tra teologia e vita cristiana. «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete gia saldi» (2Cor 1,24). Le opinioni erronee, che abbiamo esaminato, hanno avuto serie e gravi conseguenze nella vita della Chiesa. Dobbiamo constatare che in molte delle nostre famiglie si è interrotta la trasmissione della fede. Le convinzioni di fede di genitori, educatori e catechisti sono state scosse da proposte teologiche equivoche, ambigue e dannose che hanno indebolito la loro fede e hanno cosí precluso la trasmissione gioiosa del Vangelo. Accogliere pienamente Gesú Cristo nella comunione della Chiesa è all'origine della gioia cristiana: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

69. La teologia nasce dalla fede ed è chiamata a interpretarla mantenendo il suo legame irrinunciabile con la comunità ecclesiale. La Chiesa ha bisogno della teologia, come la teologia ha bisogno del suo legame ecclesiale. «Nello svolgimento della missione di annunciare il Vangelo della speranza, la Chiesa in Europa apprezza con gratitudine la vocazione dei teologi, valorizza e promuove il loro lavoro» (200). Dopo aver celebrato l'anno dell'Eucaristia - mistero di comunione in cui la sapienza di Dio si apre a chi lo adora - invochiamo la protezione di Maria immacolata su coloro che hanno ricevuto il ministero ecclesiale di approfondire la fede, contribuendo alla sua trasmissione fedele nell'ambito della teologia, affinché la loro opera edifichi il popolo di Dio, pronti a rispondere della nostra speranza a chiunque ce ne domanda ragione (cf. 1 Pt 3,15), e la gioia di Cristo raggiunga in tutti noi la sua pienezza (cf. Gv 15,11).

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

[Note della versione originale in lingua spagnola]

____________________

 

 

 

(1) Cf. San Ireneo de Lyon, Adversus Haereses, III, 18, 4 (SCh 211, 352-354).

(2) Cf. Benedicto XVI, Primer mensaje de Su Santidad Benedicto XVI al final de la concelebración eucarística con los cardenales electores en la Capilla Sixtina (20.4.2005), 2.

(3) Cf. Benedicto XVI, Discurso a los Cardenales, Arzobispos, Obispos y Prelados superiores de la Curia romana (22.12.2005).

(4) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 25.

(5) Cf. Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Pastores gregis (16.10.2003), 29; Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 8-9.

(6) Cf. Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Ecclesia in Europa (28,6,2003), 9.

(7) Plan Pastoral de la Conferencia Episcopal Española 2002-2005, Una Iglesia esperanzada. ¡Mar adentro! (Lc 5, 4) (31.1.2002), 42.

(8) Cf. Plan Pastoral de la Conferencia Episcopal Española 2002-2005, Una Iglesia esperanzada. ¡Mar adentro! (Lc 5, 4) (31.1.2002), 10; Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Ecclesia in Europa (28.6.2003), 7.

(9) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 55.

(10) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 1.23.

(11) Cf Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum 2.

(12) Cf. 2 P 1, 4; San Ireneo de Lyon, Adversus Haereses, IV, 13, 1 (SCh 100,526); IV 20, 4 (SCh 100,634-636).

(13) Catecismo de la Iglesia Católica, 52.

(14) Cf. LXX Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Dios es Amor, Instrucción Pastoral en los umbrales del Tercer Milenio (27.11.1998), 26. 44.

(15) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 2-6.

(16) Cf. San Ireneo de Lyon, Adversus Haereses I, Praef. 2 (SCh 264,22).

(17) Cf. San Ireneo de Lyon, Adversus Haereses, IV, 34, 1 (SCh 100, 846-848); III, 10, 2 (SCh 211,120).

(18) Misal Romano, Domingo XXIII T.O, Oración colecta; cf. Pio VI, Auctorem fidei, 16-18 (DH 2616-2618); Pío XII, Carta Encíclica Humani generis (DH 3891); Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen Gentium, 2, 7.

(19) Cf. Concilio Vaticano II, Decreto sobre la formación sacerdotal Optatam totius, 16; Id., Decreto sobre las relaciones de la Iglesia con las relaciones no cristianas Nostra aetate, 2.

(20) Juan Pablo II, Carta encíclica Redemptoris missio (7.12.1990) 29; cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 16.

(21) Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación a propósito del libro del Rvdo. Jacques Dupuis, S.J. "Hacia una teología cristiana del pluralismo religioso", Maliaño (Cantabria), Editorial Sal Terrae 2000», (24.1.2001), 8; cf. Id., Artículo de Comentario a la Notificación del libro del P. Jacques Dupuis "Hacia una teología cristiana del pluralismo religioso" (12.3.2001), 5; Concilio Vaticano II, Declaración sobre la libertad religiosa Dignitatis humanae, 1; cf. Comisión Teológica Internacional, El cristianismo y las religiones (1996), 81-87.

(22) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 2; cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 5.

(23) Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 6.

(24) San Ireneo de Lyon, Adversus Haereses, V Praef. (SCh 153,14).

(25) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 25.

(26) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 5; Catecismo de la Iglesia Católica, 153.

(27) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 153-165.

(28) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 5.

(29) Cf. Concilio Vaticano I, Constitución Dei Filius, 3 (DH 3008).

(30) Mc 16, 16: el que crea y sea bautizado, se salvará.

(31) Cf. Santo Tomás de Aquino, Summa Theologiae II-II, 6, 1.

(32) Cf. Tertuliano, De praescriptione haereticorum VI, 2-4 (CCL 1, 191).

(33) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 186; San Cirilo de Jerusalén, Catequesis, 5, 12 (PG 33, 521-524).

(34) Cf. San Agustín, Contra Faustum, 17, 3 (CSEL 25/1,486,15-17): «Decid con claridad que vosotros no creéis en el Evangelio de Cristo, porque los que creéis aquellas cosas del Evangelio que queréis, y no creéis en otras que no queréis, en realidad creéis en vosotros mismos más que en el Evangelio».

(35) Cf. San Ambrosio, In Lucam 6, 101 (CCL 14,210-211): «Veis cómo en el nombre de Cristo se resume todo. Él mismo es el Cristo, el que ha nacido de la Virgen, el mismo que ha hecho milagros ante el pueblo, el mismo que ha muerto por nuestros pecados y ha resucitado de entre los muertos. Si prescindes de uno de estos aspectos, has perdido tu salvación. También los herejes parece que tienen a Cristo, pues nadie niega el nombre de Cristo, pero en realidad están negando a Cristo, pues no confiesan todo lo que corresponde a Cristo».

(36) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 2.

(37) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación a propósito del libro de "Jesus Symbol of God" del Padre Roger Haight, S.J. (13.12.2004).

(38) Cf. Santo Tomás de Aquino, Summa Theologiae, I, 13.

(39) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre los escritos del Padre Anthony De Mello, S.J. (24.6.1998).

(40) Cf. San Gregorio de Elvira, La fe, 52b (Fuentes Patrísticas 11, 99): «El conocimiento de Dios es la vida eterna y su grandeza es inefable; y sólo se le estima justamente cuando se dice que es inestimable».

(41) Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 6.

(42) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 65; San Anselmo de Canterbury, Proslogion, 1 (PL 158, 227): «Señor, yo no pretendo penetrar en tu profundidad: ¿cómo iba a comparar mi inteligencia con tu misterio? Pero deseo comprender de algún modo esa verdad que creo y que mi corazón ama. No busco comprender para creer (esto es, no busco comprender de antemano, por la razón, lo que haya de creer después, sino que creo primero, para esforzarme luego en comprender. Porque creo una cosa: si no empiezo por creer, no comprenderé jamás».

(43) Cf. Concilio Vaticano I, Constitución dogmática Dei Filius (24.4.1870), can. 1: DH 3026; Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 6; Pablo VI, Credo del Pueblo de Dios (28.6.1968), 5; Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 56; Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum veritatis (24.5.1990), 10.

(44) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 56; Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum veritatis (24.5.1990), 10.

(45) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 5: «[La Iglesia] considera a la filosofía como una ayuda indispensable para profundizar la inteligencia de la fe y comunicar la verdad del Evangelio a cuantos aún no la conocen».

(46) Concilio Vaticano II, Decreto sobre la actividad misionera de la Iglesia Ad gentes, 22.

(47) Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 69.

(48) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Redemptoris missio (7.12.1990), 37; Conferencia Episcopal Española, Instrucción Pastoral Valoración moral del terrorismo en España, de sus causas y de sus consecuencias (22.11.2002), 27.

(49) Cf Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et ratio (14.9.1998), 80-91; Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum veritatis (24.5.1990),10.

(50) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación a propósito del libro "Jesus symbol of God" del Padre Roger Haight, S.J. (13.12.2004), especialmente el apartado sobre el método teológico.

(51) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Mysterium Ecclesiae acerca de la doctrina católica sobre la Iglesia para defenderla de algunos errores actuales (24.6.1973), 2-5.

(52) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 890.

(53) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum veritatis (24.5.1990), 14; Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, El teólogo y su función en la Iglesia (20.10.1989), 5. 9.

(54) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum 11 ; Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 18.

(55) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum 12.

(56) Cf. J. Ratzinger, «La interpretación bíblica en conflicto», 24-26 en L. Sánchez Navarro-C. Granados (edd.) Escritura e interpretación, Madrid 2003, 19-54.

(57) Cf. Pontificia Comisión Bíblica, La interpretación de la Biblia en la Iglesia (15.4.1993).

(58) Cf. J. Ratzinger, «La interpretación bíblica en conflicto», 30-42 en L. Sánchez Navarro-C. Granados (edd.) Escritura e interpretación, Madrid 2003, 19-54.

(59) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 134.

(60) Congregación para la doctrina de la fe, Notificación sobre algunas publicaciones del Prof. R. Messner (30.11.2000), 7: «En la interpretación de la Palabra de Dios, transmitida en la Escritura y en la Tradición, la ciencia teológica tiene un papel importante. Sin embargo supera las posibilidades de la teología explicar la Palabra de Dios de manera vinculante para la fe y la vida de la Iglesia. Esta tarea corresponde al Magisterio vivo de la Iglesia».

(61) San Agustín, Sermones, 183, 3 (PL 38, 989): «Y si no han visto en Jesucristo más que un hombre, con toda certeza no han conocido a Jesucristo».

(62) Cf. Juan Pablo II, Discurso sobre la interpretación de la Biblia en la Iglesia (23.4.1993), 7.

(63) Cf Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 24.

(64) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota sobre algunos aspectos relacionados con el tema de la verdad de la revelación cristiana y su transmisión (30.11.1992), 9-10.

(65) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 534.

(66) Catecismo de la Iglesia Católica, 2567.

(67) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta sobre algunos aspectos de la meditación cristiana Orationis formas (15.10.1989); Id., Notificación sobre los escritos del Padre Anthony De Mello, S.J. (24.6.1998).

(68) Cf. Juan Pablo II, Carta Apostólica Novo Millennio Ineunte (6.1.2001), 32-34.

(69) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 22.

(70) Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Mysterium Filii Dei para salvaguardar la fe de algunos errores recientes sobre el Misterio de la Encarnación y de la Santísima Trinidad (21.2.1972), 1.

(71) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Redemptoris Missio (7.12.1990), 2.

(72) Cf. Comisión para la Doctrina de la Fe (Conferencia Episcopal Española), «Cristo presente en la Iglesia». Nota doctrinal sobre algunas cuestiones cristológicas e implicaciones eclesiológicas (20.2.1992).

(73) Catecismo de la Iglesia Católica, 479.

(74) Misal Romano. Prefacio III de Navidad; cf. San Hilario, Tractatus super Psalmos, 53, 7 (CCL 61,134).

(75) Catecismo de la Iglesia Católica, 483.

(76) Cf. San León Magno, Tractatus, 26, 2 (CCL 138,126): «pues si él no hubiera descendido hasta nosotros revestido de esta humilde condición, nadie hubiera logrado llegar hasta él por sus propios méritos».

(77) Credo de Constantinopla I (381) (DH 150).

(78) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 80.

(79) Cf. Concilio Vaticano II, Decreto sobre la formación sacerdotal Optatam totius, 16.

(80) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Mysterium Filii Dei para salvaguardar la fe de algunos errores recientes sobre el Misterio de la Encarnación y de la Santísima Trinidad (21.2.1972), 1-3.

(81) Catecismo de la Iglesia Católica, 481.

(82) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica 599-617; Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre el libro "Jesus symbol of God" del Padre Roger Haight, S.J. (13.12.2004).

(83) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 101.

(84) Concilio Vaticano II, Constitución sobre la Sagrada Liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.

(85) Cf. San León Magno, Tractatus, 21, 1 (CCL 138, 85-86).

(86) Catecismo de la Iglesia Católica, 521.

(87) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 519-521; 793; 1084-1090.

(88) Cf. Concilio de Calcedonia (451) (DH 302): «... salvaguardada la propiedad de cada naturaleza...». San León Magno, Tractatus, 23, 2 (CCL 138,104): «Cada naturaleza conserva sin disminución lo que le es propio. Así como la condición de Dios no suprime la condición de siervo, así tampoco la condición de siervo disminuye la condición de Dios».

(89) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 639-647.

(90) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, «Nota sobre el libro de Juan José Tamayo Acosta, Dios y Jesús (Trotta, Madrid 2000)».

(91) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución sobre la divina Revelación Dei Verbum 19; Pontifica Comisión Bíblica, Instrucción Sancta Mater Ecclesia (21.4.1964).

(92) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota sobre la concepción virginal de Jesús (1.4.1978).

(93) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación El 5 de junio sobre la obra «Mary and Human Liberation» del Padre Tissa Balasuriya, O.M.I., (2.1.1997).

(94) Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 14.

(95) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 3-4; Id., Notificación sobre los escritos del Padre Anthony De Mello, S.J. (24.6.1998); Id. Notificación sobre el libro "Jesus symbol of God" del Padre Roger Haight, S.J. (13.12.2004).

(96) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 14-15.

(97) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación a propósito del libro del Rvdo. P. Jacques Dupuis, S.J."Hacia una teología cristiana del pluralismo religioso", Maliaño (Cantabria), Editorial Sal Terrae 2000» (24.1.2001), 8.

(98) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 22.

(99) Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Catechesi Tradendae (16.10.1979), 5.

(100) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Sobre algunos aspectos doctrinales de las publicaciones «Teología popular» y «Documento-Programa de la I Asamblea de cristianos de base de Madrid, 1986», (19.11.1986); Id., Sobre algunas cuestiones eclesiológicas (13.10.1987).

(101) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, «Nota sobre el libro de Juan José Tamayo Acosta, Dios y Jesús (Trotta, Madrid 2000)».

(102) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, La comunión eclesial (15.2.1978).

(103) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 17.

(104) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium 1; cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 774-775.

(105) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium 9.

(106) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium 1.

(107) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 45.

(108) Cf. San Agustín de Hipona, Enarraciones in Psalmos 90, 2, 1 (CCL 39, 1266); Tractatus in Ioannis epistulam ad Partos 1,2 (PL 35,1979); Hilario de Poitiers, De Trinitate, 2, 24 (CCL 62, 60); Pablo VI, Credo del Pueblo de Dios, 19-20; Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Mysterium Ecclesiae (24.6.1973), 1; Id., Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 16; Catecismo de la Iglesia Católica, 795-796. 1136. 1187.

(109) Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 8; Catecismo de la Iglesia Católica, 816.

(110) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Mysterium Ecclesiae sobre la doctrina católica acerca de la Iglesia para defenderla de algunos errores actuales (24.6.1973), 1; Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 16-17. Ya antes, en la Notificación sobre el volumen "Iglesia: carisma y poder. Ensayo de eclesiología militante" del P. Leonardo Boff, O.F.M. (11.3.1985), se había recordado esta misma cuestión.

(111) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 5.

(112) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 22.

(113) Cf. Origenes, In Mattheum, 14, 7 (PG 13, 1197).

(114) Cf. Juan Pablo II, Carta encíclica Redemptoris missio (7.12.1990) 18; Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Dominus Iesus (6.8.2000), 18. San Agustín, De civitate Dei 20, 9 (CCL 48,715-717); San Gregorio Magno, Homiliarum in Evangelia libri duo, 2, 32, 6 (CCL 141,283-284).

(115) Cf. Sínodo de los Obispos, II Asamblea extraordinaria (1985), Relatio finalis II,C,1.

(116) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta Communionis notio (28.5.1992), 3-4.

(117) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta Communionis notio (28.5.1992), 4-5.

(118) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 1071.

(119) Concilio Vaticano II, Constitución sobre la Sagrada Liturgia Sacrosanctum Concilium, 9.

(120) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Sagrada Liturgia Sacrosanctum Concilium 10.

(121) Cf. Congregación para la doctrina de la fe, Notificación sobre algunas publicaciones del Prof. R. Messner (30.11.2000), 8-9.

(122) Cf. Benedicto XVI, Carta Encíclica Deus caritas est (25.12.2005), 25.

(123) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Ecclesia de Eucharistia (17.4.2003) 10, 52; Congregación para el Culto Divino, Instrucción Redemptionis sacramentum (25.3.2004), 6-12.

(124) Nicetas de Remesiana, Instructio ad competentes, 5, 3, 23 [Explanatio Symboli, 10] (PL 52, 871).

(125) Pablo VI, Credo del Pueblo de Dios (28.6.1968), 30.

(126) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen Gentium 48.

(127) Tertuliano, De resurrectione mortuorum 1, 1 (CCL 1, 921): «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum. In illa credentes sumus» («La esperanza de los cristianos es la resurrección de los muertos. Creyendo en ella somos tales»).

(128) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Carta a los Presidentes de las Conferencias Episcopales Recentiores episcoporum Synodi (17.5.1979); Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Esperamos la resurrección y la vida eterna (26.11.1995).

(129) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen Gentium 18.

(130) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre algunas publicaciones del Prof. R. Messner (30.11.2000), 13.

(13) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre el volumen "Iglesia: carisma y poder. Ensayo de eclesiología militante" del P. Leonardo Boff, O.F.M. (11.3.1985).

(132) Cf. Comisión episcopal para la Doctrina de la Fe en 1987, Sobre algunas cuestiones eclesiológicas (13.10.1987), 2-3.

(133) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal sobre usos inadecuados de la expresión "modelos de Iglesia" (18.10.1988); Id., Nota explicativa a propósito del cese de los Padres Castillo y Estrada como profesores de la Facultad de Teología de Granada (14.7.1988).

(134) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen Gentium 10.

(135) Cf. Juan Pablo II, Carta Apostólica Ordinatio sacerdotalis (22.5.1994); Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración sobre la cuestión de la admisión de las mujeres al sacerdocio ministerial Inter insigniores (15.10.1976).

(136) Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración sobre la cuestión de la admisión de las mujeres al sacerdocio ministerial Inter insigniores (15.10.1976), II-IV.

(137) Congregación para la Doctrina de la Fe, Respuesta acerca de la doctrina de la carta apostólica "Ordinatio sacerdotalis" (28.10.1995). Cf. Juan Pablo II, Carta Apostólica en forma de Motu Proprio Ad tuendam fidem (18.5.1998); Congregación para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal ilustrativa de la fórmula conclusiva de la "Professio fidei" (29.6.1998), 11 «En lo que concierne a la reciente enseñanza de la doctrina sobre la ordenación sacerdotal reservada sólo a los hombres, se debe observar un proceso similar. La intención del Sumo Pontífice, sin querer llegar a una definición dogmática, ha sido la de reafirmar que tal doctrina debe ser tenida como definitiva, pues, fundada sobre la Palabra de Dios escrita, constantemente conservada y aplicada en la Tradición de la Iglesia, ha sido propuesta infaliblemente por el Magisterio ordinario y universal. Nada impide que, como lo demuestra el ejemplo precedente, en el futuro la conciencia de la Iglesia pueda progresar hasta llegar a definir tal doctrina de forma que deba ser creída como divinamente revelada".

(138) Cf. Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Vita consecrata (25.3.1996), 1; Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 192-193.

(139) Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Vita consecrata (25.3.1996), 3.

(140) Cf. Concilio Vaticano II, Decreto sobre la actividad misionera de la Iglesia Ad gentes, 18.

(141) En esta dirección algún autor ha propuesto que el voto de pobreza pase a llamarse "de administración ecológica", el de obediencia "mayordomía de coordinación", y el de castidad "voto para la relación". Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal sobre el libro "Rehacer la vida religiosa. Una mirada al futuro" del Rvdo. P. Diarmuid O' Murchu, M.S.C. (8.7.2002).

(142) Cf Concilio Vaticano II, Constitución Lumen Gentium 8.

(143) Tal es el título que el Catecismo de la Iglesia Católica da a la parte moral.

(144) Concilio Vaticano, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 22.

(145) Catecismo de la Iglesia Católica, 1701.

(146) Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 3; cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la Iglesia Lumen gentium, 16.

(147) Cf. Benedicto XVI, Carta Encíclica Deus caritas est (25.12.2005), 3-5.

(148) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Fides et Ratio (14.9.1998), 5.

(149) Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 88: «La contraposición, más aún, la radical separación entre libertad y verdad es consecuencia, manifestación y realización de otra más grave y nociva dicotomía: la que se produce entre fe y moral».

(150) Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 43.

(151) Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 8; Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota sobre la enseñanza de la moral (1.8.1997).

(152) Catecismo de la Iglesia Católica, 1692: «Los cristianos, reconociendo en la fe su nueva dignidad, son llamados a llevar en adelante una vida digna del Evangelio de Cristo (Flp 1, 27). Por los sacramentos y la oración reciben la gracia de Cristo y los dones de su espíritu que les capacitan para ello»; cf. Ibid.1709, 1715.

(153) Congregación para la Doctrina de la Fe, A propósito de la «Notificación» de la Congregación para la Doctrina de la Fe sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal (15.5.2001), 6.

(154) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 22; Decreto sobre la formación sacerdotal Optatam totius 16; Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 2. 6-7; Juan Pablo II, Carta Encíclica Redemptor hominis (4.3.1979), 10.

(155) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum veritatis (24.5.1990), 16. Id., Notificación sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R (22.2.2001); Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe (Conferencia Episcopal Española) y Congregación del Santísimo Redentor (C.SS.R.), Provincia de Madrid, Declaración conjunta sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, cssr. (Madrid, 7 de abril de 2003).

(156) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R (22.2.2001).

(157) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Persona humana (29.12.1975), 4.

(158) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 36-37. 41-42.

(159) Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 28; cf. Concilio Vaticano II, Constitución dogmática sobre la divina Revelación Dei Verbum, 7.

(160) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 358.

(161) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 423.

(162) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 430.

(163) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 425.

(164) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Persona humana (29.12.1975), 3; Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 47-50.

(165) Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum vitae (22.2.1987), 3; Pablo VI, Carta Encíclica Humanae vitae (25.7.1968), 10; Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 50.

(166) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes 16.

(167) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 372.

(168) Juan Pablo II, Carta Encíclica Dominum et vivificantem (18.5.1986), 43; cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes, 16; Declaración sobre la libertad religiosa Dignitatis humanae, 3.

(169) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 65-70.

(170) Cf. Juan Pablo II, Carta Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 75.

(171) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Notificación sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R. (22.2.2001); Id., A propósito de la «Notificación» de la Congregación para la Doctrina de la Fe sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R. (15.5.2001); y también, sobre el conjunto, Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre la enseñanza de la moral (1.8.1997).

(172) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Veritatis Splendor (6.8.1993), 63.

(173) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 373.

(174) Catecismo de la Iglesia Católica. Compendio, 77.

(175) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Persona humana (29.12.1975), 9.

(176) Cf. Concilio Vaticano II, Constitución pastoral sobre la Iglesia en el mundo actual Gaudium et Spes 23.

(177) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, A propósito de la «Notificación» de la Congregación para la Doctrina de la Fe sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R. (15.5.2001), 6.

(178) Cf. Benedicto XVI, Carta Encíclica Deus caritas est (25.12.2005), 5.

(179) Congregación para la Doctrina de la Fe, A propósito de la «Notificación» de la Congregación para la Doctrina de la Fe sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal, C.Ss.R. (15.5.2001), 6.

(180) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Nota referente a La norma moral de la "Humanae vitae" y la función pastoral (16.2.1989); VIII Asamblea Plenaria, Sobre la «Humanae vitae» (27.11.1968); Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal sobre algunos aspectos referentes a la sexualidad y a su valoración moral (7.1.1987); Id., Una Encíclica profética: la «Humanae vitae». Reflexiones doctrinales y pastorales (20.11.1992).

(181) Cf. Catecismo de la Iglesia Católica, 2337.

(182) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Instrucción Donum vitae (22.2.1987), 6-7;

(183) Cf. Pablo VI, Carta Encíclica Humanae vitae (25.7.1968), 12-16; Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Familiaris consortio (22.11.1981), 32.

(184) Catecismo de la Iglesia Católica, 2396. Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Persona humana (29.12.1975), 8-9; Carta Homosexualitatis problema (1.10.1986), 3-8; Catecismo de la Iglesia Católica, 2352. 2357-2359; A propósito de la «Notificación» de la Congregación para la Doctrina de la Fe sobre algunos escritos del Rvdo. P. Marciano Vidal (15.5.2001), 6.

(185) LXXVI Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción Pastoral La familia, santuario de la vida y esperanza de la sociedad (27.4.2001), 54.

(186) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Persona humana (29.12.1975), 5.

(187) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe, La estabilidad del matrimonio (7.5.1977); XXXI Asamblea Plenaria, Matrimonio y familia (6.7.1979); LXXXVIII Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Sobre la regulación del matrimonio en el Código Civil (3.2.1981); LXXXVII Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre el matrimonio y el divorcio (27.6.1981); CLIX Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Matrimonio, familia y uniones homosexuales. Nota con motivo de algunas iniciativas legales recientes (24.6.1994); LXXVI Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción pastoral La familia, santuario de la vida y esperanza de la sociedad (27.4.2001); LXXXI Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Directorio de la Pastoral familiar de la Iglesia en España (21.11.2003); Comité Ejecutivo de la Conferencia Episcopal Española, Nota en favor del verdadero matrimonio (15.7.2004); Oficina de Información de la Conferencia Episcopal Española, Nota de prensa Ante la aprobación del Anteproyecto de Ley por el que se modifica el Código Civil en materia de separación y divorcio (17.9.2004); Oficina de Información de la Conferencia Episcopal Española, Nota de prensa Ante la aprobación del anteproyecto de Ley que equipararía las uniones homosexuales al matrimonio (1.10.2004).

(188) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Declaración Quaestio de abortu (18.11.1974), 5-7; Declaración Iura et bona (5.5.1980) I-II.

(189) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe de la Conferencia Episcopal Española, Nota acerca de las proposiciones de ley sobre "Técnicas de reproducción asistida" y "Utilización de embriones y de fetos humanos o de células, tejidos u órganos" (23.3.1988); Comité Ejecutivo de la Conferencia Episcopal Española, Una reforma para mejor, pero muy insuficiente. Nota sobre la reforma de la vigente ley sobre Técnicas de reproducción asistida (25.7.2003); Comité Ejecutivo de la Conferencia Episcopal Española, Por una ciencia al servicio de la vida humana (25.5.2004); Oficina de Información de la Conferencia Episcopal Española, Ante la aprobación del Decreto Ley que aplica la Ley de Reproducción Asistida (29.10.2004).

(190) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Donum vitae (22.2.1987), 1; Comisión para la Doctrina de la Fe de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre el aborto (4.10.1974); XCVI Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, La vida y el aborto (5.2.1983); XXXVIII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, La despenalización del aborto (25.6.1983); CVII Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Despenalización del aborto y conciencia moral (10.5.1985); XLII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción Actitudes morales y cristianas ante la despenalización del aborto (28.6.1985); XLIII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Comunicado Tras la despenalización del aborto (16.11.1985); Comité Episcopal para la Defensa de la Vida de la Conferencia Episcopal Española, Al año de la despenalización parcial del aborto (25.9.1986); XLV Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre el aborto (22.11.1986); Comité Episcopal para la Defensa de la Vida de la Conferencia Episcopal Española, El aborto. 100 cuestiones y respuestas sobre la defensa de la vida humana y la actitud de los católicos (25.3.1991); Comité Episcopal para la Defensa de la Vida de la Conferencia Episcopal Española, Comunicado sobre la regulación del aborto en el proyecto de Código Penal (5.9.1992); LVII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre la nueva regulación del aborto propuesta en el proyecto de reforma del Código Penal (21.11.1992); CLX Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Sobre la proyectada nueva "Ley del aborto" (22.9.1994); Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, El aborto con píldora también es un crimen (18.6.1998); Comité Ejecutivo de la Conferencia Episcopal Española, Licencia aún más amplia para matar a los hijos (13.9.1998); Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Con la píldora también se mata (21.10.1998); CLXXXI Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Nota con motivo de la autorización de la píldora RU-486 (17.2.2000); Subcomisión para la Familia y Defensa de la Vida de la Conferencia Episcopal Española, Sobre la píldora del día siguiente (12.12.2000); LXXVI Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, La "píldora del día siguiente", nueva amenaza contra la vida (27.4.2001).

(191) Benedicto XVI, Discurso a los participantes en un Congreso convocado por la Academia Pontificia para la Vida (27.2.2006).

(192) «El Magisterio de la Iglesia ha proclamado constantemente el carácter sagrado e inviolable de toda vida humana, desde su concepción hasta su fin natural (cf. ib., 57). Este juicio moral vale ya al comienzo de la vida de un embrión, incluso antes de que se haya implantado en el seno materno, que lo custodiará y nutrirá durante nueve meses hasta el momento del nacimiento»: Benedicto XVI, Discurso a los participantes en el Congreso convocado por la Academia Pontificia para la Vida (27.2.2006). Cf. LXXVI Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción Pastoral La familia, santuario de la vida y esperanza de la sociedad (27.4.2001), 109.

(193) Cf. Juan Pablo II, Carta Encíclica Evangelium vitae (25.3.1995), 64-67.

(194) Juan Pablo II, Carta Encíclica Evangelium vitae (25.3.1995), 65.

(195) Cf. Comisión Episcopal para la Doctrina de la Fe de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre la eutanasia (15.4.1986); Comité Episcopal para la Defensa de la Vida de la Conferencia Episcopal Española, La eutanasia: 100 cuestiones y respuestas sobre la defensa de la vida humana y la actitud de los católicos (1992); Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, La eutanasia es inmoral y antisocial (19.2.1998).

(196) Cf. LVI Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Nota sobre la participación política (2.2.1977); LXXIII Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, La responsabilidad moral del voto (8.2.1979); XLII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Testigos del Dios vivo (28.6.1985); CXI Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción Constructores de la paz (28.2.1986); Comisión Permanente (por encargo de la XLIV Asamblea Plenaria) de la Conferencia Episcopal Española, Los católicos en la vida pública (22.4.1986); LIII Asamblea Plenaria de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción pastoral sobre la conciencia cristiana ante la situación moral de nuestra sociedad La Verdad os hará libres (Jn 8, 32) (20.11.1990); CLXIV Comisión Permanente de la Conferencia Episcopal Española, Instrucción Pastoral Votar responsablemente y en conciencia (18.1.1996); LXV Asamblea Plenaria, Instrucción Pastoral Moral y Sociedad democrática (14.2.1996).

(197) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal sobre algunas cuestiones relativas al compromiso y la conducta de los católicos en la vida política (24.11.2002).

(198) Cf. Congregación para la Doctrina de la Fe, Nota doctrinal sobre algunas cuestiones relativas al compromiso y la conducta de los católicos en la vida política (24.11.2002), 4.

(199) Cf. Benedicto XVI, Carta Encíclica Deus caritas est (25.12.2005), 31.

(200) Juan Pablo II, Exhortación Apostólica Postsinodal Ecclesia in Europa (28.6.2003), 52.

 

 

 

 

 

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Conferenza Episcopale Spagnola.