I - Introduzione

 

 

1. Nell'insegnare che il sacerdozio ministeriale o gerarchico differisce essenzialmente e non solo di grado dal sacerdozio comune dei fedeli, il Concilio Ecumenico Vaticano II espresse la certezza di fede che soltanto i Vescovi e i Presbiteri possono compiere il mistero eucaristico. Benché infatti tutti i fedeli partecipino dell'unico e identico sacerdozio di Cristo e concorrano all'oblazione dell'Eucaristia, solo il sacerdote ministeriale, in virtú del sacramento dell'Ordine, è abilitato a compiere il sacrificio eucaristico nella persona di Cristo e ad offrirlo a nome di tutto il popolo cristiano (Lumen Gentium, 10. 17. 26. 28; Sacrosanctum Concilium, 7; Christus Dominus, 15; Presbyterorum Ordinis, 2 et 3; cfr. etiam PAULI VI, Mysterium Fidei, die 3 sept. 1965: AAS 57 (1965), 761).

2. Negli ultimi anni hanno però cominciato a diffondersi delle opinioni, talvolta tradotte nella prassi, che negando il suddetto insegnamento ledono nell'intimo la vita della Chiesa. Tali opinioni, diffuse sotto forme e con argomentazioni diverse, cominciano ad attirare gli stessi fedeli, sia perché si afferma che godrebbero di un certo fondamento scientifico, sia perché vengono presentate come rispondenti alle necessità della cura pastorale delle comunità e della loro vita sacramentale.

3. Pertanto questa Sacra Congregazione, mossa dal desiderio di offrire ai sacri Pastori, in spirito di affetto collegiale, il proprio servizio, intende qui richiamare alcuni tra i punti essenziali della dottrina della Chiesa circa il ministro dell'Eucaristia, trasmessi dalla viva Tradizione ed espressi in precedenti documenti magisteriali (Cfr. PII XII, Mediator Dei, die 20 nov. 1947: AAS 39 (1947) 553; PAULI VI, Quinque Iam Anni, die 8 dec. 1970: AAS 63 (1971) 99; Documenta Synodi Episcoporum, a. 1971: De Sacerdotio Ministeriali, Pars prima: AAS 63 (1971) 903-908; S. CONGREG. PRO DOCTRINA FIDEI, Mysterium Ecclesiae, 6, die 24 jun. 1973: AAS 65 (1973) 405-407; EIUSDEM, De duobus operibus Professoris Ioannis Küng, die 15 febr. 1975: AAS 67 (1975) 204; EIUSDEM, Inter Insigniores, 5, die 15 oct. 1976: AAS 69 (1977) 108-113; IOANNIS PAULI PP. II, Novo Incipiente, 2-4, die 8 apr. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo 77, II (1979) 843-847; EIUSDEM, Dominicae Cenae, 1-11, die 24 febr. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1980) 580-605). Presupponendo la visione integrale del ministero sacerdotale presentata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, essa giudica urgente, nella presente situazione, un intervento chiarificatore a proposito di questo particolare compito essenziale del sacerdote.

 

 

II - Opinioni errate

 

1. I fautori delle nuove opinioni affermano che ogni comunità cristiana, per il fatto stesso che si riunisce nel nome di Cristo e perciò beneficia della Sua presenza indivisa (cfr. Matth. 18,20), è dotata di tutti i poteri che il Signore ha voluto accordare alla Sua Chiesa.

Ritengono inoltre che la Chiesa è apostolica nel senso che tutti coloro che nel sacro Battesimo sono stati lavati e incorporati ad essa e resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono realmente anche successori degli Apostoli. Dal momento poi che negli Apostoli è prefigurata la Chiesa intera, ne conseguirebbe che anche le parole dell'istituzione dell'Eucaristia, dirette ad essi, sono destinate a tutti.

2. Ne consegue anche che, per quanto necessario al buon ordine della Chiesa, il ministero dei Vescovi e dei Presbiteri non differirebbe dal sacerdozio comune dei fedeli quanto alla partecipazione al sacerdozio di Cristo in senso stretto, ma solo in ragione dell'esercizio. Il cosiddetto compito di moderare la comunità - che include anche quello di predicare e di presiedere alla sacra sinassi - sarebbe un semplice mandato conferito in vista del buon funzionamento della comunità stessa, ma non dovrebbe essere «sacralizzato». La chiamata a tale ministero non aggiungerebbe una nuova capacità «sacerdotale» in senso stretto - e per questo il piú delle volte si evita lo stesso termine di «sacerdozio» - né imprimerebbe un carattere che costituisca ontologicamente nella condizione di ministri, ma esprimerebbe soltanto davanti alla comunità che l'iniziale capacità conferita nel sacramento del Battesimo diventa effettiva.

3. In virtú dell'apostolicità delle singole comunità locali, in cui Cristo sarebbe presente non meno che nella struttura episcopale, ciascuna comunità, per quanto esigua, qualora venisse a essere privata a lungo di quel suo elemento costitutivo che è l'Eucaristia, potrebbe «riappropriarsi» la sua originale potestà e avrebbe il diritto di designare il proprio presidente e animatore e di conferirgli tutte le facoltà necessarie per la guida della comunità stessa, compresa quella di presiedere e consacrare l'Eucaristia. Oppure - si afferma - Dio stesso non si rifiuterebbe, in simili circostanze, di accordare, anche senza sacramento, il potere che normalmente concede mediante l'Ordinazione sacramentale.

A tale conclusione porta anche il fatto che la celebrazione dell'Eucaristia viene spesso intesa semplicemente come un atto della comunità locale radunata per commemorare l'ultima cena del Signore mediante la frazione del pane. Sarebbe quindi piú un convito fraterno, nel quale la comunità si ritrova e si esprime, che non la rinnovazione sacramentale del Sacrificio di Cristo, la cui efficacia salvifica si estende a tutti gli uomini, presenti o assenti, sia vivi che defunti.

4. D'altra parte, in alcune regioni le opinioni errate circa la necessità di ministri ordinati per la celebrazione eucaristica hanno anche indotto taluni ad attribuire sempre minor valore nella loro catechesi ai sacramenti dell'Ordine e dell'Eucaristia.

 

 

III - La dottrina della Chiesa

 

1. Anche se proposte in forme abbastanza diverse e sfumate, le suddette opinioni confluiscono tutte nella stessa conclusione: che il potere di compiere il sacramento dell'Eucaristia non è necessariamente collegato con l'Ordinazione sacramentale. È evidente che tale conclusione non può assolutamente comporsi con la fede trasmessa, poiché non solo si misconosce il potere affidato ai sacerdoti, ma si intacca l'intera struttura apostolica della Chiesa e si deforma la stessa economia sacramentale della salvezza.

2. Secondo l'insegnamento della Chiesa la parola del Signore e la vita divina da Lui donata sono destinate fin dall'inizio a essere vissute e partecipate in un corpo unico, che il Signore stesso si edifica nel corso dei secoli. Questo corpo che è la Chiesa di Cristo, da Lui continuamente dotato dei doni dei ministeri «ben fornito e ben compaginato per mezzo di giunture e di legami, riceve l'aumento voluto da Dio (Col. 2,19)» (cfr. Lumen Gentium, 7.18.19.20; Christus Dominus, 1 et 3; Presbyterorum Ordinis, 2). Questa struttura ministeriale nella sacra Tradizione si esplicita nei poteri affidati agli Apostoli e ai loro successori, di santificare, di insegnare e di governare in nome di Cristo.

L'apostolicità della Chiesa non significa che tutti i credenti siano Apostoli (cfr. CONC. TRID., Doctrina de sacramento ordinis, cap. 4: DENZ.-SCHÖN. 1767), fosse pure in modo collettivo; e nessuna comunità ha la potestà di conferire il ministero apostolico, che fondamentalmente viene accordato dal Signore stesso. Quando la Chiesa nei simboli si professa apostolica esprime, dunque, oltre all'identità dottrinale del suo insegnamento con quello degli Apostoli, la realtà della continuazione del compito degli Apostoli mediante la struttura della successione, in forza della quale la missione apostolica dovrà durare sino alla fine dei secoli (cfr. Lumen Gentium, 20).

Tale successione degli Apostoli, che costituisce apostolica tutta la Chiesa, fa parte della viva Tradizione, che per la Chiesa è diventata fin dall'inizio, e continua ad essere, la sua forma di vita. Perciò si allontanano dal retto sentiero coloro che oppongono a questa viva Tradizione talune singole parti della Scrittura, dalle quali pretendono di dedurre il diritto ad altre strutture.

3. La Chiesa cattolica, che è cresciuta nei secoli e continua a crescere per la vita datale dal Signore con l'effusione dello Spirito Santo, ha sempre mantenuto la sua struttura apostolica, fedele alla tradizione degli Apostoli che vive e perdura in essa. Imponendo le mani agli eletti con l'invocazione dello Spirito Santo, essa è consapevole di amministrare la potenza del Signore, il quale rende partecipi in modo peculiare i Vescovi, successori degli Apostoli, della sua triplice missione sacerdotale, profetica e regale. A loro volta i Vescovi affidano, in vario grado, l'ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa (cfr. ibid. 28).

Perciò anche se tutti i battezzati godono della stessa dignità davanti a Dio, nella comunità cristiana voluta dal suo divin Fondatore strutturata gerarchicamente, esistono, fin dai suoi primordi, poteri apostolici specifici derivanti dal sacramento dell'Ordine.

4. Fra questi poteri che Cristo ha affidato in maniera esclusiva agli Apostoli e ai loro successori figura quello di fare l'Eucaristia. Ai soli Vescovi e ai Presbiteri, che essi hanno resi partecipi del ministero ricevuto, è quindi riservata la potestà di rinnovare nel mistero eucaristico ciò che Cristo ha fatto nell'ultima Cena (Id confirmat usus in Ecclesia receptus Episcopos et Presbyteros appellandi sacerdotes sacri cultus, hac praesertim de causa, quod ipsis tantummodo agnita est potestas conficiendi mysterium Eucharisticum).

Perché possano svolgere i loro compiti, e specialmente quello cosí importante di compiere il mistero eucaristico, Cristo Signore contrassegna spiritualmente coloro che chiama all'Episcopato e al Presbiterato con un particolare sigillo mediante il sacramento dell'Ordine, sigillo chiamato «carattere» anche in documenti solenni del Magistero (cfr. Lumen Gentium, 21; Presbyterorum Ordinis, 2), e li configura talmente a sé che essi, allorché pronunciano le parole della consacrazione, non agiscono per mandato della comunità, ma «"in persona Christi", il che vuol dire di piú che "a nome di Cristo" oppure "nelle veci di Cristo"... poiché il celebrante, per una particolare ragione sacramentale, si identifica con il "sommo ed eterno Sacerdote", che è l'Autore e il principale Attore del suo proprio Sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno» (IOANNIS PAULI PP. II, Dominicae Cenae, 8, die 24 febr. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1980) 593).

Poiché rientra nella natura stessa della Chiesa che il potere di consacrare l'Eucaristia è affidato soltanto ai Vescovi e ai Presbiteri, i quali ne sono costituiti ministri mediante la recezione del sacramento dell'Ordine, la Chiesa professa che il mistero eucaristico non può essere celebrato in nessuna comunità se non da un sacerdote ordinato come ha espressa-mente insegnato il Concilio Ecumenico Lateranense IV (CONC. LATERAN. IV, Const. de Fide catholica Firmiter Credimus: «Una vero est fidelium universalis Ecclesia, extra quam nullus omnino salvatur, in qua idem ipse sacerdos est sacrificium Iesus Christus, cuius corpus et sanguis in sacramento altaris sub speciebus pans et vini veraciter continentur, trans-substantiatis pane in corpus et vino in sanguinem potestate divina: ut ad perficiendum mysterium unitatis accipiamus ipsi de suo, quod accepit ipse de nostro. Et hoc utique sacramentum nemo potest conficere, nisi sacerdos, qui rite fuerit ordinatus, secundum claves Ecclesiae, quas ipse concessit Apostolis eorumque successoribus Iesus Christus», DENZ.-SCHÖN. 802).

Ai singoli fedeli o alle comunità che a causa di persecuzioni o per mancanza di sacerdoti sono private della celebrazione della sacra Eucaristia per breve tempo, o anche a lungo, non viene comunque a mancare la grazia del Redentore. Se animati intimamente dal voto del sacramento e unti nella preghiera con tutta la Chiesa invocano il Signore e innalzano a Lui i loro cuori, essi in virtú dello Spirito Santo vivono in comunione con la Chiesa, corpo vivo di Cristo, e con il Signore stesso. Perciò, unti alla Chiesa mediante il voto del Sacramento, per quanto sembrino lontani esternamente, essi sono intimamente e realmente in comunione con essa e di conseguenza ricevono i frutti del sacramento, mentre coloro che cercano di attribuirsi indebitamente il diritto di compiere il mistero eucaristico, finiscono per chiudere in se stessa la loro comunità (cfr. IOANNIS PAULI PP. II, Novo Incipiente, 10, die 8 apr. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II (1979) 857-860; circa efficaciam voto sacramenti propriam CONC. TRID., De Iustificatione, can. 4: DΕNZ.-SCHÖN. 1524; EIUSDEM, De Sacramentis, can. 4; DENZ.-SCHÖN. 1604; Lumen Gentium, 14; S. OFFICII, Epist. ad Archiep. Bostoniensem, die 8 aug. 1949: DENZ.-SCHÖN. 3870 et 3872).

Tale consapevolezza non dispensa però dal grave dovere dei Vescovi, del Sacerdoti e di tutti i membri della Chiesa di pregare perché il «Padrone della messe» mandi operai secondo le necessità dei tempi e dei luoghi (cfr. Matth. 9,39 ss.) e di adoperarsi con tutte le loro forze perché venga ascoltata e accolta con umiltà e generosità la vocazione del Signore al sacerdozio ministeriale.

 

 

IV - Invito alla vigilanza

 

Nel richiamare questi punti all'attenzione dei sacri Pastori della Chiesa, la S. Congregazione per la Dottrina della Fede desidera offrire loro un servizio nel ministero di pascere il gregge del Signore con il nutrimento della verità, di custodire il deposito della fede e di conservare integra l'unità della Chiesa. È necessario resistere, forti nella fede, all'errore, anche quando si manifesta sotto l'apparenza di pietà, per poter abbracciare gli erranti nella carità del Signore, professando la verità nella carità (cfr. Eph. 4,15). I fedeli, che pretendono di celebrare l'Eucaristia al di fuori del sacro vincolo della successione apostolica stabilito con il sacramento dell'Ordine, si escludono dalla partecipazione all'unità dell'unico corpo del Signore, e perciò non nutrono né edificano la comunità, ma la distruggono.

Ai sacri Pastori incombe quindi il compito di vigilare perché nella catechesi e nell'insegnamento della teologia non continuino a essere diffuse le suddette opinioni errate, e soprattutto perché non trovino concreta applicazione nella prassi; e qualora si verificassero casi del genere incombe loro il sacro dovere di denunziarli come del tutto estranei alla celebrazione del sacrificio eucaristico e offensivi della comunione ecclesiale. Lo stesso dovere essi hanno nei confronti di coloro che sminuissero l'importanza centrale, per la Chiesa, dei Sacramenti dell'Ordine e dell'Eucaristia. Anche a noi, infatti, è detto: «Predica la parola, insisti a tempo debito e indebito, confuta, esorta con tutta longanimità e volontà d'istruire... vigila attentamente, reggi alla prova, predica il Vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tim. 4,2-5).

La sollecitudine collegiale trovi, dunque, in queste circostanze una concreta applicazione, tale che la Chiesa indivisa, pur nella sua varietà di Chiese locali che collaborano insieme (cfr. Lumen Gentium, 23), custodisca il deposito affidatole da Dio tramite gli Apostoli. La fedeltà alla volontà di Cristo e la dignità cristiana richiedono che la fede trasmessa rimanga la stessa e cosí porti a tutti i fedeli la pace nella fede (Cfr. Rom. 15,13).

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto 1983, nella festa della Trasfigurazione del Signore.

 

Joseph card. Ratzinger, Prefetto

Fr. Jérôme Hamer, O. P., Arcivescovo tit. di Lorium - Segretario

 

 

 

 

 

 

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.