Roma, 2 aprile 2014

 

 

Pregiatissimo Direttore,

leggo nelle pagine della vostra stimata rivista, un Suo ringraziamento alla Lettera di un esponente di Pax Christi il quale ripropone la polemica sulla figura e sul ministero dei cappellani militari. Si tratta di un tema molto delicato, la cui importanza mi sta particolarmente a cuore dato l’incarico che il Santo Padre Francesco mi ha affidato: la cura pastorale della Chiesa Ordinariato Militare, realtà alla quale sono stato inviato da un tempo relativamente breve - la mia nomina a Ordinario risale, infatti, al mese di ottobre 2013 - ma sufficiente a farmi, quantomeno, toccare con mano il significativo ministero dei cappellani militari nonché il valore umano e, non di rado, cristiano degli stessi militari.

L’ampiezza e la serietà del discorso merita di essere trattata con tempo e con specifica competenza: stupisce e ferisce la superficialità con cui troppo spesso se ne parla ed è opportuno che venga chiarito sempre meglio il senso profondamente evangelico del ministero ecclesiale nel mondo militare.

Non è certo da escludere una revisione delle forme di assistenza spirituale alle Forze Armate, ivi incluse le modalità di inquadramento dei sacerdoti all’interno del mondo militare: la Chiesa tutta - non solo l’Ordinariato Militare - ha, infatti, il dovere di affrontare quotidianamente nuove sfide, adeguando alla realtà storica la purezza e l’incisività della propria testimonianza evangelica.

È tuttavia di una gravità preoccupante che si arrivi a considerare come «Chiesa parallela» la nostra «Chiesa particolare», diocesi estesa su un vasto territorio e impegnata a portare il Vangelo in quella “periferia” che è il mondo militare. I nostri sacerdoti, a partire dal sottoscritto, non sono «preti soldato» che peccano di poca «fedeltà al Vangelo di Cristo maestro di non violenza», ma pastori convinti che «lo sviluppo del magistero ecclesiale sulla pace», fondato sulla forza trasformante della Parola di Dio, della grazia sacramentale e della testimonianza della carità, esiga vicinanza, condivisione di vita, attenzione educativa e cura spirituale di coloro i quali operano nel settore della “Difesa”, realtà la cui esistenza è considerata realisticamente necessaria da ogni Paese democratico. Tale settore, peraltro, nella nostra realtà italiana assume compiti particolari e spesso essenziali, quali il mantenimento dell’ordine pubblico, il soccorso in calamità naturali, l’organizzazione dell’accoglienza degli immigrati, il sostegno a popoli oppressi dalla violenza e dalla guerra...

Per la nostra Chiesa, è motivo di responsabilità la consapevolezza di come l’inserimento tra i militari dei cappellani non sia un «inquadramento niente affatto necessario per svolgere la missione pastorale cui quei sacerdoti sono deputati» ma una modalità voluta dall’accordo tra Governo italiano e Santa Sede, per garantire che i sacerdoti possano svolgere nel modo piú incisivo un ministero che lo Stato stesso desidera e incoraggia, e per svolgere il quale occorre opportuna preparazione, disponibilità e vocazione. Nulla, come dicevo, è in questo ambito definitivo; ma qualsiasi eventuale modifica deve essere fatta con profonda riflessione e accurato discernimento spirituale, in modo da continuare a garantire quelle essenziali finalità.

Se ne parli pure, dunque; se ne parli insieme: con questa lettera è quello che sto cercando di fare. Ma non se ne parli con la convinzione di aver già trovato una soluzione “dal di fuori” e, soprattutto, non se ne parli offendendo la realtà «di Chiesa» che l’Ordinariato Militare «è». Credo che chi facesse questo - associazione, movimento o singolo che sia -, in fondo, non farebbe altro che correre il rischio di diventare esso stesso «Chiesa parallela».

 

+ Santo Marcianò, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia