Fu il primo a capire che lo spostamento verso il rosso della luce delle stelle era la prova dell’espansione dell’universo e a sostenere la legge di Hubble, secondo la quale vi è una proporzionalità fra distanza delle galassie e velocità di recessione. Fu il sostenitore dell’espansione illimitata dell’universo che conservò nel suo modello la costante cosmologica, teorizzata e abbandonata da Einstein e da quasi tutti gli altri fisici dopo la scoperta del Big Bang. Oltre trenta anni dopo il mondo gli diede ragione.

 

 

 

 

Il giovane Lemaître

Georges Edouard Lemaître nacque a Charleroi, in Belgio, il 17 luglio 1894. Dopo aver completato gli studi classici presso i gesuiti iniziò gli studi d’ingegneria all’Università Cattolica di Lovanio. Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale e il giovane Lemaître decise di interrompere gli studi e di offrire il suo contributo in difesa della patria. Si arruolò cosí nell’Esercito belga, nel V Corpo Volontari, dove serví come ufficiale di artiglieria per tutta la durata del conflitto, partecipando anche alla battaglia dell’Yser. Essa si svolse nei primi mesi di guerra nell’ambito della cosiddetta “corsa al mare”. I tedeschi avevano come obiettivo il canale della Manica e i porti di Calais e Dunkerque, e cercavano di sfondare su tutto il fronte. Essa ebbe inizio nel settembre 1914, al termine dell’avanzata tedesca in Francia, e terminò nel novembre, sulle rive del mare del Nord. Alla fine delle ostilità Lemaître, per il suo valore, venne decorato con la “croce di guerra e fronde di palma”, una medaglia creata nel 1915, in concomitanza con quella francese, per onorare coloro che avevano combattuto contro l’invasore durante la prima guerra mondiale. La “croix de guerre” poteva essere ornata anche da un segno distintivo di menzione speciale per il coraggio e la forza dimostrati sul campo, rappresentati da un leone o da una palma.

Passata la tragedia della guerra, Lemaître decise di cambiare l’indirizzo dei suoi studi iscrivendosi al dottorato in matematica e fisica, seguendo nel contempo i corsi per il baccalaureato in filosofia tomista all’Istituto Superiore di Filosofia, fondato a Lovanio dal cardinal Joseph Mercier (1851-1926). Mercier fu uno dei maggiori rappresentanti del neotomismo dei primi decenni del Novecento e si contrappose apertamente al positivismo imperante all’epoca, anche attraverso le pagine del periodico La revue néoscolastique. Egli era fautore di una reinterpretazione del tomismo che mirava ad una conciliazione della scolastica con le correnti di pensiero moderne, incluse le controverse filosofie da Cartesio a Kant. Nel 1920 Lemaître conseguí finalmente il dottorato in matematica e fisica, dopo aver discusso una tesi sull’approssimazione delle funzioni di piú variabili reali, sotto la direzione del celebre matematico Charles de la Vallée Poussin (1866-1962), noto per aver dimostrato il teorema dei numeri primi. Pur dedito agli studi scientifici Lemaître coltivava da tempo un’altra vocazione. Egli aveva pensato alla vita sacerdotale già dalla prima giovinezza, contemporaneamente al momento in cui decise di dedicarsi alla carriera scientifica. Il padre gli aveva consigliato di anteporre gli studi universitari al seminario, ciò che egli fece. Cosí, nell’ottobre del 1920, entrò alla Maison Saint-Rombaut, una sede annessa al Seminario di Malines, destinata alle cosiddette vocazioni adulte e diretta dal canonico Allaer, discepolo del cardinal Mercier. Durante i tre anni trascorsi alla Maison Saint-Rombaut Lemaître tuttavia non trascurò i contatti con il mondo scientifico.

 

 

Fra scienza e fede

Il Novecento vide una serie straordinaria di geni della scienza e della filosofia, merito anche di un sistema scolastico che selezionava e promuoveva le menti migliori, come mai prima. Oltre a questo la storia, a volte, presenta delle circostanze straordinarie. Nel 1633 Galileo Galilei venne condannato dal tribunale del Sant’Uffizio per aver sostenuto una teoria cosmologica contraria alla Sacra Scrittura. Poco meno di tre secoli dopo, un modello cosmologico non meno rivoluzionario, che toccava la questione delle origini dell’universo, nacque dalla mente di un giovane sacerdote belga, una persona tanto rara quanto preziosa, ricca di cultura e di spiritualità. Lemaître, dopo essere stato ordinato sacerdote, il 22 settembre 1923, lasciò il Belgio per visitare i migliori istituti scientifici dell’epoca. “Esistono due vie per arrivare alla verità - amava dire -. Io ho deciso di seguirle entrambe”. I suoi superiori, con grande saggezza, gli permisero di dedicare il tempo libero allo studio ed egli ne approfittò per leggere e studiare tutti gli scritti allora disponibili sulla teoria della relatività, approfondendo le tesi di Albert Einstein, di Arthur Eddington, di Wolfgang Pauli, di Théophile De Donder e altri ancora. Nel maggio del 1922 Lemaître terminò un memoriale che intitolò La physique d’Einstein. Grazie allo scritto vinse un concorso per una borsa di studio all’estero, ebbe cosí l’occasione di recarsi a Cambridge (UK) per studiare astronomia dove, nell’anno accademico 1923-24, conobbe Arthur Stanley Eddington (1882-1944) ed Ernest Rutherford (1871-1937). Eddington avrà un’influenza assai profonda sulla carriera e sull’opera di Lemaître.

Lemaître si recò per un certo tempo anche all’Harvard College Observatory, diretto da Harlow Shapley (1885-1972). Nello stesso anno riuscí a perfezionare i suoi studi di astronomia, dedicati alle stelle variabili, iscrivendosi anche al celebre Massachusetts Institute of Technology, per il dottorato in fisica, dove conobbe, fra gli altri, Norbert Wiener (1894-1964), il futuro padre della cibernetica. Cosí, al termine del soggiorno negli Stati Uniti, egli aveva acquisito una profonda conoscenza della teoria della relatività generale e dell’astronomia. Ebbe anche l’opportunità di assistere ad alcune conferenze riguardanti le osservazioni piú recenti sulle distanze e la velocità delle cosiddette “nebulose” (oggi diremmo galassie) e di approfondire anche lo studio della relazione di Henry Norris Russel (1877-1957), in merito alle scoperte di Edwin Hubble (1889-1953) sulla misura della distanza della “nebulosa” di Andromeda, che ormai appariva chiaramente di natura extragalattica: si tratta di questioni oggi scontate ma che all’epoca suscitavano discussioni piuttosto animate.

Rientrato in Belgio, nell’ottobre del 1925, Lemaître venne incaricato di tenere alcuni corsi presso la Facoltà di Scienze dell’Università Cattolica di Lovanio. Iniziò cosí una carriera accademica che durerà fino al 1964, fra astronomia, meccanica quantistica, calcolo delle probabilità, storia e metodologia matematica e teoria della relatività. Nel 1926, al Massachusetts Institute of Technology, propose e discusse con successo una nuova tesi dal titolo: ”Il campo gravitazionale in una sfera fluida di densità uniforme e costante, secondo la teoria della relatività”, tema che gli fu suggerito da Eddington. Nella tesi, forse ancora inedita, pose le basi per lo studio di un modello cosmologico non omogeneo a simmetria sferica (detto anche universo di Tolman-Lemaître). Il quadro teorico usato nella tesi gli permise di unire, in un solo modello matematico, i campi di Schwarzschild (Karl Schwarzschild, 1873-1916) (ossia i campi gravitazionali attorno e all’interno di una stella sferica di densità costante), l’universo statico di Einstein (un universo omogeneo e sferico, di raggio e densità costanti) ed il modello di universo proposto dall’astronomo olandese Willem de Sitter (1872-1934) (un universo omogeneo e isotropo, ma senza materia).

Lemaître aveva constatato che le osservazioni di Hubble dimostravano che la recessione delle galassie lontane era proporzionale alla loro distanza, ma agli inizi degli anni Venti non si conosceva una spiegazione plausibile del fenomeno. Hermann Weyl (1885-1955) e Ludwik Silberstein (1872-1948) avevano dimostrato che un caso analogo si produceva in un universo di de Sitter quando vi si introducevano delle galassie sotto forma di “particelle” di “massa trascurabile”. Tale modello tuttavia prevedeva il vuoto e non poteva descrivere, in termini rigorosi, il cosmo realmente osservato. Lemaître, che dietro suggerimento di Silberstein aveva studiato in dettaglio l’universo di de Sitter, pensò di trovare una soluzione nelle equazioni di Einstein circa un universo sferico, di massa costante e in espansione, la cui variazione del raggio di curvatura potesse render conto della velocità radiale di allontanamento delle galassie. Egli perciò, nel 1927, mise a punto un modello cosmologico ove il raggio dell’universo cresceva esponenzialmente nel tempo ricollegandosi, nel passato, con l’universo statico di Einstein e, nel futuro, con l’universo vuoto di de Sitter. Grazie a questo modello, egli scoprí una relazione tra la distanza e la velocità delle galassie che prefigurava quella che poi sarebbe diventata la nota “legge di Hubble”, confermata sperimentalmente e poi pubblicata nel 1929.

Nel 1927, quando Lemaître pubblicò il suo articolo, ignorava che il cosmologo e matematico russo Aleksandr Aleksandrovič Fridman (1888-1925) aveva scoperto in modo indipendente il medesimo modello, cosí come le equazioni per tutti gli universi omogenei e isotropi, a geometria sferica e iperbolica, tra il 1922 e il 1924. Ciò gli verrà riferito da Einstein, in occasione della V International Solvay Institutes for Physics and Chemistry del 1927, a Bruxelles, nota anche come Conseils Solvay, dal titolo “Electrons et photons”, presieduta dal premio Nobel olandese Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928). Quando Arthur Eddington, il celebre astronomo di Cambridge, venne a conoscenza del modello di Lemaître, nel 1930, iniziò a divulgare attivamente l’opera del suo ex allievo belga nel mondo scientifico.

 

 Einstein e Lemaître

Albert Einstein e don Georges Lemaître

 

 

 

 

L’amicizia fra Einstein e Lemaître

Fra il 24 e il 29 ottobre 1927, come accennato poco sopra, ebbe luogo a Bruxelles il V Congresso Solvay, dove numerosi relatori discussero della nuova fisica quantistica. In quella sede prestigiosa Lemaître decise di parlare con Einstein dei suoi studi ricevendone una replica severa e forse inattesa. Einstein replicò a Lemaître che anche se i suoi calcoli fossero stati corretti la sua fisica era “abominevole” (cfr. DEPRIT A., The Big Bang and Georges Lemaître, Reidel Publishing Company, Dordretch, Holland, 1984, 370). Lemaître era certo che Einstein avesse torto e cercò ugualmente di mandare avanti la conversazione. Il professor Auguste Piccard (1884-1962), che era presente e voleva portare Einstein a visitare il suo laboratorio presso l’Università, invitò Lemaître ad unirsi a loro. Durante il viaggio Lemaître alluse alla velocità delle nebulose (= galassie), un argomento strettamente correlato all’espansione dell’universo, ma Einstein non pareva a conoscenza dei risultati delle ricerche. Piccard allora, per evitare possibili incomprensioni, cominciò a parlare con Einstein in tedesco, una lingua che Lemaître non parlava. Solo in seguito i rapporti fra i due grandi scienziati conosceranno una svolta.

la nuova occasione sorse grazie al Re del Belgio che, interessato al lavoro di Lemaître, decise di invitarlo a corte. Einstein si recava spesso in Belgio per visitare Hendrik Lorentz (1853-1928) e Willem de Sitter (1872-1934) e, nel 1929, ricevette un invito da parte della regina del Belgio, Elisabetta di Wittelsbach (1876-1965), essa pure tedesca. Einstein venne invitato a corte e pregato di portare con sé il violino, uno strumento amato anche dal sovrano. Gli inviti si susseguirono, sicché Einstein divenne amico del re. Durante una conversazione il sovrano gli chiese un parere circa la teoria dell’universo in espansione, accennando anche a Lemaître, ma la Regina, notando il disagio di Einstein, lo invitò a suonare un brano con il suo violino. Il successivo approccio alla questione ebbe luogo nel 1930, durante una cerimonia a Cambridge, dove Einstein incontrò Arthur Eddington: ancora una volta, durante la conversazione, emerse la controversa teoria del sacerdote belga che Eddington difese con entusiasmo.

Einstein ebbe dunque diversi anni per riflettere sulla questione prima di incontrarsi di nuovo con Lemaître, negli Stati Uniti. Lemaître era stato invitato dal fisico Robert Millikan (1868-1953), direttore dell’Istituto di Tecnologia della California. L’11 gennaio 1933 egli condusse un seminario sui raggi cosmici ed Einstein fu tra i partecipanti. In quell’occasione Einstein fu piú conciliante ed elogiò addirittura Lemaître per la sua esposizione. Durante la discussione Einstein accolse la tesi dell’universo in espansione, ma respinse la teoria dell’”atomo primitivo”, poiché gli ricordava troppo la concezione religiosa della creazione. Nel maggio di quello stesso anno Einstein, appresa le nomina di Adolf Hitler a cancelliere della Repubblica tedesca, si dimise dall’Accademia delle Scienze e lasciò l’Università di Berlino. In quell’occasione Lemaître andò a trovarlo e organizzò numerosi seminari. In uno di essi, Einstein annunciò che la prossima conferenza sarebbe stata tenuta da Lemaître, aggiungendo che aveva delle tesi interessanti da esporre. Lemaître, trascorso il fine settimana, preparò la sua conferenza che tenne il 17 maggio 1933. Questa volta Einstein interruppe ripetutamente la sua esposizione esprimendo il suo entusiasmo e affermando che Lemaître era la persona che meglio di tutti aveva compreso le sue teorie della relatività.

Dal mese di gennaio al giugno del 1935 Lemaître andò negli Stati Uniti in qualità di visiting professor presso l’Institute for Advanced Study di Princeton. Fu là che vide di persona Einstein per l’ultima volta, prima della tragedia della seconda guerra mondiale.

 

 

I modelli cosmologici e l’atomo primitivo

Fino al 1931 Lemaître non espose, in ambito scientifico, la questione riguardante l’inizio dell’universo. Il suo modello cosmologico non contemplava, fisicamente parlando, un inizio o una fine. Nello stesso anno Arthur Eddington aveva affermato che la nozione di un inizio fisico dell’universo era per lui filosoficamente incomprensibile. A questa asserzione Lemaître rispose sostenendo che la fisica poteva dare un senso, nei limiti delle proprie competenze, alla nozione di inizio dell’universo; questa nozione tuttavia non poteva essere confusa, come tale, con la nozione di creazione in senso filosofico o teologico. Lemaître sottolineava inoltre che la situazione, nei primissimi istanti dell’universo, doveva essere assai diversa da quella attuale.

L’origine dello “spazio-tempo-materia” - affermava - poteva essere descritta utilizzando la termodinamica e la meccanica quantistica. Egli lanciò l’ipotesi della disintegrazione di un unico quantum che riuniva in sé tutta “l’energia-materia” dell’universo in uno stato di massimo ordine (ossia entropico). Questo quantum venne battezzato da Lemaître “atomo primitivo” (cfr. LEMAÎTRE G., The Beginning of the World from the Point of Quantum Theory, 1931). Tale atomo primitivo tuttavia non era individuabile né descrivibile nello spazio e nel tempo. Le nozioni introdotte avevano per lui un significato puramente statistico. Lo spazio-tempo avrebbe avuto inizio solo dopo la disintegrazione dell’”atomo primitivo”, evento che avrebbe poi riempito progressivamente l’universo, durante la sua espansione, generando tutti i nuclei atomici, a partire dai piú pesanti. Questo particolare aspetto della teoria di Lemaître oggi risulta inesatto, poiché la sintesi degli elementi chimici in realtà si presenta come una costituzione progressiva di complessi di particelle a partire da una miscela di quarks e di leptoni, che origina anzitutto gli elementi chimici piú leggeri, come l’idrogeno e l’elio, mentre la nucleosintesi degli elementi piú pesanti avviene durante le reazioni termonucleari delle stelle piú massicce.

Molto presto Lemaître abbandonò il suo modello di universo a raggio esponenzialmente crescente per adottare un universo sferico con tre fasi evolutive caratteristiche, partendo da una “singolarità iniziale”, che coincideva con la disintegrazione dell’atomo primitivo. L’evoluzione dell’universo, in questo modello, era regolata dal gioco di due forze antagoniste: la forza di gravità, che tende ad unire tra loro le masse e la forza repulsiva (o forza centrifuga), la cui intensità era legata alla costante cosmologica (la cosiddetta costante Λ) che tendeva a controbilanciare l’effetto della gravità. Lemaître, come Eddington, riteneva che questa costante traducesse una proprietà fisica essenziale dell’universo e in ciò andò contro l’opinione di Einstein che invece finí con l’abbandonarla. Le conseguenze cosmologiche indicavano un universo evolutivo che si espandeva o si contraeva. Dopo la scoperta del moto di allontanamento delle galassie dalla terra, Einstein, che invece credeva in un universo chiuso e statico, fece quello che giudicò “l’errore piú grande della [sua] vita”: introdusse una costante, la cosiddetta costante cosmologica, che determinava un contributo al tensore energetico derivante dallo spazio vuoto. Oggi invece questo contributo, essenziale nel distinguere i modelli di universo possibili, è oggetto di grande considerazione, anche alla luce del ruolo che ha il vuoto quantistico; infatti, le osservazioni piú recenti sulle supernovae lontane mostrano che il valore di questa costante probabilmente non è uguale a zero: Lemaître aveva ragione. Dal punto di vista teorico, la costante cosmologica può essere interpretata come espressione di una forza, ossia quella dovuta al contributo dell’energia del vuoto quantistico.

 

 Edwin Hubble

Edwin Powell Hubble (1949) e il telescopio riflettore Hale, da 200 pollici, del Mount Palomar Observatory.
Le sue ricerche furono fondamentali nella nuova cosmologia elaborata anche da Lemaître

 

 

 

La prima fase dell’evoluzione dell’universo di Lemaître prevedeva un’espansione decelerata, durante la quale i residui della disintegrazione dell’atomo primitivo riempivano progressivamente l’universo sotto forma di un gas omogeneo di polveri. Non appena la forza di gravità riusciva a controbilanciare la forza centrifuga legata alla costante cosmologica, l’universo raggiungeva uno stato di equilibrio (seconda fase) in cui il suo raggio praticamente non variava piú, cosí come nell’universo statico ipotizzato da Einstein. La durata di questo stato nel modello poteva essere prolungata o ridotta variando il valore della costante cosmologica Λ. Tale trattazione teorica era piuttosto importante perché a quell’epoca si possedeva una misura osservativa assai imprecisa della costante di Hubble (H), ossia la costante che pone in relazione la velocità (v) di allontanamento delle galassie remote, con la loro distanza (d), in base all’equazione v = Hd). Le misure allora disponibili conducevano a sottostimare enormemente l’età dell’universo, ossia a livello delle piú antiche rocce terrestri, cosa evidentemente incongrua. Agli inizi degli anni ‘30 Lemaître invece propose una stima dell’età dell’universo intorno alla decina di miliardi di anni, un dato decisamente piú realistico, come quello suggerito dalle attuali conoscenze. Durante la fase quasi-statica, la materia poteva condensarsi sotto l’azione di fluttuazioni statistiche di densità, formando cosí le stelle, le galassie e i relativi ammassi. Ad un primo esame queste condensazioni possono essere descritte dal campo non-omogeneo a simmetria sferica che Lemaître aveva sviluppato nella sua tesi al Massachusetts Institute of Technology. Egli, riesaminando i calcoli con uno dei suoi allievi, Joseph Wouters, forní una stima della dimensione degli ammassi galattici il cui valore era prossimo alle osservazioni fatte da Edwin Hubble sugli ammassi della costellazione della Chioma di Berenice (cfr. LEMAÎTRE G., L’univers en expansion, 1933).

La formazione di condensazioni, in un universo quale quello ipotizzato da Einstein, avrebbe provocato un’instabilità che avrebbe favorito una nuova espansione dell’universo, ma in modo accelerato (terza fase). Durante questa fase Lemaître previde che le galassie e gli ammassi si sarebbero separati, dando luogo alla recessione delle “nebulose” (= galassie) cosí come postulata dalla legge di Hubble. Le idee di Lemaître sulla formazione delle strutture extragalattiche a partire da condensazioni di materia sono sempre attuali, anche se le fluttuazioni da lui ipotizzate non potevano generare, come tali, le strutture che oggi osserviamo. Negli anni 1940 e 1950 Lemaître completò il suo modello aggiungendovi i contributi delle velocità intrinseche delle stelle e delle galassie. Attraverso questi modelli, tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60, egli cercò di comprendere il modo in cui le strutture cosmiche potevano disaggregarsi sotto l’effetto della fase di espansione accelerata già indicata.

 

 

L'universo sferico

Per il resto dei suoi anni Lemaître si serví di questo modello di universo sferico a tre fasi evolutive; sferico poiché egli riteneva che il cosmo dovesse essere necessariamente finito. Egli sosteneva che l’universo descritto dalla fisica contemporanea fosse intellegibile, ma estremamente insolito (cfr. LEMAÎTRE G., L’étrangeté de l’univers, 1961). Spesso, in alcuni lavori, sia pubblicati, sia inediti, Lemaître intraprese una presentazione di diversi modelli geometrici del suo universo sferico: una sfera a tre dimensioni, quale un insieme di quaternioni di norma unitaria, dove si identificano i punti diametralmente opposti, che da’ luogo ad un modello di spazio proiettivo a tre dimensioni. Attualmente le osservazioni che danno alla costante cosmologica un valore positivo non-nullo, favoriscono un universo che comporti le tre fasi evolutive descritte, ma la sua geometria è vicina a quella di uno spazio euclideo, senza curvatura, spazialmente non-finito e non paragonabile ad una sfera. Le osservazioni odierne mostrano che l’espansione dell’universo sta accelerando, indice di una costante cosmologica positiva. Il valore osservato è maggiore di zero, ma enormemente piú piccolo di quello che ci si aspetterebbe dal punto di vista della fisica teorica, ossia circa 10^-120.

Einstein non amava la nozione di singolarità iniziale e ancor meno l’ipotesi dell’atomo primitivo, poiché tali idee sembravano implicare necessariamente la fede in una creazione iniziale. Durante un incontro al California Institute of Technology, all’inizio degli anni ‘30, Einstein suggerí a Lemaître che un’anisotropia dell’universo era sufficiente per eludere la singolarità iniziale. Lemaître invece dimostrò che la singolarità iniziale era inevitabile, anche in un universo anisotropo, come nel modello del tipo Bianchi I (o modello di Kasner, dove tutte le costanti di struttura sono poste eguali a zero), uno dei nove modelli di universo omogeneo, non isotropo, corrispondente alle soluzioni trovate dal matematico parmense Luigi Bianchi (1865-1928). Con questo lavoro Lemaître anticipò perfino i teoremi di Roger Penrose (1931) e di Stephen Hawking (1942), che dimostrano l’inevitabilità di una singolarità iniziale nei modelli cosmologici standard, fatto che egli aveva constatato anche in una vasta scala di modelli di universo. A partire dal 1933-34, le sue idee ebbero un enorme successo in Europa e, ancor piú, in Canada e negli U.S.A. Nel 1933 venne eletto membro della Classe di Scienze dell’Accademia Reale del Belgio e nel 1935 ricevette il canonicato onorario del Capitolo di Saint-Rombaut. Ma prima ancora Lemaître fu invitato nei piú grandi centri universitari ricevendovi prestigiosi riconoscimenti: nel 1934 ricevette la Medaglia Mendel, al Villanova College in Pennsylvania; il 17 marzo 1934 ricevette da re Léopold III il premio Francqui, la principale onorificenza per gli scienziati in Belgio. La sua candidatura era stata proposta da Albert Einstein, Charles de la Vallée-Poussin e Alexandre de Hemptinne. I membri della giuria internazionale erano Eddington, Langevin and Théophile de Donder. Nel 1935 Lemaître ricevette il Dottorato honoris causa dell’Università McGill di Montréal. Nel 1936 verrà nominato da papa Pio XI (1922-1939) membro della Pontificia Accademia delle Scienze, da poco ricostituita (1936). Seguiranno nel 1941 l’elezione a membro dell’Accademia Reale delle Scienze e delle Arti del Belgio; nel 1950 la terza onorificenza belga riservata agli scienziati eccezionali (e il premio decennale per le scienze applicate del periodo 1933-1942); nel 1953 la prima “Eddington Medal“ rilasciata dalla britannica Royal Astronomical Society. Nel 1960, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, Lemaître subentrò a Padre Agostino Gemelli (1878-1959) in qualità di presidente di quella Accademia, carica che conserverà fino alla morte. Nell’occasione venne elevato alla dignità di Prelato domestico di Sua Santità con il titolo di Monsignore.

 

 George Gamow

George Gamow, fisico e cosmologo ucraino, fu
uno strenuo sostenitore della teoria del Big Bang

 

 

 

Nonostante i grandi riconoscimenti ricevuti molti esponenti del mondo scientifico accolsero con indifferenza le opere di Lemaître, soprattutto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. A partire dalla fine degli anni ‘40, la sua visione cosmologica, nota ai piú attraverso il libro divulgativo L’hypothèse de l’atome primitif (1946), non beneficiò di una conferma adeguata e fu oscurata da una teoria opposta, quella dello “stato stazionario” avanzata da Hermann Bondi (1919-2005), Fred Hoyle (1915-2001) e Thomas Gold (1920-2004). Secondo tale teoria non esisteva una singolarità iniziale, né si poteva parlare di un inizio dell’universo. Il cosmo rimaneva uguale a se stesso in tutto lo spazio e in tutte le epoche, in virtú del cosiddetto “principio cosmologico perfetto”. Le osservazioni tuttavia avevano dimostrato che l’universo era in espansione e affinché restasse essenzialmente il medesimo occorreva che la diminuzione di densità, dovuta al moto delle galassie, fosse compensata da altra materia. La teoria dello stato stazionario eliminava la singolarità, ossia un’origine primordiale, ma postulava una creazione continua di materia nel cosmo, ciò che poneva una problematica ancor piú complessa. Il principio "perfetto" postulava una continua creazione di materia, in modo da mantenere costante la densità media del cosmo. Il tasso a cui la materia doveva essere creata dal nulla sarebbe stato molto basso: 1 atomo di Idrogeno per m³ ogni miliardo di anni. Alcuni seguaci di Hoyle, come Halton Arp, ipotizzavano che i nuclei galattici attivi fossero i luoghi ideali a tal fine. Nonostanze l'assenza di qualsiasi osservazione che potesse confermarla, questa visione del cosmo piacque enormemente a quegli scienziati che ritenevano che il Big Bang (termine che non fu mai utilizzato da Lemaître ma coniato ironicamente da Fred Hoyle) implicasse un’opzione metafisica in favore di una creazione. Cosí le idee di Lemaître, come quelle del fisico e cosmologo russo George Gamow (Georgiy Antonovich Gamov - 1904-1968), fra il 1945 e il 1960 furono ignorate o criticate da buona parte del mondo scientifico e parvero destinate all’oblio.

 

 Penzias e Wilson

Arno Penzias e Woodrow Wilson, i due fisici che scoprirono
casualmente la radiazione cosmica di fondo, dinanzi alla storica antenna

 

 

 

I segnali dal cosmo

Nella storia della scienza è successo molte volte: gli scienziati forgiano faticosamente le loro teorie e poi la realtà... si prende la briga di smentirle. Ma se i filosofi, trattando spesso questioni astratte, possono permettersi il lusso di snobbarla per un certo tempo questo, gli scienziati, proprio non possono farlo. «Desto schlimmer für die tatsachen - Tanto peggio per i fatti»! È la reazione attribuita dalla vulgata al filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) quando, dopo aver affermato nel De Orbitis Planetarum, che non potevano esserci piú di sei pianeti, venne a sapere che un settimo, Urano, era già stato scoperto dall’astronomo William Herschel il 13 marzo 1781. Un vero smacco per il famoso filosofo che con la sua dissertazione mirava all’abilitazione didattica. Qualcosa di simile accadde anche all’ironico Fred Hoyle, il capoclasse dei fautori dell’universo stazionario, un universo che paradossalmente sarebbe stato ben piú “miracoloso” di quello ipotizzato da Lemaître.

La questione del Big Bang infatti tornò alla ribalta con la scoperta di Arno Penzias (1933) e Robert Woodrow Wilson (1936). Agli inizi degli anni sessanta, i due fisici stavano lavorando con un nuovo tipo di antenna e mentre raccoglievano i dati s’imbatterono in un fastidioso rumore di fondo. Quel disturbo era costante e onnipresente e si sovrapponeva ostinatamente ad ogni loro registrazione. Pensarono ad un difetto del ricevitore, se la presero perfino con i piccioni che avevano nidificato in una cavità dell’antenna a tromba. Niente... il rumore persisteva! Cominciarono a parlarne ai colleghi che incontravano durante i congressi scientifici. Finalmente, verso la fine del 1964, durante una conferenza di astronomia a Montreal, i due ricercatori appresero che c’era un gruppo di colleghi dell’Università di Princeton che stava progettando un ricevitore per captare quello che doveva essere il residuo del Big Bang, sotto forma di onda elettromagnetica millimetrica (ammesso che ci fosse stata realmente una singolarità iniziale, cosa allora ancora molto controversa). Penzias e Wilson si resero conto di essere arrivati prima ed inconsapevolmente ad una scoperta a cui puntavano i loro colleghi. Il loro sistema antenna-ricevitore in effetti era eccezionale quanto a sensibilità e precisione, tanto da captare la flebile voce delle origini del cosmo. I due si erano rivolti in particolare anche a Robert Dicke (1916-1997), della Princeton University, il quale si era reso conto della natura del disturbo, ossia della radiazione termica di fondo ipotizzata negli anni ‘40 dall’astrofisico George Gamow e predetta teoricamente anche da lui stesso e dal canadese James Peebles (1935): si trattava di un’osservazione che risultava incompatibile con la teoria dello stato stazionario. Penzias e Wilson pubblicarono la loro scoperta, ebbero poi decine di conferme sperimentali da parte di altri gruppi di ricerca e infine ottennero il Nobel per la fisica nel 1978 per aver scoperto la CMB (Cosmic Microwave Background radiation), la prova più convincente del Big Bang, che da quel momento diventò il paradigma scientifico dominante della cosmologia.

 

 

Contributi nella meccanica e nella matematica

Ma il processo di disintegrazione dell’”atomo primitivo” non era mai stato descritto in termini matematici da Lemaître; sarebbe stato necessario ricorrere a nozioni di fisica nucleare, una disciplina all’epoca ancora agli albori, ed alla quale lo scienziato non dedicò mai particolare interesse. Questa ipotesi gli suggerí l’idea che i raggi cosmici rilevati nelle alte atmosfere, alla cui fenomenologia Millikan lo aveva introdotto durante un incontro al California Institute of Technology, potevano essere particelle altamente cariche originate dalle prime disintegrazioni dell’”atomo primordiale”. La rivelazione e l’analisi dei raggi cosmici divennero quindi per lui cruciali, essendo considerati portatori di informazioni riguardanti i primi istanti del cosmo. Fu così che Lemaître, a partire dal 1933-34, in collaborazione con il suo amico e professore del Massachusetts Institute of Technology Manuel Sandoval Vallarta, dedicò parte della sua ricerca scientifica a calcolare le traiettorie dei raggi cosmici, considerate particelle cariche, nel campo magnetico terrestre.

Il metodo utilizzato dai due scienziati era stato già elaborato dal norvegese Carl Störmer (1874-1957), dell’Università di Oslo, negli studi sulle aurore boreali. Purtroppo la complessità dei calcoli era tale da non permettergli di arrivare ad una conclusione soddisfacente. Lemaître e Vallarta allora sfruttarono tutta la potenza di calcolo di una macchina analogica elettromeccanica (l’analizzatore differenziale) sviluppata al Massachusetts Institute of Technology da Vannevar Bush (1890-1974) e capace di computare migliaia di tracciati. Fu cosí che alla fine degli anni ‘30 essi arrivarono a comprendere i diversi fattori relativi all’osservazione dei raggi cosmici sulla superficie terrestre. Le ricerche sulle loro traiettorie, secondo Lemaître, erano di tale rilievo da sorpassare le considerazioni puramente cosmologiche. Nacque cosí la Scuola di Lovanio che riuní insieme Odon Godart, Lucien Bossy, Tchang Yong-Li e Louis Bouckaert, e la cui attività cesserà solo all’inizio della seconda guerra mondiale.

Lo sviluppo teorico di un problema di dinamica noto come “problema di Störmer”, rivelò il genio matematico di Lemaître. Egli seppe inventare tecniche numeriche del tutto nuove diventando uno dei poco noti precursori della trasformata rapida di Fourier. Conoscendo a fondo l’opera di Henri Poincaré (1854-1912), Nuovi metodi della meccanica celeste (1889), Lemaître utilizzò con circa 40 anni di anticipo le tecniche di analisi per la soluzione dei sistemi di equazioni differenziali, che diverranno comuni molto tempo dopo, con l’avvento della teoria del caos (affrontata anzitutto dai matematici Joseph-Louis Lagrange (1736-1816) e da Poincaré stesso). Le caratteristiche di alcune soluzioni del problema di Störmer rievocano fenomeni, come la scomparsa di orbite periodiche, che si osservano al livello delle traiettorie di un sistema di tre masse puntiformi in interazione gravitazionale; problema che poneva enormi problemi di calcolo. Alla fine degli anni ‘50 Lemaître scoprí un metodo in grado di eliminare i problemi piú complessi. Sarà poi il suo successore, André Deprit (1926-2000), a sviluppare il metodo fondando una scuola di meccanica celeste. Lemaître lavorò anche al calcolo del valore dei moti oscillatori della molecola di Mono-deutero-etilene; un contributo che emerse dall’incontro con il chimico di Princeton, Hugh Stott Taylor (1890-1974).

La passione per il calcolo matematico spiega anche l’interesse che egli ebbe per gli elaboratori di calcolo meccanico ed elettromeccanico e infine per gli elaboratori elettronici. Nel 1938 Lemaître introdusse a Lovanio, nel suo Laboratorio di calcolo, il primo elaboratore. Iniziò cosí anche lo studio della programmazione e, all’inizio degli anni ‘60, terrà dei corsi di linguaggio Algol, acronimo di ALGOrithmic Language, sviluppato nel 1958. L’Algol sarà il capostipite di una grande famiglia di linguaggi di notevole successo, dal Pascal al C e, per una trentina d’anni, sarà lo standard con cui rappresentare gli algoritmi. L’utilizzo degli elaboratori indusse Lemaître a concepire una riforma innovativa dell’insegnamento dell’aritmetica elementare. Egli si proponeva di insegnare ai bambini a calcolare le operazioni elementari come una macchina, senza dover impiegare la memoria e i processi riflessivi: l’intento era quello di concepire un... “calcolo senza sforzo cerebrale, ma non senza fatica muscolare e senza dispendio di carta” (cfr. LEMAÎTRE G., Calculons sans fatigue, 1954). Fu cosí che durante i suoi ultimi anni dedicò molto tempo ad ideare, sulla base di una notazione simile a quella musicale, nuove cifre in cui il simbolo mostrasse il valore numerico rappresentato, elaborate in un duplice sistema binario e decimale.

Negli anni ‘30 pubblicò anche un breve articolo relativo all’applicazione delle relazioni di indeterminazione di Heisenberg alla legge di Coulomb (cfr. LEMAÎTRE G., L’indétermination de la loi de Coulomb,1931) ma non approfondí mai lo studio della meccanica quantistica e della teoria quantistica dei campi. Si interessò invece ad una generalizzazione dell’equazione di Dirac (cfr. LEMAÎTRE G., Sur l’interprétation d’Eddington de l’équation de Dirac, 1931), per studiarne le proprietà di trasformazione, anticipando in parte la “teoria degli spinori” del celebre Ettore Majorana (1906-1938) (uno spinore è un elemento di uno spazio vettoriale complesso introdotto per estendere il concetto di vettore. lo spinore in tre dimensioni viene usato per descrivere lo spin dell’elettrone non relativistico e, attraverso l’equazione di Dirac, lo spinore di Dirac è utile nella descrizione matematica dello stato quantico dell’elettrone relativistico. Nella teoria quantistica dei campi, lo spinore descrive lo stato di un sistema relativistico di piú particelle). Con tutto ciò lo spirito poliedrico di Lemaître era tutt’altro che appagato e dopo la guerra, studiando a fondo i lavori di Élie Joseph Cartan (1869-1951), che egli conosceva personalmente, si dedicò ad un lavoro storico-pedagogico, ancora inedito, di unificazione delle presentazioni del concetto di spinore (quelle di Eddington, Cartan e Claude Chevalley (1909-1984)).

Lemaître, iniziato alla storia delle scienze da uno dei suoi professori gesuiti, padre Henri Bosmans (1852-1928), aveva preso l’abitudine di leggere le opere dei grandi matematici nella loro versione originale, ciò che gli gioverà non soltanto per i corsi di storia della matematica, che terrà a Lovanio subentrando a Charles de la Vallée Poussin (1866-1962), ma anche a valorizzare sistemi di calcolo che potevano rivelarsi utili ai suoi studi. Cosí egli si ispirò a Gauss per svolgere un processo d’iterazione razionale suscettibile di essere utilizzato per l’integrazione di equazioni differenziali, relativamente al già accennato problema di Störmer.

Oltre che un valente scienziato e matematico Lemaître era anche un uomo di grande cultura artistica e letteraria. Quale eccellente pianista amava suonare brani di Bach, di Messiaen e di Chopin. In letteratura era appassionato dell’opera del mistico fiammingo Jan van Ruysbroeck, amore appreso dal suo vecchio direttore di seminario, il canonico Allaer. Egli intraprese anche la lettura dell’opera di Molière, nel tentativo di supportare la tesi di Maître Garçon, professore alla Sorbona, che sosteneva la tesi di due autori diversi all’origine di alcune sue opere teatrali. Da ciò trassero origine alcune conferenze dai titoli significativi tenute a Lovanio: ”Una coppia di Molière” e ”Molière: una stella doppia”.

 

 

Il problema cosmologico

Ma torniamo ora al grande problema che occuperà la vita di Lemaître. Egli non era né un filosofo né un teologo, tuttavia di fronte ai numerosi interrogativi postigli dai colleghi e dal pubblico, negli anni ‘30, volle chiarire il modo in cui intendeva i rapporti fra la scienza e la fede.

In Lemaître vi era un netto rifiuto del concordismo: egli non intendeva affatto confondere l’approccio scientifico con quello teologico che costituivano, citando le sue stesse parole, “due percorsi verso la verità”, ossia due approcci legittimi, ma aventi ciascuno la propria metodologia e la propria autonomia. Come affermò schiettamente in un’intervista all’inizio degli anni ‘30:

«Esistono due vie per arrivare alla verità. Ho deciso di seguirle entrambe. Niente nel mio lavoro, niente di ciò che ho imparato negli studi di ogni scienza o religione ha cambiato la mia opinione. Non ho conflitti da riconciliare. La scienza non ha cambiato la mia fede nella religione e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute dai metodi scientifici» (cfr. testo originale in AIKMAN D., Lemaître follows two paths to truth. The famous physicists, who is also a priest, tells why he finds no conflict between Science and Religion, in “New York Times Magazine”, 19-02-1933, 18).

In questa prospettiva, l’ipotesi dell’atomo primitivo non poteva essere confusa banalmente con l’idea di una creazione. Ciò perché il concetto teologico di creazione, in quanto relazione per mezzo della quale Dio pone il mondo in essere, è filosoficamente distinta dal concetto di inizio come emergenza metafisica del mondo, sia perché la disintegrazione dell’”atomo” di Lemaître, che segna l’inizio del cosmo, non è un inizio assoluto, ma quello di una realtà fisica a partire da un’altra realtà preesistente, appunto il cosiddetto “atomo primitivo” (cfr. LEMAÎTRE G., L’hypothèse de l’atome primitif, 1948, 39-40). Non è corretto neppure pensare che l’adozione dell’ipotesi dell’atomo primitivo sia legata alla dottrina teologica dell’inizio dell’universo, poiché anche un materialista potrebbe interpretare tale “atomo primevo” come una realtà “auto-sufficiente”, tesi sostenuta da alcuni fisici contemporanei quando parlano in questi termini dell’esistenza di un vuoto quantistico primordiale o di altre entità cosmologiche originarie.

In occasione dell’XI International Solvay Institutes for Physics and Chemistry, che ebbe luogo a Bruxelles nel 1958, Lemaître tenne a precisare:

«...personalmente ritengo [che l’ipotesi dell’atomo primevo] rimanga interamente al di fuori di ogni questione metafisica o religiosa. Essa permette al materialista anche di negare ogni essere trascendente. Egli può porsi di fronte al fondamento dello spazio-tempo con la stessa attitudine di spirito che adotterebbe per eventi che sopravvengono in punti non singolari dello spazio-tempo. Per il credente essa esclude ogni tentativo di familiarità con Dio, come potevano esserlo il “colpetto” di Laplace o il “dito” di Jeans [James J. (1877-1946)]. E si accorda anche con i versetti di Isaia quando parlano del “Dio nascosto”, nascosto anche all’inizio della creazione» (cfr. LEMAÎTRE G., L’hypothèse de l’atome primitif et le problème des amas de galaxies in L’hypothèse de l’atome primitif: essai de cosmogonie; vedasi in GODART O., Georges Lemaître et son ouvre. Bibliographie des travaux de Georges Lemaître, Suppl., Editions Culture et Civilisation, Bruxelles 1972, 9-10).

Nel 1963, in una conferenza inedita e con un intento volutamente provocatorio, Lemaître dichiarò che una certa interpretazione dell’ipotesi dell’atomo primitivo poteva essere considerata di fatto come “l’antitesi” della dottrina cristiana della creazione (cfr. Univers et Atome, Namur, 23-06-1963. Il testo della conferenza è conservato presso la Bibliothèque Morétus-Plantin della Facoltà Universitaria Nôtre-Dame de la Paix, a Namur). La sua posizione in realtà intende sottolineare una distinzione epistemologica fra la “creazione” quale concetto teologico e inizio metafisico del cosmo e l’inizio naturale dell’universo, ossia la visione della scienza sull’origine di esso. Con tale distinzione Lemaître si collocava anche nella tradizione dell’Institut Supérieur de Philosophie in cui aveva studiato nella sua gioventú.

Questo modo di distinguere tra le “due vie verso la verità” era per lui un doveroso tributo a due aspetti fondamentali: da una parte il rispetto di Dio per l’autonomia relativa ed effettiva della sua stessa creazione; dall’altra il rispetto dell’uomo per la trascendenza di Dio, il Deus absconditus di Isaia (Is 45,15), il Dio nascosto dalle origini. Egli amava spesso ripetere: «Ho troppo rispetto per Dio per poterne fare un’ipotesi scientifica»! Rispetto reciproco dunque fra l’approccio scientifico e quello teologico; un approccio che tuttavia Lemaître non esporrà in una riflessione filosofica esplicita e compiuta, ciò che in fondo esulava dai suoi compiti e dalla sua formazione accademica. Per Lemaître la fede dello scienziato...

«...rende soprannaturali tanto le attività piú umili quanto quelle piú elevate! Egli continua ad essere figlio di Dio quando pone l’occhio al suo microscopio, e quando pone tutta la sua attività, nella preghiera del mattino, sotto la protezione del Padre celeste. Quando pensa alle verità della fede, egli sa che le sue conoscenze sui microbi, sugli atomi o le stelle non gli saranno né di aiuto né di ostacolo per aderire alla luce inaccessibile e, come ogni uomo, cercherà di rendere il suo cuore simile a quello di un bambino per poter entrare nel Regno di Dio. Cosí, fede e ragione, senza mescolarsi in una miscela imbarazzante e sconveniente, né generare conflitti immaginari, si uniscono nell’unità dell’attività umana» (cfr. LEMAÎTRE G., La culture catholique et les sciences positives, in “Actes du VIe congrès catholique de Malines”, V, Culture intellectuelle et sens chrétien, Bruxelles 1936, 47).

 

 Lemaître con Papa Pio XII

Monsignor Lemaître durante un incontro con Papa Pio XII

 

 

 

Lemaître e Papa Pio XII

La posizione di Lemaître sulla distinzione tra le “due vie verso la verità” lo indusse a replicare al discorso pronunciato da papa Pio XII (1939-1958) il 22 novembre 1951, davanti alla Pontificia Accademia delle Scienze. Nella sua allocuzione il Papa intendeva dimostrare che le recenti scoperte dell’astrofisica potevano essere utili per arricchire la riflessione filosofica (le cosiddette “vie tomiste”) che conducono l’intelligenza umana a dimostrare l’esistenza di Dio. Nonostante un approccio prudente a tale eventualità il discorso presentava, in alcuni passaggi, un accento vagamente concordista, soprattutto nel seguente brano:

«Pare davvero che la scienza odierna, risalendo d’un tratto milioni di secoli, sia riuscita a farsi testimone di quel primordiale Fiat lux allorché dal nulla proruppe con la materia un mare di luce e di radiazioni, mentre le particelle degli elementi chimici si scissero e si riunirono milioni di galassie» (cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XIII, Marzo 1951-febbraio 1952, Libreria Editrice Vaticana, SCV, 1952, 404).

Nel suo discorso il Pontefice ovviamente non citò alcun lavoro di Lemaître, tuttavia la fonte pareva essere quella di un altro accademico pontificio, il matematico britannico Edmund Taylor Whittaker (1873-1956), autore di Space and Spirit. Theories of the Universe and the Arguments and the Existence of God (1946). Il riferimento allo “stato iniziale, primitivo dell’universo” rievocava in ogni caso l’ipotesi di Lemaître, ciò che fece pensare, specie al di fuori della Chiesa cattolica, ad una sorta di presa di posizione ufficiale del Papa in favore dell’ipotesi dell’”atomo primevo” a scapito della teoria dello “stato stazionario”, pure citata senza menzionarne gli autori. Il fatto preoccuperà non poco Lemaître, attento assertore dell’autonomia relativa alla questione propriamente fisica dell’origine del cosmo in rapporto alla teologia. Egli, meglio di chiunque altro, sapeva che all’epoca nessuno disponeva di prove certe sull’esistenza di una singolarità cosmologica iniziale in grado di smentire le tesi di Bondi, Hoyle e Gold. Cosí, nel 1952, avendo saputo che papa Pio XII avrebbe tenuto un’allocuzione davanti all’VIII assemblea dell’Unione Astronomica Internazionale, chiese di essere ricevuto dal Pontefice. Il colloquio, del quale a tutt’oggi non esiste alcuna prova scritta, fu possibile (almeno cosí si suppone) grazie all’intervento di padre Daniel O’Connell, della Specola Vaticana, e di monsignor Angelo Dell’Acqua, che fu sostituto presso la Segreteria di Stato dal 1950 al 1967. Lemaître si prefiggeva di evitare che le nuove parole del Papa evocassero nuovamente la controversa questione dell’ipotesi dell’atomo primitivo. Il Pontefice, che conosceva personalmente Lemaître fin dalla sua nomina alla Pontificia Accademia delle Scienze, fu sensibilizzato dalle sue argomentazioni? Ci sono diverse ragioni per crederlo ed è un fatto che, nel discorso tenuto a Castel Gandolfo il 7 settembre 1952, davanti ai membri dell’Unione Astronomica Internazionale, Pio XII non fece alcuna allusione all’allora dibattuta questione cosmologica (cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XIV, Marzo 1952-febbraio 1953, Libreria Editrice Vaticana, SCV, 1953, 275-285).

L’ipotesi dell’atomo primitivo con il passare del tempo risultò cosí valida da eclissare definitivamente la teoria stazionaria. Nei primi anni ‘70 essa fu abbandonata praticamente da tutti, con l’eccezione di Fred Hoyle e di altri pochi seguaci, che nel 1993 tentarono di proporre il cosiddetto “stato quasi stazionario”. Tuttavia, in seguito alla scoperta della radiazione cosmica di fondo e ad altri risultati che mostravano una variazione della densità spaziale dei quasar in funzione della distanza (ora considerata la piú importante delle due prove che confutano la teoria di Hoyle), anche l’ipotesi dello “stato quasi stazionario” crollò. Nonostante questo Hoyle, ateo convinto, difese ostinatamente fino alla morte la sua teoria, contro ogni evidenza scientifica; clamoroso esempio di come l’ideologia possa oscurare ogni altra ragione, pur universalmente riconosciuta, perfino a dispetto della scienza.

La teoria di Lemaître contribuí ad alimentare anche le riflessioni del celebre filosofo svizzero Ferdinand Gonseth che seguí la redazione del libro del grande cosmologo belga, L’hypothèse de l’atome primitif, scrivendone anche la prefazione.

Il gesuita e paleontologo Padre Teilhard de Chardin (1881-1955) non aveva mai tenuto una corrispondenza con il confratello di Lovanio, tuttavia si dimostrò molto interessato alla dimensione evolutiva della sua cosmologia e riteneva che il concetto di “atomo primigenio” rimandasse, per simmetria, al “Punto Omega” delle sue riflessioni. Cosí come l’atomo primitivo non appartiene allo spazio, al tempo e alla materia, ma ne costituisce la fonte e l’origine materiale, anche il Punto Omega non è identificabile con alcuna realtà o processo biologico o cosmologico, collocandosi invece come la loro causa finale, il loro telos (cfr. TEILHARD DE CHARDIN P., La place de l’homme dans la nature, in “Œuvres”, Paris 1977, VIII, 166-167).

Se la posizione di Lemaître, relativa ai rapporti tra scienza e teologia, ha il vantaggio di distinguere metodologicamente i livelli di discussione, scansando il pericolo del concordismo, ci si può chiedere se tale distinzione non rischi in ultima analisi di divenire problematica. Se è vero che non si può mai confondere, né identificare un concetto scientifico (come la singolarità iniziale) tout court, con un concetto teologico (come la nozione di creazione), non ne segue che la scienza non possa instaurare un dialogo con la teologia, sebbene condotto tramite la mediazione della filosofia. Essa infatti fornisce un’interpretazione, a partire dai dati scientifici; un significato che i dati non colgono nell’immediato e che può offrire elementi di riflessione anche ad alcune questioni teologiche.

 

 

Gli ultimi anni

Il grande merito di Lemaître è stato quello di aver dimostrato che si possono legittimamente affrontare le questioni cosmologiche, soprattutto quelle relative allo stato iniziale dell’universo, da un punto di vista strettamente scientifico, indipendentemente da ogni opzione metafisica o religiosa. Nondimeno il limite della distinzione metodologica che Lemaître instaura tra le “due vie verso la verità” rischia di suggerire, chiaramente a torto, che un dialogo fecondo tra scienza cosmologica e teologia della creazione non sarebbe congruo. Come già rilevato Lemaître, a motivo della sua formazione, non essendo né teologo, né filosofo, non era incline ad accettare dei compromessi nel dialogo tra la scienza e l’esplicitazione razionale della sua fede. Forse per questo, all’inizio degli anni ‘60, da Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, fu colto alla sprovvista dalla domanda postagli da papa Giovanni XXIII circa il possibile contributo dell’Accademia ai lavori preparatori per il Concilio Vaticano II (cfr. D. LAMBERT, Un atome d’univers. La vie et l’œuvre de Georges Lemaître, Editions Racine - Editions Lessius, Bruxelles 2000, 300-301).

Nell’ambiente universitario e della ricerca scientifica, Lemaître mantenne una grande discrezione riguardo alla sua vita sacerdotale e spirituale; una discrezione che però celava una fede molto profonda. È risaputo che dal tempo del soggiorno alla Maison Saint-Rombaut aveva aderito alla confraternita sacerdotale Amis de Jésus, fondata dal cardinal Mercier su invito del canonico Allaer (cfr. D. LAMBERT, Mgr Georges Lemaître et les “Amis de Jésus”, in “Revue théologique de Louvain” 27 (1996), 309-343). In seno alla confraternita i preti secolari dell’arcidiocesi di Malines pronunciavano i voti di povertà, castità ed obbedienza ed un ulteriore voto di offerta della propria persona a Cristo (definito votum immolationis). Oltre a questo si impegnavano a dedicare un’ora alla preghiera, dopo la celebrazione eucaristica, e a partecipare ad un ritiro spirituale annuale della durata di dieci giorni, da trascorrere nel silenzio. È noto che Lemaître pronunciò questi voti e restò fedele fino alla morte alla “Confraternita sacerdotale degli Amici di Gesú”. Il suo intenso coinvolgimento spirituale era affiancato anche da un intenso apostolato, benché non appariscente. Lemaître apprese perfino la lingua cinese da un confratello del seminario, cosa non facile per un occidentale, tanto da collaborare con i monaci dell’Abbazia di Saint-André de Bruges all’opera di Padre Lebbe (1887-1940), noto come l’apostolo della Cina moderna, mettendosi a disposizione degli studenti cinesi che si recavano a Lovanio. Alla fine degli anni ‘20 Lemaître stesso dirigerà l’Home chinois di Lovanio e negli anni ‘50 si occupò della sorte degli studenti laici e dei sacerdoti cinesi che trovavano rifugio presso l’Università (cfr. D. LAMBERT, Un atome d’univers. La vie et l’œuvre de Georges Lemaître, Editions Racine - Editions Lessius, Bruxelles 2000, 127-138).

Lemaître morí il 20 giugno 1966, poco dopo aver appreso da Odon Godart della scoperta della radiazione cosmica di fondo da parte di Arno Penzias e Robert Wilson. L’eco scomparso della formazione dei mondi, come lo definí poeticamente Lemaître, forní gli elementi di prova decisivi per la sua teoria sull’origine dell’Universo.

 

 

Sintesi dell'odierno status quaestionis della cosmologia

Dai tempi di Lemaître la ricerca scientifica ha fatto grandi passi in avanti. La radiazione cosmica di fondo è stata studiata a lungo ed è ancora, piú che mai, oggetto di attente indagini. Una delle tappe piú significative nella ricerca arrivò nel 1989 quando, dopo numerosi rinvii, i fisici americani George Fitzgerald Smoot (1945) e John Cromwell Mather (1946) riuscirono a far lanciare in orbita attorno alla Terra il satellite COBE (Cosmic Background Explorer), interamente dedicato allo studio della radiazione fossile. L’immagine dell’universo primordiale, fornita fino a quel momento dai radiotelescopi terrestri e dagli strumenti montati su palloni sonda, era troppo piatta e omogenea, non compariva alcuna anisotropia in grado di rivelare l’inizio dei processi di aggregazione gravitazionale della materia, tali da giustificare la formazione delle galassie. Nonostante che gli strumenti di COBE non avessero sufficiente potere risolutivo per distinguere quelle anisotropie, tuttavia riuscirono a fornirne una prova indiretta. L’applicazione di una complessa analisi statistica infatti fece emergere variazioni di densità dell’ordine di una parte su 100.000, ma erano sufficienti per aggiungere un altro importante tassello al mosaico della teoria del Big Bang. Smoot e Mather furono cosí insigniti del premio Nobel per la fisica nel 2006.

La prima fotografia ad alta risoluzione dei primi nuclei o “semi” delle galassie arrivò grazie all’impresa della missione Boomerang nel 1998. Si trattò di una fruttuosa collaborazione fra ricercatori italiani e americani. Le prestazioni del sensore per microonde erano straordinarie, una cinquantina di volte in piú rispetto a quello del COBE. Esse furono illustrate al grande pubblico con un esempio memorabile. Lo strumento era cosí sensibile da poter captare il calore emesso da una mucca a 4 milioni di chilometri di distanza. Il pallone venne lanciato dalla base antartica di McMurdo e trasportò gli strumenti fino a 40 km. di altezza, lontano dalle interferenze causate dall’atmosfera terrestre. Grazie alle correnti d’alta quota, rimase per dieci giorni attorno al Polo Sud riprendendo migliaia d’immagini del cielo e tornando felicemente a terra. Finalmente si videro con grande chiarezza le proto-strutture che indicavano come si era evoluto l’universo circa 370 mila anni dopo il Big Bang. Fu possibile anche stabilire la geometria a grande scala del cosmo che, a causa della rapidissima inflazione, risulta piatta. Nel 2003 il lancio di un secondo pallone Boomerang permise di raccogliere anche tenui indizi del processo inflattivo.

Ma non tutto è stato chiarito, restano ancora alcuni punti oscuri da spiegare. Negli ultimi anni la cosmologia sperimentale ha continuato a portare avanti numerose ricerche, sia con i satelliti WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe - 2001-2010) e Planck (2009), sia con altri palloni sonda. Alla missione OLIMPO (2014) è riservato il compito di studiare l’interazione fra la materia dei primi ammassi di galassie, formatisi entro un miliardo di anni dopo la nascita dell’universo, e la radiazione di fondo del Big Bang. Si tratta di una missione a lunga durata, su pallone stratosferico, dedicata a misure di effetto Sunyaev-Zeldovich (SZ) in ammassi di galassie. La navicella imbarca un telescopio di grandi dimensioni (lo specchio primario ha un diametro di 2,6 m.) e uno strumento che utilizza un innovativo spettrometro differenziale a trasformata di Fourier.

Inevitabile chiedersi, mezzo secolo dopo la scoperta del Big Bang, se la cosmologia abbia dato una risposta a tutte le domande restanti. Ma la risposta è ancora negativa. Resta insoluto il grandissimo quesito sull’origine: da cosa è scaturita la singolarità iniziale? Come è potuta emergere "dal nulla" l’energia e poi la materia? Oltre a questo restano irrisolti i misteri della materia e dell’energia oscure. La materia ordinaria, a noi nota, costituisce appena il 5% del cosmo. Solo dagli effetti gravitazionali e dall’accelerazione che sta subendo l’espansione dell’universo è possibile calcolare c’è ancora un 25% di materia oscura, che non interagisce con la radiazione elettromagnetica e a cui non si riesce a dare un’identità, e un 70% di energia oscura, che ci è ancora piú ignota.

Nel frattempo il mondo scientifico non ha dimenticato l'opera di monsignor Lemaître e in suo onore gli sono stati dedicati:

- il cratere lunare Lemaître;

- la metrica di Friedmann-Lemaître-Robertson-Walker;

- l’asteroide 1565 Lemaître;

- l’Istituto di Astronomia e Geofisica della Katholieke Universiteit Leuven;

- l’aeroporto della città natale di Charleroi (in occasione del suo 100° genetliaco);

- Il quinto Veicolo di Trasferimento Automatizzato (ATV) dell’ESA, a supporto logistico alla Stazione Spaziale Internazionale.

 

 

 

 

 

 

 

Fonti

 

Opere di G. Lemaître in ordine cronologico

Un univers homogène de masse constante et de rayon croissant, rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extra-galactiques, in “Annales de la Société scientifique de Bruxelles” (25-04-1927), série A: Sciences Mathématiques, parte I, 47 (1927), 49-59;

L’indétermination de la loi de Coulomb, in “Annales de la Société scientifique de Bruxelles”, (29-01-1931), série B: Sciences Physiques et Naturelles, parte I, 51 (1931), 12-16; 

The Beginning of the World from the Point of View of Quantum Theory, in “Nature” 127 (1931), n. 3210, 706;

Sur l’interprétation d’Eddington de l’équation de Dirac, in “Annales de la Société scientifique de Bruxelles”, (22-04-1931), série B: Sciences Physiques et Naturelles, parte I, 51 (1931), 83-93; 

L’univers en expansion in “Annales de la Société scientifique de Bruxelles”, (03-05-1933), série A: Sciences Mathématiques, 53 (1933) n. 2, 51-85;

La culture catholique et les sciences positives, in “Actes du VIe congrès catholique de Malines”, V, Culture intellectuelle et sens chrétien, Bruxelles 1936, 65-70;

L’hypothèse de l’atome primitif: essai de cosmogonie (prefazione di F. Gonseth), Editions du Griffon, Neuchâtel 1946;

L’hypothèse de l’atome primitif (08-02-1948), in “Acta Pontificiae Academiae Scientiarum” 12 (1948), n. 6, 25-40; 

Calculons sans fatigue, E. Nauwelaerts, Louvain 1954; 

L’hypothèse de l’atome primitif et le problème des amas de galaxies, in “L’hypothèse de l’atome primitif: essai de cosmogonie”, rapporto presentato all’11° Consiglio di Fisica dell’Istituto Internazionale di Fisica Solvay, 1958;

The Primeval Atom Hypothesis and the Problem of the Clusters of Galaxies, in “La structure et l’évolution de l’Univers”, Stoops, Bruxelles 1958;

L’étrangeté de l’univers, in “Un nouveau système de chiffres et autres essais”, Multa Paucis, Scuola di studi superiori dell’ENI, Varese 1961, 27-41; 

Univers et Atome, conferenza inedita, Namur 23-06-1963, conservata presso la Bibliothèque Morétus-Plantin des Facultés Universitaires Nôtre-Dame de la Paix, Namur.

 

 

Sul pensiero e l’opera di Lemaître

FRIEDMANN A., LEMAÎTRE G., Essais de cosmologie, antologia di testi scelti, tradotti e commentati da J.-P. Luminet e A. Grib, Ed. du Seuil, Paris 1997.

UNIVERSITE CATHOLIQUE DE LOUVAIN, Mgr Georges Lemaître savant et croyant, Atti del Convegno di Louvain-la-Neuve, 04-11-1994, Centre Interfacultaire d’étude en histoire des sciences, Louvain-la-Neuve 1996 [contiene il testo inedito La Physique d’Einstein, a cura di J.-F. Stoffel].

 

 

Bibliografia delle opere di Lemaître

GODART O. (a cura di), Georges Lemaître et son ouvre. Bibliographie des travaux de Georges Lemaître, Editions Culture et Civilisation, Bruxelles 1972.

 

 

Altre opere di rilievo

AIKMAN D., Lemaître follows two paths to truth. The famous physicists, who is also a priest, tells why he finds no conflict between Science and Religion, in “New York Times Magazine”, 19-02-1933, 3-18;

DIRAC P. A. M., The scientific work of George Lemaître, in “Commentarii Pontificiae Academiae Scientiarum” 2 (1968), 1-20;

GODART O. - HELLER M., Cosmology of Lemaitre, Pachart, Tucson 1985;

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