Non esiste democrazia, né è possibile alcun rapporto autentico senza

il reciproco riconoscimento dei diritti e dei doveri fondamentali

 

 

 

 

Di recente (13 settembre 2000) il cardinale di Bologna Giacomo Biffi ha invitato le autorità italiane a moderare l'afflusso di immigrati di religione mussulmana nel nostro Paese. Le scontate polemiche e le discussioni seguite al suo intervento non hanno intimorito il Prelato che è tornato sulla questione: «Gli islamici nella stragrande maggioranza vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra umanità, in ciò che ha di più essenziale e di più laicamente irrinunciabile.

Essi vengono ben decisi a rimanere sostanzialmente diversi, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro, ha affermato, intervenendo a un seminario su Vangelo, lavoro e migrazioni. Hanno un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra, fino alla poligamia.

E hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede, anche se aspettano prudentemente a farla valere di diventare preponderanti. Non sono gli uomini di Chiesa, ma gli stati occidentali moderni a dover far bene i loro conti».

Di fronte a questo problema, ha commentato il Cardinal Biffi, gli stati occidentali dovrebbero richiedere una reciprocità non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati. «Per quanto possa apparire estraneo alla nostra mentalità, e persino paradossale, il solo modo di promuovere il principio di reciprocità da parte di uno Stato laico sarebbe quello di consentire in Italia per i mussulmani, sul piano delle istituzioni da autorizzare, solo ciò che nei paesi mussulmani è effettivamente consentito per gli altri». Con questo non si intende negare la piena e autentica libertà di esistere e di operare alle altre forme religiose o culturali, «senza però che questo comporti un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà». Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e aiutati nelle loro necessità, «da alcuni di loro, segnatamente dai mussulmani, possiamo tutti imparare la fedeltà ai loro esercizi rituali e ai loro momenti di preghiera ma non tocca a noi prestare positive collaborazioni alla loro pratica religiosa».

Il fenomeno dell'immigrazione ha dunque «colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l' impressione di smarrimento, e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri dell'ordinata convivenza civile. Ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento suppone ed esige accessi vigilati e regolamentati», infatti, «non esiste il diritto di invasione. Nulla vieta allo Stato italiano di gestire l'immigrazione in modo che sia salvaguardata la sua identità nazionale». «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente. In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l'identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte».

Purtroppo sono state colte di sorpresa anche le comunità ecclesiali: «Nella nostra consapevolezza di pastori, non si ha l'impressione che il fenomeno dell'immigrazione negli ultimi quindici anni, nel corso dei quali esso si è amplificato e acutizzato, sia stato vivo e pungente a misura della sua oggettiva gravità». La comunità cristiana «ha puntato doverosamente a costruire una cultura dell'accoglienza senza accompagnarla tuttavia con una valutazione realistica dei problemi, ma soprattutto senza mettere in risalto la missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini». In questa prospettiva il Cardinal Biffi invita lo Stato a far bene i suo conti di fronte al caso dei mussulmani. Stato e società, ha esordito, devono imparare a superare l'emergenza attraverso l'elaborazione di progetti realistici che devono contemplare «tanto la possibilità di un lavoro regolarmente remunerato quanto la disponibilità di alloggi dignitosi non gratuiti». D'altra parte, ha aggiunto «chi viene da noi deve sapere subito che gli sarà richiesto come necessaria contropartita dell'ospitalità il rispetto di tutte le norme di convivenza che sono in vigore da noi, comprese quelle fiscali. Diversamente non si farebbe che favorire l'insorgere di deplorevoli intolleranze razziali».

«Le autorità devono operare perché coloro che intendono stabilirsi in modo definitivo nel paese si inculturino nella sua realtà spirituale, morale e giuridica, privilegiando il criterio dell'inserimento piú agevole e meno costoso (preferire a parità di condizioni, le popolazioni cattoliche e a seguire gli asiatici che hanno dimostrato di sapersi integrare con facilità)». Evocare a proposito di questo criterio laico gli spettri del razzismo o della discriminazione religiosa, ha annotato il porporato «sarebbe un malinteso davvero mirabile e singolare; il quale se effettivamente si verificasse ci insinuerebbe qualche dubbio sulla perspicacia degli opinionisti e dei politici italiani». Con quali criteri lo Stato dovrà attuare questi progetti? Prima di tutto tenendo conto del fatto che l'Italia ha bisogno di una forza lavoro non piú reperibile in loco. A questo proposito, ha ricordato Biffi, «dovrebbero ormai essere tutti persuasi di quanto sia stata insipiente la linea perseguita negli ultimi quarant'anni, con l'ossessivo terrorismo culturale antidemografico e con l'assenza di ogni correttivo legislativo che ponesse qualche rimedio alla denatalità. Tutto questo nonostante l'esempio contrario delle nazioni d'Europa piú accorte, piú lungimiranti, piú civili, che non hanno esitato a prendere in questo campo provvedimenti realistici e intelligenti».

La seconda sfida, richiamata dalla Nota, è il diffondersi di una cultura non cristiana. «C'è la ricerca di una "libertà senza verità", che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l'uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: "le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell'aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell'istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni piú manifesti"». «Questa "cultura del niente" - sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria - non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell'"avvenimento cristiano" come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto». «Non ho nessuna paura dell'Islam. Le mie paure per l'avvenire dell'Italia sono altre. Ho paura della straordinaria imprevidenza che dimostrano i responsabili della nostra vita pubblica. Ho paura della immaturità, dell'inconsistenza, dei condizionamenti ideologici di molti opinionisti, cioè di quelli che dai vari pulpiti ci insegnano quotidianamente che cosa dobbiamo pensare. Piú ancora, ho paura dell'insipienza di troppi cattolici, soprattutto tra i piú acculturati e loquaci».

 

 

 

 

 

 

Agenzia Internazionale Fides

 

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