CONFERENZA SULLA DEMOGRAFIA

 

 

Intervento dal titolo La mythologie contemporaine en démographie tenuto a Stans, in Svizzera, l'11 novembre 1995,

ad un convegno sul tema Popolazione e sviluppo, organizzato dall'Associazione Medici Cattolici Svizzeri,

nei giorni dal 10 al 12 novembre

(Traduzione e titolo redazionali)

 

 

Benché ormai scienza matura, la demografia conosce tuttora numerosi miti. Fra i più diffusi vi sono la leggenda della crescita demografica esponenziale, incapace di guardare alla complessità dei fenomeni demografici, e il miraggio di un aumento letale, che ignora la verità secondo cui la popolazione può crescere solo se l'alimentazione e le altre condizioni di vita lo rendono possibile. Diffuso è pure il mito secondo il quale i problemi demografici andrebbero risolti attraverso il controllo delle nascite: la crescita della popolazione è invece dovuta alla riduzione della mortalità, e solo quando questa diventa stabile interviene anche una riduzione della fecondità. Purtroppo questi miti hanno giocato un ruolo rilevante alla Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, organizzata a Il Cairo, nel 1994, dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

 

La mitologia demografica contemporanea

Il termine "mitologia" rimanda di solito al complesso dei miti o racconti greco-latini, che mettono in scena dei, eroi, uomini e animali, alberi e fiori, rivestendo di caratteri meravigliosi lontane reminiscenze storiche. In verità, ci si è chiesto se i greci credevano veramente a queste storie (1). La risposta è: in una certa misura, sì. Noi stessi non continuiamo forse a parlare delle fatiche di Ercole e del filo di Arianna? Non tiriamo forse a sorte il "re dell'Epifania"? (2) Così, numerosi popoli hanno costruito miti, il cui studio è indispensabile per capire le società antiche.

Fin dall'inizio dell'umanità, gli uomini, appoggiandosi su apparenze, o in mancanza di conoscenze dimostrabili, immaginano causalità che si rivelano, più o meno rapidamente, essere di fatto solo miti, cioè pure costruzioni dello spirito. Più recentemente, alla fine del secolo scorso, in Francia, Louis Pasteur ha trovato sulla sua via i sostenitori della generazione spontanea, che credevano fermamente alla comparsa, in certe condizioni, di organismi viventi, che causano le malattie. E, sotto i nostri occhi, vediamo attualmente la meravigliosa teoria del Big-Bang passare dallo stato di nozione esplicativa dell'origine dell'Universo a quello di mito. Dunque, con il passare del tempo, numerose scoperte e riflessioni più approfondite hanno migliorato e affinato le conoscenze. Così si è finito per credere che la ragione e la scienza dovevano scacciare il mito perché dovrebbe essere considerato come vero solo quanto risulta da una spiegazione razionale basata su un procedimento scientifico che, per giungere all'evidenza, fa precedere l'osservazione alla deduzione.

Il mito doveva allora essere abbandonato, perché nemico d'una conoscenza vera. Per altro, esiste tutta una corporazione di uomini, gli scienziati, il cui compito sta nel costruire una conoscenza fondata su ricerche indiscutibili. Ma la realtà del nostro tempo è diversa da questo schema, il quale lascerebbe pensare che la civiltà umana sarebbe passata dall'ombra dell'ignoranza che costruisce, in sostituzione, miti, alla luce della conoscenza che scarterebbe tutto quanto ha carattere d'irreale. Ma il reale è sempre più complesso di quanto l'uomo immagini e da ciò derivano tre constatazioni. La prima sta nel ricordare i limiti della scienza: anche se lo scientismo ha creduto di poter racchiudere tutta la realtà umana nelle logiche dimostrabili, la scienza - o meglio le scienze - non può spiegare tutto, sperimentare tutto. D'altronde, fare della scienza un dio è una forma di mitologia e può portare a società disumane, come ha mostrato la realizzazione del socialismo scientifico in diversi paesi oppure il famoso libro di Aldous Huxley, Il mondo nuovo (3).

In secondo luogo, la neutralità della scienza resta indubbiamente un obiettivo da perseguire (4), ma gli scienziati sono sempre soltanto uomini, con le loro specificità e imperfezioni. Essi hanno anche la loro soggettività e possono commettere errori. Inoltre, gli strumenti di cui dispongono corrispondono a un certo stadio del progresso tecnico, che limita la loro capacità d'analisi e d'azione. In terzo luogo bisogna pure constatare che ogni società, compresa quella contemporanea, secerne, fabbrica o manipola miti. Per esempio, era un mito molto radicato la credenza secondo cui i discepoli di Karl Marx conoscevano il senso della storia, il che comportava che i paesi che vi si sottomettevano dovevano ineluttabilmente superare economicamente i paesi non comunisti. Altro esempio, la credenza che le procedure di elezioni all'europea - lo scrive un democratico -, che si reggono sul principio del potere affidato alla maggioranza, sia un modello universale che darebbe soluzione ai torbidi civici in tutte le società. Ora, in diversi paesi, la pace civile è possibile solo se la minoranza o le minoranze godono di una garanzia d'esistenza più rilevante del loro peso quantitativo. Diversamente, si giunge a catastrofi, come quelle del Ruanda, largamente create dal mito europeo prima evocato. Così, in ogni branca della conoscenza, compaiono miti, cioè, per riprendere la definizione del Petit Robert, "immagini semplificate, spesso illusorie, che gruppi umani elaborano o accettano come un fatto e che svolgono un ruolo determinante nel loro comportamento o nella loro valutazione" (5).

In demografia, come in altre discipline, regna un'importante mitologia, che raggruppa idee comunemente accettate (6), mentre il loro esame mostra la loro carenza di fondamento scientifico. Questa mitologia demografica non è nuova, anche se il suo sviluppo contemporaneo può stupire, perché si produce proprio quando la demografia ha fatto progressi incontestabili nella conoscenza, soprattutto elaborando strumenti di migliore qualità (7). La mitologia demografica era più scusabile in passato, in epoche in cui la quasi inesistenza della raccolta dei dati demografici non permetteva di conoscere la realtà. Fu così, per esempio, che Charles de Montesquieu costruì come osservazione demografica sull'universo un racconto basato sull'immaginazione, una favola, perché non disponeva di dati quantitativi reali. Nell'epoca contemporanea, la mitologia demografica utilizza tutti gli strumenti della mitologia: la leggenda, la finzione, il miraggio e l'illusione. Ognuno di questi termini sarà illustrato con un esempio, il che non esclude l'esistenza di molti altri esempi. Ma cominciamo con una favola mitologica proposta da Montesquieu come la descrizione della realtà.

 

 

Una favola antireligiosa

Nelle Lettere Persiane il nostro grande autore si mostra convinto che la terra stia conoscendo uno spopolamento considerevole. E così scrive : "Da un calcolo, esatto per quanto è possibile in questa materia, ho dedotto che sulla terra c'è appena la decima parte degli uomini che c'erano nei tempi antichi. È sorprendente come essa si spopoli di giorno in giorno; se continua così, fra dieci secoli sarà un deserto" (8). Così il secolo XVIII avrebbe vissuto la continuazione della decadenza che si consumava dopo l'Impero romano. Come spiegare il progredire continuo di un tale spopolamento? Ora Montesquieu constata che due grandi religioni si sono diffuse dopo l'Impero romano: il cristianesimo e l'islam. "Tu cerchi la ragione per cui la terra è meno popolata che in altri tempi: e, se ci rifletti, vedrai che il grande cambiamento dipende da quello verificatori nei costumi" (9). Infatti Montesquieu denuncia tre aspetti dei costumi che potremmo designare con l'aggettivo spopolazionisti, di cui getta la responsabilità sulle religioni cristiana e musulmana: il celibato, l'impossibilità del divorzio e la poligamia. Secondo lui "il numero di persone che fanno professione di celibato è straordinario" (10) e la continenza perpetua scelta da troppi uomini è "una virtù dalla quale non nasce niente" (11). La proibizione del divorzio da parte della religione cristiana sarebbe un secondo fattore di denatalità. Infatti egli scrive, sempre nelle Lettere Persiane: "Non bisogna dunque stupirsi se fra i cristiani si vedono tanti matrimoni fornire un numero così esiguo di cittadini. Il divorzio è abolito; i matrimoni mal assortiti sono irreparabili" (12). Montesquieu rimpiange l'impossibilità di risposarsi dopo un divorzio: "[...] le donne non passano più come tra i Romani, successivamente nelle mani di diversi mariti, che ne traevano nel passaggio il miglior beneficio possibile" (13).

Terza causa di spopolamento, i costumi islamici, che autorizzano la poligamia e la pratica dell'harem, che tiene nell'infecondità molti uomini e sottoutilizza le possibilità di procreazione delle donne: "[...] le donne costrette a una continenza forzata, hanno bisogno di chi le sorvegli, e non possono che essere eunuchi: la religione, la gelosia e la ragione stessa non permettono che altri le avvicinino. Questi guardiani devono essere numerosi, sia per mantenere la tranquillità interna, nelle lotte che le donne si fanno di continuo, sia per impedire tentativi dall'esterno" (14). La rivalità femminile e la sorveglianza dell'harem necessitano dunque di troppa mano d'opera maschile infeconda: "Così uno che ha dieci mogli, o concubine, ha almeno altrettanti eunuchi per sorvegliarle. Ma che perdita per la società, tanti uomini morti fin dalla nascita! Che spopolamento ne deve derivare!" (15). Tutto questo insieme di frasi forma un'autentica favola. Infatti, da una parte non vi è spopolamento nel secolo XVIII e nemmeno se si confronta questo secolo con i primi secoli dell'era cristiana. D'altra parte, le nuove religioni non hanno spinto alla denatalità, ma hanno al contrario onorato la fecondità. Come spiegare allora la nascita d'una simile favola? A questo scopo bisogna studiare le immagini che Montesquieu ha sotto gli occhi. Così come una fotografia può non essere rappresentativa della realtà, o essere truccata da chi detiene il potere (16), Montesquieu sembra vedere solo una cosa: l'imponenza delle rovine lasciate dall'Impero romano, che facevano supporre la necessità di una popolazione rilevante per costruire e per far vivere tali costruzioni. Egli ne deduce quindi, come numerosi suoi contemporanei, uno spopolamento, che i successivi lavori di demografia storica hanno poi mostrato non essersi verificato. Inoltre - com'è noto - Montesquieu era animato da robusti sentimenti fortemente anticlericali. Quindi non meraviglia che abbia attribuito alle religioni le cause dei disastri demografici ai quali credeva.