Papà si diventa

Pur avendo in molti casi, come ricordavamo, gettato la spugna a favore della madre, di fatto ogni padre inevitabilmente è chiamato ogni giorno a reagire al comportamento dei figli. C'è chi lo fa ispirandosi ancora a una grande severità e sceglie i metodi tradizionali, e chi si affida all'andazzo del permissivismo. Sono comportamenti evidentemente non univoci e spesso condotti a testa bassa, cioè non in modo veramente riflesso. Proviamo a descrivere e classificare le piú comuni linee di tendenza, affidandoci evidentemente a una schematizzazione.

 

 

Il padre "tradizionale"

C'è il padre che si regola con i figli ancora in modo duro ed esigente, chi usa minacce di punizione, rifiuta il dialogo, la discussione, la consultazione, la persuasione. Il figlio fa i capricci, è pigro, sta uscendo di strada, ha dei problemi. Ed egli usa le maniere forti, quelle, pensa, che tutto sommato andavano bene una volta e sono riuscite a fare di lui un uomo. Si rimbocca le maniche e stringe i freni. E diventa fortemente "direttivo", perfezionista. Stabilisce per i figli ciò che devono fare e ciò che devono evitare. Diventa rigido e ambizioso. Ferreo nell'esigere la pulizia, la puntualità, il dovere. A prima vista il risultato sembra soddisfacente. Il padre ha l'impressione di mettere al sicuro se stesso e i suoi figli, di trasmettere un modello di vita serio e solido.

Invece i ragazzi guidati in modo rigido diventano passivi: se lí per lí obbediscono, col tempo dimostrano di non avere assimilato, di essere stati costretti a bruciare le tappe, a condurre uno stile di vita che non li ha maturati dentro. Se poi il padre è anche dominatore e ha la punizione facile, i figli possono diventare indifferenti, chiusi, ribelli, menzogneri o pieni di complessi. Sulla stessa linea sono anche i padri identificatori, quelli cioè che considerano il figlio una specie di prolungamento di sé e vogliono che il figlio arrivi dove non sono riusciti ad arrivare loro. Costoro non usano per lo piú le maniere forti, ma ottengono gli stessi effetti, ricattando affettivamente i figli e strumentalizzandoli, cercando in qualche modo di renderli passivi e docili ai loro voleri e alle loro ambizioni.

 

 

Il papà indulgente

Altri padri però, disorientati dal nuovo clima sociale e culturale, dalle nuove reazioni dei figli, resi insicuri e forse sentendosi piuttosto sminuiti, rifiutano praticamente di rappresentare dei valori, di diventare per loro un punto di riferimento e di sostegno. Per evitare discussioni, soddisfano ogni loro desiderio e capriccio, e lasciano che i figli si gestiscano praticamente da soli, abbandonandoli a un assoluto permissivismo. Qualcuno si mette in questa strada anche per una scelta in qualche modo ragionata: vogliono porsi di fronte ai loro figli in atteggiamento di "rispetto assoluto" verso la loro libertà e personalità, e si impongono di non influenzarli nelle scelte.

È il figlio che deve chiedere "aiuto", se lo ritiene opportuno. Sono scelte che sembrano ispirarsi in qualche modo ai metodi cosiddetti "non direttivi". Per alcuni padri questo comportamento può nascere da una reazione di rifiuto dell'educazione tradizionale fortemente direttiva ricevuta, che, a loro giudizio, avrebbe bloccato la spontaneità della loro crescita e impedito le piú belle esperienze. I valori, secondo questi papà, devono emergere invece da soli: i figli capiranno le cose per autoeducazione.

I risultati in realtà non sono quelli sperati. Infatti i ragazzi vivono sotto il fuoco di un bombardamento continuo che tende a influire sulla loro personalità. Abbandonare i figli a se stessi, rifiutandosi di diventare per loro un punto di appoggio e di riferimento, significa lasciarli in balia degli amici, della strada, dei mass-media, dei modelli dominanti, che si impongono con la loro suggestione e che brillano sempre troppo agli occhi dei ragazzi. Lasciare i figli a se stessi, è farli entrare inevitabilmente in un giro di maestri occulti molto meno disinteressati dei loro genitori.

 

 

II padre "esemplare"

Ma c'è anche una terza via. Ed è quella di chi afferma di voler offrire ai figli piú che altro la sua testimonianza di vita. E questo padre è lí sempre a ricordare che lui fa il suo dovere fino in fondo, anche quando non ne ha voglia, e che cosí dovrebbe fare anche suo figlio, dimostrando senso di responsabilità, spirito di sacrificio, fedeltà ai suoi doveri. È chiaro che se l'esempio di vita del padre ci fosse sul serio, offrirebbe sicuramente il valore di una testimonianza, di un coinvolgimento, per cui i figli dovrebbero trarne grande beneficio dal clima familiare, da una specie di "educazione indiretta", e anche da una certa simpatia che dovrebbe nascere tra padre e figli. In realtà gli esperti affermano che anche questo può essere un bel modo di non responsabilizzarsi e di lasciare i figli a se stessi.

Essi dicono con il loro modo di fare e di parlare: "Io faccio il mio dovere e tu fa' il tuo. Chiaro? Non facciamo tante chiacchiere. O studi, o fili in officina con tuo padre!"; in realtà scelgono la strada cortissima di lavarsene le mani per evitare noiosi dialoghi. Il lato debole di questo modo di comportarsi consiste proprio nel proporre a dei ragazzi ancora in fase di maturazione un modello di vita adulto, perfetto, e quindi non ancora accessibile ai ragazzi.

Essi non potranno proporselo e calzarlo cosí com'è. Il padre dovrebbe saperlo, perché lui stesso lo ha raggiunto attraverso lo sforzo di una lunga vita e anche inevitabili errori. Su questa stessa linea educativa è anche il modo di fare del papà che tratta il figlio alla pari e vuole essere il suo amico e confidente. Diventando praticamente debole e arrendevole, incapace di motivare quel poco che deve chiedere al figlio, di guidarlo verso qualche scelta scomoda e che costi.

 

 

Papà si diventa

A questo punto qualche padre di famiglia potrebbe sentirsi prendere dallo sconforto. In parte perché in queste descrizioni avrà ritrovato facilmente qualcosa del suo modo di fare; e poi perché tutti i modelli che abbiamo presentato denunciano in un modo o nell'altro dei risvolti negativi. Quale sarà allora la scelta educativa valida? Il punto di partenza è questa certezza: i ragazzi sono capaci di crescere e di maturare, di compiere un cammino morale. Sono cioè saggi, ma di una saggezza che è la loro saggezza.

Essi, se aiutati, sanno riflettere sulle loro esperienze e sui loro errori, sono disponibili a riconoscere la validità o la stupidità di ciò che stanno facendo. Non rifiutano il confronto con l'adulto, in particolare con papà e mamma, anzi ti lanciano spesso il loro "SOS". Sarebbe quindi un errore lasciarli in balía di se stessi o di altri maestri occulti. Ma lo sarebbe anche se il padre o la madre si sostituissero a loro in ogni scelta. Si tratterà dunque di rispettare i loro ritmi di maturazione con pazienza e realismo, senza soffocare la loro personalità in formazione. Questo comportamento educativo è il piú valido proprio perché alla fin fine chiede a un padre semplicemente di essere padre, e a un figlio di essere se stesso, vale a dire un ragazzo in cammino, in crescita.

 

 

Si accorgano di essere amati.

Nei rapporti con i figli emergeranno certo le differenze, i motivi di contrasto, le debolezze. Qualche volta lo scontro sarà violento, perché i ragazzi trovano una grande valvola di scarico proprio in coloro che sentono piú vicini. In questi casi i genitori, piú che offendersi per le loro reazioni sproporzionate, o colpevolizzarsi per certi segni di insofferenza e di nervosismo, dovrebbero cogliere questi segni come le spie di un disagio, come un'implicita richiesta di aiuto. L'amore allora sarà vero e dimostrato. Don Bosco diceva: "I ragazzi non solo siano amati, ma si accorgano di essere amati". E non c'è amore piú grande che essere tolleranti e magnanimi al punto giusto, accettando gli altri nei loro disagi; i propri figli nella loro fatica di crescere. E il dialogo dovrebbe fiorire spontaneo.

Un dialogo che favorisce la maturazione dei figli, ma anche quella dei genitori. Questo modello educativo è piú faticoso e comporta anche un grande sforzo di qualificazione e di disponibilità a ringiovanire sempre, a camminare al ritmo dei propri figli. È allora il caso di ricordare che diventare padre non è solo un fatto fisico e giuridico, ma un ruolo da conquistare, una vocazione. Si diventa padri quando si è disposti a mettersi al fianco dei propri figli con rispetto e fedeltà indiscussa, disposti a tutto sopportare e a ricominciare sempre da capo. Senza badare agli incidenti di percorso, alle sconfitte apparenti o momentanee. Senza attendersi nulla che non sia il bene dei figli (p. 11-15).