La Bibbia è un libro lungo, faticoso, talvolta prolisso e talvolta lacunoso, spesso oscuro, magari contraddittorio. La Bibbia è interamente inserita nella logica della Incarnazione, nello stile di un Dio che entra nella storia e ne accetta le leggi sino in fondo. Così, la "ispirazione" che il credente riconosce a quelle pagine non toglie loro il carattere oggettivo di una collezione di scritti antichi, disparati per età, autori, lingue. Sono occorsi secoli e le migliori intelligenze sparse nelle terre innumerevoli dell'impero dei Romani per costruire una "teologia sistematica", una sintesi di fede che rispettasse tutti i dati, nessuno escluso, del gran calderone, del pot-pourri formato da Antico e Nuovo Testamento.

Studio e continuerò a studiare - sforzandomi di abbandonare quanti più pregiudizi possibile - la storia dei distacchi dal tronco cattolico: la storia di scismi ed eresie, la storia cioè di coloro che pretesero di vedere giusto là dove la Chiesa cattolica si sarebbe sbagliata sino ad allora. Quegli "scismatici", quegli "eretici", li osservo con attenzione, ne seguo affascinato i meccanismi psicologici, ne ricostruisco (magari tentato di seguirli) le ragioni. Come tutti, devo loro molto per il rilievo dato a qualche aspetto della fede che il grande albero cattolico sembrava aver dimenticato, quasi rami e foglie che rischiavano di avvizzire per carenza di linfa. Di quelle teologie, però, quel che spesso mi convince sono semmai aspetti parziali; non riesce mai a convincermi l'insieme, la sintesi.

Ogni "eretico" finisce per ricordarmi il meccanico della storiella, bravissimo nello smontare i motori ma non altrettanto nel rimontarli: qualche pezzo restava sempre fuori. «E questo?», chiedeva il suo aiutante mostrando un pistone non entrato nella ricomposizione del motore. «Beh - era l'imbarazzata risposta - si vede che quello era di troppo, non serviva...». Così mi sembra essere (anche e forse soprattutto a proposito dei temi che qui ci interessano) di tante teologie cristiane al di fuori della cattolica. Quella autentica, lo ripeto ancora, quel nucleo definito che il credente è tenuto ad accogliere, non le sue tante caricature. In troppe teologie cristiane qualcosa resta sempre fuori un versetto, un libro, una parte intera - della impressionante massa di dati biblici da coordinare tra loro.

Bellissima la torre di Pisa, splendida testimonianza di architettura. Ma qualcosa è mancato nel calcolo delle fondamenta, della resistenza del terreno rispetto al peso. Dunque la torre pende, è inguaribilmente storta. Quell'inclinazione può essere un motivo in più di originalità, di fascino; oltre che pittoresca, può rivelarsi persino utile. Non servì forse a Galilei per sperimentare dalla sua sommità le leggi di caduta dei gravi? Eppure, quella pendenza è il segno visibile di una qualche incapacità di un architetto che non è riuscito a coordinare insieme tutti i dati necessari. Così sembra avvenire per ogni architettura teologica che si sia distaccata (scisma) o si sia contrapposta (eresia) a quella della Chiesa cattolica; questa Chiesa che naviga pesante, sicura ma lenta, tenendosi sempre in una rotta "al centro" e favorendo in tal modo l'ammutinamento degli impazienti, degli estremisti, dei drastici. Costoro, dopo aver tentato di impadronirsi del timone del gran bastimento sovraccarico, finiscono per mettersi per mare con una loro barca. Ma la rotta, seppur più veloce, più esaltante, subisce scarti e deviazioni. I timonieri sono costretti a gettare a mare parte del bagaglio, definendolo zavorra inutile; mentre non lo è affatto.

È avvenuto così sin dai primissimi eretici, che vedevano confermate le loro tesi da un vangelo ma erano smentiti da un altro. Erano così obbligati a buttare a mare, che so?, il vangelo di Giovanni; o, viceversa, i tre "sinottici": Matteo, Marco, Luca. Quando non erano costretti, pur di salvare le loro zattere, a scegliere addirittura tra Antico e Nuovo Testamento. La parola "eresia" non deriva forse dal verbo greco che significa, appunto, "scegliere"? È un modo di procedere che raggiunge il vertice in Martin Lutero, l'impaziente Lutero che andava per le spicce e - quando un testo della Scrittura contraddiceva le sue teorie (è il caso famoso della lettera di Giacomo, ma non di quella soltanto) - se ne sbrigava espellendolo, diffamandolo come «libro di paglia», dichiarandolo «apocrifo». Lui, che proclamava di ubbidire soltanto alla Scrittura, le si ribellava contro quando lo contraddiceva. Arrivò sino a dire che «il Signore deve essere censurato nelle sue parole», davanti a brani come il capitolo sedici del vangelo di Luca che non confermavano le sue tesi.

È un metodo che è continuato fino ai nostri giorni: sempre qualcuno definisce «tardivi», «interpolati», «inattendibili», «non essenziali» quei passi della Bibbia che (come il pistone per il meccanico della storiella) non si riesce più a far rientrare nella ricostruzione. «La fede abbraccia molte verità che sembrano contraddirsi - annotava già Pascal - La causa di tutte le eresie è di non aver saputo concepire l'accordo di due verità opposte». Dice oggi Jean Guitton, pur così attento alle ragioni del dialogo ecumenico: «Mentre ogni eretico sviluppa certi aspetti del cristianesimo e ne atrofizza o ne cela altri, il cattolico vero è colui che tenta di restare fedele al suo nome: katholikós, cioè universale; dunque, chi tutto si sforza di salvare e di armonizzare in una sintesi più alta» .

Così, per ridirla con Ratzinger, può avvenire che, più la si approfondisce, più si scopra la «logica interiore della tradizione cattolica»: il tout se tient, il tutto che a vicenda si sorregge, nulla dimenticando e tutto coordinando. Finendo poi anche per scoprire che quella sintesi non è soltanto un ammirevole castello di carte, un gioco di bravura, una dimostrazione di abilità nel ricostruire un puzzle con tanti pezzi disparati. Teoria, sì; ma con risonanze profonde dentro l'uomo concreto. Non un fuoco d'artificio intellettuale, ma una chiave che par fatta su misura per girare senza sforzo nella complicata serratura del nostro cuore. Una visione della vita e della morte, quella cattolica (così almeno mi pare di intuire e di sentire) che instaura una corrispondenza profonda tra vita e dogma, tra bisogno e risposta, tra prassi e teoria. Una proposta che può appagare chi interroga insieme mente e cuore (cfr. MESSORI V., Scommessa sulla morte. La proposta cristiana: illusione o speranza?, Torino 19823, 214-216).

 

 

 

 

 

 

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