S. S. Paolo VI

 

DISCORSO DI S. S. PAOLO VI ALL'ASSEMBLEA DELL'ONU

 

 

 

(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

 

 

365*

Nel momento in cui prendiamo la parola davanti a questo consesso unico al mondo, sentiamo il bisogno anzitutto di esprimere la Nostra profonda gratitudine al signor Thant, vostro segretario generale, dell'invito ch'egli Ci ha rivolto di visitare le Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario della fondazione di questa istituzione mondiale per la pace e per la collaborazione fra i popoli di tutta la terra.

366*

Noi ringraziamo altresí il signor presidente dell'assemblea, on. Amintore Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto per Noi parole tanto cortesi.

367*

Grazie anche a voi tutti, qui presenti, per la vostra buona accoglienza. A ciascuno di voi il Nostro riverente e cordiale saluto. La vostra amicizia Ci ha invitato e Ci ammette ora a questa riunione: e come amico Noi qui a voi Ci presentiamo.

368*

Vi esprimiamo il Nostro cordiale omaggio personale e vi offriamo quello dell'intero Concilio ecumenico Vaticano II, riunito in Roma, e qui rappresentato dai signori cardinali che a questo scopo Ci accompagnano.

369*

A loro nome, come da parte Nostra, rendiamo a voi tutti onore e salute!

 

 

Semplicità e grandezza di un incontro

370*

Questo incontro, voi tutti lo comprendete, segna un momento semplice e grande. Semplice, perché voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di stati sovrani, uno dei piú piccoli, rivestito lui pure, se cosí vi piace considerarci, di una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanto gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore.

371*

Questa è la Nostra prima dichiarazione; e, come voi vedete, è cosí semplice, che sembra irrilevante per questa assemblea, che tratta sempre cose importantissime e difficilissime.

372*

Ma Noi dicevamo, e tutti lo avvertite, che questo momento è anche grande. Grande per Noi, grande per voi.

373*

Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l'opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatore d'un messaggio per tutta l'umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome personale e dell'intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d'essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata: cosí Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sí, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e Noi portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l'epilogo d'un faticoso pellegrinaggio in cerca d'un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: «Andate e portate la buona novella a tutte le nazioni». Ora siete voi, che rappresentate tutte le nazioni.

374*

Noi abbiamo per tutti voi un messaggio, sí, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi.

 

 

Una ratifica morale e solenne

375*

1. Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quale «esperto in umanità», rechiamo a questa organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi predecessori, quello di tutto l'episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale.

376*

Dicendo questo Noi sentiamo di fare Nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle sono sopravvissuti portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero di rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità. E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso. I popoli guardano alle Nazioni Unite come verso l'ultima speranza della concordia e della pace: Noi osiamo, col Nostro, portare qua il loro tributo di onore e di speranza. Ecco perché questo momento è grande anche per voi.

 

 

Gli uni e gli altri

377*

2. Noi sappiamo che ne avete piena coscienza. Ascoltate allora la continuazione del Nostro messaggio. Esso è rivolto completamente verso l'avvenire. L'edificio, che avete costruito, non deve mai piú decadere, ma deve essere perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà. Voi segnate una tappa nello sviluppo dell'umanità, dalla quale non si dovrà piú retrocedere, ma avanzare.

378*

Al pluralismo degli stati, che non possono piú ignorarsi, voi offrite una formula di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni e gli altri. Voi non conferite certamente l'esistenza agli stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato dei popoli ogni singola nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È già un grande servizio alla causa dell'umanità, quello di ben definire e di onorare i soggetti nazionali della comunità mondiale, e di classificarli in una condizione di diritto, meritevole d'essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un sistema ordinato e stabile di vita internazionale. Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall'inganno.

379*

Cosí ha da essere. Lasciate che Noi Ci congratuliamo con voi, che avete avuto la saggezza di aprire l'accesso a questa aula ai popoli giovani, agli stati giunti da poco all'indipendenza e alla libertà nazionale; la loro presenza è la prova dell'universalità e della magnanimità che ispirano i principi di questa istituzione.

380*

Cosí ha da essere; questo è il Nostro elogio e il Nostro augurio, e, come vedete, Noi non li attribuiamo dal di fuori; Noi li caviamo dal di dentro, dal genio stesso della vostra istituzione.

 

 

Gli uni con gli altri

381*

3. Il vostro statuto va oltre; e con esso procede il Nostro messaggio. Voi esistete e operate per unire le nazioni, per collegare gli stati; diciamo questa seconda formula: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete un'associazione. Siete un ponte fra i popoli. Siete una rete di rapporti fra gli stati. Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa Cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica e universale. Non v'è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell'umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i popoli. Difficile impresa; ma questa è l'impresa, la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di giungere cosí, progressivamente, a instaurare un'autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?

382*

Anche a questo riguardo Noi ripetiamo il Nostro augurio: perseverate. Diremo di piú: procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell'accordarla. E voi, che avete la fortuna e l'onore di sedere in questo consesso della pacifica convivenza, ascoltateCi: fate in modo che la reciproca fiducia, che qui vi unisce e vi consente di operare cose buone e grandi, non sia mai insidiata o tradita.

 

 

Non l'uno sopra l'altro

383*

4. La logica di questo augurio, che si può dire costituzionale per la vostra organizzazione, Ci porta a integrarlo con altre formule. Ecco: che nessuno, in quanto membro della vostra unione, sia superiore agli altri. Non l'uno sopra l'altro. È la formula dell'uguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba essere integrata dalla valutazione di altri fattori, che non sia la semplice appartenenza a questa istituzione; ma anch'essa è costituzionale. Voi non siete uguali, ma qui vi fate uguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtú; consentite che ve lo dica Colui che vi parla, il rappresentante d'una religione, la quale opera la salvezza mediante l'umiltà del suo Fondatore divino. Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l'orgoglio, per inevitabile che possa sembrare, che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo, dell'egoismo; rompe cioè la fratellanza.

 

 

Mai piú gli uni contro gli altri

384*

5. E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo, Voi attendete da Noi questa parola, che non può non vestirsi di gravità e di solennità: mai piú gli uni contro gli altri, mai, mai piú! A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d'un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: «L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità». Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non piú la guerra, non piú la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità!

385*

Grazie a voi, gloria a voi, che da vent'anni per la pace lavorate, e che avete perfino dato illustri vittime a questa santa causa. Grazie a voi, e gloria a voi, per i conflitti che avete prevenuti e composti. I risultati dei vostri sforzi in favore della pace, conseguiti fino a questi ultimi giorni, benché non siano definitivi, meritano che Noi, osando farCi interpreti del mondo intero, vi esprimiamo plauso e gratitudine.

 

 

Edificare la pace

386*

Signori, voi avete compiuto e state compiendo un'opera grande: l'educazione dell'umanità alla pace. L'ONU è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell'aula magna di tale scuola; chi siede in questa aula diventa alunno e diventa maestro nell'arte di costruire la pace. Quando voi uscite da quest'aula il mondo guarda a voi come agli architetti, ai costruttori della pace.

387*

E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l'equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace. Voi già lavorate in questo senso. Ma voi siete ancora in principio, arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia? È difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi: la prima è quella del disarmo.

388*

Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza odierna vi ha dato, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli. Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia interiore di questa istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è da credere, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall'incubo, che deforma la loro psicologia, della guerra sempre imminente.

389*

Noi godiamo di sapere che molti di voi hanno considerato con favore il Nostro invito, lanciato a tutti gli stati per la causa della pace, a Bombay, nello scorso dicembre, di devolvere a beneficio dei paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie, che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti. Noi rinnoviamo qui tale invito, fidando nel vostro sentimento di umanità e di generosità.

 

 

Gli uni per gli altri

390*

6. Dicendo queste parole Noi Ci accorgiamo di far eco ad un altro principio costitutivo di questo organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli stati, ma si lavora altresí con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie nazioni; ma fate un passo molto piú avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l'appoggio concorde e ordinato da tutta la famiglia dei popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è il piú bello; è il suo volto umano piú autentico; è l'ideale dell'umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, Noi osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove Noi scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un'eco della voce dei Nostri predecessori, di quella specialmente di papa Giovanni XXIII, il cui messaggio di Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa.

 

 

Diritti e doveri dell'uomo

391*

Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà, e per prima, la libertà religiosa. Ancora Noi sentiamo interpretata la sfera superiore della Nostra sapienza, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto della vita dell'uomo: e la vita dell'uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua piú alta professione e la sua piú ragionevole difesa: voi dovete procurare di far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell'umanità; non già favorire un artificiale controllo delle nascite che fosse irrazionale, per diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita.

392*

Ma non si tratta soltanto di nutrire gli affamati: bisogna inoltre assicurare a ciascun uomo una vita conforme alla sua dignità. Ed è questo che voi vi sforzate di fare. E non si adempie del resto sotto i Nostri occhi anche per opera vostra l'insegna profetica che ben si addice a questa istituzione: «forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci» (Is 2,4)? Non state voi impiegando le prodigiose energie della terra e le invenzioni magnifiche della scienza, non piú in strumenti di morte, ma in strumenti di vita per la nuova èra dell'umanità?

393*

Noi sappiamo con quale crescente intensità ed efficacia l'Organizzazione delle Nazioni Unite, e gli organismi mondiali che ne dipendono, lavorino per fornire aiuto ai governi, che ne abbiano bisogno, al fine di accelerare il loro progresso economico e sociale.

394*

Noi sappiamo con quale ardore voi vi impegnate a vincere l'analfabetismo e a diffondere la cultura nel mondo; a dare agli uomini un'adeguata e moderna assistenza sanitaria, a mettere a servizio dell'uomo le meravigliose risorse della scienza, della tecnica, dell'organizzazione: tutto questo è magnifico, e merita l'encomio e l'appoggio di tutti, anche il Nostro.

395*

Vorremmo anche Noi dare l'esempio, sebbene l'esiguità dei Nostri mezzi Ci impedisca di farne apprezzare la rilevanza pratica e quantitativa: Noi pure vogliamo dare alle Nostre istituzioni benefiche un nuovo sviluppo in favore della fame e dei bisogni del mondo: è in questo modo, e non altrimenti, che si costruisce la pace.

 

 

Edificare su principi spirituali

396*

7. Una parola ancora, Signori, un'ultima parola: questo edificio, che state costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrestri; sarebbe un edificio costruito sulla sabbia; ma si regge, innanzitutto, sopra le nostre coscienze. È venuto il momento della «conversione», della trasformazione personale, del rinnovamento interiore. Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l'uomo; in maniera nuova anche la vita in comune degli uomini; in maniera nuova infine le vie della storia e i destini del mondo, secondo le parole di s. Paolo: «rivestire l'uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità della verità» (Ef 4,23). È l'ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi, in un'epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l'appello alla coscienza morale dell'uomo! Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l'umanità. Il pericolo vero sta nell'uomo, padrone di sempre piú potenti strumenti, atti alla rovina e alle piú alte conquiste!

397*

In una parola, l'edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresí di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio ignoto, di cui discorreva nell'areopago san Paolo agli ateniesi? Ignoto a loro, che pur senza avvedersene lo cercavano e lo avevano vicino, come capita a tanti uomini del nostro secolo?... Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la rivelazione ineffabile, che Cristo di lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini.

4 ottobre 1965.

 

 

 

 

 

Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965), I, nn. 395. 397.

 

 

 

 

 

 

 

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 S. S. Giovanni Paolo II

 

IN NOME DELL'UOMO

 

Discorso di S. S. Giovanni Paolo II all'ONU

 

 

(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

Signor Presidente,

1722

1. Desidero esprimere la mia gratitudine all'illustre assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale mi è consentito oggi di partecipare e rivolgere la parola. La mia riconoscenza va in primo luogo al signor segretario generale dell'ONU, il dott. Kurt Waldheim, il quale già nell'autunno scorso - poco dopo la mia elezione alla cattedra di san Pietro - mi rivolse l'invito per questa visita, e, in seguito, lo rinnovò nello scorso maggio durante il nostro incontro a Roma. Sin dall'inizio, ne fui molto onorato e profondamente obbligato. Ed oggi, dinanzi ad una cosí eletta assemblea, desidero ringraziare lei, signor presidente, che cosí gentilmente mi ha accolto e dato la parola.

 

 

Motivo formale della visita

1723

2. Il motivo formale del mio intervento odierno è indubbiamente il particolare legame di cooperazione che unisce la sede apostolica all'Organizzazione delle Nazioni Unite, come attesta la presenza stessa della missione permanente di un osservatore della Santa Sede presso questa organizzazione. Tale legame, che la santa sede tiene in grande considerazione, trova la ragione d'essere nella sovranità di cui la Sede Apostolica è, da lungo volgere di secoli, rivestita, sovranità che per l'ambito territoriale è circoscritta al piccolo Stato della Città del Vaticano, ma che è motivata dalla esigenza che ha il Papato di esercitare con piena libertà la sua missione, e, per ogni suo possibile interlocutore, governo o organismo internazionale, di trattare con esso indipendentemente da altre sovranità. Naturalmente, la natura e i fini della missione spirituale propria della Sede Apostolica e della chiesa fanno sí che la loro partecipazione ai compiti e alle attività dell'ONU si differenzi profondamente da quella degli stati in quanto comunità in senso politico-temporale.

 

 

Interesse della Sede Apostolica per l'ONU

1724

3. La Sede Apostolica non soltanto tiene in grande conto la propria collaborazione con l'ONU, ma fin dalla nascita dell'organizzazione ha sempre espresso la propria stima e il proprio consenso per lo storico significato di questo supremo foro della vita internazionale dell'umanità contemporanea. Essa non cessa anche di appoggiare le sue funzioni ed iniziative, che hanno quale scopo la pacifica convivenza e la collaborazione tra le nazioni. Ne abbiamo molte prove. Negli oltre 30 anni di esistenza dell'ONU, messaggi ed encicliche pontificie, documenti dell'episcopato cattolico, ed anche il Concilio Vaticano II le hanno prestato grande attenzione. I pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI guardavano con fiducia a questa importante istituzione, come a un eloquente e promettente segno dei nostri tempi. Ed anche colui che ora vi parla, fin dai primi mesi del proprio pontificato, ha espresso piú volte la stessa fiducia e convinzione che nutrivano i suoi predecessori.

1725

4. Questa fiducia e convinzione della sede apostolica, come dicevo, non risultano da ragioni puramente politiche, ma dalla stessa natura religioso-morale della missione della Chiesa Cattolica Romana. Questa, quale comunità universale che raccoglie in sé fedeli appartenenti a quasi tutti i paesi e continenti, nazioni, popoli, razze, lingue e culture, è interessata all'esistenza ed all'attività dell'organizzazione, la quale - come deduciamo dal suo nome - unisce e associa nazioni e stati. Unisce e associa, e non già divide e contrappone: essa cerca le vie dell'intesa e della pacifica collaborazione, tendendo con i mezzi disponibili e i metodi possibili, ad escludere la guerra, la divisione, la reciproca distruzione in quella grande famiglia, che è l'umanità contemporanea.

 

 

Motivo essenziale della visita

1726

5. Questo è il motivo vero, il motivo essenziale della mia presenza tra voi, e desidero esprimere gratitudine a cosí illustre assemblea, perché ha preso in considerazione tale motivo, che può rendere, in qualche modo, utile la mia presenza tra voi. Ha certamente un rilevante significato che tra i rappresentanti degli stati, la cui ragion d'essere è la sovranità dei poteri legati al territorio e alla popolazione, si trovi oggi anche il rappresentante della Sede Apostolica e della Chiesa Cattolica. Questa chiesa è quella di Gesú Cristo che, davanti al tribunale del giudice romano Pilato, dichiarò di essere re, ma di un regno che non è di questo mondo (cf. Gv 18,36-37). Interrogato poi sulla ragion d'essere del suo regno tra gli uomini, egli spiegò: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità" (Gv 18,37). Trovandomi quindi dinanzi ai rappresentanti degli stati, desidero non soltanto ringraziare, ma congratularmi in modo particolare, perché l'invito a dare la voce al papa nella vostra assemblea comprova che l'Organizzazione delle Nazioni Unite accetta e rispetta la dimensione religioso-morale di quei problemi umani, dei quali la chiesa, per il messaggio di verità e di amore che deve portare al mondo, si occupa. Certamente, per le questioni che sono oggetto delle vostre funzioni e delle vostre sollecitudini - attestate dal vastissimo e organico complesso di istituzioni e di attività che fanno capo all'ONU o con essa collaborano, particolarmente nel settori della cultura, della sanità, dell'alimentazione, del lavoro, nell'uso pacifico dell'energia nucleare - è essenziale che ci incontriamo in nome dell'uomo inteso nella sua integrità, in tutta la pienezza e multiforme ricchezza della sua esistenza spirituale e materiale, come ho espresso nell'enciclica Redemptor hominis, la prima del mio pontificato.

 

 

Ragion d'essere di ogni politica è il servizio dell'uomo

1727

6. In questo momento, profittando della solenne occasione di un incontro con i rappresentanti delle nazioni del globo, vorrei rivolgere un saluto soprattutto a tutti gli uomini e le donne viventi sulla nostra terra. Ad ogni uomo, ad ogni donna, senza eccezione alcuna. Ogni essere umano, infatti, che abita il nostro pianeta, è membro di una società civile, di una nazione, numerose delle quali sono qui rappresentate. Ognuno di voi, illustrissimi signore e signori, è rappresentante di singoli stati: sistemi e strutture politiche, ma soprattutto di determinate unità umane; voi tutti siete i rappresentanti degli uomini, praticamente di quasi tutti gli uomini del globo; uomini concreti, comunità e popoli, che vivono l'odierna fase della loro storia, ed insieme sono inseriti nella storia di tutta l'umanità, con la loro soggettività e dignità di persona umana, con una propria cultura, con esperienze e aspirazioni, tensioni e sofferenze proprie, e con legittime aspettative. In questo rapporto trova il suo perché tutta l'attività politica, nazionale e internazionale, la quale - in ultima analisi - viene dall'uomo, si esercita mediante l'uomo ed è per l'uomo. Se tale attività si distacca da questa fondamentale relazione e finalità, se diventa, in certo modo, fine a se stessa, essa perde gran parte della sua ragion d'essere. Ancor piú,può diventare perfino sorgente di una specifica alienazione; può diventare estranea all'uomo; può cadere in contraddizione con l'umanità stessa. In realtà, ragion d'essere di ogni politica è il servizio all'uomo, è l'adesione, piena di sollecitudine e responsabilità, ai problemi ed ai compiti essenziali della sua esistenza terrena, nella sua dimensione e portata sociale, dalla quale contemporaneamente dipende anche il bene di ciascuna persona.

1728

7. Mi scuso di parlare di questioni che a voi, illustrissimi signore e signori, sono certamente evidenti. Ma non sembra inutile parlarne, perché ciò che insidia piú spesso le attività umane è l'eventualità che, nel compierle, si possano perdere di vista le verità piú lampanti, i principi piú elementari.

1729

Mi sia permesso di augurare che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per il suo carattere universale, non cessi mai di essere quel forum, quell'alta tribuna, dalla quale si valutano, nella verità e nella giustizia, tutti i problemi dell'uomo. In nome di questa ispirazione, per questo impulso storico fu firmata il 26 giugno 1945, verso la fine della terribile seconda guerra mondiale, la Carta delle Nazioni Unite e prese vita, il 24 ottobre successivo, la vostra organizzazione. Poco dopo venne il fondamentale suo documento che fu la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo (10 dicembre 1948), dell'uomo come individuo concreto e dell'uomo nel suo valore universale. Questo documento è una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano. Bisogna misurare il progresso dell'umanità non solo col progresso della scienza e della tecnica, dal quale risalta tutta la singolarità dell'uomo nei confronti della natura, ma contemporaneamente e ancor piú col primato dei valori spirituali e col progresso della vita morale. Proprio in questo campo si manifesta il pieno dominio della ragione attraverso la verità nei comportamenti della persona e della società, ed anche il dominio sulla natura, e trionfa silenziosamente la coscienza umana, secondo l'antico detto: "Il genere umano vive di tecnica e di ragione".

1730

Proprio quando la tecnica, nell'unilaterale suo progresso, veniva diretta a scopi bellici, di egemonie e di conquiste, perché l'uomo uccidesse l'uomo e una nazione distruggesse l'altra privandola della libertà o del diritto di esistere - e ho sempre davanti alla mia mente l'immagine della seconda guerra mondiale, iniziata quarant'anni or sono, il 1 settembre 1939, con l'invasione della Polonia, e finita il 9 maggio 1945 - proprio allora è sorta l'Organizzazione delle Nazioni Unite. E tre anni dopo nacque il documento, che - come ho detto - è da considerare una vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell'umanità; la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. Governi e stati del mondo hanno capito che, se non vogliono aggredirsi e distruggersi reciprocamente, debbono unirsi. La via reale, la via fondamentale che conduce a questo, passa attraverso ciascun uomo, attraverso la definizione, il riconoscimento ed il rispetto degli inalienabili diritti delle persone e delle comunità dei popoli.

 

 

Nessuna ragione giustifica l'oppressione, la persecuzione, la tortura

1731

8. Oggi, a quarant'anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, vorrei richiamarmi all'insieme delle esperienze degli uomini e delle nazioni, vissute da una generazione in buona parte ancora in vita. Non molto tempo fa, ho avuto modo di ritornare a riflettere su alcune di quelle esperienze in uno dei luoghi piú dolorosi e piú traboccanti di disprezzo per l'uomo e per i suoi fondamentali diritti: il campo di sterminio di Oswiecim (Auschwitz), che ho visitato durante il mio pellegrinaggio in Polonia, nel giugno scorso. Questo luogo tristemente conosciuto, è, purtroppo, soltanto uno dei tanti sparsi sul continente europeo. Anche il ricordo di uno solo dovrebbe costituire un segnale di avvertimento sulle strade dell'umanità contemporanea per far sparire una volta per sempre ogni genere di campi di concentramento in ogni luogo della terra. E dovrebbe sparire per sempre, dalla vita delle nazioni e degli stati, tutto ciò che - sotto forme anche diverse, cioè di ogni genere di tortura e di oppressione, sia fisica sia morale, esercitata con qualsiasi sistema, in qualunque terra - è la loro continuazione, fenomeno ancor piú doloroso che si effettua col pretesto di "sicurezza" interna e di necessità di conservare una pace apparente.

1732

9. Gli illustri presenti mi perdoneranno tale ricordo: ma sarei infedele alla storia del nostro secolo, non sarei onesto di fronte alla grande causa dell'uomo che tutti desideriamo servire, se - provenendo da quel paese, sul cui vivo corpo è stato costruito un tempo Oswiecim - io tacessi. Lo ricordo tuttavia, illustrissimi e cari signore e signori, soprattutto al fine di dimostrare da quali dolorose esperienze e sofferenze di milioni di persone è sorta la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, che è stata posta come ispirazione di base, come pietra angolare dell'organizzazione delle Nazioni Unite. questa dichiarazione è costata milioni di nostri fratelli e sorelle che l'hanno pagata con la propria sofferenza e sacrificio, provocati dall'abbrutimento che aveva reso sorde e ottuse le coscienze umane dei loro oppressori e degli artefici di un vero genocidio. Questo prezzo non può essere stato pagato invano! La Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo - con tutto il corredo di numerose dichiarazioni e convenzioni su aspetti importantissimi dei diritti umani, a favore dell'infanzia, della donna, dell'uguaglianza tra le razze, e particolarmente i due patti internazionali sui diritti economici, sociali e culturali, e sui diritti civili e politici - deve rimanere nell'organizzazione delle Nazioni Unite il valore di base con cui la coscienza dei suoi membri si confronti e da cui attinga la sua ispirazione costante. Se le verità e i principi contenuti in questo documento venissero dimenticati, trascurati, perdendo la genuina evidenza di cui rifulgevano al momento della nascita dolorosa, allora la nobile finalità dell'organizzazione delle Nazioni Unite potrebbe trovarsi di fronte alla minaccia di una nuova rovina. Ciò avverrebbe se sulla semplice e insieme forte eloquenza della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo prendesse decisamente il sopravvento un interesse, che si definisce ingiustamente "politico", ma che significa spesso soltanto guadagno e profitto unilaterale a danno di altri, oppure volontà di potenza che non tiene conto delle esigenze altrui, tutto ciò quindi che, per sua natura, è contrario allo spirito della dichiarazione. "L'interesse politico" cosí inteso, perdonatemi, signori, porta disonore alla nobile difficile missione che è propria del vostro servizi il bene delle vostre nazioni e di tutta l'umanità. il grido di Paolo VI e la minaccia degli armamenti.

 

 

Il grido di Paolo VI e la minaccia degli armamenti

1733

10. Quattordici anni fa, parlava da questa tribuna il mio grande predecessore papa Paolo VI. Egli ha allora pronunziato alcune parole memorabili che desidero oggi ripetere: "Non piú la guerra, non piú! Mai piú gli uni contro gli altri", e neppure "l'uno sopra l'altro", ma sempre, in ogni occasione, "gli uni con gli altri".

1734

Paolo VI è stato un instancabile servo della causa della pace. Anch'io desidero seguirlo con tutte le mie forze e continuare tale suo servizio. La Chiesa Cattolica, in tutti i luoghi della terra, proclama un messaggio di pace, prega per la pace, educa l'uomo alla pace. Questa finalità è condivisa, e per essa si impegnano anche rappresentanti e seguaci di altre chiese e comunità, e di altre religioni del mondo. E questo lavoro, unito agli sforzi di tutti gli uomini di buona volontà, porta certamente frutti. Tuttavia sempre ci turbano i conflitti bellici che ogni tanto scoppiano. Quanto ringraziamo il Signore quando ci riesce, con intervento diretto, di scongiurarne qualcuno, come per esempio la tensione che minacciava l'anno scorso l'Argentina e il Cile.

1735

Quanto auspico che anche nelle crisi del Medio Oriente ci si possa avvicinare ad una soluzione. Mentre sono pronto ad apprezzare ogni passo o tentativo concreto che si fa per la composizione del conflitto, ricordo che esso non avrebbe valore se non rappresentasse davvero la "prima pietra" di una pace generale e globale nella regione. Una pace che, non potendo non fondarsi sull'equo riconoscimento dei diritti di tutti, non può non includere la considerazione e la giusta soluzione del problema palestinese. Con esso è connesso anche quello della tranquillità, della indipendenza e dell'integrità territoriale del Libano nella formula che ne ha fatto esempio di pacifica e mutuamente fruttuosa coesistenza di comunità distinte e che auspico sia mantenuta nel comune interesse, pur con gli adeguamenti richiesti dagli sviluppi della situazione.

Auspico inoltre uno statuto speciale che, sotto garanzie internazionali - come ebbe ad indicare il mio predecessore Paolo VI - assicuri il rispetto della particolare natura di Gerusalemme, patrimonio sacro alla venerazione di milioni di credenti delle tre grandi religioni monoteistiche, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam.

1736

Non meno ci turbano le informazioni sullo sviluppo degli armamenti, che oltrepassano mezzi e dimensioni di lotta e distruzione mai finora conosciuti. Anche qui, incoraggiamo le decisioni e gli accordi che tendono a frenarne la corsa. Tuttavia la minaccia della distruzione, il rischio che emerge perfino dall'accettare certe "tranquillizzanti" informazioni, incombono gravemente sulla vita dell'umanità contemporanea. Anche il resistere a proposte concrete ed effettive di reale disarmo - come quelle che questa assemblea ha richiesto, lo scorso anno, in una sessione speciale - testimonia che - con la volontà di pace dichiarata da tutti e dai piú desiderata - coesiste, forse nascosto, forse ipotetico, ma reale, il suo contrario e la sua negazione. I continui preparativi alla guerra, di cui fa fede la produzione di armi sempre piú numerose, piú potenti e sofisticate in vari paesi, testimoniano che si vuole essere pronti alla guerra, ed essere pronti vuol dire essere in grado di provocarla, vuol dire anche correre il rischio che in qualche momento, in qualche parte, in qualche modo, qualcuno possa mettere in moto il terribile meccanismo di distruzione generale.

 

 

Le cause e la genesi della pace e della guerra

1737

11. È perciò necessario un continuo, anzi un ancor piú energico sforzo, che tenda a liquidare le stesse possibilità di provocazioni alla guerra, per rendere impossibili i cataclismi, agendo sugli atteggiamenti, sulle convinzioni, sulle stesse intenzioni e aspirazioni dei governi e dei popoli. Questo compito, sempre presente all'Organizzazione delle Nazioni Unite e alle sue singole istituzioni, non può non essere di ogni società, di ogni regime, di ogni governo. A questo compito serve certamente ogni iniziativa che abbia come fine la cooperazione internazionale nel promuovere lo "sviluppo". Come disse Paolo VI a conclusione della sua enciclica Populorum progressio: "Se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non vorrebbe cooperarvi con tutte le sue forze?". Tuttavia a questo compito deve servire anche una costante riflessione e attività che tenda a scoprire le radici stesse dell'odio, della distruzione, del disprezzo di tutto ciò che fa nascere la tentazione della guerra non tanto nel cuore delle nazioni quanto nella determinazione interiore dei sistemi che sono responsabili della storia di tutte le società intere. In questo lavoro titanico - vero lavoro di costruzione del futuro pacifico del nostro pianeta - l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha indubbiamente un compito chiave e direttivo, per il quale non può non riportarsi ai giusti ideali contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Questa dichiarazione ha infatti realmente colpito le molteplici e profonde radici della guerra, perché lo spirito di guerra, nel suo primitivo e fondamentale significato, spunta e matura là dove gli inalienabili diritti dell'uomo vengono violati.

1738

Questa è una nuova visuale, profondamente attuale, piú profonda e piú radicale, della causa della pace. È una visuale che vede la genesi della guerra e, in certo senso, la sua sostanza nelle forme piú complesse che promanano dall'ingiustizia, considerata sotto tutti i suoi vari aspetti, la quale prima attenta ai diritti dell'uomo e per questo recide l'organicità dell'ordine sociale, ripercuotendosi in seguito su tutto il sistema dei rapporti internazionali. L'enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris sintetizza, nel pensiero della chiesa, il giudizio piú vicino ai fondamentali ideali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Bisogna conseguentemente basarsi su di esso e attenervisi, con perseveranza e lealtà, per stabilire cioè la vera "pace sulla terra".

 

 

La dignità della persona umana è il fondamento della giustizia e della pace

1739

12. Applicando questo criterio dobbiamo diligentemente esaminare quali tensioni principali legate ai diritti inalienabili dell'uomo possano far vacillare la costruzione di questa pace, che tutti desideriamo ardentemente, e che è anche il fine essenziale degli sforzi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Non è facile, ma è indispensabile. Nell'intraprenderla ognuno deve situarsi in una posizione del tutto oggettiva, essere guidato dalla sincerità, dalla disponibilità nel riconoscere i propri pregiudizi od errori, e perfino dalla disponibilità nel rinunciare a particolari interessi anche politici. La pace è, infatti, un bene piú grande e piú importante di ciascuno di essi. Sacrificando questi interessi alla causa della pace, li serviamo in modo piú giusto. Nell'interesse politico "di chi può mai essere una nuova guerra?".

1740

Ogni analisi deve necessariamente partire dalle stesse premesse: che cioè ogni essere umano possiede una dignità la quale, benché la persona esista sempre in un contesto sociale e storico concreto, non potrà mai essere sminuita, ferita o distrutta, ma al contrario dovrà essere rispettata e protetta, se si vuole realmente costruire la pace.

 

 

I diritti fondamentali della persona e il primato dei valori spirituali

1741

13. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e gli strumenti giuridici sia a livello internazionale che nazionale, secondo un movimento che non ci si può augurare se non progressivo e continuo, cercano di creare una coscienza generale della dignità dell'uomo, e di definire almeno alcuni dei diritti inalienabili dell'uomo. Mi sia permesso di enumerarne qualcuno tra i piú importanti e universalmente riconosciuti: il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; il diritto all'alimentazione, all'abbigliamento, all'alloggio, alla salute, al riposo e agli svaghi; il diritto alla libertà di espressione, all'educazione e alla cultura; il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e il diritto a manifestare la propria religione, individualmente o in comune, tanto in privato che in pubblico; il diritto di scegliere il proprio stato di vita, di fondare una famiglia e di godere di tutte le condizioni necessarie alla vita familiare; il diritto alla proprietà e al lavoro, a condizione eque di lavoro e ad un giusto salario; il diritto di riunione e di associazione; il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna; il diritto alla nazionalità e alla residenza; il diritto alla partecipazione politica e il diritto alla libera scelta del sistema politico del popolo al quale si appartiene. L'insieme dei diritti dell'uomo corrisponde alla sostanza della dignità dell'essere umano, inteso integralmente, e non ridotto a una sola dimensione; essi si riferiscono alla soddisfazione dei bisogni essenziali dell'uomo, all'esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con altre persone; ma essi si riferiscono sempre e dovunque all'uomo, alla sua piena dimensione umana.

1742

14. L'uomo vive contemporaneamente nel mondo dei valori materiali e in quello dei valori spirituali. Per l'uomo concreto che vive e spera, i bisogni, le libertà e le relazioni con gli altri non corrispondono mai solamente all'una o all'altra sfera di valori, ma appartengono ad ambedue le sfere. È lecito considerare separatamente i beni materiali ed i beni spirituali, ma per meglio comprendere che nell'uomo concreto essi sono inseparabili, e per vedere altresí che ogni minaccia ai diritti umani, sia nell'ambito dei beni materiali che in quello dei beni spirituali, è ugualmente pericolosa per la pace, perché riguarda sempre l'uomo nella sua integrità. I miei illustri interlocutori mi consentano di richiamare una regola costante della storia dell'uomo, già implicitamente contenuta in tutto ciò che è stato ricordato a proposito dei diritti dell'uomo e dello sviluppo integrale. Questa regola è basata sulla relazione fra i valori spirituali e quelli materiali o economici. In tale relazione, il primato spetta ai valori spirituali, per riguardo alla natura stessa di questi valori come anche per motivi che riguardano il bene dell'uomo. Il primato dei valori dello spirito definisce il significato proprio ed il modo di servirsi dei beni terreni e materiali, e si trova per questo stesso fatto alla base della giusta pace. Tale primato dei valori spirituali, d'altra parte, influisce nel far sí che lo sviluppo materiale, tecnico e di civilizzazione serva a ciò che costituisce l'uomo, cioè renda possibile il pieno accesso alla verità, allo sviluppo morale, alla totale possibilità di godere i beni della cultura di cui siamo eredi, e a moltiplicare tali beni a mezzo della nostra creatività, Ecco, è facile costatare che i beni materiali hanno una capacità non certo illimitata di soddisfare i bisogni dell'uomo; in sé, non possono essere distribuiti facilmente e, nel rapporto tra chi li possiede e ne gode e chi ne è privo, provocano tensioni, dissidi, divisioni, che possono arrivare spesso alla lotta aperta. I beni spirituali possono essere invece in godimento contemporaneo di molti, senza limiti e senza diminuzione del bene stesso. Anzi, piú grande è il numero degli uomini che partecipa ad un bene, piú se ne gode e ad esso si attinge, piú quel bene dimostra il suo indistruttibile e immortale valore. È una realtà confermata ad esempio dalle opere della creatività, cioè del pensiero, della poesia, della musica, delle arti figurative, frutti dello spirito dell'uomo.

1743

15. Un'analisi critica della nostra civiltà contemporanea mette in luce che essa, soprattutto durante l'ultimo secolo, ha contribuito, come mai prima, allo sviluppo dei beni materiali, ma ha anche generato, in teoria e ancor piú in pratica, una serie di atteggiamenti in cui, in misura piú o meno rivelante, è diminuita la sensibilità per la dimensione spirituale dell'esistenza umana, a causa di certe premesse per cui il senso della vita umana è stato rapportato in prevalenza ai molteplici condizionamenti materiali e economici, cioè alle esigenze della produzione, del mercato, del consumo, delle accumulazioni di ricchezze, o della burocratizzazione con cui si cercano di regolare i corrispondenti processi. E questo non è frutto anche dell'aver subordinato l'uomo ad una sola concezione e sfera di valori?

 

 

La subordinazione ai beni materiali crea lo "stato di necessità" per la guerra

1744

16. Quale legame ha questa nostra considerazione con la causa della pace e della guerra? Dato che, come abbiamo già detto in precedenza, i beni materiali, per la stessa loro natura, sono origine di condizionamenti e di divisioni, la lotta per conquistarli diventa inevitabile nella storia dell'uomo. Coltivando questa unilaterale subordinazione umana ai soli beni materiali non saremo capaci di superare tale stato di necessità. Potremo attenuarlo, scongiurarlo nel caso particolare, ma non riusciremo ad eliminarlo in modo sistematico e radicale, se non mettiamo in luce e in onore piú largamente, agli occhi di ogni uomo, alla prospettiva di tutte le società la seconda dimensione dei beni; la dimensione che non divide gli uomini, ma li fa comunicare tra loro, li associa e li unisce.

1745

Ritengo che il prologo famoso della Carta delle Nazioni Unite, in cui i popoli delle Nazioni Unite, "decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra", riaffermavano solennemente "la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, e delle nazioni grandi e piccole" intende dare evidenza a tale dimensione.

1746

Non si possono infatti combattere i germi della guerra in modo soltanto superficiale, "sintomatico". Bisogna farlo in modo radicale, risalendo alle cause. Se mi sono permesso di richiamare l'attenzione sulla dimensione dei beni spirituali, l'ho fatto per sollecitudine per la causa della pace, che si costruisce con l'unione degli uomini intorno a ciò che è al massimo, e piú profondamente, umano, che eleva gli esseri umani al di sopra del mondo che li circonda e decide della loro indistruttibile grandezza: indistruttibile nonostante la morte alla quale ciascuno di questa terra è soggetto. Vorrei aggiungere che la Chiesa Cattolica e, sento di poter dire, tutta la cristianità vedono proprio in questo campo il loro compito particolare. Il concilio Vaticano II aiutò a stabilire ciò che la fede cristiana ha in comune in questa aspirazione con le diverse religioni non cristiane. La Chiesa è quindi grata a tutti coloro che, nei confronti di tale sua missione, si comportano con rispetto e benvolere, e non la ostacolano o la rendono difficile. L'analisi della storia dell'uomo, in particolare nella sua epoca attuale, dimostra quanto rilevante è il dovere di svelare piú pienamente la portata di questi beni ai quali corrisponde la dimensione spirituale dell'esistenza umana. Dimostra quanto importante è questo compito per la costruzione della pace, e quanto grave sia ogni minaccia contro i diritti dell'uomo. La loro violazione, anche nella condizione "di pace", è una forma di guerra contro l'uomo. Sembra che esistano due principali minacce nel mondo contemporaneo, che riguardano l'una e l'altra i diritti dell'uomo nell'ambito dei rapporti internazionali e all'interno dei singoli stati o società.

 

 

La partecipazione di tutti allo sviluppo e alla produzione

1747

17. Il primo genere di minaccia sistematica contro i diritti dell'uomo è legato, in un senso globale, alla distribuzione dei beni materiali, spesso ingiusta sia nelle singole società che nell'intero globo. È noto che questi beni sono dati all'uomo non soltanto come ricchezze della natura, ma in maggior parte vengono da lui goduti come frutto della sua molteplice attività, dal piú semplice lavoro manuale e fisico, fino alle piú complicate forme della produzione industriale, e alle ricerche e studi di specializzazione altamente qualificati. Varie forme di disuguaglianza nel possesso dei beni materiali, e nel godimento di essi si spiegano spesso con diverse cause e circostanze di natura storica e culturale. Ma tali circostanze, se pur possono diminuire la responsabilità morale dei contemporanei, non impediscono che le situazioni di disuguaglianza siano contrassegnate dall'ingiustizia e dal danno sociale.

1748

Bisogna quindi prendere coscienza che le tensioni economiche esistenti nei singoli paesi, nelle relazioni tra gli stati e perfino tra interi continenti, portano insiti in se stesse elementi sostanziali che limitano o violano i diritti dell'uomo, per esempio lo sfruttamento del lavoro, e i molteplici abusi della dignità dell'uomo. Ne consegue che il criterio fondamentale secondo il quale si può stabilire un confronto tra i sistemi socio-economico-politici non è, e non può essere, il criterio di natura egemonico-imperialista, ma può, anzi deve essere quello di natura umanistica, cioè la misura in cui ognuno di essi sia veramente capace di ridurre, frenare ed eliminare al massimo le varie forme di sfruttamento dell'uomo, e di assicurare all'uomo, mediante il lavoro, non soltanto la giusta distribuzione dei beni materiali indispensabili, ma anche una partecipazione corrispondente alla sua dignità, all'intero processo di produzione e alla stessa vita sociale che, intorno a questo processo, si viene formando. Non dimentichiamo che l'uomo, benché dipenda per vivere dalle risorse del mondo materiale, non può esserne lo schiavo, ma il signore. Le parole del libro della Genesi: "Riempite la terra soggiogatela" (Gen 1,28) costituiscono in un certo senso una direttiva primaria ed essenziale nel campo dell'economia e della politica del lavoro.

1749

18. Certamente in questo campo l'umanità intera e le singole nazioni hanno compiuto, durante l'ultimo secolo, un notevole progresso. Ma non mancano mai in questo campo le minacce sistematiche e le violazioni dei diritti dell'uomo. Sussistono spesso come fattori di turbamento le terribili disparità fra gli uomini e i gruppi eccessivamente ricchi da una parte, e dall'altra la maggioranza numerica dei poveri o addirittura dei miserabili, privi di nutrimento, di possibilità di lavoro e di istruzione, condannati in gran numero alla fame e alle malattie. Ma una certa preoccupazione è talvolta suscitata anche da una radicale separazione del lavoro dalla proprietà, cioè dall'indifferenza dell'uomo nei confronti dell'impresa di produzione alla quale lo leghi soltanto un obbligo di lavoro, senza la convinzione di lavorare per un bene suo o per se stesso.

1750

È comunemente noto che l'abisso tra la minoranza degli eccessivamente ricchi e la moltitudine dei miseri è un sintomo ben grave nella vita di ogni società. Lo stesso bisogna ripetere, con insistenza ancora piú forte, a proposito dell'abisso che divide singoli paesi e regioni del globo terrestre. Può questa disparità grave, che contrappone aree di sazietà ad aree di fame e di depressioni, essere colmata in altro modo se non mediante una cooperazione coordinata di tutte le nazioni? A ciò è necessaria anzitutto una unione ispirata ad una autentica prospettiva di pace, Ma tutto dipenderà dal fatto se quei dislivelli e contrasti nell'ambito del "possesso" dei beni, saranno ridotti sistematicamente e con mezzi veramente efficaci; se spariranno dalla carta economica del nostro globo le zone della fame, della denutrizione, della miseria, del sottosviluppo, della malattia, dell'analfabetismo; e se la pacifica cooperazione non porrà condizioni di sfruttamento, di dipendenza economica o politica, che sarebbero soltanto una forma di neocolonialismo.

 

 

Le ingiustizie contro i diritti spirituali dell'uomo

1751

19. Vorrei, ora, richiamare l'attenzione sulla seconda specie di minaccia sistematica, di cui è oggetto, nel mondo contemporaneo, l'uomo nei suoi intangibili diritti, e che costituisce, non meno della prima, un pericolo alla causa della pace, ossia le diverse forme di ingiustizia nel campo dello spirito.

1752

Si può infatti ferire l'uomo nella sua interiore relazione alla verità, nella sua coscienza, nelle sue convinzioni piú personali, nella sua concezione del mondo, nella sua fede religiosa, cosí come nella sfera delle cosiddette libertà civili nelle quali è decisiva l'eguaglianza di diritti senza discriminazione a motivo di origine, razza, sesso, nazionalità, confessione, convinzioni politiche e simili. L'eguaglianza di diritti vuol dire l'esclusione delle diverse forme di privilegio degli uni e di discriminazione degli altri, siano individui nati in una stessa nazione, siano uomini di diversa storia, nazionalità, razza e pensiero. Lo sforzo della civilizzazione tende da secoli in una direzione, dare cioè alla vita delle singole società politiche una forma in cui possono essere pienamente garantiti i diritti obiettivi dello spirito, della coscienza umana, della creatività umana, inclusa la relazione dell'uomo con Dio. Eppure siamo sempre testimoni delle minacce e violazioni che in questo campo ritornano, spesso senza possibilità di ricorsi ad istanze superiori o di rimedi efficaci.

1753

Accanto alla accettazione di formule legali che garantiscono come principio le libertà dello spirito umano, per es. la libertà di pensiero, di espressione, la libertà religiosa, la libertà di coscienza, esiste spesso una strutturazione della vita sociale in cui l'esercizio di queste libertà condanna l'uomo, se non nel senso formale almeno di fatto, a divenire un cittadino di seconda o di terza categoria,a vedere compromesse le proprie possibilità di promozione sociale, di carriera professionale, o di accesso a certe responsabilità, e a perdere perfino la possibilità di educare liberamente i propri figli. È questione di massima importanza che, nella vita sociale interna ed in quella internazionale, tutti gli uomini in ogni nazione e paese, in ogni regime o sistema politico, possano godere una effettiva pienezza di diritti.

1754

Soltanto una tale effettiva pienezza di diritti garantita ad ogni uomo senza discriminazioni, può assicurare la pace alle stesse sue radici.

1755

20. Per quanto riguarda la libertà religiosa, che a me, come papa, non può non stare particolarmente a cuore, anche in relazione proprio alla salvaguardia della pace, vorrei riportare qui, come contributo ideale al rispetto della dimensione spirituale dell'uomo, alcuni principi contenuti nella dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II: "A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze" (DH 2).

"Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: i quali atti da un'autorità meramente umana non possono essere ne comandati, né proibiti. Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa, professi la propria religione in modo comunitario" (DH 3).

1756

Queste parole toccano la sostanza del problema. Dimostrano anche in che modo lo stesso confronto tra la concezione religiosa del mondo e quella agnostica o anche ateistica, che è uno dei "segni dei tempi" della nostra epoca, potrebbe conservare leali e rispettose dimensioni umane senza violare gli essenziali diritti della coscienza di nessun uomo o donna che vivono sulla terra.

1757

Lo stesso rispetto della dignità umana sembra richiedere che, quando sia discusso o stabilito, in vista di leggi nazionali o di convenzioni internazionali, il giusto tenore dell'esercizio della libertà religiosa, siano coinvolte anche le istituzioni, che per loro natura servono la vita religiosa. Trascurando tale partecipazione, si rischia di imporre delle norme o delle restrizioni in un campo tanto intimo della vita dell'uomo, che sono contrarie ai suoi veri bisogni religiosi.

1758

21. L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha proclamato l'anno 1979 l'anno del fanciullo. Desidero quindi, in presenza dei rappresentanti qui riuniti di tante nazioni del globo, esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle presenti patrie terrestri. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire diversamente se non tramite l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri, delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono, insieme con quello di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino, ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito, negli anni dell'infanzia e della giovinezza è la prima e fondamentale verifica della relazione dell'uomo all'uomo.

1759

E perciò, che cosa di piú si potrebbe augurare a ogni nazione e a tutta l'umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore futuro in cui il rispetto dei diritti dell'uomo diventi una piena realtà nelle dimensioni del duemila che s'avvicina?

 

 

L'eredità che prepariamo agli uomini di domani

1760

22. Ma in tale prospettiva dobbiamo chiederci se continuerà ad accumularsi sul capo di questa nuova generazione di bambini la minaccia del comune sterminio i cui mezzi si trovano nelle mani degli stati contemporanei, e particolarmente delle maggiori potenze della terra. Dovranno forse ereditare da noi, come un patrimonio indispensabile, la corsa agli armamenti? Con che cosa possiamo spiegare questa corsa sfrenata?

1761

Gli antichi solevano dire: "Se vuoi la pace prepara la guerra". Ma la nostra epoca può credere ancora che la vertiginosa spirale degli armamenti serva alla pace nel mondo? Adducendo la minaccia di un nemico potenziale si pensa invece a riservarsi a propria volta un mezzo di minaccia per ottenere, con l'aiuto del proprio arsenale di distruzione, il sopravvento? Anche qui è la dimensione umana della pace che tende a svanire in favore di eventuali, sempre nuovi, imperialismi.

1762

Bisogna dunque augurare qui, in modo solenne, ai nostri bambini, ai bambini di tutte le nazioni della terra che non si arrivi mai a tale punto. E per ciò non cesso di supplicare ogni giorno Iddio che ci preservi, con la sua misericordia, da un simile giorno terribile.

 

 

Augurio finale

1763

23. Alla fine di questo discorso, desidero esprimere ancora una volta davanti a tutti gli alti rappresentanti degli stati qui presenti un pensiero di stima e di profondo amore per tutti i popoli, per tutte le nazioni della terra, per tutte le comunità di uomini. Ognuna di esse ha la propria storia e cultura: auguro che possano vivere e svilupparsi nella libertà e nella verità della propria storia. Poiché tale è la misura del bene comune di ognuna di esse. Auguro che ciascuno possa vivere e fortificarsi con la forza morale di questa comunità, che forma i suoi membri come cittadini. Auguro che le autorità statali, rispettando i giusti diritti di ciascun cittadino, possano godere, per il bene comune, la fiducia di tutti. Auguro che tutte le nazioni, anche le piú piccole, anche quelle che non ancora godono della piena sovranità e quelle alle quali è stata forzatamente tolta, possano ritrovarsi in piena uguaglianza con le altre nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Auguro che l'Organizzazione delle Nazioni Unite rimanga sempre il supremo foro della pace e della giustizia: autentica sede della libertà dei popoli e degli uomini nella loro aspirazione a un futuro migliore.

2 ottobre 1979

 

 

 

 

 

Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1977-1979), VI, nn. 1722-1763.

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 S. S. Benedetto XVI

 

Incontro con i membri

dell'Assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

New York - 18 aprile 2008

 

 

 

 

Signor Presidente

Signore e Signori,

Nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a Lei, Signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario Generale, il Signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell’Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli Ambasciatori e i Diplomatici degli Stati Membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l’ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un “centro per l’armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni”, la pace e lo sviluppo (cfr. Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4). Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l’Organizzazione dovrebbe essere “centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per cosí dire, una ‘famiglia di nazioni’” (Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14).

Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione - il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza - esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad “un grado superiore di orientamento internazionale” (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancor piú necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.

Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni piú deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione. Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.

Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre piú caratteristica dell’attività dell’Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca piú profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai piú flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.

Il principio della “responsabilità di proteggere” era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare “un terreno comune”, minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.

Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre piú presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtú della comune origine della persona, la quale rimane il punto piú alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.

La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia piú efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti. Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, cosí da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come “comune concezione da perseguire” (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.

L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te che tale massima “non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo” (De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.

Signore e Signori, mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor piú essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtú indispensabile e fruttuosa.

Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari. È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le propri esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.

Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei piú poveri e dei piú marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto - per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone - privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona.

La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l’Organizzazione possa servire sempre piú come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa Cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando cosí il proprio carattere specifico quale soggetto nell’ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre cosí il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento.

Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza “in umanità”, sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.

Nella mia recente Enciclica Spe salvi, ho sottolineato “che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione” (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesú Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l’odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.

Prima di congedarmi da questa illustre Assemblea, vorrei rivolgere il mio augurio, nelle lingue ufficiali, a tutte le Nazioni che vi sono rappresentate:

Peace and Prosperity with God’s help!

Paix et prospérité, avec l’aide de Dieu!

Paz y prosperidad con la ayuda de Dios!

 Saluti conclusivi

Grazie molte!

 

 

 

 

 

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.