Stralci della meditazione

"Gesú di Nazareth, la fortuna di appartenergli"

 

Giubileo diocesano dei catechisti

Domenica 29 ottobre 2000 - Cattedrale di San Pietro

 

 

 

Grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è "cristiano"; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali.

C'è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci - disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito - alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe "politicamente corretto", nella generale confusione delle idee e dei comportamenti.

 

Conoscere il senso di ciò che si fa

È già una fortuna non piccola e non occasionale - che ci viene dalla nostra professione di fede - quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente piú buono di quello dei non credenti: è semplicemente piú ragionevole. Un altro esempio: tutti di questi tempi siamo eccitati e in tripudio per il suggestivo traguardo del Duemila che ci è stato dato di raggiungere: ma l'emozione e la festa dei credenti sono meglio motivate. Noi non siamo emozionati e in festa soltanto per la rotondità della cifra con tanti begli zeri; siamo presi e allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario dall'ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana (...). Come si vede, tutta l'umanità festeggia il Duemila; ma la nostra festa è innegabilmente piú consistente e piú razionalmente fondata.

 

Credenti e creduloni

Coloro che si affidano a Cristo - che è "Luce da Luce", cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio - sono inoltre abbastanza difesi dalla tentazione di affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche questa è una fortuna non da poco. È stato giustamente notato come il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non creda piú a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all'esistenza degli extraterrestri, alla new age, alla metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a tutto, appunto. Perciò la distinzione piú adeguata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni.

 

La conoscenza del Padre

Chi è "di Cristo" riceve in dotazione anche la certezza dell'esistenza di Dio. Ma non di un Dio filosofico, che all'uomo in quanto uomo non interessa granché; non di un Dio che viene chiamato in causa solo per dare un inizio e un impulso alla macchina dell'universo, e poi lo si può frettolosamente congedare perché non interferisca e non disturbi; non di un Dio che, dopo il misfatto della creazione, parrebbe essersi reso latitante (...). Il nostro Dio è "il Padre del Signore nostro Gesú Cristo", come amava ripetere san Paolo. E lo si incontra, incontrando Gesú di Nazaret e il suo Vangelo: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio - lo ha detto lui esplicitamente - e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).

 

La sfortuna dell'ateo

Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo - che sia veramente tale - non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene (...). Un ateo, se non vuol clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni coerenza, è privato perfino della soddisfazione di bestemmiare. E questo è il colmo della sfortuna (...).

 

Chi è l'uomo

Facendoci conoscere il Padre, Gesú ci porta anche alla miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro penare sulla terra, quale ultima sorte ci attenda (...). Cosí veniamo a sapere - e nessuna notizia è per noi piú interessante e risolutiva di questa - che siamo stati chiamati ad esistere non da una casualità anonima e cieca, ma da un progetto sapiente e benevolo. Veniamo a sapere che l'uomo non è un viandante smarrito che ignora donde venga e dove vada né perché mai si sia posto in viaggio, ma un pellegrino motivato, in cammino verso il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso una vita senza fine. Il dilemma tra l'essere increduli e l'essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati entro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d'amore. L'alternativa, a ben considerare, sta fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvio alla disperazione e una vocazione alla speranza (...). Questa è dunque la grande fortuna di coloro che sono "di Cristo": dal momento che "conoscono le cose come stanno", non sono costretti ad appendere ai punti interrogativi la loro unica vita.

 

"Dove c'è la fede, lí c'è la libertà"

Un'altra grande fortuna di coloro che sono "di Cristo" è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo riguardo una precisa promessa: "Se rimarrete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,31-32) (...). Sant'Ambrogio enuncia icasticamente questo caposaldo dell'antropologia cristiana, scrivendo in una sua lettera: "Dove c'è la fede, lí c'è la libertà" (Ep. 65,5: "ubi fides ibi libertas").

 

"Tu solo il Signore"

Quando nella messa proclamiamo gioiosamente: "Tu solo il Signore, Gesú Cristo!", noi notifichiamo a tutti quale sia la fonte della nostra libertà: prima della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (ONU 1948), prima della Costituzione della Repubblica italiana, la fonte della nostra libertà è la signoria del Risorto. La nostra vera e sostanziale liberazione non ci è stata procurata da altri: è una proprietà che ci viene, prima che da qualsivoglia autorità umana, dal nostro battesimo. "Tu solo": noi non abbiamo e non vogliamo nessuno che spadroneggi su di noi, né in campo politico né in campo culturale. Quasi a ogni tornante della storia compaiono uomini che sciaguratamente mirano a farsi padroni di uomini, magari perfino invadendo e condizionando il loro mondo interiore. "Coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e in piú vogliono farsi chiamare benefattori" (cf. Mc 10,42 e Lc 21,25), ha detto ironicamente Gesú. Ebbene, il semplice fedele - anche quando non fosse un eroe, anche quando nella sua debolezza fosse costretto a piegarsi alla prepotenza - resterà sempre un "liberto di Cristo", cioè un uomo che è stato riscattato dal Figlio di Dio e che nessuno può ricondurre in servitú. E di fronte a un dittatore che pretenda per sé un culto divino e le doti divine dell'onnipotenza e dell'onniscienza, interiormente gli scapperà sempre da ridere. Per questo tutte le tirannie hanno d'istinto in antipatia i veri credenti; e poco o tanto arrivano sempre a perseguitarli: intuiscono che sono i soli che non diventano mai sudditi anche nell'anima (...).

 

Dio vuole salvare tutti

Cristo ci ha svelato - e il credente non se ne dimentica - come sia risoluta la bontà del Padre nel ricercare la nostra salvezza, quando ha narrato tre parabole che è bello leggere, per cosí dire, in una successione numericamente incalzante. Dio non si accontenta di avere presso di sé uno su due figli (cioè il cinquanta per cento); non si accontenta del novanta per cento (come nella parabola delle dieci monete); non si accontenta neppure del novantanove per cento (ci insegna il racconto della pecora che si perde): il suo appassionato e operoso desiderio è di liberare proprio tutti dalla tristezza di essersi allontanati da lui. Nella prima lettera a Timoteo è enunciato esplicitamente il principio della volontà salvifica universale: "Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità (...). Il cristiano ha qui una sorgente inesauribile di serenità e di pace interiore: per quanto la sua coscienza sia gravata da colpe, se spunta in lui anche un breve atto di adesione alla giustizia e all'iniziativa riscattatrice del Signore, l'amicizia tra la creatura sviata e il suo Creatore immediatamente si ristabilisce (...).

 

L'appartenenza ecclesiale

Molte sarebbero le fortune dei credenti che si potrebbero ancora elencare. Ma ce n'è una che sotto qualche aspetto è riassuntiva di tutte le altre; ed è la fortuna di appartenere alla santa Chiesa Cattolica, che è la "comunione dei santi", la figura e l'anticipazione della "vita del mondo che verrà" (...). La Chiesa è la grande eredità del Signore Gesú, frutto del suo sacrificio, risultato della sua perenne Pentecoste. Niente è teologicamente piú assurdo che separare la Chiesa da Cristo: una divaricazione ideologica come questa snaturerebbe sostanzialmente la Chiesa e alla fine ci porterebbe a una conoscenza alterata anche del Figlio di Dio, che è intrinsecamente il "Capo" e il "Salvatore" del "corpo" ecclesiale, come dice san Paolo (cf. Ef 5,23).

 

"La mia Chiesa"

"Edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18), dice Gesú nel celebre episodio di Cesarea di Filippo. La Chiesa è di Cristo, non è di nessun altro; e niente può strapparla dalle sue mani. Niente: né le potenze mondane, né le indegnità di uomini, né la nequizia di epoche storiche. "La mia Chiesa": non c'è in tutto il Libro di Dio parola piú semplice ed eloquente di questa; parola che piú di questa dischiuda davanti a noi il prodigio della "ecclesialità". La Chiesa è sua: è nata dalla sua sapienza, dal suo cuore, dalla sua immolazione. Dell'esistenza della Chiesa e della sua permanenza entro la vicenda umana, il responsabile è lui. Appunto per questo, tra le casupole effimere delle costruzioni umane (sociali, politiche, culturali che siano) la "casa di Dio" (cf. 1Tm 3,15) è l'edificio piú saldo e piú prezioso per l'uomo che sia mai stato eretto. Ed è un po' comico che si faccia carico proprio a questa istituzione di tutti i guai della storia, solo perché tutti gli altri fenomeni storici (sociali, politici, culturali che siano) nel frattempo si sono esauriti e dissolti.

 

Che cos'è la Chiesa?

Che cos'è la Chiesa nella sua realtà piú autentica e sostanziale? È l'umanità in quanto è raggiunta e trasformata dall'azione redentrice di Cristo, e in quanto è connessa e assimilata al Signore crocifisso e risorto (...). Essendo essenzialmente opera dello Spirito, la Chiesa sfugge alla conoscibilità di chi dallo Spirito non è stato ancora illuminato. "L'uomo lasciato alle sole sue forze - è la lezione di Paolo, che noi troppo spesso dimentichiamo - non comprende le cose dello Spirito: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare solo per mezzo dello Spirito" (cf. 1 Cor 2,14). Sembrerebbe dunque di capire che secondo san Paolo non metta troppo conto di ascoltare il parere sulla Chiesa di chi magari ritiene che Dio non esista o che Gesú Cristo non è Risorto o che lo Spirito Santo sia una pura metafora.

 

I confini passano attraverso i cuori

Noi apparteniamo alla Chiesa in quanto apparteniamo a Cristo, e a misura che siamo congiunti e conformati a lui; invece cadiamo in peccato o in errore a misura che siamo estranei a Cristo, e quindi estranei anche alla Chiesa.

 

Il peccato come offesa alla Chiesa

In questa prospettiva diventa chiaro che ogni nostra colpa - piccola o grande che sia - non è solo infedeltà all'amore che ci lega al Padre, spregio dell'opera redentrice di Cristo, resistenza all'azione santificante dello Spirito Santo; è altresí oltraggio e sofferenza inflitti alla Chiesa. Ogni incoerenza al nostro battesimo è sempre anche ingratitudine verso colei che nel battesimo ci ha generati, è attentato alla sua bellezza di sposa del Signore; bellezza che agli occhi umani viene offuscata da ogni nostro atto riprovevole. In ogni ora della storia il "mondo" offende la Sposa di Cristo con i giudizi malevoli, i processi alle intenzioni, le calunnie, oltre che con i frequenti attentati alla libertà della sua missione e con le persecuzioni anche cruente. E non se ne scusa mai. Ma almeno noi, che ogni giorno pecchiamo poco o tanto contro di lei, abituiamoci a chiedere ogni giorno perdono a questa nostra Madre carissima per tutto ciò che ci avviene di pensare, di dire, di compiere con animo non integralmente "ecclesiale".

 

 

 

 

 

 

 

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