I problemi del disarmo, oggi, non provocano soltanto discussioni di principio e di strategia, ma portano in definitiva a gravi interrogativi cui la coscienza dei singoli responsabili deve, talora drammaticamente, rispondere.

Vi sono due punti di vista sulla difesa nazionale; secondo l’uno, la forza militare è una necessità per conservare ciò che si considera un bene e cioè la pace e la libertà, secondo l’altro, la forza militare è un terribile strumento di distruzione.

L’autore di questo articolo, Capo di Stato Maggiore della Marina americana, espone onestamente le tormentose e difficili scelte che un uomo di coscienza si trova a dover fare oggi, prestando servizio nelle Forze Armate. La posizione che egli assume è conseguente ad una stringente analisi della necessità della forza militare, che viene sentita e proposta come un problema morale.

Siamo grati al Dott. Vittorio Vaccari, Direttore della rivista «Operare», per averci consentito di riprodurre per i nostri lettori una testimonianza che riteniamo di grande valore come contenuto e come metodo.

 

 

 

Nel corso della storia umana, tutte le Chiese, di qualsiasi confessione, hanno detto e insegnato che la guerra e la partecipazione ad una guerra in determinate circostanze possono essere giustificate. Verificandosi tali circostanze - e la difesa contro un’aggressione esterna è certamente una di queste - una nazione può legittimamente impegnarsi in ciò che sia i filosofi sia i teologi sono arrivati a definire come una «guerra giusta». È stato anche accettato il fatto che, di fronte ad una chiara ed evidente minaccia di aggressione militare, una nazione ha il diritto e i suoi capi hanno il concomitante obbligo morale - di mantenere la sua forza militare ad un livello sufficiente e necessario per scoraggiare ed impedire la guerra. In tali circostanze, il disporre di una forza militare, sempre a condizione che questa non sia usata per scopi di aggressione, non costituisce di per sé un male, ma piuttosto un fatto positivo.

Penso non sia necessario insistere ulteriormente sulla filosofia della «guerra giusta», ma penso che possa essere utile, in un tempo in cui gli aspetti morali della guerra, la preparazione e la dissuasione sono preminenti nella politica nazionale, far conoscere ad altri cittadini qualcosa di ciò che un capo militare di fede cristiana considera il proprio modo di disporre a Dio e ai doveri verso il proprio paese e come, in quanto uomo morale, cerca di applicare nella propria vita quotidiana la dottrina di ciò che è giusto e conveniente.

Coloro che leggono queste parole sanno bene che, per quanto possa essere difficile lo studio dell’etica, è di gran lunga piú facile studiare l’etica che applicarla. Allo stesso modo è piú facile leggere qualche cosa che riguarda un microcircuito che costruirlo, cosí come è piú facile studiare ciò che concerne l’aviazione che non pilotare un aereo. E, ad un livello piú umano, è piú facile sognare una relazione amorosa che condurre avanti una vita matrimoniale. Tutti questi sforzi umani di varia natura hanno, se non altro, almeno due elementi in comune: tutti richiedono che noi, uomini e donne, abbiamo un insieme di principi utili e pratici per condurci e guidarci e che applichiamo questi principi al caso particolare che di volta in volta ci riguarda e ci tocca.

Ma è proprio questa componente dell’equazione globale, cioè l’applicazione dei principi, quella che tanto spesso rende difficili le decisioni.

Desidero comunicare con una dichiarazione di fondo che, secondo quanto io spero e sinceramente credo, vale e si applica a me in quanto Capo di Stato Maggiore della Marina americana e a tutti i miei colleghi, militari e civili, a cui è affidata la gestione quotidiana delle forze navali e militari del nostro Paese: «io sono un uomo morale». Mi trovo costantemente a fare delle scelte, in ogni giorno della mia vita; scelte tra il bene e il male. Talvolta debbo, nel costante assalto di decisioni che mi trovo a dover prendere, scegliere tra un «bene» e un altro «bene», o tra un «maggior bene» e un «minor bene» e forse anche tra due apparenti mali. Ma questo naturalmente fa parte del gioco della vita. Tutti noi facciamo questo ogni giorno; ciascuno che sia dotato dal Creatore di un’anima e di una coscienza - e questo si riferisce a tutti noi - è obbligato a fare queste scelte.

L’elemento che separa e distingue la persona morale dalle altre è rappresentato dal fatto che la persona morale fa queste scelte basandosi sulla sua coscienza.

Consideriamo questa affermazione piú in dettaglio. Per comprendere la moralità, dobbiamo riconoscere nei mondo l’esistenza sia del bene sia del male. Spesso, tuttavia, risulta difficile riconoscere e differenziare l’uno dall’altro. Faccio solo un esempio: anche a me è capitato di considerare il nuovo sottomarino della Marina americana, USS Ohio, equipaggiato con il missile balistico Trident, come un relativo «bene» nel difficile contesto del mondo di oggi fatto di superpotenze, in quanto esso dissuade dall’avventurismo ideologico e contribuisce a garantire, oltre quella religiosa, tutte le altre libertà di cui noi e i nostri alleati ora godiamo. Il capitano e l’equipaggio dell’USS Ohio sono uomini impegnati, leali, amanti della pace, e tutti loro sanno che la loro vera missione non è quella di muover guerra ma di impedire la guerra. Essi sanno anche che la loro missione può considerarsi compiuta se essi non debbono mai portare la loro nave in una battaglia e se, come risultato dei loro sforzi e degli sforzi collettivi di tutti gli altri giovani, uomini e donne, in servizio militare nel nostro paese, le future generazioni di americani non conosceranno mai, per esperienza diretta, il terrore e l’orrore della guerra.

Vi son altri - mi dispiace dirlo - che sinceramente e onestamente considerano il sottomarino USS Ohio come un «male»; lo vedono come uno strumento di distruzione, indipendentemente dalla sua funzione di dissuasione nella nostra strategia nazionale.

Questo è un esempio attuale e tormentoso della classica affermazione di David Berlo secondo cui «i significati sono nelle persone». La motivazione dei due punti di vista è la stessa. Dunque chi è nel giusto?

Fondamentalmente, a livello personale, entrambi i punti di vista sono «giusti», nel senso che possono essere moralmente accettabili. Ciò succede perché a livello personale i significati sono soggettivi: in quanto individui, «riconosciamo» i significati e, giusto о sbagliato che sia, confermiamo loro i nostri propri valori individuali, utili o inutili, per il meglio o per il peggio.

Per fortuna, vi è rimedio quando cominciamo, su un piano meno soggettivo, a uscire dalla sfera personale. Poiché sappiamo che le persone non sono sempre d’accordo su ciò che è bene e su ciò che è male, facciamo le leggi per governare il nostro comportamento individuale e collettivo.

Tuttavia, anche queste leggi e l’etica legale su cui si fondano sono purtroppo molto imperfette nella loro formulazione e soggette a una virtuale infinità di interpretazioni. Ad esempio, una persona può essere legalmente colpevole di aver infranto la legge, ma moralmente essa può, allo stesso tempo, essere sia colpevole che innocente. Guidare un’automobile in un centro abitato alla velocità di 65 o 70 Km/h è una chiara violazione della legge che stabilisce un limite di velocità di 50 Km/h su tutto il territorio nazionale. Io sono moralmente colpevole quando guido la mia auto ad alta velocità solo per il gusto del brivido, o quando ho il piede pesante sul pedale perché sono ubriaco. Ma posso essere moralmente innocente quando guido a quella velocità - prestando la massima attenzione e senza danneggiare altri - per raggiungere L’ospedale piú vicino perché un membro della mia famiglia, seduto accanto a me, è appena stato colto da un apparente attacco cardiaco.

 

Legalità e moralità

L’etica legale e l’etica morale, appare ovvio, non sono necessariamente sempre la stessa cosa. Infatti, esse sono spesso molto differenti, a seconda delle particolari circostanze dei casi specifici. Perciò, mentre siamo tutti tenuti ad obbedire alla legge, io, in quanto persona morale devo, per fare questo, essere ben radicato nei principi della morale.

Ma, si potrebbe ragionevolmente obiettare, non c’è un codice morale che sia chiaro nel suo significato e nella sua applicazione quanto l’insieme molto dettagliato di leggi civili e penali che governano la nostra società. Perciò, viene spontaneo domandarci da che parte rivolgerci per ottenere le risposte. La mia risposta è che noi facciamo scelte indicate dalla miglior guida, la guida della nostra fede e delle nostre credenze religiose. In quanto uomo morale, io devo costantemente chiedere а me stesso: che cosa credo circa il significato della vita? In quali valori credo? Cosa è piú importante per me nella vita? Che cosa ho imparato a scuola, a casa e in chiesa, e dai miei simili?

In definitiva, mi rendo pienamente conto che le scelte che faccio sono esclusivamente mie e devo arrivare da solo a qualsiasi decisione io prenda. Devo, in breve, vivere le conseguenze delle mie scelte senza esserne impaurito.

È a questo punto che io, come Capo di Stato Maggiore, come essere umano, ma soprattutto come uomo morale, mi metto umilmente davanti a Dio. Dopo aver fatto questo, cerco di fare del mio meglio nelle mie decisioni.

Finora abbiamo considerato in modo piú o meno astratto l’esempio quotidiano di una persona morale che opera come meglio può in un mondo che contiene il bene e il male. Consideriamo ora qualcosa piú strettamente legato all’ambiente mondiale di oggi che racchiude queste scelte di bene e di male.

È un ambiente in cui vivo, lavoro, e affronto la realtà di una minaccia che priverebbe sia noi che altri della pace e della libertà, oltre a privarci del nostro territorio. Papa Giovanni XXIII scriveva sempre a proposito dell’ambiente mondiale: «Dobbiamo ricordare che, per sua propria natura, l’autorità civile esiste... per proteggere, prima di ogni altra cosa, il bene comune di quella particolare società civile, che certamente non può essere separato dal bene comune dell’intera famiglia umana».

Non sarebbe realistico pensare che tutte le persone credono cosí come io credo, hanno gli stessi valori che io ho, e condividono la mia stessa fede.

Io sono cattolico ma non mi illudo che il mio credo, i miei valori, e la mia fede siano condivise universalmente. Esistono altri modi di guardare il mondo, altre realtà, altri modi di vita che si contrappongono al mio modo. Mi piacerebbe pensare che tutti noi - individualmente in quanto esseri umani e collettivamente in quanto nazioni - vogliamo coesistere in pacifica collaborazione, ma il mio desiderio di pensare questo non cambia e non cambierà le cose.

Agire in accordo con i miei personali desideri non sarebbe, in questo caso, realistico e neppure morale. Se io sono un tutore del bene comune, posizione che mi impone alcuni obblighi morali estremamente seri e importanti, devo affrontare la realtà cosí come la conosco.

Come si comporta la persona morale quando deve confrontarsi con una minaccia al bene comune, specialmente quando si trova a ricoprire un incarico di fiducia ed ha la responsabilità di preservare quel bene comune? La risposta, è che le scelte da fare, nella sua ottica, sono quelle che agiscono nell’interesse del bene comune. Secondo questa convinzione, noi abbiamo scelto, per il nostro paese, di scoraggiare e impedire la guerra. Abbiamo scelto la potenza militare piuttosto che la debolezza militare; abbiamo fatto questa scelta non per amore della forza militare in sé - che può essere sia buona che cattiva a seconda degli usi che se ne fanno - ma in funzione di prevenire e impedire la guerra, uno scopo che io spero e credo sia condiviso da tutte le persone morali e considerato come un fatto positivo.

La Chiesa in cui mi sono formato e nei cui comandamenti credo non ordina il pacifismo. Come altre persone morali di molte altre fedi, religioni e credenze personali - ma che condividono e approvano la stessa filosofia morale, lo stesso codice etico, le stesse convinzioni riguardo ciò che è «bene» e ciò che è «male» - io spero, prego, e lavoro per un mondo pacifico.

Ma - vale la pena ripeterlo - quel mondo non è il mondo in cui oggi viviamo. È per questa ragione che non possiamo, come esseri umani morali, chiedere all’agnello di giacere con il leone. E non possiamo utilizzare le nostre spade per costruire dei vomeri, quando altri stanno facendo esattamente il contrario.

Agire diversamente non servirebbe al bene comune, sarebbe rifiutare il buon senso e, nel mio specifico caso, abdicare alle mie responsabilità come capo civile. Papa Paolo VI, parlando alle Nazioni Unite nel 1965, riconosceva: «Finché l’uomo rimane quell’essere debole, incostante e persino malvagio che spesso dimostra di essere, gli armamenti difensivi saranno, purtroppo, necessari».

Si deve ammettere che, quando si considerano la minaccia e il bene comune, e la relazione che intercorre tra l’uno e l’altra, le decisioni non sono cosí facili. Vi sono cosí tanti problemi da considerare, e cosí tanti aspetti degli stessi problemi. È troppo semplice dire: «o questo o quello». Pochissime risposte possono essere cosí chiare. Questi problemi sorgono, generalmente, da quella vasta zona grigia che sta tra il «bianco» e il «nero». Di conseguenza anche le risposte vengono solitamente trovate in questa stessa area.

Desidererei che prendere queste decisioni fosse piú facile e che le risposte fossero piú chiare. Ma non è cosí. Per questo, ho radunato attorno a me le migliori menti disponibili. Insieme ci valiamo, o cerchiamo di valerci, delle migliori ricerche, delle migliori intelligenze, dei migliori piani possibili. E ci valiamo anche della preghiera.

 

La forza della preghiera

Alcune persone possono provare sorpresa nello scoprire che al Pentagono esiste un gruppo di preghiera composto di alti ufficiali. Da parte mia, non sono rimasto affatto sorpreso quando ne sono venuto a conoscenza, perché da molti anni lavoro con le persone che fanno parte di questo gruppo. Anche queste persone devono lottare contro la minaccia che incombe sul nostro paese e devono garantire risposte adeguate a far fronte a questa minaccia. I nostri connazionali qualsiasi sia il livello sociale a cui appartengono, dovrebbero sapere che assumiamo molto seriamente le nostre responsabilità in questo campo.

Il Concilio Vaticano II ha fatto questa osservazione: «Tutti quelli che entrano a far parte del servizio militare e giurano fedeltà al loro paese dovrebbero considerarsi i custodi della sicurezza e della libertà dei loro connazionali... Nella misura in cui compiono correttamente il loro dovere, essi contribuiscono al mantenimento della pace».

Questa dichiarazione del Concilio Vaticano II mi porta ad una ulteriore considerazione. La responsabilità del Capo di Stato Maggiore della Marina è talmente grande da incutere timore. Pochi altri devono affrontare responsabilità maggiori o piú difficili. Come uomo timorato di Dio, trovo questa responsabilità molto pesante ed essa costituisce un pensiero che non mi abbandona mai.

Penso anche al mezzo milione di bravi e attivi giovani, uomini e donne, che indossano la divisa della marina e prestano un servizio al loro paese. Penso alle loro famiglie e ai loro cari e alle altre numerose persone che sono coinvolte nella loro vita. Penso ai nostri «riservisti», persone che, per il bene, comune, disinteressatamente danno molta parte di sé e del loro tempo personale. Penso alla sicurezza delle nostre navi e dei nostri aerei, poiché la loro sicurezza è strettamente collegata a quella dei nostri marinai e aviatori. Penso al nostro arsenale di armamenti e penso a cosa sarebbe il mondo se non avessimo queste armi, armi per impedire la guerra e preservare la pace e la libertà di cui ora godiamo.

Queste armi, che potrebbero essere terribili e terrificanti se impiegate per fini distruttivi, esistono solo proprio ed in quanto esiste la minaccia. Questa è la realtà che io devo affrontare. È mia responsabilità affrontarla, in un mondo in cui il bene e il male coesistono, un mondo in cui le mie opzioni sono tutt’altro che semplici e facili. Posso non essere sempre contento o rassicurato circa le limitate opzioni che sono solitamente a mia disposizione, ma ho la responsabilità di scegliere tra queste opzioni e devo fare queste scelte come uomo morale.

Ciascuno di noi, in quanto essere umano, si trova a dover affrontare simili decisioni nella propria vita privata.. Questo di cui stiamo discutendo fa parte della vita. Dio ha dato a ciascuno di noi una intelligenza e ha affidato una particolare parte del suo mondo alla nostra cura. I problemi che tutti noi dobbiamo affrontare sono molto simili: quali riferimenti abbiamo per trovare le risposte ai problemi etici che ci stanno davanti? E, cosa altrettanto importante, che tipo di esempio saremmo in grado di dare quando altri, che ci stanno vicino, sono in cerca di una guida speciale che li aiuti a vagliare i loro personali problemi etici?

Io sostengo che abbiamo già in noi le risposte. Esse sono radicate nelle nostre credenze religiose e nelle nostre coscienze. Esse sono state temprate e affinate attraverso le molte crisi personali е nazionali che abbiamo affrontato, sia come individui sia come nazione. È proprio per questo che noi dobbiamo cercare in noi stessi le risposte. E dobbiamo pregare: per avere la capacità di comprendere e per fare bene ciò che «dobbiamo».

 

 

 

 

 

Cfr. WATKINS J. D., Io sono un uomo morale, in Bonus Miles Christi, 4 (1983), 289-294.