1. L'intelletto e la volontà sono potenze nobilissime, specialmente la volontà. Secondo il detto di Anselmo (Della Concezione verginale, c. 5) la volontà è il motore in tutto il regno dell'anima, e tutto obbedisce al suo comando. - Esperimentiamo questo in ogni potenza, che ciascuna opera piú energicamente, se la volontà vi trova la sua compiacenza.

2. Il comandare non appartiene che alla volontà. Nessuna forza sensitiva può comandare alla intelligenza e alla volontà e congiungerle nei loro atti; né l'intelligenza può comandare a se stessa o alla volontà. Solo la volontà può comandare a se stessa e all'intelletto. La volontà comanda a se stessa - Scrive Agostino nel I libro delle Ritrattazioni, c. 22: Niente è cosí in potere della volontà quanto la stessa volontà. Lo conferma Anselmo, il quale dice (Della Concezione verginale, c. 4): La volontà muove se stessa contro il giudizio delle altre potenze, che anzi muove le altre potenze secondo che crede; e Agostino nel libro XIX Della Città di Dio, c. 14 soggiunge che la volontà si serve di tutte le altre potenze.

3. La volontà comanda all'intelletto ed è causa efficiente equivoca della intellezione. Geneticamente è posteriore alla intellezione, e riguardo a questa ha ragione di fine, secondo l'insegnamento di Anselmo (Cur Deus Homo, c. 1) e di Agostino, il quale scrive nel libro XIX Della Città di Dio, c. 14: All'uomo è stata data un'anima razionale, perché con la mente contempli qualche cosa, e conosca alcun che di utile, e regoli la sua vita e i suoi costumi secondo questa conoscenza. Inoltre il Filosofo dice (IX Della Metafisica): «Ciò che è ultimo nella generazione, è primo nella perfezione».

Però né l'atto dell'intelletto è causa totale dell'atto della volontà, né la volontà è causa totale della intellezione, ma solo parziale. La volontà è causa parziale di un ordine superiore in quanto comanda all'intelletto, mentre l'intelletto, pur essendo causa parziale della volizione, essendo geneticamente anteriore alla volizione, è asservito alla volontà. Il che conclude probabilmente per il primato della volontà e non già dell'intelletto.

Che l'intellezione non sia la causa totale della volizione apparisce dal fatto che essa, essendo originata da una causa puramente naturale, non è libera; quindi, se fosse causa totale della volizione, la volontà non sarebbe libera. Il che non conviene che si dica. - L'intelletto vien mosso naturalmente, e quindi necessariamente, dall'oggetto; la volontà, in quella vece, si muove liberamente.

Non è in potestà dell'intelletto di dare o non dare il suo assenso alla verità. Quando la verità si manifesta chiara dai termini o dalle conclusioni, gli è giocoforza assentire. - Per che, come Dio senza un miracolo non può impedire che il fuoco bruci il combustibile che gli si avvicina, cosí sembra che la volontà non possa impedire, senza un miracolo, che l'intelletto intenda la verità allontanandolo da essa.

4. Si dirà che l'atto dell'intelletto è in se stesso un atto perfetto, proprio della natura intellettuale dell'uomo, ed è quindi da preferirsi all'atto della volontà, il quale in se stesso non è se non una semplice inclinazione verso il bene, come l'inclinazione del grave verso il centro. Ma io dico che è da preferirsi ciò che rende semplicemente buono chi lo possiede a quello che non è tale. Ora, secondo Agostino (Della Città di Dio, c. 28), non si chiama giustamente buono chi conosce il bene ma chi lo ama. Chi ama rettamente, conclude il Santo, ama lo stesso amore.

È falso che la volontà voglia necessariamente o sia inclinata necessariamente verso il bene: essa è libera in tutti i suoi atti, e non è necessitata da nessun oggetto, neppure dalla beatitudine, che è un bene senza difetti: conosciuta la beatitudine, può sospendere qualunque atto per conseguirla... Ciascuno può farne l'esperimento in se stesso. Se qualcuno gli presenta un bene e lo consideri come tale, può non accogliere l'offerta e sospendere qualunque atto della volontà. - La volontà è piú perfetta dell'intelligenza, perché la sua corruzione è peggiore della corruzione della intelligenza: desiderare male è peccato, ma non è davvero peccato conoscere il male... Similmente è piú grave male odiare o non amare Dio che non conoscere Dio né pensare a Lui.

Inoltre, la perfezione dell'atto è in ragione diretta del modo come unisce all'oggetto perfetto. Ora l'atto della volontà congiunge con l'oggetto in un modo piú perfetto che la intelligenza, giacché la volontà congiunge con l'oggetto com'è in sé, mentre l'intelligenza congiunge come l'oggetto è nel conoscente. Cosí l'atto della volontà congiunge con l'oggetto beatifico, Dio, com'è in sé, mentre l'intelletto lo congiunge com'è nel conoscente, secondo cioè la percezione del soggetto.

Infine, l'Apostolo nella I lettera ai Corinzi, c. 13, dice che, l'abito della carità è piú perfetto dell'abito della speranza e della fede. E S. Agostino, nel V libro Della Trinità, c. 19, dice: «Fra i doni di Dio nessun dono è piú grande della carità o eguale ad essa».

5. La volontà è quella potenza che, ordinata, ordina tutte le altre potenze, disordinata le disordina, anzi disordina tutta l'anima.

Onde il peccato non risiede formalmente e primieramente nel pensiero, nella parola o nell'opera; ma nel solo atto della volontà... E nessun atto può essere cattivo, anche solo materialmente, se non può essere comandato da un atto formalmente cattivo della volontà. - Giacché niente è imputabile come peccato che non proviene da una volontà deliberata.

Le virtú risiedono nella volontà come nel loro soggetto... La virtú è per sé il principio dell'atto lodevole, come scrive Aristotele nel II libro dell'Etica, e la lode non si deve se non a chi agisce liberamente.

6. La potenza motiva è in potere della volontà... cosí pure la potenza sensitiva e la potenza vegetativa in quanto dipendono dalla potenza motiva. La visione, scrive Agostino nell'XI libro Della Trinità, c. 8, è in potere della volontà, nel senso che il movimento delle palpebre, necessario alla visione, obbedisce all'anima. Il nostro istinto appetitivo, col quale comunichiamo coi bruti, è libero e razionale non per se stesso, ma per partecipazione della volontà alla quale è sottoposta.

 

 

 

 

 

Cfr. SCARAMUZZI D., Duns Scoto Summula, Firenze [1931?] (rist. Firenze 1990), 62-69.