Il Codice del 1983 ha fatto un passo avanti, un progresso. Non si è limitato, come il Codice del 1917, a trattare degli Istituti religiosi, degli Ordini e delle Congregazioni religiose; ha visto un insieme, quello degli Istituti di Vita Consacrata: Ordini, e Congregazioni, Istituti Secolari (cc. 607-730). Sfortunatamente le Società di Vita Apostolica non sono state ben identificate (cc. 731-746). In maggioranza sono Istituti di Vita Consacrata (1). Quelle che non lo sono, avrebbero potuto trovare una migliore collocazione come Associazioni di fedeli.

Il Codice Orientale ha fatto meglio: parla, infatti, di religiosi, monaci (cc. 554-562) e membri di Ordini e di Congregazioni religiose (cc. 433-553), di Società di Vita Comune (cc. 554-562), di Istituti Secolari (cc. 563-569) e, infine, in un solo canone (c. 572), delle Società di Vita Apostolica. Niente è perfetto! Per fare meglio bisognerà attendere una nuova codificazione. È vero che le Società di Vita Comune, come le Società di Vita Apostolica sono in crisi per mancanza di vocazioni. Le Congregazioni religiose si trovano davanti alle stesse difficoltà; molte si sono federate o unite, vista la diminuzione delle vocazioni. Questi raggruppamenti non attirano piú vocazioni delle Congregazioni cosí riunite. Esse spariranno piú in fretta di quanto non si pensi...

 

Le vocazioni individuali

Una novità del Codice del 1983 consiste in un fatto di notevole interesse; si parla di vocazioni o forme di vita consacrata individuale. Non sono raggruppate. Non vivono un carisma comune. Sono numerose: eremiti e vergini consacrate, alle quali si aggiungono le vedove consacrate e piú recentemente i vedovi consacrati: si può parlare di una «vedovanza consacrata» (2). Se eremiti e vergini consacrate sono numerosi, bisogna vedere in questo un desiderio di autenticità che non assicurano piú le numerose Congregazioni religiose, troppo secolarizzate per testimoniare la loro vita specifica.

Questa secolarizzazione esagerata oltrepassa l'attitudine spesso piú riservata degli Istituti Secolari che vivono pienamente nel mondo, senza alcuna vita comune o vita comunitaria. I membri degli Istituti Secolari di piena secolarità vivono soli, senza opere comuni, in piena vita sociale e professionale; sono impegnati a titolo personale là dove essi vivono o lavorano. In questo si avvicinano fortemente alle vergini e alle vedove consacrate in pieno mondo. Vediamo ora come situare queste vocazioni personali. Il loro carisma è individuale.

Gli eremiti normalmente non si raggruppano. Le vergini consacrate formano un «Ordo virginum», che non è né una vita comune, né un carisma comune, né un genere di vita basato su una legge di vita seguita da tutte. Raggruppandole, si farà loro perdere la mobilità che le caratterizza, il loro quadro di vita e la loro libertà personale. Un tale raggruppamento è tanto piú da evitare per il fatto che certe diocesi hanno un «delegato» speciale che si prende cura di queste vergini consacrate. Questa responsabilità comune potrebbe, a lungo andare, fare piú del male che del bene a persone che seguono una vocazione individuale e si danno interamente a Dio. Anche lo stesso Codice attuale pone la questione. Vediamo anzitutto lo stato canonico degli eremiti; in seguito studieremo quello delle vergini e delle vedove consacrate, per dire infine qualcosa dei vedovi consacrati i quali certamente, come vedremo, hanno scelto come gruppo un duplice statuto.

 

Gli eremiti nel Codice

Gli eremiti nel Codice hanno il vantaggio di trovarvi una descrizione della loro propria vocazione nella vita consacrata (c. 603, par. 1). La cosa è importante. Partendo dal fatto dell'appello divino riconosciuto dalla Chiesa, essi sono della Chiesa e hanno nel diritto una posizione giuridica certa (3). Canonicamente, per essere riconosciuto eremita, bisogna che questi si impegni nelle mani del Vescovo, con una pubblica professione - attraverso voti o altri sacri legami - alla pratica dei tre consigli evangelici, a vivere uno stile di vita determinato sotto la guida dello stesso Vescovo diocesano.

Questa dipendenza è una obbedienza. Impedisce che l'eremita diventi un girovago. C'è tuttavia una difficoltà a realizzare un tale impegno. Il Vescovo comprenderà ciò che è, come vita consacrata, una vita eremitica? Se già molti religiosi si lamentano per la mancanza di comprensione della loro vita da parte delle autorità diocesane e della difficoltà a vivere il loro proprio carisma, non si può negare che un eremita preferisca non prendere questi impegni e vivere in fedeltà alla sua vocazione questo genere di vita consacrata. Tuttavia, in questo caso, sarà utile e perfino necessario dipendere da un prete - spesso il confessore dell'eremita - informato delle esigenze di un tal genere di vita. Ma questi non è sempre pienamente informato delle esigenze reali di questa vocazione, né dei progressi possibili in questa vita di silenzio e di solitudine. Il progetto del 1977, a questo riguardo, era piú ampio e piú prudente.

L'impegno dell'eremita poteva essere preso in dipendenza da un superiore religioso competente. Questo superiore può essere, se l'eremita è religioso, il suo proprio superiore. Poteva essere anche un superiore religioso da cui dipende un terz'ordine secolare (4). Il testo del c. 92, par. 2 del progetto del 1977 sembra ammettere questa soluzione. Un fatto è certo: un fedele cristiano può essere eremita, se si conforma alle esigenze spirituali ed esterne che pone oggi il c. 603, par. 1. Ciò esige: una separazione piú rigorosa dal mondo, il silenzio della solitudine, una preghiera e una penitenza continue. Una tale vita consacrata si vive per la lode di Dio e per la salvezza del mondo. Quest'ultimo elemento va sottolineato perché mette in evidenza la dimensione apostolica universale di questo dono a Dio e alle anime che suppone questo impegno (5). Essere eremita nella Chiesa, secondo il c. 603, par. 1, è un tipo di vita ecclesiale; gli impegni presi non sono piú semplicemente privati; se sono presi davanti al Vescovo diocesano, questo carattere ecclesiale è rafforzato.

Attenendosi alla normativa del c. 603, par. 2, un religioso, anche monaco, non sarà riconosciuto canonicamente in modo pieno come eremita senza questa professione di vita evangelica fatta nelle mani del Vescovo della diocesi. Le Costituzioni degli Istituti monastici possono tuttavia prevedere un tale impegno come conseguenza di una professione fatta in un Istituto di vita monastica. In questo caso, queste Costituzioni dovranno essere ben redatte e approvate dalla Santa Sede. Il monaco potrebbe essere eremita sulla proprietà del monastero e, avvertendo l'Ordinario del luogo, al di fuori del territorio del suo monastero, in vista di una piú grande solitudine. Come si vede, il fatto di considerare l'eremita nel Codice è un progresso. Il c. 603 non sopprime tutte le difficoltà. Numerose questioni restano aperte. La pratica spesso risolve meglio certi problemi rispetto alla loro discussione teorica. Notiamo, infine, che un eremita che non è religioso, non diventa «religioso» per il fatto della professione che emette nelle mani del Vescovo; questo contrariamente a quanto considerava il c. 92, par. 2 del progetto del 1977 (6).

 

Le vergini consacrate

Le vergini consacrate oggi sono numerose. Il Concilio non ha fatto allusione a questo genere di vita consacrata. Il progetto del Codice del 1977 non aveva alcun canone che le riguardava7. Solo piú tardi è stato inserito nella parte che tratta della vita consacrata il c. 604 concernente le vergini consacrate, subito dopo il c. 603 sugli eremiti (8). La vergine consacrata vive un genere di vita consacrata personale. Come chiamata divina ha un carisma personale. Anche se sono numerose le persone che vivono questo genere di vita, non si può parlare di un carisma comune. È un ordine di vita; l'«Ordo Virginum» è antico nella Chiesa. Prima del Concilio la consacrazione delle vergini era riservata alle monache.

Il Concilio aveva previsto una revisione del rituale della consacrazione delle vergini (SC 80). Il rituale promulgato permetteva di conferire questa consacrazione liturgica a tutte quelle persone che volevano vivere la verginità consacrata in pieno mondo (9). Oggi, soprattutto dopo il Codice, questo fatto non crea piú difficoltà. Tuttavia si pongono molte questioni. Anzitutto si nota nel testo del Concilio che il termine «virgo» è usato come sinonimo di «casta» quando si parla dei tre consigli evangelici (LG 46b; PC 1b). In piú, nel decreto «Presbyterorum Ordinis» è detto espressamente che verginità si intende come sinonimo di celibato: questo per i preti (PO 16b; cf. LG 42). Nascono qui due questioni. Qual è il senso della verginità consacrata?

L'impegno della verginità consacrata secondo il rituale sembra essere piú esteso di un impegno per la castità; infatti, include l'obbedienza e la povertà come consigli evangelici (10). Questo è ancor piú chiaramente proposto nel rituale oggi approvato per le vedove consacrate (11). Tutto considerato, la verginità è espressione di un dono totale che, per essere vissuto pienamente, contiene i tre consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. La riflessione teologica postconciliare conferma questa posizione dottrinale, che non resta senza effetti sulla vita consacrata. Il c. 604 non fa menzione di tali esigenze.

Alcune espressioni possono suggerire un dubbio a questo riguardo: «A queste forme di vita consacrata è assimilato l'ordine delle vergini», dice il c. 604. Il termine «assimilare» non rende pienamente il senso del termine latino «accedit», che può significare non una identità, ma una somiglianza. La consacrazione totale è qui supposta dal fatto che le vergini vogliono seguire il Cristo piú da vicino (Christum pressius sequi), formula usata per descrivere la vita consacrata in generale (LG 42d; 44c; PC 1b; c. 573, par. 1). Bisogna pure sottolineare il fatto che la vergine consacrata sposa misticamente il Cristo, Figlio di Dio. Questo amore reciproco, che unisce il Cristo e la vergine consacrata, deve necessariamente essere totale e comporta in seguito l'obbedienza e la povertà. Questo sposalizio mistico ha sempre espresso una piena donazione nell'amore reciproco. Come il Cristo fu povero e obbediente, la vergine sua sposa lo sarà per imitarlo piú da vicino; e si direbbe meglio per essere come Lui, con Lui.

Quanto al «sacrum propositum» bisogna riconoscere che il termine è poco chiaro. Questo «proposito sacro» non sembra essere un voto. Può esserlo; se non lo è, sarà una promessa fatta nella Chiesa per rispondere all'appello divino. Questo fatto pone la questione della consacrazione. La consacrazione fatta dal Vescovo è liturgica. È una benedizione. Ma è anche una preghiera rivolta a Dio perché la persona consacrata a Dio attraverso il rito sia fedele al suo impegno e ottenga la sua protezione. Nel contesto generale della dottrina conciliare, la prima consacrazione è quella che Dio fa con la sua chiamata e attraverso di essa.

Questa consacrazione è reale se viene ricevuta dalla persona che risponde a questo appello e si dona a Lui. Il termine «dedicatur» del c. 604, par. 1, per essere vero, deve essere sinonimo del termine «consacrazione». Questa consacrazione personale si fa attraverso il Cristo nell'Eucaristia. È attraverso il Cristo, con Lui e in Lui, che il cristiano si consacra in un dono totale al Padre per la salvezza del mondo. Queste dimensioni apostoliche, già espresse al c. 603 per l'eremita, sono qui ugualmente presentate in maniera piú concreta; in effetti, il c. 604, par. 1 parla di una dedizione al servizio della Chiesa. In piú, al par. 2 si prevede che queste vergini consacrate possano associarsi per mantenere fedelmente il loro impegno e compierlo con un aiuto reciproco, un servizio ecclesiale conforme al loro stato. Ciò non significa necessariamente un lavoro comune. Si direbbe piuttosto il contrario, se si vuole rispettare e salvaguardare il carattere individuale di questa vocazione.

Concludiamo, dunque, annotando che la consacrazione essenziale è una chiamata divina, alla quale la vergine consacrata risponde in unione al Cristo, prendendo come legge di vita i tre consigli evangelici per seguirlo piú da vicino, unendosi a Lui come in un impegno sponsale e dedicandosi al servizio della Chiesa, anzitutto attraverso questo dono di sé, vissuto nell'Eucaristia. Ciò non esclude un lavoro apostolico concreto, ma non lo rende obbligatorio. Il Codice parla, al c. 604, par. 2, di una possibilità di associazione per le vergini consacrate.

Il termine è prudente e discreto. A dire il vero non sembra che sia auspicabile vedere le vergini consacrate riunirsi in «associazioni di fedeli» (c. 298), dove necessariamente una struttura direttiva sarebbe da temere e sarebbero da seguire degli statuti. Tutt'al piú possono essere utili delle riunioni a livello diocesano o nazionale senza, però, diventare obbligatorie. Poiché questa vocazione è essenzialmente individuale, bisogna ad ogni costo proteggerla perché sia vissuta in piena discrezione e libertà. Resta un'ultima questione. Parlando di verginità, anche se il termine significa molto piú che non castità e continenza, sembra bene che non sia richiesta una verginità corporale da provare attraverso un'ispezione corporale, come accadeva una volta.

Cosí, in certi monasteri, vi erano monache non ammesse alla consacrazione delle vergini, ordinariamente prevista per tutte. Certe eccezioni erano penose. Se la consacrazione liturgica delle vergini fu riservata alle monache, non si vede perché non fosse permessa alle religiose di istituti apostolici. Resta una questione: se la consacrazione delle vergini è stata ripresa come celebrazione liturgica solenne, è in contrasto con la professione religiosa, normalmente celebrata nell'Eucaristia, senza troppa solennità. Il dono di sé a Dio e alle anime non si misura secondo l'ampiezza e la solennità di un rito. Non bisognerà riflettere attorno a questa considerazione?

E ancora: ogni professione religiosa perpetua è preceduta da una professione temporanea; e quest'ultima non si può fare senza volersi donare totalmente e definitivamente. Gli impegni temporanei, per la Chiesa come per i professi, sono una prova che dovrebbe assicurare il valore dell'impegno definitivo o perpetuo. Perché non esiste niente di simile per la vergini consacrate? Il rito ha ripreso un testo antico; questo rinnovamento liturgico non poteva favorire anche una riflessione spirituale? Questo punto merita ancora una riflessione ed un adattamento alla realtà vissuta. È vero che una vergine consacrata, se abbandona il suo stato di vita, lo fa piú discretamente, non essendo membro di un gruppo o di un Istituto di vita consacrata. Occorre, infine, che si dica una parola a riguardo della vedovanza consacrata. Vedovi e vedove sono numerosi. Non appena possibile, può essere intravista una consacrazione. Ed è ciò che già hanno fatto dei vedovi e delle vedove.

 

La Fraternità di Nostra Signora della Risurrezione

 Il Codice del 1983 non ha considerato le vedove consacrate. Queste, dal 1984, hanno il loro rituale per la propria consacrazione, approvato da Roma, ma non come rituale della Chiesa universale (12). Il Codice orientale, al contrario, al c. 570, ne tien conto in un testo conciso, ma importante (13). Le vedove consacrate hanno voluto riunirsi in Istituto Secolare. Vivendo in mezzo al mondo, vogliono donarsi totalmente a Dio assumendo i tre consigli evangelici vissuti secondo il loro stato di vita. Esse non sono divenute membri di un Istituto Secolare. Perché? Per vivere non soltanto per Dio, ma per sottolineare il loro legame d'amore con i loro congiunti che sono già in Dio.

Questa presenza meritava di essere vissuta in piena fedeltà alla loro unione matrimoniale. Anche se la morte sopprime il legame matrimoniale sacramentale ed ecclesiale, e dunque canonico, esse non possono sopprimere l'amore vissuto nel matrimonio, dono mutuo che si vivrà in pienezza nella vita trinitaria. Riunendosi in fraternità - la «Fraternità di Nostra Signora della Risurrezione» - queste vedove si donano pienamente a Dio ritrovando cosí in Lui i loro sposi deceduti e viventi, sperando ciò che hanno già ottenuto. La sfumatura è importante! Essa sottolinea una teologia matrimoniale nel suo aspetto escatologico, eterno e trinitario. Non c'è amore senza Dio; ogni amore per essere pieno e perfetto, va vissuto in Dio. Dio è Amore!

 

La Fraternità della Risurrezione

Se fino ad ora si è considerata la vedovanza consacrata delle spose, oggi anche i vedovi conoscono una chiamata alla consacrazione di vita. Questo appello si è chiarificato a partire dal 1971, anno del decesso delle spose rispettive dei due primi vedovi che hanno voluto donarsi a Dio accettando il sacrificio e volendolo vivere rimanendo fedeli al «sí» sacramentale del loro matrimonio. Un progetto di statuto fu sottoposto a Roma nel 1977; è stata fondata una pia unione e questa conobbe una evoluzione assai rapida. Questi vedovi, liberati dai loro impegni familiari, pensarono di vivere in fraternità monastica. Queste fraternità si chiamano «Fraternità della Risurrezione».

Alcuni Fratelli sono stati ordinati preti. Questa fondazione maschile raccoglie oggi dei vedovi monaci, alcuni dei quali sono preti; e dei celibatari che si sentono attirati dalla loro spiritualità. Accoglie, come «familiari regolari» degli uomini separati o divorziati che desiderano vivere in comunità, e che fanno una promessa di fedeltà annuale. Questo permette loro di «vivere una fedeltà purificatrice del sacramento del loro matrimonio rotto nella sua struttura visibile». I Fratelli che hanno ancora dei figli a carico, possono continuare a esercitare «nel mondo» la loro attività professionale secondo le modalità definite con i responsabili della Fraternità. Quanto agli altri, vivendo in comunità, oltre alle loro funzioni ecclesiali di «perseveranti nella preghiera», sono disponibili all'ascolto e al servizio di tutti coloro che sono «feriti nell'amore»: vedovi e vedove, separati, divorziati, ragazzi infelici; e restano aperti ad ogni lavoro ecclesiale, che può essere loro conferito nell'ambito della pastorale familiare. Un ramo femminile della Fraternità, attualmente composta di vedovi, vive secondo un quadro di vita ed uno spirito identico a quello dei Fratelli.

Questa Fraternità è in corso di fondazione. Bisognerà ritornare sulla vedovanza consacrata. L'informazione che abbiamo ricevuto fino ad ora ci permette di vedere come nella Chiesa si situa e si sviluppa la vita consacrata. Oltre alla «Fraternità di Nostra Signora della Risurrezione», c'è l'«Associazione della Risurrezione» - vedovi viventi in mezzo al mondo - la «Fraternità della Risurrezione», fraternità monastica che riunisce dei «fratelli monaci» e dei «familiari regolari», ma che estende la sua azione nella pastorale della famiglia, dell'infanzia in difficoltà, dei vedovi, dei separati e dei divorziati.

 

Passaggio alla vita comune

Vi sono vedovi che sono cosí passati da una vocazione individuale ad una vita monastica, comunitaria, mentre le vedove restano raggruppate in fraternità e si ritrovano per vivere uno stesso impegno di vita consacrata secondo uno statuto comune che fa superare la chiamata personale per farla diventare una vocazione divina vissuta in fraternità evangelica. Tutto considerato, sembra piú difficile ai vedovi vivere una chiamata alla vita consacrata, soli o con dei figli, rispetto alle vedove che hanno gli stessi impegni ma possono piú facilmente organizzare una vita familiare adattata alla loro solitudine e ai figli, che esse seguono ed aiutano piú da vicino nella loro crescita, nella scelta del loro stato di vita, e nella costituzione delle loro diverse famiglie.

 

Un'ultima questione

È stata posta una questione. È possibile vivere una chiamata personale, individuale alla vita consacrata mediante i consigli evangelici? Il Codice latino risponde affermativamente per gli eremiti e per le vergini consacrate; il Codice orientale tiene conto in piú delle vedove consacrate; la Chiesa conosce già dei vedovi consacrati, riuniti in associazioni o che vivono in monasteri come i «Fratelli della Risurrezione». Queste realtà dovranno essere seguite, incoraggiate, meglio conosciute e comprese. Si inseriscono in un «laicato» che non può restare un «denominatore comune», una «massa» non identificata.

 

 

 

 

Cfr. BEYER J. , Le forme individuali di vita consacrata, in Quaderni di Diritto Ecclesiale (2/1992), 131-140.

 

(Traduzione di Giangiacomo Sarzi Sartori)

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

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(1) Si veda, a questo riguardo, lo studio di F. MASCARENHAS, Societies of Apostolic Life. Their identity statistics with regard to the consecration, in Cpr., 71 (1990) 3-65. Cf. J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, Milano, Àncora, 1989, 642 pp. Vedi pp. 519-567 e pp. 602-604.

(2) Sotto questo termine si può parlare ormai di vedovi e vedove consacrati a Dio attraverso un impegno approvato dalla Chiesa.

(3) Si veda a questo riguardo J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, pp. 157-169. Si veda anche il nostro articolo su: «L'Ordine delle vedove», in Vita Consacrata, 23 (1987) 238-250 e il testo di Pio XII pp. 248-252.

(4) Cf. C.I.C., 1983, c. 303; si veda il testo del progetto 1977, in J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, pp. 581-602. Si veda il c. 92 p. 597.

(5) Importanti sono i termini del c. 603, par. 1: «dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo». Questo si ricollega con la posizione di Pio XII che, per la prima volta, parla di una «consacrazione a Dio e alle anime», in «Primo Feliciter» 1948 n. V. Si veda AAS., 40 (1948) 285-286.

(6) Cf. J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, p. 517, c. 92.

(7) Un solo canone trattava degli eremiti. Cf. p. 597, c. 92.

(8) Questo canone 604 si trova già nel progetto del Codice latino nel 1980, al c. 531.

(9) Questo Ordo consecrationis virginum di 65 pp. è stato edito nel 1970. Si veda il decreto di promulgazione pp. 5-6; si vedano ugualmente le condizioni poste alle vergini che vivono nel mondo: «mulieres vitam saecularem agentes» perché possano ricevere la consacrazione. Cf. Ordo, p. 8, n. 5.

(10) Si veda nell'Ordo, a p. 15, l'omelia dove si tratta la questione della povertà; e sullo stesso punto a p. 26 nella preghiera di consacrazione. Per l'obbedienza, si veda l'omelia a p. 15 «voluntatem Patris adimplentes».

(11) Si veda il Rituel de bénédiction della Fraternità di N.S. della Risurrezione, 1982, 30 pp. Vedi pp. 27-29; il paragrafo secondo lo spirito dei consigli evangelici, castità, povertà, obbedienza, distacco da sé.

(12) La Congregazione per i sacramenti e il culto divino conferma per questo rituale, il 29 febbraio 1984, l'approvazione data precedentemente dal Cardinale Jean Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi.

(13) «Viduae consecratae seorsum in saeculo castitatem professione publica profitentes».