Il Concilio di Trento, indetto da Paolo III nel 1545 (13 dicembre), dopo diverse traslazioni e interruzioni si concluse nel 1563. Fu un Concilio che si prefisse anzitutto la tutela del dogma e la riforma della Chiesa: riforma spirituale, morale e disciplinare. Le definizioni dogmatiche riguardarono, in particolar modo, le fonti della fede, l'interpretazione della Sacra Scrittura, la dottrina sul peccato originale, sulla giustificazione e il valore dei sacramenti. Al principio protestante della sola scriptura - anarchico e individualista - il Concilio oppose come fonte della fede la Scrittura illuminata e spiegata al contempo dalla Tradizione, intesa quale testimonianza dei Padri e dei concili approvati, grazie al giudizio e al consenso costante di tutta la Chiesa, privilegiando cosí una visione ecclesiale universale. Il Concilio non proibí affatto di leggere e tradurre la Bibbia in lingua volgare. L'uso privato delle traduzioni, infatti, rimase lecito, mentre nella liturgia, nelle dispute e nella predicazione venne prescritto l'uso della Vulgata (testo latino ufficiale).

Di particolare importanza fu il tema della giustificazione, ossia della grazia di Dio, mediante la quale una persona, "da ingiusta che è, diviene giusta", cioè passa dallo stato di peccato, in cui l'uomo nasce per la colpa di Adamo, allo stato di grazia e di adozione per mezzo di Gesú Cristo. Essa non consiste solo nella remissione dei peccati, ma anche nel rinnovamento profondo dell'uomo mediante il quale egli da nemico, diventa amico di Dio. La fede, essenziale per la salvezza, comporta anche le virtú teologali della speranza e della carità. Lutero, al contrario, affermava che la giustificazione è solo imputata, cioè non radicata nel suo intimo nel quale non agirebbe la grazia. L'uomo, - asseriva - anche quando è eletto da Dio, resta peccatore, e viene solo come ricoperto dal manto della giustizia divina.

Il Concilio di Trento preferí la dottrina della giustificazione reale, grazie alla quale l'uomo non viene semplicemente considerato giusto (con un'operazione di tipo nominalistico) ma lo diviene effettivamente, mediante l'azione dello Spirito Santo, secondo la specifica cooperazione di ciascuno. Altro aspetto essenziale fu la tutela del principio del libero arbitrio. L'uomo - afferma il Concilio - non agisce alla mercé di Dio ma è realmente libero di operare una scelta morale autentica fra bene e male, perciò è libero di auto-gestirsi e di realizzarsi secondo il suo volere. Venne respinta dunque la dottrina protestante della predestinazione, privilegiando una visione della libertà in armonia con la prescienza di Dio.

Fra i canali tramite i quali la grazia si comunica all'uomo il Concilio ribadí l'importanza dei sacramenti quali "segni efficaci" di essa. I sacramenti contengono la grazia di cui sono segno e la conferiscono a tutti coloro che li ricevono con le dovute disposizioni. I sacramenti conferiscono la grazia ex opere operato, cioè per il solo fatto di essere conferiti secondo la mens Ecclesiae.

Sull'Eucaristia la Chiesa conservò la dottrina della presenza reale rifiutando l'opinione luterana, adottata poi da tutte le confessioni protestanti, secondo cui non si deve adorare il Cristo nell'Eucaristia, né onorarlo con feste, condurlo in processione o portarlo agli ammalati. Si trattò di una decisione di grande portata: la pietà, la liturgia e l'arte ne risentirono profondamente e positivamente. Importanti per le sue conseguenze sociali furono anche le decisioni del Concilio in materia matrimoniale. Venne introdotto l'obbligo di celebrare il matrimonio alla presenza del parroco e dei testimoni, dopo le relative pubblicazioni. Si impose la registrazione del matrimonio favorendo l'eliminazione di abusi e ingiustizie secolari nel diritto di famiglia. Venne fissata l'età al di sotto della quale la mancanza di consenso dei genitori o dei tutori invalidava il matrimonio.

La riforma disciplinare promosse la formazione del clero nei seminari diocesani; vietò il cumulo dei benefici ecclesiastici; impose al clero l'obbligo della residenza; favorí la predicazione e l'istruzione religiosa dei fedeli; consentí il ripristino della regolare osservanza nei conventi e nei monasteri. Venne anche restituita autorità ai vescovi, spesso ostacolati in passato nella loro azione pastorale da un cumulo inestricabile di esenzioni e privilegi. Di grande rilievo, anche dal punto di vista storico, fu l'istituzione obbligatoria delle anagrafi parrocchiali. I parroci furono obbligati a tenere regolarmente i registri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e dei defunti costituendo cosí un vero e proprio status animarum, ancora oggi di importanza fondamentale nell'indagine storica.

 

 

Fontes: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, curantibus J. Alberigo, J. A. Dossetti, P. P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, consultante H. Jedin, 1973, 660-799.

 

 

 

 

 

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