Si entra a far parte della Chiesa di Gesú Cristo attraverso i sacramenti dell'Iniziazione cristiana; si è membri di una Chiesa particolare risiedendo in un determinato luogo e poiché caratterizzata dal territorio, ogni diocesi è denominata "Chiesa locale". Non può essere indifferente appartenere ad una o ad un'altra Chiesa locale: ognuna ha i propri santi, una propria storia, una propria pedagogia adatta a trasmettere la fede.

La Chiesa Ordinariato Militare ha una propria specificità: non è legata ad un territorio ma al particolare servizio che i suoi membri svolgono e trova la propria origine in quei soldati che hanno professato la fede in Cristo, hanno ricevuto la grazia della salvezza e sono stati tra i primi evangelizzatori.

Tra le fondamenta della nostra Chiesa si collocano i tre centurioni descritti nella Sacra Scrittura: quello di Cafarnao, quello di Gerusalemme e quello di Cesarea. Li vogliamo considerare come i nostri Padri nella fede, i primi tra i "nostri" che hanno aderito e testimoniato il Vangelo di Cristo.

Si può essere cristiani e militari? La risposta che troviamo nella loro vita, supera la stessa domanda: si può essere militari e santi.

Avviciniamoci al primo dei tre centurioni. Siamo a Cafarnao, nella Palestina settentrionale, in una città di confine del piccolo regno di Erode Antipa, intorno agli anni trenta. Vi troviamo l'ufficio doganale, quello a cui sedeva il pubblicano Levi (Mc. 2, 13 ss.); varie aziende familiari dedite alla pesca, come quella di Simone e Andrea o quella di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo; vi risiede una guarnigione di soldati comandata da un centurione. Nel suo esercito Erode Antipa aveva assoldato gente di tutto il mondo, inquadrandola secondo la ferrea disciplina e la struttura dell'esercito romano. Anche se le truppe di Roma non entreranno a Cafarnao che nel 44, la presenza dell'Impero era già forte in questo piccolo stato.

A noi interessa la figura del centurione. Chi era? Non conosciamole sue origini, sappiamo che era inquadrato nell'esercito romano. Quanta la "forza" alle sue dipendenze? Una centuria, circa duecento uomini, con la quale presidiava il territorio di Cafarnao. La sua carriera? Era un veterano, un combattente valoroso che si era guadagnato i gradi combattendo sul campo. La categoria a cui apparteneva rappresentava il nerbo dell'esercito romano. Quali le sue note caratteristiche? Sa essere vicino alla gente: "... ama il nostro popolo". Sa cogliere e va incontro ai loro bisogni: "... è stato lui a costruirci la sinagoga". Ama molto i suoi dipendenti ed ha a cuore un suo servo, forse l'attendente, "...che giace in casa paralizzato e soffre terribilmente".

Possiede un vero stile militare, sa stare al suo posto e farsi rispettare: "...sono un uomo sottoposto a un'autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: Va' ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa". Lo stile militare è diventato il suo stile di vita: "...comanda con una parola e il mio servo sarà guarito". Qual è il suo rapporto con Cristo? Aveva sentito parlare di Lui, forse lo aveva già incontrato, certamente, aveva riconosciuto la diversità del potere di quest'uomo dal suo: a Gesú infatti, obbedivano quegli elementi sui quali neppure Roma aveva potere.

Non gli doveva nemmeno esser sfuggito il carattere religioso della predicazione del Cristo. Non sapeva nulla di piú, ma ciò gli era sufficiente per riconoscere che quell'uomo non apparteneva a questo mondo, ma a quello di Dio. Per questo, provava nel suo intimo un sentimento vivo di religioso rispetto e, forse, una sua indegnità: desiderava conoscerlo, ma non osava avvicinarlo. Egli non è il potente che chiede ad un altro un favore che, data la condizione, non può negare. Egli è umile nella sua vera umiltà: umiltà di uomo, di soldato. Poiché la malattia era ribelle ad ogni cura, non gli resta che ricorrere a quell'uomo: chiede a Gesú di guarire il suo servo. Gesú accogliendo la sua preghiera è disposto anche ad andare nella sua casa. Il centurione però non vuole chiedere troppo, teme di essere importuno: perché scomodarlo? "Signore non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ...ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito".

Il centurione attribuisce tutta la forza risanatrice alla parola di Gesú e, facendo riferimento al suo mondo e alla sua esperienza militare, la riconosce come parola di autorità: essa cioè, opera ciò che esprime, porta salvezza indipendentemente dalla presenza di colui che la dice. Le parole del centurione sono parole di umiltà e di fede, e la sua umiltà e la sua fede, gettano nello stupore Gesú. L'uomo è forse un mistero anche per il Figlio di Dio? Gesú non gioca, non simula un sentimento che non ha: come è possibile allora che il Cristo si meravigli di quell'uomo? Un'autentica vita di fede diviene anche per Gesú motivo di ammirazione! Nella fede l'uomo supera se stesso entrando in comunione con Dio. Gesú contempla in quest'uomo l'azione dello Spirito: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede cosí grande!".

Diversa è la redazione dello stesso episodio nel Vangelo di Matteo e di Luca: ciascun evangelista sottolinea aspetti diversi, per noi interessanti. Matteo ci descrive l'avvenimento, cosí come ora lo abbiamo esaminato: il centurione va da Gesú e chiede la guarigione del servo che tanto amava. Luca al cap. 7, sottolinea invece l'umiltà del centurione che lo spinge non a presentarsi personalmente da Gesú, ma gli suggerisce prima di inviare alcuni "anziani dei Giudei", piú degni di lui per chiedere la guarigione del servo; poi, alcuni amici a pregarlo di non disturbarsi fino a venire nella sua casa. In questo racconto Gesú e il centurione neppure si incontrano, eppure si rispettano e si amano.

L'esempio del nostro centurione di Cafarnao ci insegna come un soldato debba rapportarsi a Cristo e ai suoi fratelli. In primo luogo, è indispensabile avere una fiducia incondizionata in Gesú e obbedienza assoluta alla sua Parola: essa infatti, è fonte di vita e da noi essa attende un'obbedienza assoluta per poter divenire con lei, inizio di un mondo nuovo, di quel mondo che ha come legge propria quella del Vangelo.

Il centurione ci insegna ancora come dobbiamo rapportarci con il fratello che cammina accanto a noi: "...lo aveva molto caro". Di tutto questo ci dobbiamo ricordare oggi quando, accostandoci all'Eucaristia, ripeteremo le parole del centurione: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di soltanto una parola e il tuo servo sarà guarito".

Roma, 3 maggio 1999

+ Giuseppe Mani