Il mio ultimo commovente incontro col Papa Paolo VI durante la Visita "ad limina Petri" (alla tomba di San Pietro) compiuta dall'Episcopato Calabro e conclusa con una collettiva udienza pontificia.

Poiché certamente i miei nipoti non conoscono questo avvenimento, dirò che nella Chiesa Cattolica vige l'impegno che tutte le Conferenze episcopali regionali, facciano ogni cinque anni una visita collettiva a Roma, che si chiama appunto "Visita ad limina Petri", per la quale ogni vescovo è tenuto a mandare in anticipo la cosiddetta "Relazione quinquennale" sullo stato e la vita della diocesi, secondo uno schema inviato in precedenza dalla Congregazione dei vescovi.

Si tratta di un impegno notevole che ogni vescovo deve adempiere e che fotografa, per così dire, la situazione della diocesi e consente alla Santa Sede di essere aggiornata sulla situazione spirituale e pastorale di ogni circoscrizione ecclesiastica. Nel 1977 era di turno l'Episcopato calabro e la nostra Visita si concluse, come è d'abitudine, con l'udienza pontificia collettiva, il 26 maggio.

Il Papa Paolo VI ci ricevette con la sua abituale signorilità, tenne un importante discorso sulla situazione della Chiesa Calabra, come risultava dalle Relazioni dei singoli vescovi, e ci diede delle sagge ed importanti direttive pastorali, che ascoltammo con viva attenzione e che segnavano la via del nostro futuro lavoro pastorale nelle rispettive diocesi.

Fu un'udienza molto bella, che soddisfece tutti, e che infuse in ciascuno di noi una nuova "carica" di disponibilità e di impegno. Dopo l'udienza, mentre lo salutavo, mi pregò di trattenermi e, dopo che i vescovi furono usciti, mi prese per mano, mi fece sedere accanto a lui e, parlandomi con una tenerezza che non potrò mai dimenticare, mi chiese come stessi, come mi trovassi in diocesi, e che cosa desiderassi che egli facesse per me.

Mi parlò quindi degli amici comuni, già raggiunti dalla morte, ed aggiunse che sperava di unirsi presto a loro in paradiso. lo, commosso fino alle lacrime, gli dissi che avrei pregato per la sua salute, e chiesi per me e per la diocesi una preghiera e una benedizione. Mi pare di sentire ancora il calore dell'abbraccio col quale ci separammo.

Mi lasciò la triste impressione che non lo avrei più incontrato. L'anno dopo, il 6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore, Paolo VI morì e mi parve di rimanere orfano. Proprio in quell'anno le mie condizioni di salute divennero sempre più precarie e lentamente maturai la sofferta decisione di dare le dimissioni dal governo della diocesi.

 

 

 

 

Cfr. Don Enea uomo di Dio, a cura di Mario Merenda, Tip. Grafica Cosentina, Cosenza 2000, 69-70.