Don Enea Selis (Sassari 1910 - Roma 1999) appartiene alla storia di questo nostro secolo, ormai al tramonto, per essersi contraddistinto come sacerdote e Vescovo, cultore di scienze storiche, gentiluomo di antico stampo, ma, soprattutto, contemplativo e spirituale. Vescovo dal 1964 ed Arcivescovo di Cosenza dal 1971 al 1978, poi Canonico di S. Pietro nell'Urbe, negli anni difficili della contestazione del '68 fu assistente ecclesiastico nell'Università Cattolica del S. Cuore di Milano, illuminato direttore spirituale, sempre proteso alla formazione delle coscienze. La storia della cultura e dell'Università, poi, è pervasa dal servizio di don Enea per la sua attenzione alle novità letterarie e scientifiche, per i rapporti molto intensi con docenti universitari ed eruditi, personalità note e meno note in particolare della storiografia. Egli fu sempre convinto della valenza delle tradizioni nel presente e nel futuro della società. Ed ha un profondo significato che il Papa lo abbia destinato a Cosenza negli anni in cui aveva inizio l'attività accademica in quella città destinata ai giovani di tutta la Calabria.

Mai, malgrado tante insistenze, ha accettato di scrivere, o dettare, le sue memorie negli anni in cui fu assistente alla «Cattolica», ciò, indubbiamente, per quella riservatezza, e nello stesso tempo umiltà, che lo induceva, anche in altre occasioni, a non giudicare né accettare il ruolo di cronista, a non parlare di se stesso, del suo impegno pastorale negli anni in cui assolse compiti di grande importanza nella Università del S. Cuore minacciata da una «bufera» contestataria che avrebbe potuto compromettere la sua storia e le finalità.

In Calabria il Vescovo fu realmente Padre e Maestro, attentissimo nel salvaguardare le grandi tradizioni religiose e mistiche di Gioacchino da Fiore e Francesco da Paola, i protagonisti di santità della sua Chiesa, tentando sempre di salvaguardare la pietà popolare. Non mancò, comunque, di denunciare in una sua famosa intervista che nel Mezzogiorno, e nella sua diocesi, «si è badato più alla sacralizzazione che all'evangelizzazione», rilevando, inoltre, che si sono «amministrati battesimi, comunioni e cresime, ma non si è avuta la possibilità, e ci sono anche delle responsabilità, di preparare i cristiani». Non ebbe ruoli particolari nella Conferenza Episcopale Calabra, ma, non per questo, non fu punto di qualificante riferimento per preti e laici della regione e promotore di iniziative culturali e pastorali importanti. Questo ministero, che era servizio e testimonianza, aveva le sue radici nelle scelte spirituali da Lui compiute sin dagli anni della giovinezza alla vigilia (non era più giovanissimo) della risposta alla «chiamata» pressante del Signore al sacerdozio.

Non è facile delineare gli aspetti e i momenti della sua spiritualità cristologica e prevalentemente eucaristica e, tanto meno, i tratti salienti del suo essere sacerdote, ma alcuni suoi scritti offrono elementi suggestivi di questi momenti di vera ascesi che si alimentavano nel servizio al mondo. Ha scritto, ad esempio, che «il Vescovo viene in mezzo al popolo di Dio come padre e fratello per realizzare, nell'unità della fede e della carità, la vera comunità dei figli di Dio, ponendosi così come il legame di carità che unisce i fedeli con Dio e i fedeli tra loro». Fedelissimo al Vaticano II, asserì, ad esempio, che la diocesi è «comunità di salvezza per la presenza e l'opera del Vescovo, perché da lui procede e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo». Ha, poi, definito «l'unione del presbiterio al Vescovo... non soltanto funzionale» ma «ontologica che crea una inscindibile mirabile unità, poiché tutta la potestà sacra, stabilita da Dio nel piano di salvezza, discende per partecipazione del Vescovo nel presbiterio, meravigliosamente ampliandosi e ramificandosi. Così il presbiterio espande e moltiplica il Vescovo».

 

 Concilio Vaticano II

 

 

Queste espressioni evidenziano che il presule aveva assimilato e realizzato il Concilio; non si era «convertito» all'assise ecumenica, ma in essa si era pienamente realizzato gustando, ad esempio, i vincoli di unione tra vescovo, presbiterio e laicato, resi saldi dalla consapevolezza della ricchezza della comunione.

Non a caso disse ai suoi preti in una delle omelie del Giovedì Santo: «Vi debbo dire, con semplicità e serenità, che mi sento davvero incompleto senza di voi, che mi sento da voi continuato e completato». Consapevole del valore del servizio, reso non per ottenere o consolidare privilegi su questa terra, denunciò più volte tutto ciò che impediva un impegno per il bene comune.

Auspicava, quindi, «un nuovo tipo di autorità» osservando: «Noi oggi dobbiamo far trasparire la fede, dimostrandola anche nella rinunzia ad ogni pensiero ed atteggiamento di potenza e di prestigio per affidarci interamente alla "forza persuasiva della fede e dell'amore"». Tutto ciò sarebbe stato possibile se - rilevava don Enea - «la nostra vocazione di ascesi, che ci domanda persino il distacco dalla famiglia e dagli interessi umani e ci abilita a parlare di Dio agli altri, non può tagliare radicalmente ogni nostro rapporto con gli uomini e con il mondo».

Tutto sarà possibile, comunque, se prenderemo le distanze da una «filosofia, oggi di moda, che afferma la problematicità permanente, che rifugge da verità definite, che nega le realtà trascendenti». Dio ci viene incontro, amava ripetere il presule, «perciò facciamo nostra la preghiera del salmista: "Signore, io sono alla ricerca del Tuo volto". Questo è l'itinerario della Fede, che ci porta ad un'esperienza di gioia e di luce; una luce che erompe folgorante nella nostra vita e la trasforma, la migliora, la porta all'incontro intimo e personale con Cristo e alla contemplazione del suo volto». Raccomandò ai sacerdoti: «Vi sarò sempre molto grato, quando voi con spirito fraterno, mi farete conoscere i miei difetti, mi farete cioè la correzione fraterna, e fin d'ora vi sarò riconoscente».

Ed ancora disse loro: «Siate amici e fratelli di tutti, per diventare capaci di abbattere le barriere dell'egoismo, delle divisioni sociali, delle lotte fratricide, per aiutare tutti a trovare un luogo spirituale nel quale si cerchino insieme, al di là dei fattori di divisione e di ostilità, nuovi spazi di luce, nuovi orizzonti di speranza, presentando la bellezza e il fascino del Vangelo, per poter costruire insieme la solidarietà, l'amicizia, la Chiesa».

Questo era don Enea, il missus Domini, che contemplando il volto di Dio si arricchiva spiritualmente, amava sempre più con grande tenerezza gli uomini, prediligeva gli emarginati.

 

 

 

 

 

Cfr. Don Enea uomo di Dio, a cura di Mario Merenda, Tip. Grafica Cosentina, Cosenza 2000, 123-126.