55) Come reagisce un vero cristiano davanti alla sofferenza della morte?

 

 

 

 

Quelle sulla morte sono domande che da sempre gravano sulla coscienza degli uomini. Spesso si tratta di interrogativi tanto gravi da opprimere in modo apparentemente irrimediabile l'animo umano. È interessante al riguardo ciò che scrive san Giovanni Crisostomo nel suo Commento al Vangelo di san Matteo. Si tratta di un testo scritto in un'epoca immensamente piú difficile, sofferta e incerta della nostra. Un'epoca in cui la morte (e spesso la morte prematura) costituiva una costante nella vita quotidiana, non di rado per motivi di poco conto. Giovanni Crisostomo (Antiochia 349 ca. - Comana, Cappadocia 407) è annoverato fra i piú grandi dottori e padri della Chiesa. Studiò retorica con il retore Libanio. A diciotto anni si avvicinò a Melezio, patriarca di Antiochia, che lo introdusse in una scuola monastica e lo battezzò nel 370. Dopo sei anni trascorsi come monaco tra le montagne presso Antiochia, venne ordinato diacono nel 381 da Melezio e prete nel 386 dal vescovo Flaviano I, successore di Melezio. Noto per le sue doti di eloquenza, serietà e impegno, fu tra i piú grandi oratori della Chiesa antica. Nel 397 Arcadio, imperatore d'Oriente, lo nominò patriarca di Costantinopoli. Le sue prediche contro i vizi suscitarono l'ostilità di Teofilo, patriarca di Alessandria (385-428), e dell'imperatrice Eudossia, moglie di Arcadio, che lo esiliò dalla capitale nel 403. Richiamato a Costantinopoli poco tempo dopo, fu esiliato una seconda volta nel 404 in un'area desertica dei monti Tauri, dove si impegnò nella conversione al cristianesimo delle popolazioni iraniche e dei goti. Teodosio II, nuovo imperatore d'Oriente, nel 438 riportò il corpo di Giovanni a Costantinopoli, conferendogli una solenne sepoltura.

L'epiteto Crisostomo (dal greco Chrysóstomos, "bocca d'oro") venne usato per la prima volta nel VI secolo a motivo della vastità e della profondità della sua attività letteraria e della sua predicazione. Il testo che segue è la risposta di san Giovanni Cristostomo agli uomini della sua epoca. È la risposta di un credente autentico che non concede spazio alcuno al dubbio o al timore e che professa fermamente la sua fede nella potenza salvifica di Cristo e nella sua risurrezione. È una risposta ad un tempo severa (contro le superstizioni e le vuote tradizioni umane) e consolante. Consolante a causa della certezza dell'amore di Dio e quindi della bontà del destino finale di ogni uomo di buona volontà. L'ultima parola sulla vita dell'uomo non è della morte ma dell'amore di Dio che chiama ad una vita senza fine, all'eternità della beatitudine e della gloria divina:

 

«Nessuno, dunque, pianga piú i morti, nessuno si disperi, né rigetti cosí la vittoria di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno. A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d'esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo cosí disonorevole in tali circostanze? Come potrà farsi perdonare tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli? Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial? O quale cosa di comune tra il fedele e l'infedele? (2Cor 6,15). Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con coraggio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla. E tu che ascolti parole tanto piú sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo piú sconveniente dei pagani?

Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c'è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre. Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l'immortalità e l'eredità stessa degli angeli. Non senti il salmo che dice: Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia (Sal 114,7)? Dio chiama "grazia" la morte, e tu ti lamenti? Che potresti fare di piú, se il morto fosse tuo nemico e rivale? Ora, se qualcuno deve piangere, è il diavolo. Pianga dunque e si affligga, poiché noi ci avviamo a beni maggiori. Questo dolore è degno veramente della sua malvagità, ma è indegno di te che stai per essere coronato e andrai a godere un riposo eterno. Porto tranquillo è infatti la morte.

Guarda di quanti mali è piena la vita presente; ricorda le volte che tu stesso hai imprecato contro questa vita terrena. Le cose di questo mondo volgono spesso al peggio e sin dall'inizio noi abbiamo avuto in eredità una condanna non leggera. Nei dolori darai alla luce i tuoi figli, Dio disse alla donna, e all'uomo: Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte (Gen 3,16-17). E Cristo dice: Nel mondo avrete da soffrire (Gv 16,33). Nessuna sofferenza, invece, è preannunciata per la vita futura, ma tutto il contrario, poiché: Il dolore, la tristezza, i gemiti saranno eternamente banditi (Is 35,10), e verranno dall'oriente e dall'occidente e si riposeranno nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe (Mt 8,11); ed ecco infine le realtà dell'aldilà: una camera nuziale spirituale, lampade splendenti e l'assunzione al cielo.

Perché dunque vuoi disonorare, piangendo, colui che se ne è andato? Perché insegni agli altri a temere la morte e ad aver terrore? Perché dai occasione a molti di accusare Dio quasi fosse l'autore di grandi mali? Spiegami allora per qual motivo, dopo la morte dei tuoi parenti, chiami i poveri a casa tua e chiedi ai sacerdoti di pregare. Tu lo fai - affermi - perché il morto entri nel riposo eterno e il giudice sia misericordioso con lui. E per questo, quindi, piangi e ti lamenti? Non ti sembra di essere in contraddizione con te stesso? Sei convinto che l'altro ha raggiunto il porto, e, per questo motivo, procuri a te stesso tempeste e turbamenti? Ma che debbo fare? - mi dirai -. È la natura che spinge a tale comportamento. No, non è colpa della natura e neppure conseguenza dei fatti; ma siamo noi stessi che sconvolgiamo tutte le cose, che ci siamo rammolliti, tradendo la nostra personale nobiltà e rendendo peggiori anche gli infedeli. Se cosí ci comportiamo, come potremo parlare agli altri dell'immortalità dell'anima? Come potremo persuadere un pagano, se piú di lui noi temiamo e abbiamo paura della morte? Molti gentili, che pur non sapevano niente dell'immortalità, si ornarono di corone e indossarono bianche vesti in occasione della morte dei loro figli, con l'intento di acquistarsi la gloria terrena; tu, invece, neppure per la gloria futura cessi di piangere e di lamentarti, come fanno le donniciole. Tu mi rispondi che non hai erede, né successore delle tue sostanze. Ebbene, preferisci che tuo figlio sia erede dei tuoi beni, anziché di quelli del cielo? Che cosa desideri? Ch'egli riceva queste ricchezze effimere, che in ogni caso dovrà ben presto lasciare, piuttosto che quelle eterne e inalienabili? È vero: tuo figlio non sarà tuo erede ma sarà l'erede di Dio. Non sarà coerede con i suoi fratelli; ma sarà coerede con Cristo.

E allora - voi mi chiederete - a chi lasceremo questi abiti, queste case, questi servi, questi campi? A vostro figlio, ma con maggior sicurezza che se fosse ancora in vita. Se i popoli barbari usavano bruciare, insieme con i morti, tutto quanto essi possedevano, è tanto piú giusto che voi mandiate con lui tutto quanto è suo: non perché sia ridotto in cenere, com'era usanza dei barbari, ma per aumentare la sua gloria; e, se questo figlio è morto in peccato, perché i suoi peccati siano perdonati, se era giusto, perché il suo premio e la sua ricompensa siano maggiori. Ma voi mi dite che desiderate vederlo? Vivete, allora, come egli ha vissuto e presto voi potrete contemplare il suo volto santo. Considerate anche quest'altro fatto: se voi ora rifiutate di ascoltarci, il tempo si incaricherà di convincervi del tutto. Ma allora non otterrete nessuna ricompensa, perché la vostra rassegnazione sarà dovuta al passare del tempo. Se invece vi decidete sin d'ora a essere cristianamente saggi, ne trarrete due grandissimi vantaggi: primo, vi libererete dai dolori che vi affliggono e, secondo, riceverete da Dio una piú splendida corona. In verità il portare con serenità e pazienza le sventure è azione piú grande e meritevole che il far elemosina e molte altre cose.

Pensa che anche il Figlio di Dio morí, ma mentre lui è morto per te, tu invece muori per te stesso; e pur avendo egli detto: Se è possibile, passi da me questo calice (Mt 26,39), pur avendo provato un'infinita tristezza e sofferto una dolorosa e combattuta angoscia, non ha tuttavia fuggito la morte, ma si è sottoposto ad essa con tutte le circostanze tragiche che l'accompagnarono. Egli infatti non ha subito una semplice morte, ma la morte piú ignominiosa. E prima di morire è stato flagellato e, prima ancora, ha subito scherni e insulti, per insegnarti a sopportare tutto con coraggio. Ma tuttavia, dopo esser morto e sepolto, di nuovo egli ha ripreso il suo corpo con maggior gloria e con ciò ti dà ottime speranze. Se questi fatti non sono per te una favola, non affliggerti per la morte dei tuoi cari. Se ritieni degne di fede queste realtà, non piangere; perché se piangi, come potrai persuadere i pagani che tu credi?

Può darsi che, malgrado tutto ciò, voi consideriate ancora insopportabile l'accaduto. Ma giustamente per questo non dovete piangere colui ch'è morto, essendo egli ormai libero da tutte queste sventure che ancora colpiscono voi. Non siate invidiosi di lui, né vi rammaricate. Sembra, infatti, di una persona invidiosa l'augurarsi di morire per la morte immatura di un altro, il piangere perché non vive piú e di conseguenza non deve piú soffrire molti mali. Non pensate che colui che è morto non tornerà piú nella vostra casa, ma considerate invece che voi stessi andrete presto a trovarlo. Non state a pensare che egli non è piú in questo mondo; ricordatevi, invece, che questo mondo visibile non rimarrà tale, ma anch'esso si trasformerà. Il cielo, la terra, il mare, tutto cambierà e allora tutto ciò accoglierà vostro figlio con gloria ben piú grande. Se egli è deceduto mentre era nel peccato, la morte ha fermato il corso della colpa: se Dio avesse previsto che si sarebbe convertito, non lo avrebbe tolto dal mondo prima che egli avesse fatto penitenza. Se invece è morto come un giusto, egli possiede ora i beni eterni con piena sicurezza.

È evidente allora che le tue lacrime non derivano da vero amore, ma da un sentimento irrazionale. Se tu amassi veramente la persona che è morta, dovresti gioire e rallegrarti che si trovi ormai libera dai pericolosi flutti della vita presente. Dimmi, ti prego: che c'è piú del previsto? Che c'è di strano e di nuovo? Non vediamo forse le stesse cose succedersi ogni giorno? Il giorno succede alla notte e la notte al giorno; l'inverno segue l'estate e l'estate l'inverno; e niente piú. Tutto questo è sempre uguale. I mali, invece, sono inaspettati, vari, sempre nuovi. Vorreste, dunque, che chi è deceduto fosse ancora sottoposto, quotidianamente, a questi mali e rimanesse quaggiú a soffrire infermità, pene, timori e terrori, a subire terribili sciagure e ad essere angosciato in attesa di altre? Non potresti certo dire che, navigando per l'ampio mare della vita, egli sia stato esente da ogni sofferenza e non abbia mai provato inquietudini e altri simili affanni.

Oltre a questo, pensa che tu non hai dato alla luce un figlio immortale, e che, se non fosse morto ora, sarebbe morto fra non molto. Se mi rispondi che non hai avuto il tempo di saziarti della sua compagnia, ebbene potrai godere questo pienamente in cielo. Ma tu vuoi vederlo anche qui? E che cosa te lo impedisce? Ti è possibile anche ora, se sei vigilante. La speranza delle cose future è infatti piú chiara della vista stessa dei tuoi occhi. Se, qui in terra, egli vivesse nel palazzo reale, non cercheresti di vederlo, sapendo che là è stimato e onorato. Ora, sapendo che è andato in un regno infinitamente piú grande, ti abbatti per un cosí breve tempo di separazione, quando hai ancora con te il tuo sposo? E se non hai piú nemmeno il marito, hai come consolatore il Padre degli orfani e il giudice delle vedove.

Ascolta anche le parole di Paolo, che proclama beata questa vedova: Quella poi che è davvero vedova e sola, ripone la sua speranza in Dio (1Tm 5,5). Costei infatti apparirà ancora piú gloriosa, perché avrà dato prova di maggior pazienza e rassegnazione. Non piangere, quindi, per ciò che ti procurerà la corona e che ti farà ottenere la ricompensa. Tu hai restituito infatti il tuo deposito, presentando ciò che ti era stato affidato. Non essere piú in pena, poiché hai riposto in un luogo inviolabile ciò che possedevi. E se riuscirai a comprendere la realtà della vita presente e quella della vita futura, che cioè la prima è una ragnatela e un'ombra, mentre l'altra è immutabile ed eterna, non avrai piú bisogno di altri discorsi. Ora, tuo figlio è libero da ogni vicissitudine. Se fosse rimasto ancora sulla terra, forse sarebbe stato buono, forse malvagio. Non vedi quanti scacciano di casa e diseredano i propri figli? E quanti altri sono costretti a tenerli in casa, loro malgrado, sebbene siano peggiori di coloro che sono stati scacciati?

Meditando su tutte queste cose, comportiamoci con sapienza cristiana: in tal modo saremo graditi anche a coloro che sono morti, riceveremo lodi dagli uomini, da Dio otterremo grandi ricompense per la nostra rassegnazione e godremo infine i beni eterni» (cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 31,3-5).