53) La "questione giovanile" è tipica della modernità o è una problematica che ha attraversato tutte le epoche?

 

 

 

 

Non è semplice dare una risposta a questa domanda che sicuramente ha attraversato a fasi alterne tutte le epoche. Alcuni problemi sono impliciti nella crescita della persona umana e quindi appartengono certamente a tutte le epoche (per es. il desiderio e la lotta per l'indipendenza, la considerazione nel mondo adulto e il desiderio di affermazione, etc...). Altre problematiche sono caratteristiche della nostra epoca che ha sconvolto molti equilibri nella vita quotidiana e nei rapporti generazionali. È interessante per esempio quello che scrive san Giovanni Crisostomo nel suo Commento al Vangelo di san Matteo dove offre una descrizione del mondo giovanile della sua epoca. Si tratta di una visione della vita che non varierà grandemente con il trascorrere dei secoli.

Anche nel Duecento, del giovanissimo Francesco di Pietro di Bernardone (meglio noto come Francesco di Assisi), verrà dato un ritratto in qualche modo affine. Sarà la rivoluzione industriale, con l'affermazione degli stati nazionali e delle ideologie dell'Ottocento a sconvolgere la struttura familiare, alterando decisamente i rapporti generazionali. È proprio in questo quadro della modernità che si inseriranno le figure di nuovi e grandi pedagoghi che getteranno le basi per un approccio originale alla figura del bambino e del giovane, basti pensare a figure straordinarie come Don Bosco, Don Orione, Maria Montessori, e tante altre. Ma chi era Giovanni Crisostomo?

Giovanni nacque ad Antiochia nel 349 ca. (morí a Comana, Cappadocia nel 407) ed è annoverato fra i piú grandi dottori e padri della Chiesa. Studiò retorica con il maestro Libanio. A diciotto anni si avvicinò a Melezio, patriarca di Antiochia, che lo introdusse in una scuola monastica e lo battezzò nel 370. Dopo sei anni trascorsi come monaco tra le montagne presso Antiochia, venne ordinato diacono nel 381 da Melezio e prete nel 386 dal vescovo Flaviano I, successore di Melezio. Noto per le sue doti di eloquenza, serietà e impegno, fu tra i piú grandi oratori della Chiesa antica. Nel 397 Arcadio, imperatore d'Oriente, lo nominò patriarca di Costantinopoli.

Le sue prediche contro i vizi suscitarono l'ostilità di Teofilo, patriarca di Alessandria (385-428), e dell'imperatrice Eudossia, moglie di Arcadio, che lo esiliò dalla capitale nel 403. Richiamato a Costantinopoli poco tempo dopo, fu esiliato una seconda volta nel 404 in un'area desertica dei monti Tauri, dove si impegnò nella conversione al cristianesimo delle popolazioni iraniche e dei goti. Teodosio II, nuovo imperatore d'Oriente, nel 438 riportò il corpo di Giovanni a Costantinopoli, conferendogli una solenne sepoltura. L'appellativo Crisostomo (dal greco Chrysóstomos, "bocca d'oro") venne usato per la prima volta nel VI secolo a motivo della vastità e profondità della sua attività letteraria e della sua predicazione.

Ecco ciò che scrive dei giovani della sua epoca svelando un quadro piú attuale di quanto non si pensi:

 

«Cosí è la maggior parte dei nostri giovani: dominati da selvagge passioni, saltano, tirano calci, corrono sfrenati qua e là, non mettendo alcun impegno in nessuno dei loro doveri. Ma responsabili ne sono i padri; essi, quando hanno cavalli in scuderia, obbligano gli stallieri e i cavallerizzi ad allenarli con gran cura e non permettono che il puledro avanzi molto in età senza essere domato, ma sin da principio gli fanno mettere il freno e tutto ciò che è necessario; invece lasciano vagare per molto tempo senza freno i loro giovani figli, che scorrazzano privi ormai di castità e si disonorano nella lussuria, nel gioco ai dadi, negli spettacoli empi. Sarebbe dovere dei padri prevenire questi disordini, dando ai figli una sposa casta e saggia, capace di allontanare l'uomo da ogni relazione disonesta e di frenare questo puledro. La licenza concessa ai giovani è la causa prima di tante sregolatezze e di tanti adulteri.

Appena un giovane ha una sposa prudente, è impegnato nel governo della sua casa e della sua famiglia, ha cura del suo onore e della sua reputazione. «Ma mio figlio è ancora giovane», si dice. Lo so anch'io. Se Isacco si sposò a quarant'anni (cfr. Gen 25,20), e trascorse tutti quegli anni nella verginità, tanto piú i giovani che vivono ora nel tempo della grazia dovrebbero praticare questa filosofia. Ma che cosa posso fare? Voi non vi preoccupate di vigilare sulla castità dei vostri figli, ma permettete che si disonorino, si coprano di ignominia e diventino degli scellerati, non sapendo che il vantaggio del matrimonio è di conservare puro il corpo. Se questo non si realizza, il matrimonio non serve a nulla. Voi invece fate tutto il contrario: dopo che i vostri figli si sono corrotti in ogni maniera, allora voi li fate sposare senza motivo e senza ragione. «Ma io attendo - tu dici - che mio figlio abbia acquistato onore e meriti nell'attività pubblica». Tu, certo, non tieni conto dell'anima, ma permetti che essa si trascini a terra.

Ecco perché tutto è pieno di confusione, di disordine e di turbamento: perché si trascura l'anima, si dimentica ciò che è necessario e fondamentale, per occuparsi con grande sollecitudine di ciò che è secondario e disprezzabile. Non sai che il piú grande favore che puoi fare a tuo figlio è di conservarlo immune dall'impurità della fornicazione? Nessuna cosa infatti è cosí preziosa quanto l'anima. Che giova all'uomo - dice il Signore - guadagnare il mondo intero, se poi perde l'anima? (Mt 16,26). Purtroppo l'avidità ha pervertito e sovvertito tutto: come un tiranno s'impossessa della cittadella, cosí l'avarizia occupa l'anima degli uomini e vi bandisce il giusto timore di Dio. Ecco perché trascuriamo la nostra salvezza e quella dei nostri figli, avendo come unica preoccupazione quella di arricchire sempre piú e di lasciare in eredità ad altri la nostra ricchezza, in modo che costoro possano lasciarla ad altri ancora, e cosí via. Noi diventiamo cosí dei semplici trasmettitori e non siamo padroni delle nostre sostanze e dei nostri beni.

È una stoltezza enorme: ne deriva che gli uomini liberi sono considerati piú vili degli schiavi; questi ultimi infatti noi li riprendiamo e li correggiamo, se non per il loro interesse, almeno per il nostro; gli uomini liberi invece non godono di questa provvidenza, ma per noi sono piú indifferenti degli stessi schiavi. Come mai dico che trattiamo i nostri figli peggio degli schiavi? I nostri figli infatti sono meno apprezzati delle bestie e noi ci curiamo piú degli asini e dei cavalli che di loro. Se un tale ha una mula e deve trovare uno che la guida, bada che costui non sia un insensato, un ladro o uno dedito al vino, ma conosca bene il suo mestiere.

Quando invece si tratta di dare al figlio un educatore della sua anima, non ci si preoccupa molto della scelta, ma si prende il primo che si presenta; eppure non c'è arte superiore a questa. Che c'è infatti di paragonabile all'arte di formare l'anima e di plasmare l'intelligenza di un giovane? Colui che ne fa professione deve comportarsi e procedere in modo assai piú attento e vigilante di qualunque pittore e scultore.

Noi invece non badiamo a ciò, ma di una sola cosa ci interessiamo: che nostro figlio sia istruito nella lingua. Ma anche di questo ci interessiamo a motivo della ricchezza. Il giovane infatti non impara a parlare per essere eloquente, ma per far soldi con la sua eloquenza. Se ci si potesse arricchire senza essere eloquenti, non ci importerebbe per niente il fatto di saper parlare bene. Vedi, dunque, come è grande la tirannia del denaro, come ha preso e corrotto ogni cosa, come ha preso e trascina gli uomini ovunque voglia, dopo averli legati come schiavi e come bestie» (cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 59,7).