Diverse associazioni ecclesiali impegnate nel sociale e nella difesa dei poveri si sono espresse contro i cappellani militari e questo è un motivo di riflessione molto serio, quali considerazioni si possono fare?

 

 

 

 

Quella dei cappellani militari, definiti non di rado "falsi sacerdoti, guerrafondai e collusi con il potere" è una storia vecchia, un luogo comune che chiunque può smentire con un minimo di ragionamento. C'è un proverbio cinese che dice che quando il saggio indica la Luna lo stupido guarda il dito e credo sia utile per questo genere di contestazioni. La presenza dei cappellani nelle strutture militari non può essere presa come un avallo alla guerra o al militarismo, tanto quanto la presenza dei cappellani nelle carceri non può essere scambiata come un avallo al crimine o alla delinquenza. La presenza della Chiesa nel mondo carcerario non implica certo alcuna approvazione del crimine ma solo una vicinanza all'uomo perfino nelle situazioni piú difficili e disperate. Tale appunto è la missione del cappellano militare, sia in tempo di pace, sia - ancor piú - in tempo di guerra.

La storia dei cappellani militari italiani, per esempio, ha avuto un inizio glorioso in sacerdoti che fecero di tutto, sopportando fatiche e sofferenze indicibili, pur di non lasciare soli i propri giovani, chiamati al fronte nell'immane tragedia del primo e del secondo conflitto mondiale: nomi come quello di don Giulio Facibeni e di don Carlo Gnocchi (Fondazione Don Carlo Gnocchi - Onlus) sono al riguardo molto eloquenti. Il fatto poi che il cappellano militare abbia anche un'uniforme e un grado è un fatto "tecnico" ed è una necessità per poter operare all'interno di un mondo complesso e delicato come quello militare. Anche il cappellano ospedaliero, per esempio, spesso indossa il camice bianco quando si muove nelle corsie e questa è una necessità per cosí dire "tecnica" e nulla piú.

Certe contestazioni ideologiche fanno tornare alla memoria gli antichi movimenti ereticali che si servivano della povertà vera o presunta dei loro seguaci non per vivere il Vangelo ma per contestare la Chiesa. Che un'associazione - ecclesiale o no - si dedichi a fare del bene è cosa certamente lodevole, a patto che ciò non diventi un pretesto per assumere e divulgare posizioni ideologiche o per sentirsi autorizzati a contestare a tutto campo la Chiesa e le sue istituzioni.

«Chi esercita un ufficio - dice l'apostolo Pietro -, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesú Cristo» (1Pt 4,11): a cosa servirebbe, infatti, operare il bene per poi provocare scandali e divisioni in seno alla Chiesa di Dio?