«Il marxismo, caro mio, ha studiato l'economia, il mercato, le leggi sociali.
È meraviglioso, il marxismo. Peccato solo che abbia dimenticato di studiare
l'uomo...» (Edgard Morin, sociologo comunista)

 

 

 

Dopo il crollo del muro di Berlino, avvenuto nel 1989, si è soliti parlare di crollo del comunismo e di fine dell'impero sovietico. In parte è vero: l'epoca del comunismo ortodosso, rigorosamente fondato sul marxismo-leninismo, si è conclusa quasi dovunque, con poche eccezioni come la Corea del Nord e Cuba. Anche gli ultimi regimi sopravvissuti non sottostanno piú a tutti i rigidi dettami dei controllori dell'ideologia che, nelle vecchie dittature comuniste, associavano un forte dogmatismo ad apparati burocratici e polizieschi capillari e soffocanti. Crolla l'ideologia dunque anche se restano in piedi alcune dittature fondate più che altro sul patetico o grottesco culto della personalità del rispettivo leader.

Cosa è rimasto di quegli enormi apparati ideologici, politici, militari ed economici? Il comunismo, infatti, non è morto del tutto e per sopravvivere è stato costretto a mutare in modo drastico e sconcertante. Gli obiettivi, per esempio, sono rimasti in gran parte gli stessi di prima, perseguiti però in modo differente, apparentemente secondo le regole del gioco democratico, con un linguaggio e uno stile del tutto diversi quando non addirittura irriconoscibili. Anche i nomi e le sigle sono cambiati e alcune parole chiave sono state abbandonate: quasi nessuno parla piú di comunismo, di marxismo, di popolo, di lotta di classe o di classe operaia. Il nuovo vocabolario privilegia parole come: gente, maggioranza, libertà, democrazia, immigrati, diritti sociali, lavoratori, meno abbienti, etc... Cosí, a parte alcuni gruppuscoli nostalgici, i grandi movimenti e i partiti della sinistra hanno svecchiato il loro vocabolario e la loro immagine. I suoi nuovi leader sono a prima vista indistinguibili dagli altri. Spesso il loro look rifugge il pesante intellettualismo di una volta ed è moderno e accattivante, non meno di quello dei cosiddetti "neocon", i nuovi conservatori. Certi stereotipi e linguaggi sono stati conservati solo da alcuni movimenti catto-comunisti, ecologisti, alternativi o affini, piú o meno docili nei confronti della grande leadership politica neocom. Dal ceppo originario dei comunisti insomma derivano sostanzialmente due specie: i "comunisti senza comunismo" e i "vetero-comunisti duri e puri".

In queste condizioni, i termini corretti del mutamento sembrano essere "implosione guidata" o "sconfitta organizzata", come prova il fatto che spesso i vinti non hanno perso il potere. E là dove hanno dovuto lasciarne la titolarità, "cambiando tutto affinché non cambiasse niente", spesso l'hanno riconquistata. Il "crollo del comunismo" dunque si rivela essere più che altro una metamorfosi, una trasformazione caratterizzata dall'abbandono della "mitologia socialcomunista", ma non certo del potere effettivo.

Non di rado la trasformazione - insieme forzata e voluta - è stata pilotata dalle diverse nomenklature comuniste senza che si producessero apprezzabili epurazioni. Il passaggio dal regime di capitalismo di Stato a quello di capitalismo privato ha visto la comparsa di capitalisti di dubbia origine, spesso uomini del vecchio apparato, ricchi dei fondi neri dei vecchi partiti, ampiamente coincidenti con le finanze pubbliche delle cosiddette "democrazie popolari". Il regime di libera iniziativa economica e di mercato è stato introdotto in esse proprio da quanti fino a ieri lo negavano per principio con la stessa aggressività con cui lo contrastavano. È così che, quando il mondo socialcomunista si è trovato di fronte a difficoltà generate da molteplici cause, la sua classe dirigente ha avuto il tempo prima di progettare, poi di organizzare la propria successione, senza incontrare spesso ostacoli significativi.

L'obiettivo primario del vecchio comunismo insomma, da sempre, è il potere politico, accompagnato dall'egemonia culturale e mediatica tenacemente perseguite, anche a prezzo della manipolazione delle coscienze e dello scardinamento dei principi etici e morali, in una convinta pretesa "messianica" di giustizia sociale e di progresso. Il mito del potere per il potere è la normale evoluzione di un male storico e devastante della sinistra che si è concretizzato massimamente nello stalinismo. Questo male consiste nella convinzione che il problema principale della politica non stia nel modo, nei fini, nei mezzi e nei programmi con i quali si governa, ma, semplicemente, sul chi governa. Ossia nel dov'è lo scettro. Non è importante cosa fa il potere, importante anzitutto è "chi" è il potere. Solo a questo, in ultima analisi, è votata la lotta di classe, la lotta delle idee, dei principi, delle organizzazioni sociali o sindacali, o partitiche: alla presa del potere. E la presa del potere, di per sé, è la vittoria: chiunque metta in discussione questa vittoria, quindi questo potere, è un nemico da combattere.

Le eredità del vetero-comunismo tuttavia sono tante, fra quelle ancora vive ci sono l’anti-occidentalismo e l’avversione al cristianesimo. L’Occidente in quanto portatore del cristianesimo e del capitalismo è sempre stato il grande nemico da abbattere. Il cristianesimo, con il suo "monoteismo interiore", essendo l’unico tenace oppositore della manipolazione delle coscienze e dei principi etico-morali, è sempre stato inviso all’ideologia comunista. Cosí questa impostazione politico-ideologica vede di buon grado tutto ciò che in qualche modo è ostile all’Occidente e al cristianesimo, come per esempio l’attuale revanscismo islamico, per quanto esso sia in realtà intrinsecamente avverso agli stessi principi neocomunisti. Ora, non si può non rilevare che, quando l’avversario di una volta è stato costretto a cambiare, non si può gridare vittoria, semmai urge capire quanto è accaduto e, se la vittoria non è stata realmente conquistata, trarre le dovute conseguenze. Infatti, poiché ogni risultato implica un costo, quello evitato per una qualsiasi ragione prima della vittoria viene richiesto poi, se non si vuol passare inaspettatamente dalla parte degli sconfitti.

L'evoluzione storico-ideologica di questi ultimi anni ha portato il comunismo a diventare una sorta di partito radicalista di massa che ha fatto del relativismo etico il suo credo principale, il suo mezzo di propaganda e il suo stile. Il comunismo ortodosso, infatti, contemplava un certo codice etico rigoroso nel condannare la debolezza individualista e nel promuovere il bene collettivistico. Si dava insomma una certa tensione idealista, certamente discutibile, ma piú o meno concreta. Il neocomunismo al contrario, in una logica di ricerca del consenso, il piú ampio possibile, ammette ogni istanza, promuovendo un relativismo - difeso come pluralismo - che è funzionale alla sua egemonia politica e culturale: un obiettivo perseguito anche grazie ad un uso ampiamente demagogico dei mass-media.

I suoi collaudati opinion leaders hanno escogitato delle raffinate tecniche per divulgare il loro credo pluralistico ammantato di istanze libertarie, propagandando una tolleranza che ammette qualunque gruppo culturale, qualunque minoranza, qualunque istanza tranne quella cristiana ed in specie quella cattolica. L'espressione cattolica, infatti, viene costantemente de-legittimata e condannata come ottusamente dogmatica, identificandola come l'esercizio di un potere ingiustificato, del tutto abusivo, assolutista e intollerante, ostile ad ogni vera libertà e al progresso. Quali sono dunque le tecniche, anche mediatiche, che fanno parte di questo vecchio e nuovo sistema ideologico? Anzitutto si danno tre principi con i quali è possibile combattere efficacemente gli avversari, cioè la desensibilizzazione, il grippaggio e la conversione:

1. «La desensibilizzazione». Come in tutti i meccanismi di difesa psico-fisiologici, l'ostilità dell'avversario può diminuire con l'esposizione prolungata all'oggetto percepito come minaccioso. Bisogna quindi inondare la società con opportuni messaggi per desensibilizzarla. Si veda per esempio la teoria della "desensibilizzazione sistematica", in Wolpe Joseph (1915-1997), Psychotherapy by reciprocal inhibition, Stanford University Press, Stanford (California) 1958; come pure Scilligo Pio, La psicoterapia: Storia, modelli, orientamenti e tendenze moderne, in Psicologia Psicoterapia e Salute, II, n. 1, Roma 1996, 1-34.

2. «Il grippaggio». Questa tattica consiste nel diffondere messaggi che creano una dissonanza cognitiva negli avversari, per esempio, mostrando ai soggetti che rifiutano l'ideologia per motivi religiosi come la loro discriminazione non sia "cristiana" ed "evangelica"; oppure mostrando le "terribili" conseguenze che la loro scelta può generare. In merito alla dissonanza cognitiva vedasi Festinger Leon, Teoria della dissonanza cognitiva, trad. it., Franco Angeli, Milano 2001.

3. «La conversione». Con questa tecnica si intendono suscitare sentimenti uguali e contrari rispetto a quelli degli avversari. In altre parole si vogliono infondere nell'opinione pubblica sentimenti positivi nei confronti dell'ideologia o del partito e negativi nei confronti degli avversari.

Dopo i principi generali sopra esposti seguono otto principi pratici che possono giovare alla capillare persuasione del pubblico tramite l'azione individuale e l'uso dei mass-media:

1. «Non esprimere semplicemente te stesso: comunica»: l'espressione di sé può avere effetti liberanti ma è scarsamente efficace. Molto meglio invece comunicare: le persone devono essere aiutate a credere che in fondo le loro aspettative e i loro obiettivi sono gli stessi enunciati e perseguiti dal movimento o dal partito.

2. «Non curarti dei salvati e dei dannati: rivolgiti solo agli scettici»: vengono individuati tre gruppi di persone, divisi in base al loro atteggiamento nei confronti del movimento o del partito: gli intransigenti, gli amici e gli scettici ambivalenti; questi ultimi rappresentano il target designato. È a loro che bisogna dedicare gli sforzi maggiori applicando le tecniche di desensibilizzazione con quelli meno favorevoli e di blocco e conversione con i piú favorevoli. Le altre due categorie, i dannati e i salvati, vanno rispettivamente silenziati e mobilitati.

3. «Parla continuamente»: il metodo migliore per desensibilizzare gli scettici ambivalenti sta nel parlare del movimento o del partito finché l'argomento non sia diventato assolutamente noioso. Oltre a questo si offre il maggior spazio possibile agli eventuali ideologi e teologi del dissenso perché forniscano argomenti politici e religiosi utili alla causa.

4. «Mantieni centrato il messaggio: sii te stesso e non altro»: gli attivisti sono tenuti a parlare esclusivamente dei loro principi, infatti, associare i propri messaggi a quelli degli altri può essere controproducente. Le organizzazioni che si battono per cause umanitarie o ambientalistiche, per esempio, sono spesso poco popolari, hanno dimensioni ridotte e solitamente si occupano di argomenti remoti o effimeri, rischiando cosí di confondere le idee rispetto al target. Molto meglio rimanere centrati esclusivamente sui temi di fondo.

5. «Ritrarre il movimento o il partito come una vittima indifesa e non come un provocatore aggressivo»: per suscitare la simpatia (commozione) il partito deve essere presentato come vittima delle circostanze e del pregiudizio avversario, denunciato come la vera causa di tutti i problemi. La non-violenza è il pacifismo, infatti, sono spesso strumentalizzati dal partito a fine propagandistico.

6. «Da' ai potenziali protettori una giusta causa»: in altre parole non bisogna chiedere appoggio per le idee del movimento o del partito, quanto un sostegno ed una difesa contro la lotta "violenta", spesso presunta, che gli viene mossa.

7. «Fa' in modo che il movimento o il partito sembrino buoni»: il movimento (o il partito) deve essere presentato non solo come rappresentativo a tutti gli effetti delle reali esigenze della società, ma addirittura come un fondamento irrinunciabile per essa. Un ottimo modo per farlo sta nell'appropriarsi di personaggi famosi, possibilmente di rilievo storico e mediatico, più o meno noti per i loro contributi, presentandoli come antesignani del movimento o come membri rappresentativi.

8. «Fa' in modo che gli avversari sembrino cattivi»: un ottimo metodo consiste nell'accostare gli avversari, per esempio, ai movimenti politico-ideologici piú biechi e disumani o comunque a quelli più invisi in un dato contesto storico e geografico.

Queste basi ideologiche e queste linee di azione, appena accennate, possono favorire un'unione di intenti anche in un moderno contesto liberista. La nuova struttura ideologica del comunismo, infatti, ha perso lo spauracchio del marxismo-leninismo e si avvale anche della "quinta colonna" del solidarismo propagandato dal dissenso religioso-umanitario; un dissenso che, ammantato di una venatura apparentemente religiosa, vive invece di un filantropismo intimamente alieno da qualsiasi riferimento trascendente. Si tratta della cosiddetta "religione umanitaria", ossia della falsa religione che approva ogni ambizione umana, aborrendo tutto ciò che la contrasta; un modo di intendere la religione strettamente imparentato alla New Age, ossia, al trionfo dello "spiritualismo" a patto che esso soddisfi i sensi.

Nella linea della religione umanitaria, per esempio, si inserisce la cosiddetta "misericordia socialista". Cosí scrive Mons. Giovanni Rupp, vescovo di Monaco Principato, nella lettera pastorale Il Vangelo di misericordia (collana "Maestri nella fede", Ed. LDC, Torino 1970, 22): «Si rimane sconcertati pensando all'atteggiamento di indifferenza assunto dalla società borghese (e liberale) del sec. XIX di fronte al pauperismo provocato dalla industrializzazione. Nei suoi romanzi alla mano, C. Dickens ce ne dà una precisa testimonianza, senza d'altra parte turbare certe "buone coscienze" molto facili a mettersi in pace. In tal modo il socialismo ha preso o è sembrato prendere il posto del Vangelo che i cristiani trascuravano decisamente troppo! Persino ciò che nel comunismo si presenta come l'aspetto piú disumano e violento, e cioè la sua durezza implacabile, gli è stato quasi imposto dalla forza di resistenza dell'egoismo personale e sociale. Impegnati ad abbattere questo muro tenace e secolare, anche pensatori umanitari dal temperamento piuttosto dolce si sono fatti violenti, sanguinari e oppressivi. Dove il rimedio ha sostituito un male con un altro male, spesso peggiore del primo».

Purtroppo questo malinteso senso - non evangelico - di misericordia, alla luce del pregiudizio della lotta di classe ha portato a scambiare l'oppresso con l'oppressore; ha portato al "perdonismo" che assolve l'aggressore, non di rado giustificato dall'appartenenza ad una classe "oppressa", lasciando spesso in secondo piano la tragedia della vittima. Si giunge cosí ad un umanesimo che alla lunga diventa profondamente disumano e al quale accennava Paolo VI nell'enciclica Populorum Progressio (n. 42):

«È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma "senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano". Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l'espressione cosí giusta di Pascal: "L'uomo supera infinitamente l'uomo"».

Quello che bisogna compiere con decisione è un passo avanti verso una rivoluzione culturale di cui si avverte tutto il bisogno affinché il comunismo venga universalmente riconosciuto per ciò che è stato, ed è a tutt'oggi, ossia un sistema criminale mirato all'annientamento della libertà, della dignità e della vita umana. Il comunismo, infatti, non è ancora considerato un sistema criminale come il nazismo, nonostante la storia, dal 1917 al 2005, abbia ampiamente dimostrato questa tesi. La falce e il martello devono essere considerati alla stessa stregua della svastica. Nella scuola si devono studiare i gulag come i lager, deve esserci la possibilità di studiare Stalin, Lenin, Pol Pot e Castro come Hitler, deve esserci la possibilità di studiare l'Unione Sovietica riconoscendola qual era, alla stessa stregua del Terzo Reich. Si deve imparare insomma che il comunismo rappresenta - come il nazionalsocialismo - l'antitesi della libertà, della democrazia e della giustizia, in altre parole, l'antitesi della verità sull'uomo.

 

**