Ogni realtà ecclesiale è stata come provocata dal nuovo Codice: cerca di situarsi meglio, di capire piú chiaramente la propria missione, di unire piú profondamente spirito e strutture, di vivere sempre meglio il mistero della Chiesa.

Il vicariato castrense fa lo stesso; si interroga e si pone dei problemi (1). In effetti, nel progetto di Codice del 1980 si faceva menzione esplicitamente di questi vicariati come da assimilarsi a una Chiesa particolare (can. 337, par. 2). Il Codice promulgato non ne fa piú menzione, come non menziona piú sotto lo stesso titolo le prelature personali. Il testo del can. 337 par. 1 è diventato il can. 370 del codice in vigore; il paragrafo due è stato soppresso (2).

Infine, si tratta delle persone che appartengono a questi vicariati; il codice attuale vi allude indirettamente parlando dei cappellani. Il canone 569 è laconico: I cappellani militari sono retti da leggi speciali (3). Queste leggi speciali sono quelle che trattano dei vicariati castrensi. Per ora resta in vigore l’Istruzione della congregazione concistoriale «Sollemne semper» del 23 aprile 1951 (4). Queste giornate di studio avranno, pare, un’influenza rilevante sulle nuove norme, da riferire al codice attuale, alle circostanze particolari e alle situazioni pastorali che sono oggetto del vostro incontro. Un nuovo documento sui vicariati castrensi è auspicato, diciamo pure, necessario.

Può essere chiarificante chiedersi perché le prelature militari, dette anche vicariati castrensi, nello schema del 1980 sono state considerate come Chiese particolari mentre il Codice promulgato di recente non le nomina piú.

Innanzitutto notiamo i termini usati: al posto di vicariati castrensi, il canone 337 par. 2 del progetto del 1980 diceva: Praelaturae castrenses quae vicariatus castrenses quoque appellantur. Il testo anteponeva una nuova denominazione; cosí pure situava i vicariati tra le prelature personali. Queste prelature erano considerate come certa populi Dei portio, esattamente come le diocesi, le une territoriali e il Codice attuale le ha conservate (5), le altre sono personali, non legate a un territorio determinato; inoltre queste prelature personali erano limitate nella loro missione pastorale; potevano essere erette etiam ad peculiaria opera pastoralia vel missionaria perficienda (6). Sempre nel progetto del 1980 si diceva che l’incarico pastorale del Prelato, capo della Chiesa particolare, si estendeva solo ai fedeli che gli venivano affidati per una ragione specifica, in considerazione di una situazione determinata, e questo spiegava il carattere personale della prelatura: indolem habeat personalem complectens nempe solos fideles speciali quadam ratione devinctos (7).

Questo legame pastorale era chiarito dal fatto che le prelature militari erano presentate come esempio; huiusmodi sunt Praelaturae castrenses, «sono di questo genere le prelature militari», che non erano certamente le sole! Inoltre, se si fosse detto di queste prelature che potevano anche avere una finalità pastorale o missionaria particolare, era evidente che una tale prelatura potesse avere un incarico pastorale completo, non specifico, una cura d’anime come l’hanno le diocesi, le prelature e le abbazie territoriali, solo determinato da un gruppo particolare di persone, da una situazione sociale determinata.

(Traduzione dal francese a cura di Don Antonio Virdis).

 

 

Perché queste prelature sono scomparse dal Codice?

Vediamo prima di tutto che cos’è una Chiesa particolare. Vediamo pure come nel 1980 il progetto di Codice avvicinasse alla Chiesa particolare le prelature territoriali, quindi le prelature personali. Vediamo ancora quale nuova forma prende la prelatura personale nel Codice promulgato.

Seguendo la dottrina del Concilio, la Chiesa particolare era prima di tutto la diocesi: sunt imprimis dioeceses (8). Ora la diocesi raccoglie una certa porzione del popolo di Dio affidata a un vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, che deve essere il pastor proprius di questo popolo; il Vescovo lo riunisce con la Parola, il Vangelo, e con l’Eucaristia, nella potenza dello Spirito Santo. Assemblea riunita nello Spirito, la Chiesa particolare è anche convocata e formata dalla Parola e costituita dall’Eucaristia, culmine della sua vita (9).

Una tale Chiesa particolare è la Chiesa di Cristo nella quale è veramente presente e operante la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica (10),Chiesa universale nella Chiesa particolare (11). Quattro elementi essenziali costituiscono la Chiesa particolare: la parola del Vangelo, la celebrazione eucaristica che assicura la presenza e l’unione al Verbo incarnato, la presenza dell’una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia, la persona del Vescovo e del suo presbiterio, responsabile della direzione di questa Chiesa e legame di comunione con le altre Chiese particolari nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica: in quibus et ex quibus una et unica existit Ecclesia catholica (12). Il canone 368, canone 335 del progetto 1980, riprendeva cosí la dottrina del Concilio e una delle sue formule dottrinali piú dense e memorabili (13).

Questa descrizione, ripresa al canone 335 par. 1 del progetto, era seguita da un testo importante: tali sono prima di tutto le diocesi, alle quali, a meno che non appaia il contrario (nisi aliud constet), sono assimilate la prelatura territoriale, l’abbazia territoriale, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica come anche l’amministrazione apostolica eretta in modo stabile (14). Un secondo paragrafo - che sarà soppresso - diceva «è equivalente» in diritto alla Chiesa particolare - in iure aequiparantur - a meno che per la natura delle cose о la prescrizione del diritto non appaia il contrario e ciò in conformità agli statuti dati dalla S. Sede è la prelatura personale (15); questo testo è scomparso. E sono scomparse anche le prelature castrensi le uniche citate esplicitamente, a titolo di esempio, come prelature personali (16).

Notiamo innanzitutto che la praelatura castrensis - che traduciamo con «prelatura castrense» - è dunque stata preferita al termine «vicariatus castrensis (17). Il vicariato, come il vicariato apostolico, è una entità il cui pastore opera in nome del Sommo Pontefice. Anche se il suo potere è ordinario, sarebbe vicario. Il termine è stato usato per i vicariati castrensi. Questi vicariati non erano dipendenti dai vescovi diocesani locali; per attribuire loro una missione propria e un potere pastorale, si richiedeva l’intervento d’un potere superiore, piú ampio, e in questo caso, quello del Sommo Pontefice (18).

Consolidare questi vicariati come prelature personali comportava dunque un cambiamento importante. La prelatura è una entità autonoma, territoriale o no; forma Chiesa particolare, se possiede gli altri elementi propri della Chiesa particolare, il cui prototipo resta la diocesi: un pastore proprio, un vescovo coadiuvato dal suo presbiterio di cui è il capo e fa parte, un raggruppamento di fedeli, autonomo, nel senso che dipende da un solo vescovo, da un solo presbiterio ed è riunito nella Chiesa dalla Parola e dalla Eucaristia. Questi elementi formano la Chiesa particolare nella quale è presente e operante la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica (19).

Se la Chiesa è veramente costituita e pienamente formata come Chiesa particolare, deve manifestare la vita della Chiesa nella sua totalità; deve essere vita e testimonianza di tutte le forme di vita ecclesiale; deve essere l’ambiente vitale di un laicato formato (20) e di tutte le forme di vita consacrata, anche della vita contemplativa, monastica (21). Questa densità ecclesiale è stata considerata nel Concilio come essenziale alla vita d’una Chiesa particolare pienamente costituita. Il Decreto «Ad gentes» è fortemente illuminante a questo proposito (22).

È alla luce di queste esigenze essenziali per la costituzione e la vita di una Chiesa particolare che si capiscono meglio le sfumature del testo: l’«assimilantur Ecclesiae particulari» è certamente piú forte dell’«aequiparantur»: quest’ultimo era un termine usato per le prelature personali, il primo per le prelature territoriali. Da qui la domanda: perché assimilantur? Perché questa minore rassomiglianza? Il fatto della territorialità ha per certo decisamente segnato questa dottrina: la unicità del pastore proprio su un territorio particolare, ben determinato, è un fattore d’unità e una definizione ben determinata della sua competenza (23). Le altre forme di Chiese particolari hanno al contrario, tutte, norme piú duttili nella struttura come nella vita pastorale.

La prelatura territoriale non ha necessariamente a capo un vescovo; cosí pure l’abbazia territoriale (24). Si può dire che un prelato non vescovo abbia un presbiterio reale? Certi teologi diranno che ci vuole il vescovo per avere presbiterio, che tutti i vescovi, anche ausiliari o coadiutori della diocesi, ne fanno parte. Ma se il vescovo ordinato è pastore proprio della sua Chiesa particolare, 1o è non per la sua ordinazione, ma in virtú del suo mandato canonico. Questo mandato gli conferisce la porzione del popolo di Dio cui egli presiede. In questo senso, si può dire che un prelato, Ordinario personale, potrebbe parlare del suo presbiterio, se i sacerdoti che lo compongono dipendono pienamente da lui, incardinati o iscritti nella sua Chiesa particolare, cooperatori con il prelato, pastore proprio di questa comunità ecclesiale. La cosa rimane tuttavia discussa: esiste presbiterio senza la presenza del vescovo, padre di questi sacerdoti? Si deve allora sottolineare che i testi del progetto (26) come quelli definitivi hanno parlato di queste entità assimilate alle diocesi come di Chiese particolari, aventi un «pastor proprius», senza parlare tuttavia della cooperazione d’un presbiterio proprio a queste comunità ecclesiali.

Riguardo al vicariato o alla prefettura apostolica, è detto esplicitamente che queste comunità, non essendo ancora erette in diocesi, sono affidate al vicario o al prefetto apostolico, che le dirige in nome del Sommo Pontefice (28). Questa situazione è transitoria; il responsabile non agisce con responsabilità propria, ma in nome del Sommo Pontefice, anche se è ordinato vescovo. Si capisce dunque che la denominazione di «Pastore proprio» non appariva nel testo riguardante le prelature personali (29). Nella stessa situazione si trova l’Amministrazione apostolica, che viene creata, quando, per ragioni particolari e gravi, non può essere eretta in diocesi (30).

Un punto rimane sempre fermo. Come regola generale, in diritto latino, la Chiesa particolare è territoriale, sí da riunire in una sola chiesa tutti quelli che abitano sullo stesso territorio. La rigidità del principio è stata tuttavia allentata dal fatto che si ammettono eccezioni; quando sembri utile, è previsto che la S. Sede possa erigere delle Chiese particolari, distinte a motivo del rito o di simili ragioni. Bisogna rilevare tuttavia che in questi casi il Codice evita di parlare d’una diocesi personale (31). Il rito tocca tutta la vita; suppone nei membri e nel clero di questa Chiesa particolare una origine speciale, una diversa cultura, una teologia e una spiritualità particolari, torme speciali di vita consacrata. Caratteri appunto descritti nel decreto «Unitatis redintegratio» (32).

 

 

 

I

Perché la prelatura castrense non era considerata come Chiesa particolare?

 

Abbiamo visto che la presenza d’un Ordinario proprio era previsto per la prelatura personale; non si richiede che questo prelato debba essere vescovo. Il presbiterio deve costituirsi attorno a un vescovo, padre di questi sacerdoti; non pare sia richiesta l’incardinazione o l’iscrizione definitiva a questa prelatura come Chiesa particolare. Tuttavia, alcuni testi suppongono questa presenza del vescovo. Il decreto «Christus Dominus», come «Lumen Gentium», sembra richiederlo. I religiosi impegnati in una diocesi non apparterrebbero che al clero della diocesi, senza appartenere al clero diocesano (33); ma il decreto «Ad gentes» prevede semplicemente che i missionari siano membri del presbiterio (34). I documenti conciliari vanno in questo senso (35). Il Codice ha stabilito la cosa al canone 498 par. 1, 2 (36). Si può obiettare che il Codice non ha dato una definizione del presbiterio; e si capisce che non l’abbia data, vista la mancanza di chiarezza dei testi conciliari.

Infine, le persone affidate alla prelatura castrense sono veramente «christifideles» d’una prelatura personale? Sí, se il prelato è il pastore proprio di questi cristiani, come lo è in diritto il vescovo diocesano per i suoi diocesani. Bisogna tuttavia attenuare questa asserzione. Un vescovo diocesano può raggiungere i propri diocesani, anche se stanno fuori del suo territorio; cosí come è responsabile dei cristiani che vivono anche temporaneamente o sono di passaggio nella sua diocesi (37); si noterà immediatamente che nel progetto del 1980, la prelatura personale non era piú Chiesa particolare nel senso pieno del termine, se i cristiani che dipendono dal prelato sia pure vescovo, non dipendono da lui come dal proprio pastore; se questi sono soggetti di una doppia giurisdizione, quella della loro diocesi e quella della prelatura che li riceve. Ciò è ancor piú evidente, se le due giurisdizioni non sono complete, se certi atti religiosi o certi servizi pastorali sono riservati a una Chiesa particolare come la diocesi; pur lasciando una responsabilità cumulativa ai due responsabili di queste comunità ecclesiali (38). La nuova figura della prelatura personale sarà ancor meno Chiesa particolare, se essa non gode che di un clero specifico o missionario, al quale si aggiungono per contratto dei laici che vogliano cooperare in un’azione apostolica specifica. Tale è in effetti oggi la sua descrizione al canone 29.

Se le cose stanno cosí, il vicariato castrense non è considerato come Chiesa. particolare. Può essere prelatura personale dopo le determinazioni che quest’ultima forma di vita ecclesiale ha ora nel Codice in vigore?

Come si può constatare, le prelature personali erano non assimilate ma equivalenti a una Chiesa particolare. La commissione per la revisione del Codice riunita in sessione plenaria si oppose a queste norme. Si voleva assolutamente evitare una doppia giurisdizione cumulativa piena come ogni doppia giurisdizione, fosse pure parziale.

Fu in seguito a questo rifiuto che si aggiunge alla fine della parte che trattava della costituzione gerarchica della Chiesa i quattro canoni che riprendevano le determinazioni del Mp. «Ecclesiae Sanctae» a proposito delle prelature personali previste al servizio delle Chiese particolari per una migliore distribuzione del clero, e in funzione di una pastorale specifica o d’un lavoro missionario (40). Questi quattro canoni furono trasferiti in extremis dopo la parte che tratta dei chierici, cioè furono ricondotti al loro punto di partenza, se si valuta che Paolo Vi specificò concretamente nell’«Ecclesiae Sanctae» ciò che il Concilio aveva suggerito in modo poco chiaro nel decreto «Presbyterorum ordinis» (41). La prelatura castrense risponde a una migliore distribuzione del clero? È questa la domanda alla quale bisogna rispondere, se si tiene conto dei canoni attuali, che situano e definiscono la prelatura personale. La risposta non è semplice.

I militari e le loro famiglie sono soggetti di una doppia giurisdizione. I preti che li aiutano possono dipendere da un ordinario; non sono incardinati al vicariato; il loro contratto è temporaneo, rescindibile. Certi vicari castrensi non desiderano una incardinazione al vicariato; ciò comporterebbe una vocazione particolare, un seminario proprio, una responsabilità piena nella costituzione di questo clero. Oggi questi preti sono volontari, diocesani o religiosi che siano; rimangono dipendenti dal loro vescovo d’incardinazione o dai loro superiori maggiori. Si può parlare in questo caso di una migliore distribuzione del clero?

Il loro apostolato si può dire specifico? Si tratta piuttosto di una missione pastorale completa, ma svolta verso un gruppo preciso. Questo gruppo è specificato dalla sua missione particolare: conosce problemi etico-morali speciali in rapporto al proprio incarico: difendere la patria, assicurare la pace; deve confrontarsi con i problemi che pone la legittima difesa, la guerra giusta, l’uso delle armi moderne, l’obiezione di coscienza, il terrorismo e la guerriglia, i diritti umani, la dipendenza da governi estremisti di destra o di sinistra e il ruolo dei loro eserciti. Tutti problemi per i quali la dottrina della Chiesa secondo il Vangelo dev’essere considerata e elaborata al servizio di tutti, ma piú particolarmente nella pastorale d’un vicariato castrense. Insomma, possiamo concludere: il vicariato castrense non è una Chiesa particolare nel senso completo del termine. Non è una prelatura personale nel senso attuale del Codice. Può essere un Ordinariato militare. Chiariamo queste diverse conclusioni.

 

a. Il vicariato castrense non è una Chiesa particolare

La «certa portio populi Dei» non è affidata al prelato, anche se vescovo, come a un Pastor proprius. La giurisdizione dell’Ordinario militare è primaria ma resta cumulativa. Inoltre, questa Chiesa particolare non ha un clero proprio. I preti, che collaborano a questa missione, secolari o religiosi, restano incardinati o iscritti nella loro propria diocesi o Istituto religioso. Da qui, i fedeli che dipendono dal vicariato o di cui questo si occupa non sono suoi «diocesani», porzione del popolo di Dio affidata a un pastore proprio, un vescovo coadiuvato dai preti che compongono con lui il presbiterio della diocesi.

 

b. Il vicariato castrense non è una prelatura personale

Anche se il progetto del Codice prevedeva il vicariato castrense come prelatura personale, la cosa sembra oggi impossibile per il fatto che queste prelature personali hanno ricevuto una fisionomia molto piú determinata, in questo senso, una definizione piú ristretta. La prelatura personale è formata da un clero destinato a un lavoro pastorale specifico; questo clero comporta diaconi e preti «secolari»: sono dunque esclusi i religiosi. Inoltre, il prelato, Ordinario della prelatura ha responsabilità di formazione che normalmente non ricadono sugli Ordinari militari: seminario nazionale o internazionale e formazione spirituale, mantenimento e remunerazione appropriata come per i chierici diocesani. I preti della prelatura sono incardinati a titolo di servizio della prelatura. Ciò che non è previsto né sollecitato per gli ordinariati militari. Quanto ai fedeli che dipendono dalla prelatura, essi le sono uniti per contratto, per partecipare a un apostolato determinato. Sono collaboratori apostolici. E questo non è il caso dei militari e delle loro famiglie di cui l’Ordinariato militare si occupa. Infine, non si vede perché si dovrebbe prevedere negli statuti propri di ciascun ordinariato una precisazione di compiti propri, pastorali o missionari; la missione dell’ordinariato in effetti ricopre l’intero campo pastorale verso persone pienamente affidate alle cure dell’ordinario e dei cappellani militari. Queste persone sono in un certo senso membri del vicariato come i fedeli sono membri di una diocesi. L’ordinariato militare non può considerarsi come prelatura personale; non ha alcuna ragione per farlo; come gruppo essenzialmente sacerdotale, la prelatura personale dei Codice non può essere considerata come Chiesa particolare.

 

c. Il vicariato può essere riconosciuto come Ordinariato militare

La cura pastorale dei militari abbisogna di una struttura di Chiesa molto vicina a quella di una Chiesa particolare, senza tuttavia esserle identica. Si può parlare di un Ordinariato militare, se un ordinario avente giurisdizione propria e non vicaria, è responsabile dell’azione dei preti e dei diaconi secolari o religiosi che lavorano con lui e sono destinati a questo apostolato. Pare che la legge propria concernente questo apostolato militare debba optare per una terminologia adeguata e parlare di Ordinariato militare (42). In effetti, il termine «vicariato» è improprio. L’ordinario militare non agisce né in nome del. Sommo Pontefice, né in nome dei vescovi diocesani d’una stessa nazione o di piú nazioni, se si tratta di una forza internazionale. Che questo Ordinariato sia riconosciuto dalla S. Sede, e questo mandato canonico sia concesso dalla Sede Apostolica non implica che la comunità ecclesiale sia un «vicariato» o una amministrazione o una prefettura apostolica.

Comunque sia, non è per il fatto che un Ordinariato militare non realizza tutte le condizioni poste per una Chiesa particolare che deve ritenersi sminuito. Esso deve essere ciò che è; il suo statuto deve corrispondere a ciò che fa. È una entità ecclesiale ben definita; per questo, gli sono necessari una legge particolare e statuti appropriati (43). Solo a queste condizioni esso potrà esercitare pienamente la sua missione e lavorare al bene di coloro che gli sono affidati.

 

 

 

II

Che cosa comporta un Ordinariato militare

 

Ora dobbiamo almeno esaminare rapidamente ciò che comporta un ordinariato militare autonomo, pienamente costituito: un ordinario, dei vicari generali o «episcopali», dei cappellani militari o cappellani principali o ausiliari, rientrando tutti in una giurisdizione adatta alla loro missione. Non è abituale, né auspicabile che i preti secolari vengano incardinati all’Ordinariato militare. Sono tuttavia auspicabili la formazione dei suoi preti secolari e religiosi per i loro compiti specifici, un sostegno spirituale appropriato al loro ministero, una forma di vita fraterna che possa essere d’aiuto e occasione per ricaricarsi. L’Ordinariato, se è esteso e raccoglie un gran numero di fedeli, può godere di una curia propria e anche di propri tribunali, come ha propri archivi e registri particolari.

Bisogna esaminare ciascuno di questi punti.

In alcune grandi nazioni, l’Ordinariato affidato da principio al presidente della conferenza episcopale, a un arcivescovo di una sede importante o a un vescovo diocesano, preferibilmente dovrebbe essere affidato a un prelato, se possibile a un vescovo che non dovrebbe avere altre responsabilità se non quella della pastorale militare. Questa pastorale in certi paesi si estende alla polizia, alla guardia reale o presidenziale, a servizi specifici d’ordine pubblico, dogane e polizie nazionali. Questa responsabilità pastorale darebbe diritto al prelato o vescovo, Ordinario militare, di partecipare alle sessioni della conferenza episcopale del Paese. E ciò è tanto piú auspicabile per il fatto che la giurisdizione dell’Ordinario militare è estesa a tutto il territorio, a tutta la forza armata, anche a quella che si trova all’estero, e per il fatto che deve esercitarsi cumulativamente con quella dell’Ordinario del posto o dell’Ordinario d’origine o del domicilio privato; essa rimane primaria, essendo senz’altro secondaria la giurisdizione degli altri ordinari interessati.

In alcuni Paesi, l’Ordinario militare avrà uno o piú vicari generali. Si avrà l’applicazione concreta di questa norma, quando le persone affidate all’Ordinariato sono numerose e differenziate per tipo di vita militare: esercito, aeronautica militare, marina militare. In questo caso l’Ordinario dovrà avere almeno tre vicari generali settoriali. Potrebbe inoltre avere uno o piú vicari episcopali per una pastorale specifica, p. e. a favore dei bambini e dei giovani appartenenti alle famiglie che compongono l’Ordinariato come comunità ecclesiale.

Riguardo ai cappellani militari, è piú difficile stabilirne uno statuto, vista la mobilità del loro apostolato, la dislocazione della forza armata, centri di formazione, caserme, campi d’arma, ospedali e carceri militari. Una cosa sembra ferma: il cappellano militare d’un reggimento o di uno stabilimento militare dovrebbe avere verso i soldati e le loro famiglie gli stessi poteri che ha il parroco verso i suoi parrocchiani. Se altre volte si è insistito perché il matrimonio si celebri preferibilmente davanti al parroco della sposa (44), tale esigenza non è stata ripresa dal Codice attuale (45). Riguardo alla facoltà di assolvere, ogni prete che sia abilitato dal proprio Ordinario d’incardinazione, può assolvere dappertutto, senza che sia necessario richiedere un’approvazione speciale (46). Bisognerà prevedere che l’Ordinario militare e i suoi vicari possano anch’essi conferire le stesse facoltà (47). Essi lo possono per analogia del diritto, ma bisognerà, in caso d’un nuovo statuto, menzionare questa possibilità. Cosí pure la facoltà di cresimare concessa al parroco e a ogni prete nel caso di pericolo di morte (49). Questo nuovo statuto è auspicabile, se non necessario (50).

Siccome tra i sacerdoti e i diaconi dell’Ordinariato militare vi possono essere dei religiosi, è desiderabile che la loro posizione venga definita in un unico regolamento. Ciò che non è accaduto finora. Li riguardava una istruzione speciale, che apparve nel 1955.

Non essendo necessaria, e neppure desiderabile, l’incardinazione dei sacerdoti secolari all’Ordinariato militare, come abbiamo già visto, non è previsto neppure, e non è da prevedersi, un seminario proprio. Ciò non impedisce l’opportunità di una formazione specifica innanzitutto prima che si entri al servizio dell’Ordinariato e quindi per tutta la durata di questo ministero, a periodi stabiliti, secondo i casi e le esigenze della pastorale che si deve affrontare o impostare (51).

Il sostegno spirituale ai sacerdoti - secolari e religiosi - dovrebbe essere previsto, programmato, regolare. La solitudine richiesta spesso dalla mobilità e dalla diversità di questa cura pastorale esige sia un sostegno appropriato che una vita fraterna conveniente (52). Il regolamento dell’Ordinariato dovrebbe almeno ravvisare questo problema.

Riguardo alla curia propria dell’Ordinariato, potrebbe situarsi nella sede dell’Ordinariato militare, in prossimità d’una chiesa propria dell’Ordinariato, chiesa principale in cui si terrebbero le funzioni piú solenni, quando si possano riunire in una stessa chiesa tante persone diverse e disperse (53).

Un punto da considerare è se sussista la necessità e l’utilità di organizzare un tribunale proprio del vicariato. Certamente, ne sarebbero facilitati i rapporti col vicario giudiziario e i preti dell’Ordinariato, per il maggior bene delle famiglie e delle persone interessate. Si potrebbe auspicare anche una seconda istanza per facilitare il disbrigo degli affari e il trattamento delle cause (54).

La questione della registrazione dei battesimi, delle cresime e dei matrimoni dovrebbe essere prevista e chiaramente risolta, come pure l’eventuale trascrizione nei registri parrocchiali o diocesani secondo i casi (55). Tutto ciò richiede archivi ben organizzati, come pure il passaggio ad archivi piú centralizzati dopo un certo tempo o in caso di ristrutturazione dell’Ordinariato.

Si pone un ultimo problema: cioè, come sono definite le categorie di persone affidate alla cura pastorale dell’Ordinariato, i militari in servizio, i militari in pensione; le loro famiglie, le persone a loro servizio, i religiosi e le religiose e altre persone a servizio dei malati e infermi negli ospedali o cliniche loro riservati (56), i carcerati e il personale di custodia. Tutto ciò meriterebbe di essere esaminato e sistematizzato con cura, vista la giurisdizione cumulativa dell’Ordinariato e la priorità che gli è riconosciuta.

Bisogna infine che notiamo un punto che pare sia sfuggito all’attenzione degli specialisti e dei redattori dell’istruzione «Sollemne semper» del 23 aprile 1951, cioè che l’Ordinariato militare è prima di tutto territoriale. Il suo territorio è quello della nazione. Partendo da questo territorio, la forza armata può andare per motivi di guerra o di pace in territorio estero. Su questi territori, l’Ordinariato raggiunge le persone; e non è piú sul proprio territorio. Infine, sul proprio territorio gode di una giurisdizione personale, eppure può ugualmente avere edifici propri: chiese, cappelle, caserme, ospedali, carceri dove la giurisdizione del vescovo diocesano può essere esclusa. Bisognerebbe allora prevedere questa extraterritorialità che eviterebbe discussioni e conflitti. Questo punto dovrà essere studiato in vista di un miglior progetto di legge particolare sugli Ordinariati militari.

 

 

 

III

Perché non parlare in questo caso di una diocesi personale?

 

Resta una questione suggerita dai vicariati castrensi. Possono questi essere considerati come diocesi personali? Che rispondere? Nel canone 339, par. 2 del progetto del 1980 il termine è certamente usato, ma questo paragrafo è stato soppresso (vedere testo annesso). È stato usato nell’accordo del 2 gennaio 1979 tra la S. Sede e lo Stato spagnolo circa il vicariato castrense. È scelto bene? Io credo che sia da evitare. L’abbiamo visto, il vicariato può meglio essere detto «Ordinariato»; questo non è una diocesi, soprattutto perché manca la territorialità ristretta propria della diocesi in una nazione. Ma l’Ordinariato può essere considerato come Chiesa particolare, benché la giurisdizione cumulativa sia un aspetto che ne indebolisce tale configurazione.

Il vicariato ha il proprio territorio, quello della nazione; può estendersi a dei fedeli che sono assenti dal territorio, come un vescovo diocesano può raggiungere e sostenere i propri diocesani assenti dalla diocesi. Si può dire, visti i dubbi a proposito del presbiterio, che un vicariato ha il proprio, sacerdoti a servizio di questo gruppo determinato di fedeli; anche se non incardinati, sono legati a questo Ordinario per mezzo di convenzione scritta. Vicari generali e episcopali, Vicario giudiziario e tribunale proprio, curia, archivi, cappellani ordinari e ausiliari con funzioni di parroco sono previsti ed esistono. Per questi caratteri si può parlare di “diocesi personale» ma il termine è restrittivo; esso indica un territorio limitato nella provincia ecclesiastica e nella nazione. Non tiene conto e non esprime la competenza cumulativa propria di quest’Ordinariato. Falsa le idee; può suscitare dubbi e problemi. Forse mette meglio in evidenza la partecipazione del Vicario castrense - spesso arcivescovo o vescovo titolare - alla conferenza episcopale nazionale. È necessario che sia arcivescovo «titolare», se l’Ordinariato è assimilato a una Chiesa particolare? Riteniamo che non debba essere vescovo titolare, e ancor meno vescovo ausiliare d’una Chiesa diocesana importante nella nazione. Quindi, si può, per gravi motivi, respingere la terminologia, di cui si auspica l’introduzione. Parlare di una «diocesi personale» susciterà degli equivoci, anche se garantisce meglio la partecipazione alla Conferenza dei vescovi. Inoltre non offre tutta l’ampiezza che merita e deve ottenere un «Ordinariato militare»; si parlerà difficilmente di una diocesi militare o d’una diocesi castrense.

 

 

 

IV

Un potere «vicario» è da preferire?

 

Si deve preferire per qualche motivo che il Prelato militare, Vicario castrense, Ordinario militare, eserciti una giurisdizione o un potere «vicario»? È necessario che sia «vicario»? Ecco la questione. Bisogna vederci un mandato soprannaturale? È necessaria questa dipendenza piú diretta dal Sommo Pontefice? Il Papa non potrebbe essere un elemento di unità e di accordo, se i vicari castrensi ricevessero da lui la loro giurisdizione personale? È davvero difficile, per questi motivi, rinunciare alla fisionomia propria che deve avere l’Ordinariato militare. Inoltre, ciò che fra cristiani crea l’unione e la testimonianza della carità non dipende dalla qualità canonica del potere esercitato dal vicario castrense, ma è l’essere «uno in Gesú Cristo», unità battesimale che sostiene la struttura gerarchica della Chiesa, la comunione dei vescovi e altri prelati come capi di Chiese particolari. Ancora, la giurisdizione ordinaria propria aumenta il senso della responsabilità personale di coloro che la esercitano in dipendenza dal capo del Collegio dei vescovi, dal suo potere supremo, pieno e immediato, su tutti i membri del Popolo di Dio, pastori e fedeli. Ma ancor piú, non si deve piuttosto tutelare l’indipendenza del Vicario di Cristo, il Padre di tutti i cristiani? Non ne resterebbe menomata per il fatto che i vicari castrensi, soprattutto in stato di guerra, agirebbero in suo nome in una situazione di conflitto e di inimicizia internazionale? L’argomentazione che sostiene la tesi contraria favorevole al mantenimento d’un vicariato, con potere esercitato in nome del Sommo Pontefice, è destituita di fondamento dottrinale. Non può imporsi a definire e decidere una situazione ecclesiale complessa e oggi strutturata meglio.

 

 

Conclusioni

 

L’Ordinariato militare è una realtà pastorale che, dopo il 1910, s’è andata sempre meglio definendo e piú chiaramente affermando. La prova ci è fornita dallo schema del 1980 che considerava la prelatura castrense come Chiesa particolare e l’assimilava cosí alle diocesi. Se il testo è scomparso, la causa è da ricercare altrove, non nell’esistenza e nell’operato dei Vicariati castrensi. Oggi non gli si può applicare la nozione di prelatura personale, quale è fissata nei canoni 294-297. Non è auspicabile ed è dannoso parlare di «Diocesi militare». Il termine è equivoco, la realtà si estende all’intero territorio di una nazione. Sarebbe una diocesi sopra-diocesana, una diocesi nazionale!

Bisogna quindi determinare meglio il diritto dei Vicariati castrensi. Chiamarli con un nome piú appropriato tutelerà meglio la loro identità. La legge particolare - piú che una Istruzione! - darà di questi vicariati o meglio di questi Ordinariati militari un’idea migliore, una struttura piú idonea, una sana autonomia e prerogative definite meglio, riservando tuttavia molto spazio alla diversità di situazioni e di costumi, mantenendo l’equità canonica essenziale alla vita della Chiesa e alla salvezza delle anime.

Nel nuovo Codice è augurabile che il «munus regendi» abbia un proprio posto e non sia eliminato, come ha fatto il Codice attuale. È da augurarsi che la struttura gerarchica della Chiesa sia separata dal libro che tratta dei membri del Popolo di Dio. Nella parte che tratterà della Costituzione gerarchica della Chiesa ci dovrà essere un titolo speciale per gli Ordinariati militari, come vi si tratta oggi delle diocesi, delle parrocchie e dei decanati. L’Ordinariato militare può e deve essere assimilato a una Chiesa particolare. Esso ha il proprio territorio - nazionale - un proprio Ordinario, un clero particolare che forma presbiterio, un suo popolo - portio populi Dei - la sua giurisdizione si estende, come quella dei vescovi diocesani, ai fedeli assenti dal proprio territorio - la loro nazione - per assicurare loro una pastorale idonea in paese straniero, tanto in tempo di guerra che di pace.

Dopo aver esposto e studiato gli aspetti del problema che pone il vicariato castrense, non si può che augurarsi che una legge particolare gli permetta di essere ciò che è e di fare ciò che richiede la sua missione.

 

 

 

 

 

ANNESSO

[...Omissis...]

 

 

 

 

 

 

Note

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(1) Il vicariato castrense è retto attualmente dall’Istruzione «Sollemne semper» del 23 aprile 1951. Essa tratta dei «vicariati castrensi»; si veda AAS 43 (1951) 562-565. Nei 1955 la Congregazione dei Religiosi pubblicò una Istruzione a proposito dei cappellani militari religiosi. Questa è del 2 febbraio 1955; si veda AAS 47 (1955) 93-97. Questi testi sono riportati e commentati nel piccolo volume storico-canonico di Francesco Agostino Pugliese SDB dal titolo Storia e legislazione sulla cura pastorale alle Forze Armate, Marietti, Roma, 1956, pp. 229. Queste due Istruzioni, approvate dal Santo Padre, andavano di fatto ben oltre. Davano uno statuto particolare ai vicariati e ai preti che vi hanno cura d’anime.

(2) Bisogna paragonare il progetto di Codice del 1980 con il testo del Codice in vigore e tener conto dei mutamenti apportati dalla commissione riunita in sessione plenaria nell’Ottobre 1981 e delle modifiche verificatesi dopo che il testo fu inviato 2.l Papa il 25 marzo 1983. I testi sono riportati nell’annesso.

(3) Il testo del progetto del 1980 non conteneva alcuna norma riguardante i cappellani militari. Si notò la cosa in sessione plenaria. Il testo del canone 569 fu redatto dopo questa sessione. Stessa lacuna nel Codice del 1917.

(4) Non avendo il Codice mutato le norme giuridiche concernenti i vicariati, rimangono in vigore le leggi e le norme anteriori, secondo il canone 6 par. 1, n. 4 del Codice attuale.

(5) Il canone 337 par. 1 del progetto è rimasto nel Codice come canone 370.

(6) In questo testo è da notare l’etiam che fa emergere che una prelatura personale potrebbe avere una finalità piú ampia e piú generale e una cura d’anime ordinaria. E questo era certamente il caso del vicariato castrense.

(7) Progetto 1980, can. 337 par. 2.

(8) Canone 368.

(9) Canone 369.

(10) Can. 369 alla fine. Testo ripreso dal Decreto Christus Dominus n. 11.

(11) Cfr. nostro studio Chiesa universale e Chiesa particolare, in Investigationes theologico-canonicae, Roma, Università Gregoriana 1978, pp. 560, pp. 57-73. Traduzione italiana in Vita consacrata.

(12) Canone 368.

(13) Questo testo è stato ripreso da Lumen gentium n. 23 a. È importante leggere l’intero testo: «Episcopi autem singuli visibile principium et fundamentum sunt unitatis in suis Ecclesiis particularibus, ad imaginem Ecclesiae universalis formatis (ilcorsivo è nostro) in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica existit».

(14) Vedi il testo nell’annesso. È l’attuale can. 368 del Codice.

(15) Can. 335 par. 2 del progetto.

(16) I cardinali e i vescovi riuniti in sessione plenaria nell’ottobre 1981 hanno voluto escludere ogni tipo di giurisdizione doppia o cumulativa sul territorio della diocesi. Allora questo testo fu soppresso con una debole maggioranza. Questa soppressione non prendeva di mira i vicariati castrensi bensí la possibilità di altre prelature personali, soprattutto internazionali. Bisognerà riprendere la storia del testo del decreto Presbyterorum ordinis n. 10, in cui si tratta di queste prelature personali e dove appariva al Concilio la denominazione «dioecesis personalis». Nella sua ultima stesura si introdusse la possibilità d’incardinazione alla prelatura. Ciò contro i rilievi formulati a questo proposito.

(17) Vedi il can. 337 par. 2 del progetto [...].

(18) Che il termine abbia avuto per i vicariati castrensi questo significato è stato sottolineato dal Cardinale Prefetto della S. Congregazione per i Vescovi nell’indirizzo al Papa in occasione dell’udienza concessa da Giovanni Paolo II ai partecipanti al primo Convegno mondiale dei Vicari castrensi, il 9 ottobre 1980; vedere Insegnamenti v. III, 2, 1980, p. 820.

(19) Vedi sopra le note 10 e 13.

(20) Vedi Ad gentes n. 21a.

(21) Vedi Ad gentes n.18d.

(22) Il decreto Ad gentes segna un progresso nell’ecclesiologia conciliare. Bisogna sottolinearlo.

(23) Vedi a questo proposito come sia ritenuto il principio di territorialità nel Codice. Vedi can. 372 e i canoni 578, 447, 431 par. 2.

(24) Per la maggior parte i prelati territoriali sono vescovi. Normalmente gli abati non sono vescovi. Vedi Annuario Pontificio 1984 alle voci prelature territoriali e Abbazie territoriali.

(25) Il Presbiterio è stato descritto nella Lumen Gentium nel modo seguente: «Presbyteri... unum presbyterium cum suo Episcopo constituunt» (LG 28b). Il decreto Christus Dominus è meno chiaro: «Sacerdotes dioecesani, quippe qui, Ecclesiae particolari incardinati vel addicti eiusdem servitio plene sese devoveant ad unam dominici gregis portionem pascendam; quare unum constituunt presbyterium, cuius pater est Episcopus». Per essere chiaro avrebbe dovuto dire che essi sono sacerdoti di un presbiterio di cui il Vescovo è il capo e il padre.

(26) Canone 337 par. 1 del progetto.

(27) Canone 370 del Codice.

(28) Vedi canone 371.

(29) Vedi il canone 337 par. 2 in cui si parla di una «Portio populi Dei Praelati curae commissa», ma non di un Pastor proprius.

(30) Vedi il can 371 del Codice.

(31) Torneremo su questo punto piú in là. Mi pare che il termine ordinariato militare rende meglio la realtà piú ampia della pastorale castrense di quanto non faccia il termine diocesi sempre limitato, anche se si dovesse giungere a parlare di diocesi militare.

(32) U.R. nn. 14-18.

(33) Vedi questa distinzione esplicitamente voluta dalla commissione al n. 34a.

(34) Vedi il Decreto Ad gentes n. 20e.

(35) Vedi a questo proposito il Mp. «Ecclesiae Sanctae» I, 15 par. 2 e la lettera della S. Congregazione per il Clero in data 11 marzo 1970, cfr. AAS 56 (1966) 757-787, p. 760-761 a AAS 62 (1970) 459-465.

(36) Il consiglio presbiterale rappresenta e raggruppa non solo i preti diocesani della diocesi, ma altri preti secolari e religiosi che hanno cura d’anime o un lavoro permanente nella diocesi. Vedi can. 498 del Codice.

(37) Vedi i cc. 383, 391, 13 par. 1-3, 87 e 91, 1351.

(38) Nell’Istruzione «Sollemne semper» del 23.4.51 è detto chiaramente che il vicario castrense ha una giurisdizione ordinaria ma speciale (I), che la sua giurisdizione è personale, che non è esclusiva; è dunque cumulativa; è tuttavia primaria nei settori in cui hanno giurisdizione l’Ordinario del luogo e il parroco: questi ultimi esercitano il loro potere tantum secundario (II).

(39) Questa nuova configurazione della prelatura personale non corrisponde piú a ciò che è un vicariato castrense.

(40) Le prelature personali, rifiutate come equivalenti a una Chiesa particolare, ricevettero, dopo la sessione plenaria dell’ottobre 1981, una nuova collocazione, alla fine del titolo II del libro II, alla fine della parte che trattava della costituzione gerarchica della Chiesa. Furono redatti quattro canoni, che riprendevano l’essenziale di ciò che diceva il Mp. Ecclesiae Sanctae del 1966; vedi AAS 56 (1966) 760-761. Dopo che il testo fu innato al Sommo Pontefice, il 25 marzo 1982’ questi canoni furono inseriti nella parte che tratta dei chierici. Sono gli attuali canoni 294-297.

(41) PO n. 10d, vedi la nota precedente.

(42) Il termine è da preferire; lo si usa per il vicariato castrense in Italia: è ugualmente usato per certe «Chiese rituali» che in certe regioni non hanno un esarca proprio. Questi ordinariati si avvicinano molto a una Chiesa particolare rituale. La Chiesa rituale è un termine diventato canonico nel nuovo Codice. Vedi i canoni 111 e 112.

(43) Si può auspicare che l’ordinariato militare sia affidato a un Ordinario proprio e non piú a un arcivescovo o vescovo diocesano: che questo Ordinario abbia propri vicari generali, distinti per l’esercito, l’aeronautica e la marina; che si eviti ogni terminologia che non corrisponda piú all’Ordinariato militare come comunità ecclesiale speciale.

(44) Codice del 1917 can. 1097, par. 2.

(45) Canone 1115.

(46) Canone 967 par. 2.

(47) Questa facoltà verrebbe accordata o in virtú della funzione (vi officii) o per concessione a titolo personale (vi concessionis).

(48) Se il vicario castrense è ordinario nel senso completo del termine, può delegare questo potere. Il canone 969 fa difficoltà perché la concessione è riservata all’Ordinario del luogo. Resta in vigore unicamente l’Istruzione «Sollemne semper» che prevede questa concessione per il fatto che la sua giurisdizione è detta ordinaria.

(49) Canone 976.

(50) Questi statuti erano previsti nel progetto del 1980 al can. 335 par. 2; questo paragrafo, come abbiamo detto, è stato soppresso. Li si esige al can. 294 per le prelature personali specifiche.

(51) Questo programma di formazione spirituale era abbozzato nell’Istruzione «Sollemne semper» ai paragrafi, X, XII, XV, XVII. Si dovrà pensare a un programma piú idoneo, appropriato al gruppo di sacerdoti che compone l’Ordinariato militare.

(52) Si dovrebbe applicare il can. 280. Vedi anche i canoni 533 e 550 par. 1-2.

(53) A proposito della curia del vicariato, vedi la «Sollemne semper», n. VI. L’Annuario Pontificio del 1984 riporta il numero di chiese tenute dai vicariati o ordinariati militari: Africa meridionale 32; Germania Fed. 138; Argentina 137; Australia 57; Austria 17; Belgio 98; Bolivia 1; Brasile 22; Canada 65; Cile 52; Colombia 118; Spagna 577; Stati Uniti 860; Francia 780; Gran Bretagna 150; Indonesia 17; Italia 558; Kenya 11; Nuova Zelanda 11; Paesi Bassi 78; Paraguay 20; Perú 71; Filippine 95; Portogallo 58; Repubblica Dominicana 3; Salvador 20. Non si conosce se queste chiese sono riservate ai militari e alle loro famiglie o se vi si riuniscano i fedeli dell’Ordinariato.

(54) Se siamo ben informati, il Vicariato castrense degli Stati Uniti ha un proprio tribunale di prima istanza.

(55) Cfr. l’Istruzione «Sollemne semper» n. VI.

(56) Vedi nell’Annuario Pontificio i vicariati che fanno menzione delle religiose a servizio del vicariato e dei suoi fedeli.

 

 

 

 

 

Cfr. BEYER J. B., Vicariato castrense e nuovo Codice, in Bonus Miles Christi, 4-5 (1984), 228-241.