La tesi dei raggi cosmici

In questa epoca di emergenze ecologiche sempre piú pressanti è essenziale discernere il clamore politico e mass-mediale dall'autentica informazione scientifica. È un compito non facile, soprattutto se si pensa che lo stesso mondo accademico è diviso su tante problematiche, non ultima quella del riscaldamento globale o global warming. In tempi recenti alla classica teoria basata sull'azione antropica e sull'effetto serra se n'è aggiunta un'altra, quella della variazione d'intensità dei raggi cosmici. Si tratta di un'ipotesi avanzata da Henrik Svensmark, meteorologo e fisico del Danish National Space Center di Copenhagen. Lo scienziato danese, esaminando i dati meteo degli ultimi decenni, ha notato un'apparente relazione tra la nuvolosità e la quantità di raggi cosmici che investono il globo.

Il numero delle particelle varia in proporzione all'attività solare: quando il Sole è molto attivo il suo campo magnetico deflette i raggi cosmici che cosí giungono sulla Terra in quantità minore. La minor quantità di raggi cosmici ridurrebbe la nuvolosità, provocando dunque il riscaldamento del pianeta. A confermare tale tesi sarebbe anche la piccola glaciazione verificatasi dal 1500 al 1700, un periodo di ridottissima attività solare e dunque di maggior irradiazione di raggi cosmici. Piú raggi cosmici significa - secondo Svensmark - piú nuvole in cielo e perciò maggiore riflessione dell'irraggiamento solare con un conseguente raffreddamento della Terra. Attualmente il Sole è molto attivo come dimostrano le rilevazioni astronomiche. La meteorologia tuttavia non ha mai preso in considerazione il fatto che i raggi cosmici abbiano qualcosa a che fare con la formazione dei sistemi nuvolosi. Quale sarebbe poi il meccanismo?

Svensmark e il suo gruppo hanno cercato una risposta a questa domanda con un esperimento durato dal 2000 al 2005. Il gruppo ha allestito una camera a nebbia nei sotterranei dell'istituto danese. Nella camera a nebbia, il passaggio dei raggi cosmici provoca la formazione di elettroni, cioè di particelle caricate elettricamente che favoriscono la formazione di microscopiche goccioline d'acqua in una camera contenente aria satura di umidità (cfr. CALDER N., «An experiment that hints we are wrong on climate change», in Times, Londra, 12 febbraio 2007). Svensmark considera il suo esperimento la prova che il riscaldamento globale non è provocato dall'attività umana, o almeno non solo da essa. La sua teoria spiegherebbe perché il cosiddetto global warming riguarda soprattutto l'emisfero Nord del pianeta: mentre nell'Artide i ghiacciai si sciolgono a ritmo accelerato, nell'Antartide orientale lo strato di ghiacci è aumentato dell'8% dal 1978. Perché l'Antartide diventa piú fredda, nonostante sia anch'essa colpita da meno raggi cosmici? Perché lí - asserisce Svensmark - la vastissima superficie nevosa riflette i raggi solari con maggiore efficacia.

È una tesi interessante eppure Svensmark e il suo gruppo di ricerca hanno avuto difficoltà a raccogliere i fondi per la loro sperimentazione. Quanto ai risultati, essi sono stati rifiutati da tutte le istituzioni scientifiche internazionali se si eccettua la Royal Society britannica che ha accettato di pubblicare uno studio nel 2006. Secondo Svensmark (che già aveva esposto la sua ipotesi nel 1997) la teoria dell'effetto-serra (divenuta ormai parte integrante della politica ufficiale del governo britannico) avrebbe posto in cattiva luce le sue ricerche. Come è noto 2.500 scienziati sotto l'egida dell'ONU hanno attestato che il riscaldamento globale è di origine antropica. Le conseguenze di tale politica potrebbero sfociare in una drastica fase di de-industrializzazione e perciò in una sorta di arretramento controllato dalle conseguenze sociali imprevedibili.

Nel frattempo una sessantina di fisici e di meteorologi hanno deciso di ripetere l'esperimento di Svensmark su scala piú vasta, impegnando l'acceleratore di particelle di Ginevra per verificare l'effetto dei raggi cosmici sull'atmosfera (cfr. GREY R., Cosmic rays blamed for global warming, in Telegraph, 11 febr. 2007). Gli scettici ovviamente sono ancora molti. Giles Harrison, ricercatore alla Reading University, ritiene che l'impatto dei raggi cosmici sul clima sia minimo rispetto alle attività antropiche e sostiene che, per esempio, la nuvolosità degli ultimi 50 anni sulla Gran Bretagna non abbia manifestato alcuna relazione con i raggi cosmici.

 

 

Eventi storici e mutamenti climatici

C'è stato un periodo in cui l'umanità ridusse enormemente le emissioni di CO2, il presunto colpevole dell'effetto-serra, e dunque del riscaldamento globale: fu nella grande depressione del 1929. Nel 1928, il biossido di carbonio prodotto dalle attività umane nel mondo ammontò a 1,1 miliardi di tonnellate. Nel 1929, salí ancora a 1,7 miliardi. Con il drammatico crollo di Wall Street e la grande depressione cominciò il suo calo in atmosfera. Ancora nel 1932, l'emissione di CO2 dovuta all'uomo era ferma a 0,88 miliardi di tonnellate: un calo del 30%. Dopo quell'anno la curva ricominciò a salire lentamente ma continuamente. Nel 1939 la curva salí a 0,90 miliardi di tonnellate in un prosieguo lentissimo. Solo con il secondo conflitto e con la ricostruzione del dopoguerra, verso il 1945-50, si ritornò ai valori antecedenti al 1929.

Occorre precisare che il 30% in meno di emissioni equivale ad un dato enorme, molto maggiore di ciò che si spera di ottenere con le norme che l'ecologismo vorrebbe imporre al mondo grazie alla convenzione di Kyoto; molto maggiore di quello che esige l'ONU, o l'Inter-Governmental Panel on Climate Change (IPCC), Commissione ONU fondata nel 1988. Il calo del 30% fu la conseguenza di una tragica paralisi della produzione e dei commerci; dell'enorme riduzione dei consumi in Europa e in America. Le fabbriche chiusero lasciando decine di milioni di persone prive di occupazione. Furono tempi durissimi per la maggior parte della popolazione del pianeta. Il decennio 1929-1939 fu penoso per una generazione che riacquistò un certo benessere solo dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.

Nonostante ciò il mutamento climatico non ne risentí in alcun modo benché la concentrazione di CO2 nell'atmosfera terrestre non facesse altro che salire, lentamente ma inesorabilmente. Nel 1928 era a 306 ppm. Nel 1929, ancora a 306. Nel 1932, a 307. E cosí via, a piccolissimi ma inesorabili passi, fino alla situazione odierna, dove si registrano 380 parti per milione. Gli strumenti che dal 1958 a Mauna Loa (Hawaii) controllano la concentrazione dei gas-serra nell'aria, e i controlli sulle bolle d'aria intrappolate nel ghiaccio estratto ai poli mostrano sí delle variazioni, ma dovute a cause naturali identificabili quali la fotosintesi clorofilliana globale. Dunque la caduta verticale della produzione industriale dei primi decenni del Novecento non causò nemmeno un calo di 1 ppm.

A verificare questi dati è stato il professor Martin Hertzberg, meteorologo della US Navy, chimico e fisico laureato a Stanford. I suoi studi risalgono al 2001 quando constatò che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera era salita al 21% nel corso del secolo appena trascorso. Anche la temperatura terrestre era aumentata, seppur di poco: mezzo grado centigrado tra il 1880 e il 1980, e da allora sale piú rapidamente, soprattutto nelle regioni polari. È possibile che sia il biossido di carbonio a 380 ppm a trattenere il 94% della radiazione solare assorbita nell'atmosfera? Anche il vapore acqueo genera un potente effetto serra e può essere presente nell'aria in percentuali fino al 2%, equivalenti a 20 mila parti per milione. Il pericolo viene da qui dunque? Eppure, i modelli elaborati dalla teoria del global warming non sembrano tenerne conto.

 

 

L'impatto dell'attività solare e degli oceani

È noto che l'attuale concentrazione di CO2 si verificò anche nell'Eocene, 20 milioni di anni prima della rivoluzione industriale, giungendo a 300-400 ppm. Che cosa causò a quei tempi l'effetto-serra? Il serbo Milutin Milankovitch, tra il 1915 e il 1940, studiò tutte le possibili variabili nelle ere glaciali e post-glaciali. Egli spiegò che il ciclo dei riscaldamenti e dei raffreddamenti globali era dovuto alle variazioni dell'esposizione della Terra al Sole a causa dell'orbita ellittica e delle variazioni di inclinazione dell'asse terrestre. Hertzberg giunge ad una conclusione analoga: oggi ci troviamo nella fase terminale dell'ultima era glaciale. L'acqua copre oltre il 70% della superficie del pianeta e negli oceani, bloccata in forma di carbonati, giace una quantità di CO2 almeno cento volte superiore a quella atmosferica. Mentre avanza l'era post-glaciale gli oceani, riscaldati, emettono anidride carbonica, con le conseguenze che iniziamo a constatare.

 

 

L'aberrazione liberista

Se è cosí sarebbe il riscaldamento degli oceani a provocare l'aumento del CO2 nell'atmosfera e non il contrario. Studi recenti dimostrano che milioni di anni fa l'aumento del CO2 nell'aria fece seguito al riscaldamento climatico con un ritardo stimabile fra gli 800 e i 2.600 anni. Se Hertzberg ha ragione dunque tutte le misure invocate dalla politica per ridurre le emissioni industriali non hanno alcun senso, soprattutto il ridicolo meccanismo dei cosiddetti crediti di emissione ideato a Kyoto, vera e propria compra-vendita di diritti di inquinare, che rischia di incentivare una decrescita produttiva. Si tratta di un sotterfugio tipico di quel liberismo irragionevole che insieme all'ideologia ambientalista maltusiana considera la popolazione umana come qualcosa di patologico in seno all'ecosistema.

 

 

Cambiamenti climatici e sviluppo

Intervenendo il 26 aprile 2007 in Vaticano al Seminario internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema "Cambiamenti climatici e sviluppo", il professor Antonino Zichichi, Presidente della World Federation of Scientists e membro della Pontificia Accademia delle Scienze, ha sottolineato a sua volta l'origine naturale dei cambiamenti climatici affermando che l'intervento delle attività umane influisce per meno del 10% e che i modelli utilizzati dall'IPCC, per simulare e prevedere i cambiamenti climatici sono incoerenti e non validi dal punto di vista scientifico.

Con una argomentazione scientificamente dettagliata il professor Zichichi ha prima spiegato quali sono le basi matematiche del metodo scientifico, in seguito ha precisato che i modelli matematici utilizzati dall'IPCC non rispondono a questi criteri ricordando che pure nei Seminari Internazionali svoltisi ad Erice nel 2004, 2005 e 2006, essi sono stati puntualmente criticati per l'approssimazione scientifica. L'IPCC avrebbe utilizzato "il metodo del 'forcing' per arrivare alle conclusioni che le attività umane producono variazioni meteorologiche". Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche "non è possibile escludere che i fenomeni di cambiamento climatico possano essere di origine naturale" e non umana. A tal proposito Zichichi ha ribadito come il motore della meteorologia dipenda molto da fenomeni naturali come, per esempio, "l'energia inviata dal sole e le attività vulcaniche che immettono un'enorme quantità di sostanze in atmosfera".

Guardando alla storia del pianeta, Zichichi ha ricordato che 140 milioni di anni fa Oslo e San Pietroburgo erano parte del circolo polare artico. Lo stesso polo nord 280 milioni di anni fa copriva zone dove adesso si trova il canale di Suez, Lhasa in India e Houston in Nord America. All'epoca, nel corso di mezzo milione di anni, la Terra ha perso quattro volte il polo nord ed il polo sud. Per quattro volte i poli sono scomparsi e poi si sono riformati. Il professor Zichichi, confermando le tesi di Henrik Svensmark, ha perciò dichiarato di non essere per nulla convinto che il riscaldamento del pianeta sia dovuto all'aumento delle emissioni di CO2 prodotta dalle attività umane, bensí dal mutato flusso dei raggi cosmici.

Nonostante ciò il liberismo globale e l'ecologismo creano nuovi complessi di colpa ad un'umanità che - dimenticato il senso del peccato - vive in preda ai rimorsi. Il commercio dei crediti d'emissione equivale - afferma Alexander Cockburn - ad una sorta di vendita delle "indulgenze", un costume talvolta simoniaco diffuso sei secoli fa: il peccatore, pagando, poteva comprarsi un posto in purgatorio scampando cosí all'inferno. Analogo meccanismo "indulgenziale" viene offerto oggi dall'impostura eco-liberista fondata sulla tecnocrazia. Aveva ragione Chesterton quando scrisse che in ultima analisi l'uomo miscredente finisce con il credere a qualsiasi cosa. In una materia ancora incerta come questa è piú saggio dubitare ed esigere una seria e approfondita attività di ricerca scientifica prima di trarre delle conclusioni sociopolitiche di cosí grave rilievo.

 

 

 

 

 

 

 

From Papal Indulgences to Carbon Credits

Is Global Warming a Sin?

By Alexander Cockburn

 

 

In a couple of hundred years, historians will be comparing the frenzies over our supposed human contribution to global warming to the tumults at the latter end of the tenth century as the Christian millennium approached. Then, as now, the doomsters identified human sinfulness as the propulsive factor in the planet's rapid downward slide.

Then as now, a buoyant market throve on fear. The Roman Catholic Church was a bank whose capital was secured by the infinite mercy of Christ, Mary and the Saints, and so the Pope could sell indulgences, like checks. The sinners established a line of credit against bad behavior and could go on sinning. Today a world market in "carbon credits" is in formation. Those whose "carbon footprint" is small can sell their surplus carbon credits to others, less virtuous than themselves.

The modern trade is as fantastical as the medieval one. There is still zero empirical evidence that anthropogenic production of CO2 is making any measurable contribution to the world's present warming trend. The greenhouse fear mongers rely entirely on unverified, crudely oversimplified computer models to finger mankind's sinful contribution. Devoid of any sustaining scientific basis, carbon trafficking is powered by guilt, credulity, cynicism and greed, just like the old indulgences, though at least the latter produced beautiful monuments. By the sixteenth century, long after the world had sailed safely through the end of the first millennium, Pope Leo X financed the reconstruction of St. Peter's Basilica by offering a "plenary" indulgence, guaranteed to release a soul from purgatory.

Now imagine two lines on a piece of graph paper. The first rises to a crest, then slopes sharply down, then levels off and rises slowly once more. The other has no undulations. It rises in a smooth, slowly increasing arc. The first, wavy line is the worldwide CO2 tonnage produced by humans burning coal, oil and natural gas. On this graph it starts in 1928, at 1.1 gigatons (i.e. 1.1 billion metric tons). It peaks in 1929 at 1.17 gigatons. The world, led by its mightiest power, the USA, plummets into the Great Depression, and by 1932 human CO2 production has fallen to 0.88 gigatons a year, a 30 per cent drop. Hard times drove a tougher bargain than all the counsels of Al Gore or the jeremiads of the IPCC (Inter-Governmental Panel on Climate Change). Then, in 1933 it began to climb slowly again, up to 0.9 gigatons.

And the other line, the one ascending so evenly? That's the concentration of CO2 in the atmosphere, parts per million (ppm) by volume, moving in 1928 from just under 306, hitting 306 in 1929, to 307 in 1932 and on up. Boom and bust, the line heads up steadily. These days it's at 380. There are, to be sure, seasonal variations in CO2, as measured since 1958 by the instruments on Mauna Loa, Hawai'i. (Pre-1958 measurements are of air bubbles trapped in glacial ice.) Summer and winter vary steadily by about 5 ppm, reflecting photosynthesis cycles. The two lines on that graph proclaim that a whopping 30 per cent cut in man-made CO2 emissions didn't even cause a 1 ppm drop in the atmosphere's CO2. Thus it is impossible to assert that the increase in atmospheric CO2 stems from human burning of fossil fuels.

I met Dr. Martin Hertzberg, the man who drew that graph and those conclusions, on a Nation cruise back in 2001. He remarked that while he shared many of the Nation's editorial positions, he approved of my reservations on the issue of supposed human contributions to global warming, as outlined in columns I wrote at that time. Hertzberg was a meteorologist for three years in the U.S. Navy, an occupation which gave him a lifelong mistrust of climate modeling. Trained in chemistry and physics, a combustion research scientist for most of his career, he's retired now in Copper Mountain, Colorado, still consulting from time to time.

Not so long ago, Hertzberg sent me some of his recent papers on the global warming hypothesis, a construct now accepted by many progressives as infallible as Papal dogma on matters of faith or doctrine. Among them was the graph described above so devastating to the hypothesis.

As Hertzberg readily acknowledges, the carbon dioxide content of the atmosphere has increased about 21 per cent in the past century. The world has also been getting just a little bit warmer. The not very reliable data on the world's average temperature (which omit most of the world's oceans and remote regions, while over-representing urban areas) show about a 0.5 Co increase in average temperature between 1880 and 1980, and it's still rising, more sharply in the polar regions than elsewhere. But is CO2, at 380 parts per million in the atmosphere, playing a significant role in retaining the 94 per cent of solar radiation that's absorbed in the atmosphere, as against water vapor, also a powerful heat absorber, whose content in humid tropical atmosphere, can be as high as 2 per cent, the equivalent of 20,000 ppm. As Hertzberg says, water in the form of oceans, clouds, snow, ice cover and vapor "is overwhelming in the radiative and energy balance between the earth and the sun Carbon dioxide and the greenhouse gases are, by comparison, the equivalent of a few farts in a hurricane." And water is exactly that component of the earth's heat balance that the global warming computer models fail to account for.

It's a notorious inconvenience for the Greenhousers that data also show carbon dioxide concentrations from the Eocene period, 20 million years before Henry Ford trundled his first model T out of the shop, 300-400 per cent higher than current concentrations. The Greenhousers deal with other difficulties like the medieval warming period's higher-than-today's temperatures by straight forward chicanery, misrepresenting tree-ring data (themselves an unreliable guide) and claiming the warming was a local, insignificant European affair.

We're warmer now, because today's world is in the thaw following the last Ice Age. Ice ages correlate with changes in the solar heat we receive, all due to predictable changes in the earth's elliptic orbit round the sun, and in the earth's tilt. As Hertzberg explains, the cyclical heat effect of all of these variables was worked out in great detail between 1915 and 1940 by the Serbian physicist, Milutin Milankovitch, one of the giants of 20th-century astrophysics. In past postglacial cycles, as now, the earth's orbit and tilt gives us more and longer summer days between the equinoxes.

Water covers 71 per cent of the surface of the planet. As compared to the atmosphere, there's at least a hundred times more CO2 in the oceans, dissolved as carbonate. As the postglacial thaw progresses the oceans warm up, and some of the dissolved carbon emits into the atmosphere, just like fizz in soda water taken out of the fridge. "So the greenhouse global warming theory has it ass backwards," Hertzberg concludes. "It is the warming of the earth that is causing the increase of carbon dioxide and not the reverse." He has recently had vivid confirmation of that conclusion. Several new papers show that for the last three quarter million years CO2 changes always lag global temperatures by 800 to 2,600 years.

It looks like Poseidon should go hunting for carbon credits. Trouble is, the human carbon footprint is of zero consequence amid these huge forces and volumes, and that's not even to mention the role of the giant reactor beneath our feet: the earth's increasingly hot molten core.

 

 

 

 

 

Cfr. ALEXANDER COCKBURN, Is global warming a sin?, in Counterpunch, 29-04-2007.