Globalizzazione e mass-media è un titolo per alcuni versi riduttivo rispetto agli argomenti da trattare e che vogliono essere anzitutto un motivo di riflessione. Sicuramente i media sono alcune delle realtà che incidono più profondamente nella nostra vita sociale, economica e per molti aspetti privata. Ovviamente il discorso va contestualizzato, infatti, se questo è vero per il mondo "Nord-occidentale" lo è un po' meno per il resto del globo. Per molti paesi dell'Africa, dell'Asia e del Sud dell'America le cose non stanno in tutto così. O forse lo sono pure, ma di riflesso, un riflesso non sempre positivo. Quella cultura che qui crea il benessere e lo ostenta in molti modi, altrove, crea malessere.

Un malessere che viene talvolta quasi giustificato con i meccanismi indotti, le esigenze dell'economia e del mercato globale. Ma questa della globalizzazione è solo una comoda giustificazione oppure è la verità? In gran parte è così, in altre parole è vero che l'economia non ha più confini nazionali; è vero che le leggi di mercato, quasi fossero leggi fisiche, sono le stesse ovunque ma è anche vero che ci sono sempre dei soggetti e delle comunità che sono all'origine di queste leggi e che hanno la responsabilità di conferire loro dignità e vigore.

Fino a poco tempo fa c'era un blocco di paesi che riteneva di avere altre leggi economiche, ma ormai l'utopia marxista è crollata più o meno ovunque. Che differenza c'è fra capitalismo privato e capitalismo di Stato? La sostanza è la stessa. Cambiano le dimensioni dell'oligopolio che lo gestisce ma le leggi di fondo sono pressoché simili. La storia, più che la lotta ideologica, ha dimostrato quale dei due sistemi fosse veramente in grado di superare la "selezione naturale".

La risposta, una parte del mondo, la conosceva già da tempo. Leone XIII la diede nel 1891 con la Rerum novarum. Poi i suoi successori trattarono la grande questione sociale ritornando spesso sull'argomento: Quadragesimo anno (1931), Divini Redemptoris (1937), Octogesima Adveniens (1971). Finalmente, poco prima della Centesimus annus (1991), la realtà si manifestò in tutta la sua crudezza. In un mondo sempre più dominato dai mass-media nessuna cortina di ferro poteva più reggere.

 

 Dall'altra parte dell'obiettivo...

In un mondo sempre più dominato dai mass-media nessuna cortina di ferro poteva più reggere

 

 

 

Le dittature rozze e brutali non possono vivere sotto l'occhio spietato della videocamera e dell'obiettivo fotografico. Le autocrazie moderne hanno mezzi di gran lunga migliori per garantire la propria stabilità. Nessuno, meglio delle democrazie occidentali ha capito che occorre stare dall'altra parte dell'obiettivo: è opportuno "riprendere", più che... "farsi riprendere". Bisogna saper anticipare. Allusioni al mito orwelliano dell'egemonia globale?

Per quanto peso si possa dare alle tesi di Orwell non siamo ancora a questo punto, benché ci si avvicini a grandi passi. Non c'è ancora un monopolio del controllo globale, ci sono piuttosto alcuni oligopoli e neppure del tutto convergenti fra loro. Sarà il futuro prossimo a chiarire le ultime riserve.

È forse questo il mondo di cui parla il Vangelo di Giovanni? Un coacervo di bene e di male, di indifferenza e di odio, di incomprensione e di velleità, di buone intenzioni e di secondi fini, di sogni e di incubi. Ma da questo coacervo ciò che più facilmente balza all'occhio sono il profitto e l'interesse che nuotano in un mare di indifferenza. E l'indifferenza non di rado è peggiore dell'odio.

Questo è il mondo che trasforma in evento ciò che è banale e fa cadere nell'oblio ciò che importante lo è davvero; il mondo che mette insieme sacro e profano, distanti anni luce l'uno dall'altro; il mondo che confonde il sentimento con il vero e la ragione con la semplice coerenza logica del discorso. Questo è il mondo che spinge a bruciare ogni limite, ogni freno e che poi promuove campagne moralistiche di una sconcertante ipocrisia. È possibile fermare questa follia o definirvi un qualche ordine? O anche questa è un'utopia?

 

 Seattle skyline

Seattle, la culla storica dell'antiglobalizzazione

 

 

Nel corso della storia non sono mancate persone che hanno cercato di imporre con la forza un indirizzo univoco portando spesso lutti e rovine. Persone da ricordare ma solo per riconoscerne i tratti distintivi anche sotto future spoglie. Il mondo è così, non è possibile venire a capo di questo groviglio inestricabile di bene e di male, di amore e di odio. Pretendere di capire davvero il mondo è spesso vano. Si possono capire le sue dinamiche di fondo, gli obiettivi più importanti, ma non si può capire tutto, perché non c'è neppure una logica univoca.

Forse è per questo che nel Vangelo il regno di Dio è paragonato al lievito nella pasta (Lc 13,21). In mezzo alla pasta l'unica cosa sensata è essere lievito, perché è il lievito che la fa fermentare e la rende buona da mangiare. Tornando al mondo presente (e futuro prossimo) non si può non rilevare come l'informazione - e quindi le sue tecnologie - avrà un ruolo sempre più rilevante. Non a caso i mass-media sono di gran lunga più lottizzati e politicizzati di altri settori e invocare la democrazia nell'informazione è a dir poco utopico. Questo spiega perché la tentazione di imbavagliare Internet è sempre più forte e ricorrente. In un mondo così il relativismo, creatore del politically correct, è necessario al sistema come il lubrificante sugli ingranaggi. Gli aggettivi, le specificazioni, le citazioni e le inclusioni demagogiche acquistano importanza fondamentale e il pensiero forte, ogni identità forte, appare come la pietruzza che ostacola questo meccanismo.

Un meccanismo che sembra voglia garantire uno spazio a tutto e a tutti, ma è solo apparenza. Ciò che conta sono solo gli obbiettivi politici e ideologici più o meno inconfessabili. Anche il mondo ecclesiale talvolta si adegua ai nuovi linguaggi, tentato anch'esso dei poteri mediatici e dalla legge dell'audience. No, alla fine dei conti è meglio lo stile sobrio dell'apostolo, del ministro del Vangelo, con buona pace del politically correct. Lasciamo che siano altri ad abbellire il vuoto con i dettagli. A noi basta lo stile di vita per far capire molte cose che altri non potranno mai trasmettere. L'uomo di Dio parla ex abundantia cordis, dalla pienezza del cuore. Ma per far così bisogna rischiare, bisogna andare contro corrente e sfidare il mondo con le sue avversità.

Avversità che non implicano necessariamente un'ostilità diretta. Può essere sufficiente una nuova legislazione che in nome della democrazia oppure della sicurezza imponga un diverso limite alle libertà individuali. Può essere quella della "par condicio", strumento apparentemente democratico ma anche rischioso in un mondo dove l'arbitro del potere è sempre tentato di creare nuovi strumenti di discriminazione. Un mondo dove la decadenza della democrazia, sempre più aliena da ogni radice etica e morale, si riduce ad imporre un "livellamento verso il basso". È anche così che nelle democrazie le minoranze finiscono con il prevalere sulla maggioranza e gli oligopoli appaiono come volontà generale.

Le dispute ricorrenti sul posto da concedere alla religione negli spazi pubblici ne sono una prova. Ridurre lo spazio per evitare imposizioni ai non credenti oppure no? E la maggioranza dei credenti? Si proclama sempre più lo Stato quale laico e aconfessionale eppure posizioni politiche come queste tradiscono una faziosità ideologica più violenta che mai. No, lo Stato non deve essere neppure laico, deve essere semplicemente super partes e deve dare a ciascuno il suo... unicuique suum tribuere. E "a ciascuno il suo" - eccetto che nelle dittature - non può significare "le stesse identiche cose a tutti".

 

 Fede e impegno politico

La risposta la si può trovare solo nei valori fondanti che sono storicamente cristiani

 

 

 

Se è così il concetto autentico di democrazia è destinato al declino? È un rischio sempre attuale nelle nostre democrazie moderne, democrazie malate che si trascinano di fronte a difficoltà e a crisi sempre crescenti. Ormai tutte ufficialmente ammantate di laicità - in primis quelle europee - pur essendo nate cristiane. Anche se un laicismo rampante - la cui origine è anticristiana e soprattutto anticattolica - non vuole riconoscerlo è questa la loro origine storica. Una storia di popoli e nazioni che sono nate e sono cresciute basandosi su valori comuni ad ogni schieramento politico che altro non erano se non valori cristiani, cattolici in molti luoghi del mondo, ossia universali per definizione.

Abbandonare questi valori significa minare le fondamenta delle nostre società. Le democrazie - si afferma - si fondano sulla volontà popolare, un concetto sempre più vuoto di contenuti e sempre più manipolabile dai mass-media. Se in un lontano passato manipolare le masse, almeno al livello delle coscienze, costituiva un'impresa piuttosto ardua, oggi grazie ai mass-media questo è ampiamente possibile.

Così la retorica moderna, soprattutto quella politica, è decisamente mutata: ieri più razionale - almeno nelle apparenze - e più discorsiva, oggi nettamente emotiva. Si è trattato di una mutazione lenta ma costante e per rendersene conto basta riflettere sul connubio politica-mass media inaugurato in grande stile dalle dittature che nel Novecento hanno scatenato gli ultimi conflitti mondiali. Sappiamo bene su quali strade ci ha condotto quella politica-spettacolo che oggi è più in auge e più arrogante che mai.

La volontà popolare, soprattutto se priva di sicuri punti di riferimento etici e morali, non può costituire da sola una garanzia di libertà, anzi, intrinsecamente non lo è mai stata; neanche un pluralismo "fine a se stesso" può essere una risposta credibile perché non può condurre da nessuna parte, né più né meno di una bussola incapace di distinguere i punti cardinali gli uni dagli altri. Per questo si pone una domanda urgente: su cosa rifondare le nostre democrazie?

La risposta la si può trovare solo nei valori fondanti, valori cristiani, che sono all'origine della loro storia. Senza il coraggio di questa riscoperta rigorosa e profonda il rischio è che ai nostri occhi non sarà dato di vedere un futuro migliore di quello che videro i nostri padri.

 

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