Darwin, Wallace, Mendel, Teilhard e la teoria dell’evoluzione

Lodovico Galleni intervistato da Paolo Centofanti - 16 gennaio 2009

 

 

In questa intervista il Prof. Galleni chiarisce alcuni concetti chiave dell’evoluzione, e spiega il falso mito, tuttora diffuso, di una irriducibilità tra teorie evolutive e fede religiosa, mostrando come l’evoluzione e le teorie darwiniane siano totalmente coerenti anche con il magistero della Chiesa.

 

 

 

Prof. Galleni, cosa risponderebbe oggi a chi sostiene l’incompatibilità tra teorie evolutive e magistero della Chiesa Cattolica?

Uno dei punti da chiarire, è che si può benissimo credere alla stabilità della specie, ed essere atei, o ritenere, come ritiene la scienza moderna, che i viventi si siano trasformati nel tempo, ed essere credenti.

L’altro punto è che in realtà si tratta di due piani tra loro differenti: da una parte la fede in un Dio Creatore, dall’altra l’indagine che la scienza, come ci insegna il Concilio Vaticano II, porta avanti nella sua completa autonomia; una indagine in realtà su come l’opera di Dio si è manifestata, e può benissimo essersi manifestata attraverso l’evoluzione. [...]

 

 

Si sente parlare spesso di evoluzione, evoluzionismo, teorie darwiniane e darwinismo, come se fossero sinonimi. Sono espressioni che coincidono davvero tra loro?

Questo è un’altro aspetto importante su cui troppo spesso si fa confusione, mentre occorre fare chiarezza: la distinzione tra evoluzione e darwinismo.

L’evoluzione, cosí come la presenta oggi la scienza, è il risultato (un paragone che uso sempre anche se abbastanza particolare) di una ricerca di tipo storico. Una ricerca che è altrettanto provata quanto è provata ad esempio l’esistenza dell’Impero Romano. E proprio perché è una ricerca di tipo storico, anche nella biologia si guarda al passato per cercare di capire come sono avvenuti alcuni eventi, e descriverli.

L’indagine sull’Impero romano si basa su alcuni reperti antichi: ad esempio una colonna, un tempio, un testo di uno storico, e sulle conseguenze nel presente, come ad esempio la diffusione delle lingue neolatine.

Lo stesso si può dire per l’evoluzione: si esamina il reperto storico, in questo caso il fossile, o si esamina oggi la struttura dei viventi, e attraverso la struttura dei cromosomi, del DNA, si può ricostruire la morfologia degli alberi di filogenesi che li collegano. Questa quindi è sostanzialmente l’evoluzione: altrettanto provata quanto è provato l’impero romano.

Diverse sono invece le teorie che ne spiegano i meccanismi.

 

 

Teorie che spesso sembrano fare riferimento esclusivamente a Darwin...

Facciamo un po’ di storia. Il Darwinismo è una teoria proposta da Charles Darwin e da Alfred Russell Wallace, piú o meno agli inizi della seconda metà del diciannovesimo secolo, per spiegare l’evento storico evoluzione. Per restare coerenti con gli esempi precedenti, possiamo dire che sia un fatto storico che Napoleone sia stato sconfitto a Waterloo.

Però ancora oggi gli storici discutono sulle ragioni: “schierò male le truppe, non riuscí a chiamare in tempo i rinforzi, Wellington previde le sue mosse, etc.” Ciò non vuole dire mettere in discussione il fatto storico, ma cercare di capirne le ragioni.

Oggi la teoria della selezione naturale di Darwin e Wallace è la teoria maggiormente accettata. Però come tutte le teorie scientifiche può essere messa in discussione e viene effettivamente discussa; direi anzi che è necessario che lo sia.

Ci sono quindi scienziati che lavorano all’interno della teoria, ma ci sono anche scienziati che cercano altre strade; anche se onestamente oggi è la teoria della selezione naturale quella che spiega il maggior numero di fatti.

 

 

Quali sono le origini e la portata della teoria della selezione naturale?

È bene prima chiarire cosa intendiamo per selezione naturale. Abbiamo già detto che si tratta di una teoria che nasce subito dopo la seconda metà del diciannovesimo secolo.

Due articoli di Darwin e Wallace, pubblicati nello stesso periodo, nel 1858, ne sono la prima pubblicazione. Poi Darwin scriverà il grande libro su “L’Origine delle Specie”, ma è necessario sottolineare sempre l’importanza di Wallace quando si parla di selezione naturale (possiamo eventualmente approfondire quest’aspetto dopo).

È però necessario tenere presente che né Darwin né Wallace furono i primi a parlare di evoluzione, di trasformazione dei viventi nel tempo. Il primo fu Lamarck, che propose una teoria basata sulla influenza diretta dell’ambiente sul vivente; il vivente che cambiava le sue strutture per adattarsi. Un po’ come un atleta che per aumentare le prestazioni fa attività fisica in palestra, e quindi poi cambia e aumenta la sua struttura muscolare.

Però il meccanismo chiave di Lamarck era che queste caratteristiche venivano trasmesse ai figli; cambiando l’ambiente cambiavano quindi le caratteristiche, e i viventi si evolvevano.

 

 

Qual è stato quindi il cambiamento presentato da Darwin e Wallace?

In Darwin e Wallace lo schema è diverso: il punto di riferimento è Malthus e la lotta per l’esistenza. L’osservazione importante è che all’interno di qualunque specie, animale o vegetale, i figli sono molto piú numerosi dei genitori, però di generazione in generazione il numero degli individui rimane pressoché costante. Quindi se tanti sono i figli, ma non tutti arrivano a riprodursi, vuol dire che c’è una mortalità differenziale: qualcuno viene eliminato senza riuscire a riprodursi.

E dal momento che all’interno di una specie tutti gli individui sono differenti fra di loro, vi è una variabilità ereditaria; la selezione naturale, l’ambiente, sceglie quindi di generazione in generazione quegli individui che meglio si adattano a certe caratteristiche ambientali. L’ambiente quindi sceglie su una variabilità preesistente, non induce direttamente la variabilità, come invece ipotizzava Lamarck. L’ambiente sceglie, ed ecco la selezione naturale.

 

 

Questa differente prospettiva cosa ha comportato?

Il grosso vantaggio dell’ipotesi di Darwin e Wallace è di essere molto semplice, e poi di avere una grande potenzialità: può essere analizzata dal punto di vista numerico. Io posso quindi contare quanti individui ad ogni generazione hanno una certa caratteristica e quanta percentuale di figli avranno questa caratteristica nelle generazioni successive.

Questa è la maggiore potenzialità e ricchezza di questa teoria.

Il suo grosso limite è invece la mancanza di una base genetica, che sarà offerta da Gregor Mendel. E la nuova riscoperta della teoria della selezione naturale si ha proprio quando, nel novecento, vengono riscoperte le leggi di Mendel.

 

 

Quali sono le differenze di pensiero tra Darwin, Wallace e Mendel?

Abbiamo tre figure molto diverse, non solo dal punto di vista delle loro teorie scientifiche, ma anche dal punto di vista antropologico e sociale.

Darwin, che era pur sempre un figlio dell’alta borghesia, e che poté dedicare la propria vita lavorare su questa idea, senza l’assillo di problemi economici. E che arriva poi a una posizione agnostica, per non dire atea.

Wallace, che invece è un’esponente della piccola borghesia, deve lavorare per vivere (come succede in realtà alla maggior parte delle persone) e che però “si inventa” un mestiere: il procacciatore di insetti e di altro materiale biologico per i grandi musei e le grandi collezioni, che gli consente di viaggiare come Darwin e di toccare con mano anche lui la variabilità dei viventi.

Wallace si allontanerà poi concettualmente (e antropologicamente) da Darwin, perché a differenza di lui vivrà molto piú a contatto con le popolazioni indigene dei paesi extraeuropei (quelli che in quei tempi venivano chiamati i cosiddetti selvaggi), e ne apprezzerà le qualità intellettuali.

E arriverà quindi alla conclusione che per la nascita delle capacità intellettuali dell’uomo non sia sufficiente la selezione naturale, ma sia necessario un evento esterno. Wallace lo vedeva nel convergere sull’uomo di potenze creatrici esterne. Non è un cristiano, non crede nel Dio della Bibbia, crede però nella soglia tra animale e uomo, perché la tocca con mano.

Darwin invece affronta il rapporto animale-uomo con i pregiudizi (se mi si permette l’espressione), del gentleman inglese, e con il pregiudizio di fondo di un gradualismo, e quindi di un passaggio lento dall’animale all’uomo.

Se il passaggio è lento, di conseguenza bisogna alzare l’animale, ma bisogna anche abbassare l’uomo, e ovviamente è tra i selvaggi che devono essere trovati gli anelli intermedi. E la descrizione che Darwin fa di questi poveri selvaggi è molto piú ruvida di quella di Wallace.

C’è un aspetto bellissimo, in una delle pagine di Wallace, che dopo un lungo viaggio arriva finalmente in un villaggio di indigeni, se non ricordo male in Malesia, e scrive: “finalmente mi addormentai sereno, perché ero nelle mani di questi selvaggi dall’animo gentile”.

Mentre se si va a leggere la descrizione degli abitanti della terra del Fuoco che fa Darwin, c’è una discreta differenza di atteggiamento.

Mendel infine è la terza grande figura della biologia dell’ottocento.

Figlio di un contadino, quindi proveniente dalla piú bassa classe sociale possibile: un contadino dell’Impero Asburgico. Può studiare perché entra in seminario, nel monastero degli Agostiniani di Brno, che era un centro di ricerca per il miglioramento genetico delle coltivazioni, dove cercavano di migliorare le condizioni dei contadini, mettendo veramente la scienza al servizio dei poveri.

Mendel quindi lavora in un ambiente molto ricco intellettualmente, ed elabora questa idea geniale: applicare i metodi numerici alla genetica. Ed ecco che nasce appunto la genetica, la teoria sull’ereditarietà dei caratteri, che era l’aspetto che mancava alla teoria di Darwin e Wallace.

 

 

Come si è arrivati a definire le attuali teorie evolutive per selezione naturale?

Le leggi di Mendel, proprio per la genialità della figura di questo scienziato, vengono riscoperte da tre biologi, praticamente nello stesso periodo, agli inizi del novecento.

Mendel scrive nel 1864, quindi precorre di decenni quella che è il resto della ricerca biologica, ma le sue leggi permettono il recupero anche di tutta l’indagine sulla selezione naturale.

Iniziano cosí discipline importanti, l’applicazione di modelli matematici alla biologia, la genetica di popolazione. È anche una disciplina molto importante, che è la conferma migliore della selezione naturale: la genetica ecologica, cioè l’indagine nel tempo della variazione dei caratteri in ambienti naturali. E questo forse è l’aspetto piú importante, tra quelli che confermare la teoria della selezione naturale.

Qui però c’è un discorso importante da fare. Alcuni casi confermano senz’altro la selezione naturale; quindi esiste la selezione e agisce. Il grande problema che si pone (già in pratica nella discussione appena dopo la pubblicazione del volume di Darwin, che avviene nell’ambiente inglese già dal 1871, quando uno zoologo inglese, George Jackson Mivart, pubblica un volume: “On the Genesis of Species”) è però questo: può la selezione naturale spiegare tutta la varietà dei viventi, o entrano in gioco altri meccanismi?

E una pista (ce ne sono molte ma cerchiamo di sintetizzare), è quella che vede il motore dell’evoluzione non soltanto nel gioco scollegato e in parte casuale mutazione/selezione, ma anche nel gioco dei collegamenti tra individui e tra specie, che, a fianco della lotta per l’esistenza, propongono la cooperazione.

A fianco della sopravvivenza del piú adatto, vediamo la sopravvivenza di strutture cooperative, quale ad esempio la simbiosi: gruppi di viventi si collegano insieme per superare stadi particolari dell’evoluzione. Il concetto di simbiosi è un concetto importante, perché in qualche modo si confronta con quello della lotta per la sopravvivenza, e perché mette l’accento su relazioni che si instaurano non solo casualmente, ma perché danno come risultato una struttura, vuoi di un individuo, vuoi di una popolazione, piú efficace di quella di partenza.

 

 

Qual è la differenza di approccio e di visione, nell’idea di strutture cooperative o simbiotiche?

Prima di tutto entra in gioco un altro problema: quello delle relazioni tra oggetti biologici.

Tutta la linea, importante e fondamentale, della biologia parte sempre dal riduzionismo cartesiano. Posso smontare un oggetto complesso, ne studio le parti, e comprendo anche la struttura e le funzioni dell’oggetto nella sua interezza.

Oggi si comincia a riflettere di piú sulla complessità; cioè quando io smonto un oggetto, per alcuni biologi, necessariamente perdo relazioni che non posso ricostruire studiando le parti; e allora se voglio avere informazioni, debbo anche studiare l’oggetto nella sua completezza e nella sua interezza, perché un oggetto biologico non è riducibile alle parti.

Questa è la grande frontiera della biologia evolutiva del futuro: quanto queste tecniche della complessità, su cui possiamo cominciare a lavorare ora perché abbiamo gli strumenti (ad esempio le simulazioni al computer), possono suggerirci nell’evoluzione.

Mi piace ricordarlo perché il primo che ha posto il problema della biologia come scienza che studia la complessità, è stato un grande gesuita e paleontologo, Pierre Teilhard De Chardin. Poi ha rivisto, un po’ con alcune intuizioni (non era un teologo di professione), tutta l’impostazione della teologia nei riguardi dell’evoluzione, ed è stato uno degli ispiratori di quell’evento fondamentale della storia della Chiesa che è stato il Concilio Vaticano Secondo. Qui ci interessa come scienziato.

 

 

Qual è l’apporto piú importante di Teilhard De Chardin alla biologia evolutiva? 

L’idea fondamentale di Teilhard è che mano a mano che si sale nella scala di indagine degli oggetti biologici e si percorre la strada della complessità, entrano in gioco nuovi meccanismi che il riduzionismo perde. Ecco quindi la biologia come scienza della complessità, la biologia come scienza di oggetti non riducibili. Tra l’altro un’idea fondamentale, affascinante, è lo studio della biosfera come oggetto complesso che si evolve, per poter capire l’evoluzione.

Cominciamo ad arrivare ora ad avere gli strumenti per studiare la biologia della biosfera considerata come oggetto complesso seguendo appunto la proposta di Teilhard che in Cina negli anni quaranta, proponeva una nuova scienza: la Geobiologia che doveva essere la scienza che studiava l’evoluzione a livello di Biosfera: una ipotesi interessante è che la biosfera rimanga stabile per centinaia di milioni di anni, e la frontiera su cui dobbiamo lavorare è quanto la necessità di mantenere stabili i parametri che permettono la sopravvivenza della vita condizioni l’evoluzione.

E questa è secondo me una delle grandi sfide della biologia evolutiva di questo secolo.

Dal mio punto di vista (posso dirlo avendo passato tanti anni del mio lavoro a studiare l’opera scientifica di Teilhard De Chardin) la cosa piú affascinante è poi il rapporto stretto tra la sua riflessione filosofica e teologica e le sue indagini scientifiche.

Perché la novità piú importante della epistemologia del XX secolo, è che lo scienziato che elabora le teorie, non le costruisce in una torre d’avorio, completamente scollegato dal resto del mondo, ma grazie anche alle sue idee metafisiche; preciso che io non sono un filosofo, e uso il termine semplicemente nel significato letterale, di “metà ta phisikà”: cose che sono al di là della fisica, quindi cose che vanno al di là delle osservazioni e degli esperimenti. la sua idea “metafisica” è che l’evoluzione comunque debba presentare tracce, indagabili sperimentalmente, di un muoversi verso. 

Qui si va negli aspetti piú profondi dell’opera teilhardiana ed egli è una figura importante anche perché ritiene che per la scienza dell’evoluzione sia necessario mettere una piccola limitazione a quei meccanismi apparentemente casuali che sembravano emergere da una rilettura affrettata della selezione naturale. Secondo Teilhard nella evoluzione si potevano trovare le tracce di un muoversi verso la complessità e la coscienza.

Quindi il Teilhard paleontologo cerca di dimostrare, attraverso lo studio dei fossili, che in realtà l’evoluzione non è semplicemente il risultato casuale di meccanismi casuali, e che nonostante tutto mostra i segni di un muoversi verso un progressivo aumento della complessità, e negli animali di un progressivo aumento della coscienza. E qualsiasi zoologo vede bene che in qualsiasi gruppo animale si va sempre verso forme a maggiore cerebralizzazione.

Ma per poter indagare fino in fondo questi meccanismi e descriverli, secondo Teilhard bisognava indagare meglio i diversi meccanismi evolutivi, cambiando la scala di indagine; non piú l’indagine a livello di popolazione, ma l’indagine molto piú ampia a livello di evoluzione continentale. Quindi il paleontologo doveva ampliare nel tempo e nello spazio le indagini. In questo modo il risultato non era una dispersione di linee evolutive, ma un convergere verso linee parallele, che era il chiaro segno di una evoluzione direzionale.

Si potrà discutere o no la correttezza dei suoi risultati, ma l’impostazione teorica secondo me è abbastanza chiara. È abbastanza chiara e importante perché lo porta a riflettere sia sulla complessità: cambiando scala entrano in gioco altri meccanismi, che la scala popolazionistica non riesce a mettere in evidenza; sia sull’ampliare i meccanismi dal livello continentale a quello della biosfera. E l’indagine sulla biosfera è oggi quella piú affascinante, perché il punto fondamentale è quello della stabilità dei parametri.

 

 

Come nascono le teorie della biosfera, e quali ne sono i fondatori?

Alla fine dell’Ottocento un grande scienziato italiano, che tra l’altro era anche un prete, Antonio Stoppani, il piú grande geologo italiano della seconda metà dell’Ottocento, ritenne di poter formulare un’ipotesi della stabilità della biosfera, dovuta alle interazioni tra viventi e non viventi.

Una volta comparsa la vita sulla terra, i parametri della temperatura, dell’atmosfera, della salinità dei mari, della concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica, non cambiavano piú perché la vita manteneva stabili i parametri, che permettevano la sua sopravvivenza.

Nasce una teoria della biosfera, che poi verrà ripresa da Teilhard De Chardin paleontologo in campo latino e da Vladimir Vernadsky, un geochimico, nell’ambiente russo. 

È affascinante questo parallelismo tra queste due figure che vivono in ambienti diversi, anche se si conoscono a Parigi negli anni Venti. L’idea viene poi ripresa oggi da Lovelock, con la teoria della stabilità, dovuta a meccanismi di feedback, anelli di retroazione negativi.

 

 

Quali sono le implicazioni di queste teorie?

La grande sfida oggi è quanto questa teoria della stabilità condizioni i meccanismi evolutivi e spieghi il muoversi dei viventi verso la complessità.

Se mi posso permettere un’affermazione forte (che ho anche scritto, e si può quindi leggere e discutere), in questa prospettiva l’evoluzione stessa ha valore adattativo, perché è lo strumento attraverso cui la biosfera mantiene stabili i parametri che permettono la sopravvivenza della vita.

Un modello completamente diverso, quindi, da quello fortemente casuale che ad esempio si può leggere nell’opera di Monod.

Il punto fondamentale è l’idea del muoversi verso. E l’idea del muoversi verso è un’idea forte nella biologia. Quando parlo di queste cose mi piace moltissimo citare quello che è stato uno dei grandi autori della sintesi moderna, il genetista Theodosius Dobzhanski. La sintesi moderna è quella revisione dei meccanismi evolutivi che avviene a cavallo della seconda guerra mondiale unendo insieme la genetica di Gregor Mendel con la selezione naturale.

Dobzhanski era un genetista russo che poi si trasferisce negli Stati Uniti; rimane sempre legato alla Chiesa ortodossa, e in una lettera allo storico Green chiarisce il suo pensiero dicendo: “io sono convinto che l’evoluzione non sia una vaudeville del diavolo, ma sia in qualche modo un muoversi verso; io spero un muoversi verso una qualche Città di Dio”.

Mi affascina perché Dobzhanski è una delle figure piú importanti della sintesi tra Mendel e Darwin-Wallace propri perché è un genetista di popolazioni, ma nello stesso tempo è anche una delle figure piú importanti del collegamento tra la sintesi e Teilhard De Chardin. Non a caso fu poi per tanti anni presidente dell’associazione Teilhard De Chardin americana. E l’idea affascinante che l’evoluzione sia in qualche modo un muoversi verso una qualche Città di Dio, è, se mi permettete, bellissima.

 

 

Quali sono le differenze tra le teorie della biosfera e ipotesi come quella di Gaia, che sembrano indirizzare quasi verso una sorta di neopanteismo o neoanimismo?

È bene a questo punto chiarire un altro aspetto, perché parlando di stabilità della Biosfera si deve fare riferimento a Lovelock ed è probabile che la maggior parte degli ascoltatori o dei lettori possa pensare alla ipotesi Gaia.

Io non amo parlare di ipotesi Gaia, perché il termine ha alcune ambiguità, che vorrei evitare. Però la parte scientifica dell’opera di Lovelock, dice che la stabilità dei parametri della biosfera non è dovuta semplicemente a una lunga finestra astronomica, ma è dovuta anche al concorso attivo della vita e di meccanismi come gli anelli di retroazione negativi, e mantengono la stabilità.

Ma dal momento che ci sono dei parametri che cambiano continuamente, ad esempio la quantità di energia che viene dal sole, di fronte a parametri che cambiano, per mantenere la stabilità bisogna che cambi anche la Biosfera (intendo come esseri viventi).

Quindi, la vita cambia per mantenere stabili i parametri. Questa è una ipotesi scientifica, legittima e affascinante, perché a questo punto dà un valore adattativo all’evoluzione, e un valore adattativo al muoversi verso la complessità perché è una buona pista di indagine cercare di capire se è corretta l’ipotesi che afferma che piú i sistemi sono complessi, cioè ricchi di parti e relazioni tra le parti, piú sono stabili.

Il muovesi verso la complessità sarebbe il modo con cui si mantiene la stabilità. È una sfida, è tutta ancora da verificare, però secondo me è una prospettiva affascinante e importante.

La terza parte della intervista è stata completata dopo il Convegno Internazionale STOQ “Biological Evolution. Facts and Theories", svoltosi presso la Pontificia Università Gregoriana dal 3 al 7 marzo 2009.

Un altro “importante approccio” fu quello di Piero Leonardi, veneziano e Professore di Geologia presso l’Università di Ferrara (recentemente celebrato nell’evento citato), che sottolineò l’importanza degli equilibri della Biosfera giungendo a proporre la presenza di una simbiosi generale della Biosfera stessa.

 

 

Come nasce l’idea di un equilibrio generale della biosfera?

L’idea di una stabilità generale della Biosfera derivava dalle idee del geologo lombardo Antonio Stoppani che alla fine dell’ottocento aveva avanzato l’ipotesi che l’insieme degli esseri viventi cooperasse dando una vera e propria nuova sfera, da affiancare ad Atmosfera, Idrosfera e Litosfera, una vera e propria rete di relazioni tra viventi e componente inorganica che manteneva stabili quei parametri che permettevano la sopravvivenza della vita stessa.

Questa ipotesi sarà poi ripresa, dopo la prima guerra mondiale, in contesti completamente diversi, dal paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin e dal geochimico russo Vladimir Vernadskij.

Piero Leonardi recupera anche la ricerca sui rapporti tra specie, partendo sulla modellizzazione matematica delle interazioni preda-predatore, descritti e modellizzati da Vito Volterra e ampliati a livello di ecosistema da Umberto D’Ancona, ma fino ad estenderli all’intera Biosfera. Vi è dunque un equilibrio generale della Biosfera che viene discusso a Sabadell e ipotizzato negli scritti sull’evoluzione di Piero Leonardi.

 

 

Quali sono gli sviluppi odierni delle teorie della biosfera?

Oggi gli equilibri della Biosfera sono stati riproposti da J. Lovelock e la teoria della simbiosi come importante elemento dell’evoluzione dei viventi da Lynn Margulis che ha illustrato la sua teoria al convegno di Roma. Lovelock in particolare ha indicato la ricerca dei sistemi di feedback che collegano viventi e non viventi come la pista per descrivere e modellizzare i sistemi di controllo (veri e propri anelli di retroazione), che collegano viventi e non viventi che permettono di mantenere la stabilità.

Quindi punto di partenza i rapporti tra specie: i predatori aumentano, diminuiscono le prede; i predatori diminuiscono quindi a loro volta, cosí riaumentano le prede, e cosí via. Il modello teorico tende alla stabilità. L’idea di Lovelock è di collegare questi rapporti tra specie con i rapporti con i parametri chimico-fisici.

E che il sistema funzioni (o che potrebbe funzionare, per essere piú corretti), Lovelock l’ha dimostrato con le simulazioni in un suo mondo ipotetico, che lui ha chiamato il pianeta della margherite, dove l’aumento di temperatura dovuto all’aumento di calore che viene dal sole viene compensato dall’alternarsi di margherite chiare e scure; quelle scure assorbono il calore, quelle chiare lo disperdono.

La stabilità della temperatura è molto piú lunga che non in un pianeta darwiniano, come lui lo chiama, in cui le margherite non possono interagire con la temperatura dell’atmosfera; quando c’è la temperatura ottimale compaiono, vivono finché possono e poi si estinguono.

Quindi c’è un meccanismo, che ha portato a descrivere numerosi sistemi di feedback, o a proporli; non voglio esagerare nel ricordare l’importanza della teoria della Biosfera, però già proporre delle piste di indagine vuol dire che una teoria è feconda. Certo è ancora da trovare il legame tra questi sistemi di feedback e l’evoluzione.

Però qui si va in una delle sfide piú grandi della scienza contemporanea, che è quella che si chiama la “top down causation”, cioè il fatto che il tutto, l’insieme, il sistema globale (può essere il nucleo di una cellula, può essere la cellula, può essere l’organismo, può essere l’ecosistema, o, come sistema ultimo da prendere in considerazione, l’intera biosfera) dovendo mantenere stabili i suoi parametri, agisce (o reagisce) in maniera tale da riuscire a condizionare l’evoluzione nelle sue parti.

Cioè una volta che si sono instaurati i meccanismi di feedback, molti passaggi successivi dell’evoluzione, in qualche modo vengono determinati dalla necessità di mantenere stabili i parametri. Non vi è dunque nessuna forza esterna di origine non naturale che entra in gioco, ma è il sistema Biosfera che in qualche modo condiziona l’evoluzione. È semplicemente il sistema di equilibrio che si mantiene attraverso i feedback e che in qualche modo si collega alle necessità dell’evoluzione dei viventi. Questa è la grande sfida. Come si può vedere non vi sono ancora risposte, però è una possibilità su cui si può lavorare.

Se posso citare un’ultima cosa, forse il lavoro piú interessante che ho fatto sui modelli dell’evoluzione, assieme ad un amico matematico di Pisa, il prof. Benci, sui modelli in generale, uscito su una rivista decisamente importante, il Journal of Theoretical Biology, è stato proprio questo, uno sviluppo della teoria della stabilità: se ci sono questi sistemi di controllo, anche se sono rigidi, il meccanismo di evoluzione avviene alternando lunghi periodi di stasi e rapidi periodi di cambiamento, e di ripresa dopo il cambiamento.

 

 

Le estinzioni di massa che si sono verificate nella storia del pianeta, come si conciliano con queste teorie?

Questo modello sembra concordare abbastanza con l’idea che periodicamente ci siano delle grandi estinzioni di massa. Nella descrizione dell’evoluzione dei viventi, a livello di Biosfera emergono quindi informazioni interessanti! Quindi si aprono delle piste, la strada è lunga, può darsi che sia una strada che non darà grandissimi risultati, però vale la pena percorrerla. 

Una cosa ancora mi preme di chiarire: se posso parafrasare una frase di Teilhard De Chardin quando parlava della direzionalità dell’evoluzione egli affermava che era una descrizione di modalità di evoluzione che richiedeva la ricerca di meccanismi evolutivi in cui non doveva essere coinvolto nessun elemento che esulasse dalle scienze della natura. La forza che agisce determinando i parallelismi evolutivi è una forza concreta, reale: se gli alberi di filogenesi presentano rami paralleli, questo è dovuto ad un meccanismo naturale simile a quello che piega gli alberi sottoposti a forti raffiche di vento, con cui si ricostruiscono gli alberi di filogenesi; quando si parla della stabilità della biosfera, e di meccanismi di feedback, questa è una teoria che deve essere sottoposta alla indagine scientifica. O ci sono o non ci sono; se ci sono che importanza hanno nei meccanismi evolutivi. E questa è scienza.

Per esempio oggi sui sistemi di controllo dell’anidride carbonica ne sappiamo molto di piú di trent’anni fa e cominciamo a cercare di capire i sistemi che portano all’equilibrio.

 

 

A volte si pensa che le teorie della biosfera coincidano o comunque si intreccino con alcune ipotesi neoanimiste o neopagane, che vedono la terra come Gaia, come se fosse un essere vivente in sé...

Questa è scienza, non c’è nessuna mistica coinvolta, nessuna New Age, nessun animismo, nessun panteismo. Sono meccanismi che si sono instaurati naturalmente, e che oggi si studiano con gli strumenti delle scienze della natura, come sono meccanismi quelli della selezione naturale, come ancora oggi si continua a discutere se alcuni meccanismi dell’evoluzione del genoma possano essere riportati a meccanismi neolamarckiani, ad esempio quando nella resistenza agli insetticidi, alcuni insetti amplificano il gene che produce una proteina che inattiva il principio attivo dell’insetticida; e questo aumento del numero di geni sembra una risposta mirata; forse è in gioco un meccanismo neolamarckiano? Si tratta di discussioni di tipo scientifico. 

Poi, dal mio punto di vista, il fatto che queste discussioni possano essere in qualche modo ricollegate all’opera scientifica di Teilhard De Chardin e alla sua teoria della biosfera, a me fa particolarmente piacere, ho dedicato molti anni del mio lavoro per chiarire questo aspetto. E questo me le fa difendere con particolare calore..

Però, ripeto, si tratta di un progetto di tipo scientifico, che in qualche modo si può confrontare con le idee filosofiche e teologiche di Padre Teilhard come del resto le sue idee filosofiche e teologiche si confrontano con i suoi lavori scientifici. E ricordiamoci che Padre Teilhard, nonostante alcuni limiti della sua opera, rimane pur sempre una delle grandi figure della filosofia e della teologia cattolica del Ventesimo secolo.

 

 

Una figura che in passato è stata criticata sia in ambiti scientifici, sia in ambiti religiosi.

Il problema qui è il giudizio che si da su Teilhard. Chi come me ama Teilhard è molto interessato e affascinato dalle sue sintesi; chi su Teilhard ha qualche dubbio, ha qualche perplessità anche su questi approcci. Però il discorso scientifico è: esistono o no questi meccanismi di feedback? Come si sono formati? Possono in qualche modo darci informazioni anche su questa particolarità dell’evoluzione che è il muoversi verso la complessità?

Che è un’idea di Teilhard, ma che è un’idea ormai accettata un po’ da tutti i principali studiosi. 

Kaufmann, che è intervenuto al convegno di marzo, e che è uno dei piú grandi studiosi della complessità, nel libro “At home in the Universe” sviluppa proprio questa idea. Noi, gli attesi nell’universo. Perché i meccanismi dell’universo tendono a dare strutture sempre piú complesse, e il cervello umano è la struttura piú complessa possibile.

 

 

Quali sono dal suo punto di vista gli errori, le confusioni o le distorsioni, a volte forse volute, nell’informazione e divulgazione scientifica, e in particolare sul rapporto tra teorie evolutive e creazione?

Io credo che l’errore piú grave sia quello di usare l’evoluzione per una, se mi permettete l’espressione, apologetica atea; dal momento che c’è l’evoluzione, allora non c’è Dio.

Questo è un discorso assolutamente senza senso; ancora nel libro del 1871, lo zoologo inglese, Mivart, di cui abbiamo appena parlato, pensava di aver chiarito una volta per tutte questo problema; qualsiasi riflessione o indagine sui meccanismi evolutivi, nulla ci dice sulla causa prima. Allora dire che dal momento che c’è l’evoluzione non c’è Dio, è un errore logico; è come dire Socrate è un uomo, tutti gli uomini sono mortali, quindi Socrate è juventino; è una conclusione totalmente scollegata.

E invece l’usare l’evoluzione come strumento per una apologetica atea è l’errore piú grande che si possa fare dal punto di vista scientifico, perché poi alla fine si rischia, dal punto di vista divulgativo, di far passare il messaggio, e allora c’è il rischio che il credente si metta sulla difensiva nei riguardi dell’evoluzione, dimenticandosi che si tratta di un evento storico i cui meccanismi devono essere chiariti dalla scienza.

Qual è semmai il problema? Il problema è che nei meccanismi darwiniani, anche in quelli che sono accettati da tutti, o comunque dalla maggior parte degli studiosi, c’è come abbiamo visto un aspetto anche drammatico; c’è un aspetto diciamo di lotta per la sopravvivenza, che in qualche modo si estende a tutta la natura. 

Io dico sempre: Darwin fa la stessa operazione di Galileo; Galileo unifica lo spazio: le leggi che descrivono la fisica del mondo terrestre, della corruzione, sono le stesse del mondo lunare, delle stelle e dei cieli incorrotti. Darwin unifica il tempo. Le leggi drammatiche che valgono per l’oggi sono anche quelle che caratterizzano tutta l’evoluzione.

Quindi l’evoluzione è anche caratterizzata da aspetti drammatici, da vicoli ciechi, dalla lotta per la sopravvivenza, insomma da fonti di dramma e di dolore che fanno parte della stoffa stessa dell’Universo e che sostituiscono l’immagine di una Creazione che esce compiuta e perfetta dalle mani del Creatore.

 

 

Una creazione quindi in divenire... come si concilia con la nostra idea di Dio?

Qui ancora è importante l’opera di Telhard De Chardin. Teilhard proietta tutto nel futuro: necessariamente una creazione che è fatta di materia, non può essere perfetta, perché se fosse perfetta, coinciderebbe con il Creatore. Può perfezionarsi nel futuro, grazie all’alleanza tra la creatura pensante e Dio.

Quindi è una creazione che anche in questi limiti, che in una prima lettura possono preoccupare, in realtà viene trasfigurata da questi grandi eventi: la proposta di alleanza che Dio fa ad Abramo, il progetto redentore di Cristo, e la prospettiva del futuro.

Io amo molto l’idea di Teilhard, della necessità di costruire la Terra per la seconda venuta di Cristo. Allora quelli che sono apparenti problemi, diventano risorse, basta discuterne serenamente e rifletterci.

Quindi l’errore piú grosso che si può fare, ripeto, dal punto di vista della diffusione dell’evoluzione è mandare questo messaggio: l’evoluzione è un punto fondamentale di una apologetica atea. 

L’evoluzione non ci da informazioni sull’esistenza di Dio. Chi crede, crede che Dio esiste, perché è la materia stessa che non può essere autosussistente e autoconsistente. Una volta accettata la presenza del Dio Creatore e della Rivelazione, ecco che l’evoluzione anche con tutti i suoi limiti, con tutti i suoi problemi, con tutte le sue incertezze e le sue drammaticità, diventa lo strumento per capire meglio il piano di Dio.

Quindi: non usiamo l’evoluzione per una apologetica atea; si fa del male all’evoluzione. 

E non abbiamo paura dell’evoluzione (questo lo dico al credente), ma vediamo nell’evoluzione uno strumento attraverso il quale possiamo capire meglio il piano di Dio. È il discorso galileiano dei due libri: Dio ci parla attraverso il Libro della Rivelazione, ma Dio ci parla anche attraverso il Libro della Natura. Ed è la lezione del Concilio Vaticano II, quel libro della natura che la scienza descrive, nella sua fondamentale autonomia e di cui noi cristiani dobbiamo tenere conto.

 

 

 

 

 

 "Scientia et Fides"

 

 

 

 

 

 

 

Breve bibliografia ragionata

ARNOULD J., La teologia dopo Darwin, trad. it. Queriniana, Brescia 2000 [Un importante contributo che supera la teologia naturale nella prospettiva di un universo che cambia].

GALLENI L., Biologia, La Scuola, Brescia 2000 [È una guida per insegnanti di scienze delle superiori, ma ha anche un capitolo in cui si propone un progetto comune tra scienza, filosofia e teologia].

GALLENI L., Darwin, Teilhard de Chardin e gli altri... le tre teorie dell’evoluzione, Felici, Pisa 2009 [Vengono presentate le differenti ipotesi sui meccanismi dell’evoluzione, centrate su due figure per chi scrive fondamentali: Darwin e Teilhard de Chardin].

GALLENI L., Scienza e teologia, proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1992 [Dà un quadro generale dei rapporti tra scienza e teologia cercando di individuare differenti modelli di interazione e discutendo un caso: quello dell’evoluzione].

Due fascicoli monografici di riviste, dedicate all’evoluzione: 

Evoluzione e Fede, fascicolo monografico di Concilium, febbraio 2000.

Evoluzionismo e Fede Cristiana, fascicolo monografico di Credere oggi, genn.-febbr. 2009.

Le voci: EvoluzioneTeilhard de Chardin Darwin in: Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (a cura di G. Tanzella Nitti e A. Strumia, Città Nuova e Urbaniana University Press, Roma 2002).

E ancora:

CASINI P., Darwin e la disputa sulla Creazione, Il Mulino, Bologna 2009.

MORANDINI S., Darwin e Dio, Fede evoluzione ed etica, Morcelliana, Brescia 2009.

 

 

 

 

 

(*) Lodovico Galleni è docente di Zoologia generale ed Evoluzione Biologica presso la facoltà di agraria e il corso interfacoltà di scienze per la pace dell’Università di Pisa. Insegna anche Scienza e Teologia presso l’ISSR “N. Stenone” di Pisa. La sua attività sperimentale riguarda i rapporti tra evoluzione cromosomica e speciazione negli animali. Si occupa anche di biologia teorica e dei rapporti tra biologia evolutiva e teologia cristiana nell’opera di Pierre Teilhard de Chardin.

È stato visiting professor in Storia della scienza presso l’Università Cattolica di Lovanio ed è attualmente Professore invitato di Evoluzione biologica presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha fatto parte del comitato direttivo della società europea per lo studio di scienza e teologia (ESSSAT) dal 1998 al 2006. Ha scritto numerose opere, tra cui: Scienza e teologia, proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia, 1992; Da Darwin a Teilhard de Chardin, SEU, Pisa, 1996; Biologia, La Scuola, Brescia, 2000; I cieli, la scienza la fede, Bandecchi e Vivaldi, Pisa, 2005, con Maria Paola Palla; Darwin, Teilhard de Chardin e gli altri... le tre teorie dell’evoluzione, Felici, Pisa 2009.

 

 

 

 

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.