Monsignor Enelio Franzoni ci ha lasciati

 

 

 

Ci ha lasciati il 5 marzo scorso [2007] monsignor Enelio Franzoni. Un personaggio veramente difficile da dimenticare, per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e anche per chi ha avuto o avrà modo in futuro di conoscerlo attraverso i racconti che riguardano la sua lunga vita. Avrebbe compiuto 94 anni il prossimo mese di luglio monsignor Enelio; era ospite presso la Casa del Clero di Bologna e per tantissimi era ancora un punto di riferimento straordinariamente vivo.

Parlare con lui, attingere alla sua esperienza alla sua saggezza, era un vero toccasana era una boccata di fiducia. Perché don Enelio ne aveva viste veramente tante, come si suol dire, nella sua lunga vita ed aveva dimostrato veramente, a carissimo prezzo, che cosa significava testimoniare l'amore di Cristo per l'uomo. E sapeva guardare ai casi della vita con quella serenità, con quella bonomia tipiche di chi sa di aver fatto il proprio dovere fino in fondo.

Era nato a San Giorgio di Piano nel 1912 ed era stato ordinato sacerdote a Bologna nel 1936; docente di Lettere al Seminario Arcivescovile, era stato poi Cappellano Militare dal 1940 al 1943 e fatto prigioniero in Russia. Venne rilasciato, ma non accettò di andarsene, di abbandonare i suoi soldati in carcere. Rimase con loro fino alla fine, compagno di strada e fratello che condivide con i fratelli anche i momenti piú difficili e dolorosi. Insignito di Medaglia d'Oro al Valor Militare, tornò in Patria dove fu nominato prima Delegato Arcivescovile a San Giovanni in Persiceto, poi Parroco a Santa Maria delle Grazie. Era inoltre Canonico onorario del Capitolo di San Giovanni in Persiceto, Cappellano di Sua Santità, Grand'Ufficiale della Repubblica Italiana.

Il capitolo certamente piú intenso del servizio pastorale di monsignor Enelio Franzoni fu quello vissuto in Russia, durante la seconda guerra mondiale. La sua profonda umanità, il suo eroico altruismo, lí ebbero modo di esprimersi al livello piú alto: non c'erano pericoli, non c'erano privazioni, non c'erano sofferenze che potessero fermarlo nella sua missione di Cappellano Militare. "Non sono un eroe - raccontò un giorno - avevano solo bisogno di me"; per lui questo bastava a giustificare tutto. Il 16 dicembre 1942, mentre stava celebrando la Santa Messa, un capitano gli urlò di scappare perché stavano arrivando i russi; don Enelio non si scompose rimase dov'era, accanto ai feriti che non potevano muoversi.

Quando nel 1951 lo decorarono con la Medaglia d'Oro al Valor Militare, dichiarò: "Non ho mai imbracciato un'arma, ero armato del mio crocifisso, dell'Eucaristia". Monsignor Franzoni non dimenticò mai i suoi uomini al punto che in un volume annotò i nomi di quanti aveva assistito amorevolmente, fino alla fine. Nel suo Testamento spirituale, egli scrive: "Ti ringrazio... perché ho potuto conoscere Cristo Signore; perché tante volte ho potuto vedere la terra dove è nato; ho visto dove è morto: il suo lago, il suo cielo, i suoi fiori, gli uccelli dell'aria che lui respirava e che ho respirato anch'io; ho potuto camminare per le sue strade".

Sua Eminenza il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, che ha presieduto le esequie, ha commentato: "Queste parole esprimono il realismo del legame che ogni sacerdote stringe colla persona di Cristo, il bisogno che sia plasmato quasi nella fisicità di un incontro".

L'Arcivescovo di Bologna, nel suo intervento, ha approfondito la spiritualità e le motivazioni profonde che animarono monsignor Franzoni: "Chi è fedele ad un Dio che si è alleato con l'uomo; chi nel cuore di Cristo ha visto la passione per la dignità dell'uomo che vi dimora, non può non essere fedele all'uomo. Non può non avere nel cuore una grande passione per il suo bene e la difesa della sua dignità. È questa la spiegazione ultima della testimonianza sublime che don Enelio ha dato di fedeltà all'uomo. Benché i russi gli avessero concesso la liberazione prima della fine della guerra, don Enelio volle rimanere in prigionia al campo di Suzdal, fino a quando anche l'ultimo soldato recluso fu rimpatriato. Fu fatto prigioniero proprio perchè non volle abbandonare i feriti. Ecco come chi è fedele a Dio non abbandona l'uomo. Fino in fondo gli resta vicino perchè Dio si è fatto vicino all'uomo, fino in fondo".

II Cardinale Caffarra ha concluso il suo discorso con queste toccanti parole: "Leggendo il testamento e le ultime volontà di don Enelio mi ha colpito la cura con cui dispone la custodia degli oggetti suoi e dei suoi soldati. È la preoccupazione di custodire la memoria di quel grano di frumento caduto in terra, perchè produca molto frutto. Produca in ogni coscienza frutti di giustizia, di pace, di fraternità. Quanto piú si avvicinava la data del suo settantesimo di sacerdozio, scherzando a lui ripetevo: "Monsignore, non ci faccia il torto di andare in Paradiso prima. Le vogliamo fare una grande festa". Egli sorridendo mi assicurava: "certamente, ma dopo basta". Cosí è accaduto. Ora affidiamo quest'anima grande e nobile alla misericordia di Dio, colla speranza che la sua testimonianza sia custodita nella memoria del nostro presbiterio e della nostra comunità civile: perchè produca molto frutto".

A noi piace pensare monsignor Enelio Franzoni in Paradiso, accanto ai suoi soldati che lo hanno preceduto nella Casa del Padre e ci piace pensare il "grazie!" che ancora una volta gli avranno detto.

Il glorioso Labaro dell'Associazione Cappellani Militari d'Italia, che tante volte lui in persona aveva portato nelle adunanze e nelle celebrazioni in memoria, è sfilato per l'ultima volta accanto alla sua bara nella Chiesa della Madonna delle Grazie della sua Bologna. Grazie Monsignore.

 

 

 

Cfr. VALENTINI G., Monsignor Enelio Franzoni ci ha lasciati, in Bonus Miles Christi 3-4 (2007), 56-57.

 

 

 

 

 

 

 

 «Sola misericordia Tua»

 

Omelia tenuta alle esequie di Mons. Enelio Franzoni

da S. E. Rev.ma Mons. Carlo Caffarra

Cardinale, Arcivescovo di Bologna

Chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie, 7 marzo 2007

 

 

1. "Coloro che gli sono fedeli vivranno presso di Lui nell'amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti". Si è conclusa la vita terrena di uno degli ultimi testimoni oculari di un'immensa tragedia che ha devastato uomini e nazioni. Ancora una volta vogliamo capire il senso ultimo di una testimonianza - la testimonianza di Mons. Enelio Franzoni - di cui la nostra memoria deve essere custode fedele.

"Coloro che gli sono fedeli vivranno presso di Lui nell'amore". Dio non abbandona ad una morte eterna coloro che gli sono fedeli. Don Enelio ha testimoniato la sua fedeltà al Signore attraverso piú che settant'anni di vita sacerdotale. Nel suo Testamento spirituale egli ringrazia il Dio che riserva grazia e misericordia ai suoi eletti, per l'onore - scrive - fattogli di poter parlare tante volte di Cristo "e di imbandire la Tavola dove il pane era il suo Corpo e il vino era il suo Sangue".

È la vicinanza a Cristo; è l'amicizia con Lui; è l'attrazione che il sacerdote sente nei suoi confronti, l'impasto di ogni vita sacerdotale. Nella preghiera finale che scandisce il suo Testamento spirituale, don Enelio scrive: "Ti ringrazio... perché ho potuto conoscere Cristo Signore; perché tante volte ho potuto vedere la terra dove è nato; ho visto dove è morto: il suo lago, il suo cielo, i suoi fiori, gli uccelli dell'aria che lui respirava e che ho respirato anch'io; ho potuto camminare per le sue strade". Queste parole esprimono il realismo del legame che ogni sacerdote stringe colla persona di Cristo, il bisogno che sia plasmato quasi nella fisicità di un incontro.

Miei cari fratelli e sorelle, chi è fedele ad un Dio che si è alleato con l'uomo; chi nel cuore di Cristo ha visto la passione per la dignità dell'uomo che vi dimora, non può non essere fedele all'uomo. Non può non avere nel cuore una grande passione per il suo bene e la difesa della sua dignità.

È questa la spiegazione ultima della testimonianza sublime che don Enelio ha dato di fedeltà all'uomo. Benché i russi gli avessero concesso la liberazione prima della guerra, don Enelio volle rimanere in prigionia al campo di Suzdal, fino a quando anche l'ultimo soldato recluso fu rimpatriato. Fu fatto prigioniero proprio perché non volle abbandonare i feriti. Ecco come chi è fedele a Dio non abbandona l'uomo. Fino in fondo gli resta vicino perché Dio si è fatto vicino all'uomo, fino in fondo.

È questa vicinanza che opera il miracolo piú grande: trasformare anche i luoghi dell'odio: "Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto". Don Enelio inizia il suo testamento spirituale nel modo seguente: "Mio Dio, vorrei parlarti dell'ora della mia morte; la morte vorrei vederla in faccia e non avere paura; è la suggestione che mi hanno lasciato i ragazzi che ho visto morire in guerra a venti anni". La vicinanza dell'amore di Dio fattosi presente nella testimonianza del suo sacerdote ha fatto sí che quei ragazzi guardassero in faccia la morte e non avessero paura: "le anime dei giusti sono nelle mani di Dio". Ed anche in quei deserti di solitudini innevate si ricostruiva la fraternità. Don Enelio amava spesso parlare dell'umanità del popolo russo.  

2. "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto". Miei cari fedeli, è di se stesso che Gesú parla quando pronuncia queste parole. Egli è stato il "grano di frumento" che morto fu sepolto nella terra degli uomini e, divenuto nella sua risurrezione fonte di vita, ha prodotto molto frutto.

È questa la via indicata anche al suo discepolo: "se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo".

Leggendo il testamento e le ultime volontà di don Enelio mi ha colpito la cura con cui dispone la custodia degli oggetti suoi e dei suoi soldati. È la preoccupazione di custodire la memoria di quel grano di frumento caduto in terra, perché produca molto frutto. Produca in ogni coscienza frutti di giustizia, di pace, di fraternità.

Quanto piú si avvicinava la data del suo settantesimo anno di sacerdozio, scherzando a lui ripetevo: "Monsignore, non ci faccia il torto di andare in Paradiso prima: le vogliamo fare una grande festa". Egli sorridendo mi assicurava: "certamente, ma dopo basta".

Cosí è accaduto. Ora affidiamo quest'anima grande e nobile alla misericordia di Dio, colla speranza che la sua testimonianza sia custodita nella memoria del nostro presbiterio e della nostra comunità civile: perché produca molto frutto.

Card. Carlo Caffarra

 

 

 

 

 

 

 

 

Testimonianza di mons. Enelio Franzoni