Negli ultimi decenni, in molti contesti, si è assistito ad una riduzione moralista del cristianesimo e infine ad una sorta di ideologia buonista. È importante conoscerne le principali cause storiche al fine di porvi rimedio e non soccombere cosí alla duplice impostura pseudo-religiosa e culturale portata da tanti cattivi maestri anche all’interno della Chiesa

 

 

 

 

 

«Se qualcuno vi dirà: "Ecco, il Cristo è qui, ecco è là", non ci credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi
profeti e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti» (Mc 13,21-22)

 

 

 

 

 

 

Dopo il 1989, con il crollo del comunismo, molti pensarono che i movimenti d’ispirazione marxista sprofondassero nel discredito. Grazie ad un’abile operazione di riconversione ideologica invece le sinistre sono riuscite a conservare in molti luoghi l’egemonia culturale e politica passando dal marxismo al multiculturalismo relativista e radicalista. Le nuove sinistre non concentrano piú le loro critiche sulle strutture economiche come prescriveva il marxismo classico. Quasi nessuno oggi ha piú il coraggio di chiedere l’abolizione della proprietà privata o la collettivizzazione dei mezzi di produzione.

L’attacco invece prende di mira le “sovrastrutture” culturali della società, secondo le tesi di Antonio Gramsci e della cosiddetta Scuola di Francoforte. Il multiculturalismo rappresenta una continuazione della passata guerra fredda con altri mezzi, infatti, dietro una facciata relativista si propone l’obiettivo di distruggere il retaggio dell’Occidente cristiano. Quest’odio profondo per tutto ciò che appartiene al suo passato si manifesta con l’esaltazione acritica di ogni cultura estranea all’Occidente, comprese le piú aberranti, e con il desiderio frenetico di incidere anche demograficamente con una massiccia e incontrollata immigrazione, specie se ostile ai valori culturali dei paesi ospitanti, in primis quelli piú cari alla Cristianità.

 

 

Il dissenso fuori e dentro la Chiesa

Non si tratta di un allarme ingiustificato: porre in rilievo l’incompatibilità fra la fede cattolica e l’ideologia multiculturalista e radicalista è un dovere intellettuale e pastorale piú che mai urgente. Si tratta, infatti, di salvaguardare l’autenticità e la genuinità della fede cattolica preservandola da tutte le conseguenze negative sul piano etico e morale, a cominciare dal relativismo, spesso abilmente propagandato in nome del pluralismo. In passato è stato fatto notare che “il dialogo tra comunisti e cattolici è diventato possibile da quando i comunisti falsificano Marx e i cattolici Cristo” (Nicolás Gómez Dávila). Ebbene, dopo il crollo delle grandi ideologie non è piú necessario falsificare Marx o altri ideologi, perdura invece la falsificazione del cristianesimo, talvolta in nome di un dialogo sempre piú relativista e inconcludente, fine a se stesso. Un dialogo che se pur avvicina opposti interlocutori non per questo li avvicina a ciò che anzitutto interpella ogni intelligenza, ossia la verità di Cristo. È bene dunque soffermarsi su alcuni interrogativi chiedendosi se non sia giunta l’ora di trarre le dovute conclusioni, senza piú esitazioni e compromessi.

È dalla strana commistione fra cattolicesimo e comunismo che negli anni Sessanta del Novecento emerge la dottrina catto-comunista (catto-comunismo). Da essa deriva alla lunga anche ciò che possiamo qualificare come l’”ideologia buonista”, ossia una sorta di vulgata moraleggiante delle sue principali istanze. Certo, il vero volto dell’ideologia catto-comunista, vera e propria scimmiottatura del cristianesimo, è un altro ed è quello visibile nei suoi vertici culturali e politici, tanto demagogici quanto autoreferenziali. Le vere, profonde e inconfessabili ragioni dell’ideologia, ossia il potere fine a se stesso, si celano dietro una scorza di messianismo sociale pseudo-riformista che esige una fede indiscussa. Sicché, volendo essere ironici, si direbbe che il cristiano alla luce delle sue istanze diviene tale da mettere in crisi l’immagine tradizionale di un Dio mai abbastanza misericordioso; diviene tale da sentirsi sempre piú ristretto negli spazi angusti di una Chiesa mai abbastanza omni-comprensiva e aperta, talmente aperta da mutare se fosse possibile perfino identità e valori. E che ne sarebbe della verità, quella verità nella carità, quel depositum fidei che ogni cristiano deve custodire gelosamente nella sua mente e nel suo cuore? Forse si dirà che i discepoli hanno superato il Maestro? No, il Vangelo esclude questa possibilità (cfr. Lc 6,40), lo sappiamo per certo.

Ad esser sinceri è troppo facile percorrere questi sentieri ideologici a spese della verità su Dio e sull’uomo. Questa non può essere la via di Cristo. Questo mondo relativista pretende un voto di assoluto consenso su ciò che assoluto proprio non è. Perché essere intransigenti - si dice - in nome di “pretese verità” che si frappongono fra l’uomo e la sua ambizione alla libertà e alla felicità? È questa l’immancabile obiezione di un mondo post-illuminista che ha perduto perfino l’ossequio alla ragione. Sí, per un attimo, stretti sulla difensiva, verrebbe quasi da sentirsi in colpa dinanzi alla smisurata liberalità di questo mondo che tutto concepisce e tutto concede. Invece anche l’Apostolo scriveva: «“Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla» (1Cor 6,12). Del tutto all’opposto dunque di un mondo che si lascia dominare da tutto: da ogni voglia, da ogni desiderio, da ogni ambizione, da ogni possibilità. Ma è questa la via della speranza? Passa di qui quell’Amore che cambia il mondo? Si esige che la Chiesa, in nome della libertà, accolga ogni istanza possibile: approvi le convivenze di fatto, conceda il matrimonio e acclami alle adozioni richieste dalle coppie omosessuali, ammetta senza riserve il diritto ad ogni costo alla felicità sessuale con il relativo corollario di infiniti divorzi e aborti e, infine, assolva con formula piena l’eugenetica e l’eutanasia. Ebbene, ancora una volta, è questa la via della speranza? Passa di qui l’Amore che cambia il mondo? No, certamente, e l’unica risposta ragionevole a tali istanze è un netto rifiuto: un rifiuto postulato dal rispetto della dignità umana.

 

 

 

 Crocifisso astratto         Altare con simboli politici

Un'arte astratta che non eleva più l'animo di nessuno e una chiesa che ostenta simboli politici:
un esempio della confusione che non di rado affligge anche una parte del clero

 

 

 

Al dire di molti la dignità umana, l’essere cristiani, coincide con la bontà e l’onestà. Ecco un chiaro segno di quel moralismo diffuso, di quel buonismo, di quella superficialità e ignoranza religiosa - in parte colpevole - in cui purtroppo vive tanta parte dello stesso laicato cattolico. Eppure basterebbe porsi un semplice interrogativo: se l’essere uomini degni, l’essere specificamente cristiani, si risolvesse nell’onestà cosa si dovrebbe dire delle altre religioni? Forse che i mussulmani, gli ebrei, i buddisti non possono o non sono tenuti ad essere degni? È evidente che tale concezione del cristianesimo è inconsistente e conduce a quel “supermarket delle religioni” a cui assistiamo da qualche decennio a questa parte: in ultima analisi tutto appare equiparabile, sullo stesso piano. No, essere cristiani non significa semplicisticamente essere buoni e onesti. Cristiano semmai è colui che vive alla sequela della persona di Cristo e alla luce del comandamento nuovo dell’amore (cfr. Gv 13,34), quello vero, quello - direbbe sant’Agostino dell’amore di Dio - e quindi del prossimo - fino alla dimenticanza di sé (cfr. AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De civitate Dei, 14,28): questo sí è specifico ed è esclusivo del cristiano ed è pure la fonte di ogni vera bontà e rettitudine. Anche il mussulmano può amare, può essere onesto e filantropo, ma non conoscerà mai e non vivrà mai la profondità dell’amore di Dio in Cristo Gesú... a meno che qualcuno non gliene dia testimonianza. Perché se conoscesse davvero la profondità dell’amore di Dio in Cristo Gesú si convertirebbe senza indugi sfidando con coraggio ogni minaccia e avversità.

 

 

Le conseguenze di una fiducia mal riposta

In verità la responsabilità di tutto ciò non sta solo nella trascuratezza del laicato ma anche nell’imprudenza e nell’imprevidenza di un clero che, specie in passato, ha riposto troppa fiducia in una civitas christiana che avrebbe tutelato la fede e i costumi. La prudenza evangelica (Mt 10,16), lungi dal confidare nella pur doverosa azione politica del laicato cattolico, avrebbe non solo favorito l’evangelizzazione della cultura ma, ancor piú, una capillare e attiva presenza nel mondo della comunicazione e dell’istruzione. Troppo spesso la politica confeziona illusioni e offre false promesse: tutto può ottenere in un momento e tutto perdere in quello successivo. Non cosí la cultura e se il Vangelo fosse stata l’anima delle nostre scuole, dei giornali e degli altri media oggi vivremmo in un’altra realtà. Accontentarsi dei pulpiti clericali e dei seggi politici fu e sarà sempre piú un gravissimo errore. È anche grazie ad errori come questi e alla conseguente debolezza culturale che si sono formate delle frange clericali che nella storia recente non hanno lesinato attenzioni e simpatie ai sostenitori e divulgatori del “Cristo-primo-comunista-e-rivoluzionario-della-storia”. Negli ultimi decenni il magistero della Chiesa è intervenuto piú volte per porre un limite ai casi piú gravi; basti pensare, ad esempio, alla cosiddetta “teologia della liberazione” che intendeva interpretare il Vangelo riducendolo agli schemi ideologici del marxismo.

Le conseguenze in molti casi furono gravissime, sia in Europa, sia ancor piú in altri continenti (come per esempio l’America Latina) dove perfino alcuni membri del clero ricorsero alla lotta armata nel tentativo di trovare una soluzione ai gravissimi problemi sociali della popolazione. Problemi che - è il caso di sottolinearlo - gridavano e gridano vendetta al cospetto di Dio: sistemi politici turpi e assassini; dittature crudeli e sanguinarie imposte per ostacolare l’avanzata del cosiddetto “pericolo rosso” e che - al contrario - diventarono l’argomento migliore per spingere fra le sue braccia popoli e nazioni. La migliore arma contro l’ideologia comunista invece ha un altro nome: sviluppo culturale, sociale ed economico (cfr. PAOLO VI, Populorum progressio, n. 3; EV IV, n. 2458). La storia del Centro e del Sud-America sarebbe stata molto diversa da quella che abbiamo conosciuto se chi ebbe la lungimiranza di pensare ad un piano Marshall per l’Europa ne avesse avuta altrettanta per quel contesto. Ma la storia non tiene conto dei “sé”, cosí l’anti-americanismo è cresciuto a macchia d’olio, seguito dall’anti-occidentalismo, e dopo l’assassinio politico dei Kennedy l’America ha mutato decisamente volto giocando pessime carte al tavolo della storia. L’american dream, in meno di quaranta anni, per molti popoli è diventato l’american nightmare.

 

 

Teologi spensierati, chierici superficiali e bonaccioni...

Esistono - come già accennato - frange clericali, cattivi maestri, che nella storia recente non hanno lesinato simpatie ai partigiani del “Gesú-primo-rivoluzionario-della-storia”. Chi è debole nella fede prima dubita e alla fine inevitabilmente cade: cosí dalla generica simpatia si passa all’interesse culturale e politico e l’ideologia contagia anche il modo di fare teologia, di predicare, di fare catechesi, di fare pastorale: tutto insomma. Da un clero pressoché concorde del passato si è assistito gradualmente alla nascita di un clero variegato, pluralista, non solo quanto ad opinioni politico-ideologiche ma perfino quanto a scelte teologico-pastorali, talvolta ai limiti dell’eresia formale. Ma di quale clero alto e basso stiamo parlando? Che si tratti di quei “teologi spensierati, quei chierici superficiali e bonaccioni” di cui parla Vittorio Messori nei suoi scritti? (cfr. per es. MESSORI V., Scommessa sulla morte. La proposta cristiana: illusione o speranza?, Torino 19823, 317). E chi sono costoro? Chierici e teologi sempre accomodanti, sempre pronti a scusare e ad assolvere, buoni proprio come il mondo li vorrebbe? Non solo. Il chierico bonaccione o buonista, nell’ampio e complesso spettro che va dall’eterodossia pratica a quella formale, può riservare delle sorprese.

Può essere un uomo dallo stile attuale, tanto da far concorrenza ad un brillante opinion leader mondano; un uomo informato a cui non sfuggono le mode e il gergo giovanili. Può essere l’uomo dei convegni e dei dibattiti; una sorta di manager religioso attento agli emarginati, agli extra-comunitari, agli ultimi; un contestatore della ricchezza e del potere che si appassiona anche per la politica sfoggiando un linguaggio ora vivace, ora fin troppo intellettuale. Le sue omelie sono spesso intrise di un’esegesi e di un vocabolario sociale che capovolge molte cose, cambia l’ordine dei fattori mutando purtroppo anche il prodotto. Un profilo stimolante, se non fosse che a volte la psicologia finisce con il contare piú della spiritualità, la sociologia piú della comunione ecclesiale, la filantropia piú della carità, il pacifismo piú della fede. Un panorama noioso, in ultima analisi, e una liturgia spesso arida e scontata, troppo spesso aliena dal contemplare il Mistero. L’aldilà è spesso assente da questo orizzonte ideologico dove l’inferno - se c’è - è vuoto... ma l’impressione sincera è che pure il paradiso lo sia, tranne quello puramente terreno promesso dalle utopie politico-sociali di una religione fin troppo orizzontale e appiattita sul presente.

E cosí che la redenzione viene ridotta a “diritto”, a patto di appartenere alle categorie ufficiali degli oppressi sostenute dagli sponsor politici e mediatici del momento. Poco importa quale sia la loro reale condizione morale ed etica, poco importa se questa attenzione sociale viene talvolta sostenuta in funzione anticattolica, come è il caso, per esempio, dell’incontrollabile immigrazione islamica e soprattutto di un’altra “immigrazione” ancor piú grave, preoccupante e incontrollata: quella dei non-valori, ossia la cultura della morte sdoganata in nome della libertà, del progresso, del pluralismo e perfino dei diritti umani.

A lavorare in tal senso sono anche lobby e organizzazioni internazionali come, per esempio, l’Organizzazione mondiale per la sanità in tema di contraccezione, di aborto e di diagnosi prenatale finalizzata alla soppressione dei malati. Si annovera poi la massoneria, che, soprattutto nei paesi latini e su influsso francese, è radicalmente e subdolamente ostile alla Chiesa cattolica. Non mancano alcune importanti sigle dell’ambientalismo che vorrebbero liberarsi della Chiesa a tutto vantaggio di una cultura ecologista e neo-malthusiana. Che dire poi delle organizzazioni omosessuali, molte di matrice anglosassone, unite nell’avversione praticamente unanime per il mondo cattolico? C’è anche la colossale industria farmaceutica, il business piú redditizio dell’economia globale, che ottiene guadagni formidabili dalla produzione di anticoncezionali, preservativi e altri strumenti di controllo demografico. Ci sono le lobby politiche anticristiane, che in Europa si sono opposte alla menzione delle radici cristiane nel testo della convenzione, veri baluardi del “politicamente corretto” e di un radicalismo di massa che vede nella Chiesa la propria nemica giurata. Insomma, l’ultima spiaggia della secolarizzazione si rivela essere quella della sfiducia, della diffidenza e dell’odio verso il cristianesimo. Ma la Chiesa da tempo è sotto attacco non solo dall’esterno, ma - ciò che è piú pericoloso - anche dall’interno. Trent’anni fa il catto-progressismo contestava in piazza le istituzioni ecclesiastiche, oggi è in atto un’apostasia strisciante da parte di credenti, appartenenti o meno alla gerarchia, che senza manifestarlo pubblicamente, non obbediscono al magistero della Chiesa. Ne è un chiaro esempio la quinta colonna delle lobby anti-famiglia composta da sedicenti cattolici che pur proclamandosi tali non seguono le linee dell’etica sessuale e familiare, avallando l’uso dei metodi contraccettivi e perfino la libera convivenza e l’omosessualità.

 

 

 

 Manifestazione gay in una chiesa         Servizio liturgico irregolare

Manifestazione omosessuale in una chiesa americana. Nonostante la liturgia disponga il ricorso a
idonei ministri istituiti cerimonieri e celebranti si avvalgono spesso di chiunque tranne che di essi

 

 

 

Il precetto generale propalato dai media ormai è quello di livellarsi, di conformarsi il piú possibile al mondo. E se il peccato capitale dell’ideologia catto-comunista è ancora costituito dalla proprietà, dal ben-essere materiale, quello delle ideologie multiculturaliste e radicaliste è costituito dall’identità: sí, un’identità chiara, forte e decisa è mal vista, è un detestabile capitale interiore che rende l’individuo colpevole di non omologazione. Che fine hanno fatto dunque i peccati e i vizi capitali condannati dalla predicazione di una volta? Cose ormai superate, spesso, da prassi teologico-pastorali dove Dio è sostanzialmente indulgenza, soprattutto verso le debolezze della carne, mai abbastanza comprese da una Chiesa-istituzione ostile - si dice - ad una Chiesa-carismatico-profetica, questa sí, degna di incondizionato ascolto. È singolare che tra le conseguenze dirette e indirette dello spirito catto-comunista ci sia una sorta di protestantizzazione all’americana della nostra cultura religiosa. Il fatto è che tutto può servire ad indebolire la fede e l’identità di un popolo e a renderlo piú accondiscendente a nuovi “valori”: lentamente il radicalismo e il liberismo globalista convergono sempre piú e l’ultimo ostacolo sulla via dell’egemonia culturale e morale, una volta superato o aggirato il pericolo islamico, resterà la Chiesa cattolica.

Tutta questa eterodossia pratica prima ancora che teorica - una vera somma di eresie - è favorita anche dalla mancanza di una cultura umanistica e teologica autentiche e profonde: la cultura - quella vera - richiede tempo e risorse e le strutture formative (inclusi i seminari e le facoltà teologiche) vengono sollecitate a sfornare elementi da lanciare in una pastorale ordinaria che anche per la scarsità di vocazioni tende a diventare sempre piú superficiale in un mondo sempre piú dispersivo e dissoluto. L’impegno culturale vero, fondamentale per la formazione e per ogni opera di apostolato, è diventato quasi un lusso che l’ideologia catto-comunista ed eco-pauperista ha sempre visto con sospetto. E cosí che congregazioni religiose, monasteri, conventi e seminari non hanno dato sufficiente importanza all’evangelizzazione della cultura e dei mass-media dandosi ad attività sociali che, per quanto benemerite, non rendono sufficiente ragione della missione primaria della Chiesa. «Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle» (Mt 23,23). È anche per questo che oggi perfino tra le fila della gerarchia non mancano esponenti che abbracciano le tesi del laicismo piú radicale. È successo inoltre che mentre la Chiesa si secolarizzava sempre piú il mondo laico si appropriava di categorie culturali e di funzioni ecclesiali sempre piú trascurate dal clero dando loro un contenuto ben diverso e spesso fuorviante: una volta disertati i confessionali, disprezzato il ministerium consolationis, messi al bando gli esorcisti, il mondo li ha rimpiazzati reclutando in quantità psicologi, maghi e negromanti, con buona pace del tanto decantato progresso.

 

 

Il mondo scimmiotta la Chiesa: la misericordia laicista e il perdonismo

Eppure il mondo è sempre assetato di Dio e se non sarà la Chiesa ad offrirglielo saprà trovare altrove i suoi tristi surrogati in un tripudio di droghe, sette e perversione. Sí, il mondo ha bisogno di misericordia, ha sete di perdono, di pace e di riconciliazione e quanto sia già intriso di surrogati del cristianesimo lo si evince anche dal degrado a cui sono giunti la politica e la giustizia: dove si decreta l’indulto per i rei e si biasimano quanti - pur vittime - lamentano siffatti condoni. Anche il perdonismo di Stato è figlio del buonismo catto-comunista. Ormai i fatti delittuosi e i condoni si moltiplicano accrescendo anche lo “stupidario clericale” insieme a quello politico. Eppure la saggezza pastorale ha sempre raccomandato di non chiedere mai al malato piú di quello che può dare. Il tempo del perdono viene, e verrà, dopo quello del dolore, con la medicina della solidarietà e della preghiera, quella che opera nel segreto dei cuori, non dinanzi agli obiettivi dei media alla ricerca di proclami altisonanti.

Lo Stato - politici e magistrati in testa - scimmiotta il prete al confessionale in una parodia che non rappresenta certo il trionfo del Vangelo, semmai l’affossamento della giustizia e della morale. Perché lo Stato non può perdonare, può solo assolvere l’innocente. È cosí che lo Stato adempie al suo compito di promuovere la giustizia: condannando il reo (e tentandone il recupero) e tutelando l’innocente. Lo Stato che presume di perdonare si rende di fatto complice del reo aggiungendo iniquità all’iniquità. Solo la vittima - se può - ha il diritto di perdonare, ma a due condizioni: che il colpevole si penta del male fatto e vi ponga rimedio come e quanto può. Tuttavia neanche un siffatto perdono può legittimare il perdonismo di Stato. C’è, infatti, un ordine sociale da tutelare per cui il reo - per quanto pentito e perdonato - deve comunque rendere conto alla giustizia e all’intera comunità civile. Sono altri semmai gli strumenti - questi sí davvero giuridici - che si chiamano epikeia ed equitas e che lo Stato può e deve applicare. No, il perdonismo di Stato non ha nulla di cristiano, come pure il “6 politico” di sessantottina memoria, autentico premio e incentivo ad ogni inettitudine.

Anche quel pacifismo ipocrita che disprezza la professione militare e poi devasta le vie delle città mettendole a ferro e fuoco è figlio dell’ideologia catto-comunista. Un’ideologia che in Occidente ha promosso obiezione di coscienza e disarmo mentre nel resto del mondo ha spinto perfino clero e religiosi alla lotta violenta e armata in nome della cosiddetta “teologia della liberazione”. Forse mai, nel corso della storia, si è vista tanta rovinosa contraddizione.

Ci si potrebbe chiedere se tanta severità nel condannare non sia eccessiva. Ebbene, non lo è, se si constata la gravità dell’impostura pseudo-religiosa che ha avvelenato la vita sociale ed ecclesiale e ne ha compromesso i piú elementari fondamenti. Si può dunque assistere indifferenti o in silenzio ad una simile rovina? Non si ha forse il dovere di fare un esame di coscienza e di esigere con coraggio la verità? Tutta la verità.

 

 

Peccatori chiamati alla santità

«Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c’è uno che cerchi Dio. Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; piú nessuno fa il bene, neppure uno» (Sal 14,2-3).

No, decisamente non siamo buoni. È cosí vero che non occorre essere biblisti di professione per scoprire che non c’è un solo passo nel Vangelo dove il Signore ci inviti... “ad essere buoni”. A prima vista potrà sembrare incredibile eppure è cosí! Gesú non è un utopista è un realista. Solo Dio è buono, ed è proprio questo che egli replica al fariseo che gli domanda cosa deve fare per ottenere la vita eterna. Gesú risponde: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono” (Mt 19,16-17). No, la bontà non è cosa che ci appartenga, nemmeno quella ontologica, che in ultima analisi proviene da Dio. L’invito che Gesú ci rivolge invece è un altro: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Santità è ben altro che bontà! L’essere buono, in pienezza, radicalmente, è proprio di Dio; la possibilità di diventarlo invece, ossia la giustificazione (il diventare santi come il Padre celeste), è un dono che Dio offre a ciascun peccatore: «...quello che poteva essere per me un guadagno [scrive arditamente l’apostolo Paolo riferendosi alla sua vecchia fede giudaica, alla sua legge e al suo sistema di meriti], l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesú, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede» (Fil 3,7-9). La bontà, intrinseca e assoluta nell’essere divino, in noi è relativa e giunge a perfezione quale frutto della giustificazione, dono di Cristo nello Spirito. Essa non è frutto delle opere della legge, ossia dell’opera umana, necessaria ma mai sufficiente, bensí della grazia.

Ecco, nell’ideologia catto-comunista e ancor piú in quella multiculturalista si affievolisce e scompare proprio questa dimensione trascendente, questa “verticalità” del rapporto con Dio. La verità è che il Vangelo, per essere compreso, non necessita di ideologie semmai di quello Spirito che... «dice alle Chiese...» (cfr. Ap 1,11), ossia che parla nella e alla Chiesa, ed è garanzia di autentica interpretazione delle Scritture (cfr. 2Pt 1,19-20). Qualsiasi tentativo umano di restringere la Parola di Dio entro i confini dell’umano pensiero nasconde in sé una profonda mancanza di fede e di intelligenza. Nella Scrittura Dio si avvale dell’umano linguaggio e pertanto tutti gli strumenti che possono giovare alla sua comprensione possono giovare alla comprensione della medesima. Sempre però che non si abbia la pretesa di restringere la Parola di Dio entro i limiti degli stessi strumenti di comprensione e di mediazione culturale. La filosofia aristotelica, per esempio, aiutò per secoli la riflessione teologica, come pure il tomismo, tuttavia l’inesauribile ricchezza delle Scritture va ben oltre le possibilità dello strumento culturale aristotelico e tomistico. Ecco perché nel corso dei secoli la Chiesa ha saputo e voluto valorizzare sempre nuovi approcci filosofici e teologici. Tra questi strumenti culturali tuttavia non si può certo annoverare alcuna ideologia politico-sociale, specie un’ideologia come quella marxista che implica già in sé una visione del mondo (weltangschaung) totalizzante e opposta a quella cristiana. La Scrittura, e piú ampiamente la Tradizione, infatti, hanno già in sé una weltangschaung non assoggettabile alle vedute umane, ossia ad ideologie per definizione limitate e perfettibili, come tutte le cose umane. Questo è il motivo per cui il catto-comunismo è una contraddizione in termini: non possono coesistere due opposte visioni del mondo se non nell’artificiosità astratta di laboratori intellettuali pericolosamente avulsi dalla realtà.

Vi è qui un altro elemento tipico del catto-comunismo e della degenerazione radicalista, ossia la sua intellettualità astratta, i suoi processi logici avulsi dal reale che in ultima analisi conducono gradualmente al nichilismo, al pensiero debole e alle sue degenerazioni. Lo aveva già previsto lucidamente il filosofo Augusto Del Noce: alla fine tutte le ideologie del Novecento si danno appuntamento nel deserto nichilista. Tutte, precisiamolo, e non solo quelle del Novecento, dal nazifascismo al comunismo, dal sionismo all’islamismo, dal capitalismo liberista allo statalismo. Tutte prima o poi convergono verso il nichilismo. Lo attesta la storia con la sua tragica teoria di lutti e genocidi ancora oggi inconfessati e inconfessabili. Fu cosí che negli anni ‘60 anche una parte della gioventú cattolica disertò dandosi alla contestazione politica e poi, constatata la sua inconcludenza, si volse alla lotta armata. «L’impazienza e la volontà di essere efficaci hanno condotto alcuni cristiani, sfiduciati nei confronti di ogni altro metodo, a rivolgersi a quella che essi chiamano “l’analisi marxista”» (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcuni aspetti della «teologia della liberazione», 6 agosto 1984, n. 7,1)... con tutto ciò che tristemente ne derivò.

 

 

 

 Simboli politici in una chiesa

Uso improprio di simboli politici in una chiesa

 

 

 

La defezione cattolica ossia l’apostasia dissimulata

Ne derivò - come afferma l’intellettuale Michele Brambilla - che in Italia delle frange cattoliche si misero a capofila della contestazione del ‘68 (cfr. BRAMBILLA M., Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto, Rizzoli, Milano 1994). Furono cattolici, per esempio, i primi due atenei occupati nell’anno accademico ‘67-68: Trento e Milano. Cattolici, o perlomeno di formazione cattolica, furono tutti i primi leader della contestazione sessantottina italiana: Renato Curcio, Marco Boato, Mauro Rostagno, Nello Casalini, Francesco Schianchi, Luciano Pero, Mario Capanna. Furono cattoliche le origini della rivista Lavoro Politico, nata nel ‘62 a Verona su iniziativa di Walter Peruzzi, che divenne il punto di riferimento per la contestazione trentina. E fra i libri piú letti nel 1968, durante le lotte studentesche, ci fu Lettera a una professoressa, pubblicato da un prete, don Lorenzo Milani, scritto insieme agli alunni della scuola di Barbiana di Vicchio Mugello, in provincia di Firenze. Fu cosí che da questo prete contestatore, colpito dall’altra grande “fede” di quell’epoca - il comunismo - ebbe origine nel 1968 il manifesto della rivolta studentesca. In esso don Milani contestava il ruolo dei docenti e la loro autorità, chiedeva l’abolizione della bocciatura, denunciava insomma l’intera struttura scolastica fin dalle sue fondamenta. Perfino un intellettuale laico come Pier Paolo Pasolini rimase perplesso. È anche a motivo di questo insolito connubio fra don Milani e il comunismo se ancora oggi le bandiere rosse, simbolo di un’ideologia che può “vantare” almeno 80 milioni di morti in meno di un secolo, sfilano nelle manifestazioni per la pace.

È sempre grazie al catto-comunismo e alla sua deriva multiculturalista e radicale che il relativismo ricevette ampia legittimazione a tutti i livelli. Con il suo graduale affermarsi si ruppe l’unità cattolica e si giunse all’affermazione - e alla tolleranza anche ecclesiale - di un “cattolicesimo da bricolage” - dissimulata eresia - che, lungi dall’esprimere un laicato davvero adulto, formato e responsabile, partorí solo un dissenso arrogante dai toni pesantemente dogmatici, sempre piú auto-referenziali ed auto-legittimanti. L’ultima sponda del catto-comunismo - come già accennato - è costituita dal laicismo radicale, dall’odio politico, dalla trasgressione e dalla disperazione violenta. Disperazione per un mondo che a dispetto di tutte le rivoluzioni e le lotte umane - perfino armate - non vuol saperne di cambiare. Il rivoluzionario finisce con l’attribuire a se stesso e alla sua opera una valenza messianica là dove la presunzione nella capacità auto-redentiva umana è del tutto opposta alla fede cristiana. «Spesso l’aspirazione alla giustizia si trova influenzata da ideologie che ne occultano e ne pervertono il significato, proponendo alla lotta dei popoli per la loro liberazione dei fini che sono opposti alla vera finalità della vita umana, ed esaltando vie di azione che, in quanto implicano il ricorso sistematico alla violenza, sono contrarie ad un’etica rispettosa delle persone» (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcuni aspetti della «teologia della liberazione», 6 agosto 1984, n. 2,3). Nacque cosí il terrorismo che ha insanguinato l’Europa e tanta parte del mondo facendo dell’omicidio e della menzogna (cfr. Gv 8,44) il suo principale strumento di lotta politica: una ragione ulteriore dunque per mettere la parola “fine” denunciando risolutamente questo triste connubio.

La situazione odierna mostra con evidenza da che parte stiano molti poteri forti, la cui scelta di campo appare esplicita e perfino tracotante. Poteri politici, economici, mediatici e finanche clericali che si manifestano piú o meno apertamente all’interno del mondo cattolico dove, sull’onda della crisi conciliare, un’élite intellettuale e teologica ha occupato numerose posizioni di potere - dalle cattedre ai periodici piú diffusi - e opera in ambigue simbiosi con altri poteri forti che al cattolicesimo ed ai suoi valori sono estranei. Un solo caso fra tanti è quello della cosiddetta “scuola di Bologna”, di origini dossettiane, che ha tentato di imporre l’interpretazione del Concilio Vaticano II come rottura con la Tradizione e come indiscussa conciliazione - sic et simpliciter - della Chiesa con il mondo moderno. Una cattiva interpretazione che è stata autorevolmente smentita anche di recente in un magistrale discorso del Santo Padre, del 22 dicembre 2005 alla Curia romana. Benedetto XVI ha denunciato “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” che “si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media” e “ha causato confusione” fra i credenti. È da questa “scuola” e da altre analoghe “cattedre” che nasce un intreccio di interessi che coinvolgono potentati economico-politici e culturali favorevoli al catto-comunismo e al multiculturalismo, via privilegiata per l’affermazione di un laicismo piú o meno radicale. Questi potentati che operano nell’ambiguità hanno dovuto registrare di recente altre pesanti ma ancora insufficienti smentite. In molti contesti il rifiuto delle loro politiche, soprattutto nel campo della bioetica e della famiglia, ha dimostrato che essi non detengono il controllo del mondo cattolico che invece resta legato al magistero pontificio: una massa spesso silenziosa - e soprattutto costretta al silenzio - ma pur sempre concreta. Eliminare queste ambiguità tuttavia è solo un primo passo per il recupero di quella fede e di quell’unità cattolica necessaria per una piú incisiva testimonianza evangelica. La lotta per la verità e per la dignità umana dunque è solo all’inizio e non potrà certo essere condotta su un piano puramente umano.

 

 

Verso una fede davvero adulta

Non è l’opera umana infatti, per quanto rivoluzionaria essa sia, a salvare l’uomo ma l’opera di Cristo crocifisso e risorto, dono del Padre all’umanità, che effonde il suo Spirito in ogni cuore. Solo la sua sapienza «può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova e attraverso le età entrando nelle anime sante, forma amici di Dio e profeti» (cfr. Sap 7,27). Ecco, amici di Dio e profeti, gli unici veri rivoluzionari in grado di cambiare il mondo non con l’arrogante strumento della lotta e della violenza ma con quella solidarietà umana e cristiana che oltrepassa ogni divisione e ogni classismo. Ecco cosa deve insegnare e predicare ogni vero ministro di Dio. Ecco cosa deve impegnarsi a comprendere e a vivere ogni vero laico, ossia ogni membro autentico del popolo di Dio.

«“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito - in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde - una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1Cor 13,1)» (cfr. RATZINGER J. Card., Omelia, Missa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005).

 

 

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Reportage dal “mondo della liberazione”

 

 

Documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede
   

 eBook

[ Alcuni aspetti della teologia della liberazione ] [439 KB]

   
 eBook [ Libertà cristiana e Liberazione ] [492 KB]