Il termine "controriforma" è uno dei segni più evidenti del parziale successo ottenuto dalla propaganda anticlericale dei secoli scorsi. È falso, antistorico e riduttivo considerare l'opera ecclesiale culminata nel Concilio di Trento come il prodotto di una semplice reazione alla Riforma protestante. Il movimento di riforma infatti era già in atto da lungo tempo e i suoi prodromi datano a ben prima dello stesso scisma d'Occidente e dell'opera di Lutero. Lo scisma ebbe senza dubbio l'effetto di scuotere molte coscienze e di accelerare un processo che era già in atto.

Fra i numerosissimi documenti attestanti questa realtà ve n'è uno in particolare che manifesta in modo straordinario quanto fosse forte e risoluto il fronte di quella che giustamente deve essere chiamata "Riforma cattolica" e non più "Controriforma". È in questa ottica di amore alla causa della riforma cattolica che devono essere letti documenti come quello emanato dal Consilium de emendanda Ecclesia, dove uomini votati al Vangelo diedero il meglio di sé per amore della Chiesa.

 

 

 

«Volgendo lo sguardo [...] alla situazione dell'epoca [Cinquecento], non ci si può non soffermare in special modo sulla riforma in capite et in membris che tutta la Chiesa reclamava ormai da più di due secoli anche per quanto riguardava la vita religiosa [1].

Appare utile e rilevante a tal fine, la conoscenza della singolare sintesi che di siffatta situazione riportava il Consilium de emendanda Ecclesia [2]. Si tratta di un documento redatto dalla commissione di cardinali ed altri prelati, che Paolo III designò per attuare la riforma della Chiesa a cominciare dalla Curia Romana.

Il documento tuttavia non si soffermò esclusivamente su tale ardua problematica, ma toccò concretamente tutti i punti chiave di tale riforma: l'origine di parecchi abusi venne rilevata soprattutto nell'esagerazione della teoria papale, nell'irresponsabile ordinazione di chierici e presbiteri privi delle debite qualità e nel conferimento disordinato dei benefici ecclesiastici. Il documento rilevò con forza il problema della residenza dei vescovi e in genere di tutti coloro che avevano cura d'anime, infatti, non poche volte essa era affidata a pastori privi di scrupoli e tutt'altro che interessati al bene della Chiesa. Diversi punti del documento trattavano della situazione dei regolari, di cui si auspicava una severa riforma, come pure il ritorno dei monasteri femminili sotto la cura degli ordinari [3].

È chiaro che lo scopo dei fautori della riforma della Chiesa, era anche quello di scuotere profondamente l'autorità ecclesiastica e di sensibilizzarla all'urgenza di un rinnovamento interiore ed esteriore. [...].

Dal tenore di un documento come quello del Consilium [4], si può constatare come siano vere le parole dello Jedin [5], quando afferma: «...allo storico manca quasi il respiro quando egli in questo documento destinato ad essere posto sotto gli occhi di un papa legge la tremenda accusa che la radice del male risiede nell'esagerazione della teoria papale» [6]. Non meno severe sono le espressioni usate, per quanto riguarda la vita religiosa [7]. La commissione dei riformatori mise coraggiosamente il dito sulle tante piaghe della vita religiosa dell'epoca - è proprio il caso di dirlo - senza falsi pudori.

Gli ordini conventuali in particolare - da essi severamente attaccati - attraversavano indubbiamente un periodo difficile, tuttavia tale fatto non deve esser preso sic et simpliciter a loro mero detrimento. Esistevano infatti diverse famiglie religiose che erano inquadrate nel conventualesimo e certamente non tutte erano di cattivo esempio [8]. Bisogna anche considerare le forti pressioni che l'Osservanza esercitava contro le altre famiglie francescane - specialmente conventuali e cappuccini - e la cui legittimità ed immagine fu più volte oggetto di discredito e di contese giuridiche [9]. Non poche volte l'azione dell'Osservanza fu appoggiata da potenti personalità ecclesiastiche. I Cappuccini ebbero la fortuna d'avere dalla loro, la stima e l'appoggio popolare assieme ad autorevoli e provvidenziali protettori, cosa che forse il conventualesimo non sempre ebbe. A riprova di ciò basti pensare che uno dei piú noti protettori dell'Ordine Cappuccino fu il Card. Giulio Antonio Santori, pure membro della Congregazione dei Vescovi e Regolari fin dal suo sorgere [10]. Era notevole anche il fenomeno dei religiosi "girovaghi" che sotto diversi pretesti vivevano al di fuori della disciplina regolare. Deplorevole era poi la generale mancanza di formazione nel clero che in non pochi casi raggiungeva livelli veramente preoccupanti.

Circa i religiosi "girovaghi" il Consilium insisteva particolarmente in alcuni aspetti della disciplina, quali - per esempio - l'onesto uso dell'abito [11]. Il sistema d'esenzioni e di privilegi che era in vigore all'epoca, rendeva molto difficile il mantenimento della disciplina in seno alla vita religiosa e ancor più nelle diocesi. Con non poche difficoltà, il Concilio di Trento riuscirà a riportare un certo ordine in tale materia. Esso infatti provvederà a ridurre ai termini del nuovo diritto comune parecchi istituti giuridici tipici degli esenti, limitando drasticamente o estirpando anche del tutto non pochi gravi abusi».

 

 

 

 

 

 

 

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[1] Per quanto riguarda l'introduzione alla problematica tipica del secolo XVI può rivelarsi utile l'opera seguente: Aa. Vv., Problemi di storia della Chiesa nei secoli XV-XVII, Napoli 1979.

[2] Il documento riporta le firme della commissione che ne formulò il testo. Alcuni dei suoi membri hanno segnato indelebilmente la storia della Chiesa, altri sono rimasti quasi ignoti, ma gli uni e gli altri hanno in ogni caso segnato l'inizio di un'epoca nuova: Gaspar card. Contarenus, Joh. Petrus card.Theatinus, Jacobus card. Sadoleteus, Reginaldus card. Anglicus, Fredericus archiep. Salernitanus, Hieronymus archiep. Brundusinus, Joh. Matthaeus episc. Veronensis, Gregorius abbas Sancti Georgii Venet., Frater Thom. magister Sacri Palatii [...].

[3] Cfr. Fliche A. - Martin V., Storia della Chiesa dalle origini ai nostri giorni, ed. italiana coordinata da G. Pelliccia, XVII, Torino 1977, 356-359.

[4] «[...] Nonnulli pontifices tui praedecessores, prurientes auribus, ut inquit apostolus Paulus, coacervaverunt sibi magistros ad desideria sua, non ut ab eis discerent, quid facere deberent, sed ut eorum studio et calliditate inveniretur ratio, qua liceret id quod liberet. [...] Ex hoc fonte, sancte pater, tanquam ex equo Troiano, irrupere in ecclesiam Dei tot abusus et tam graves morbi, quibus nunc conspicimus eam ad desperationem fere salutis laborasse, et manasse harum rerum famam ad infideles usque (credat sanctitas vestra scientibus) qui ob hanc praecipue causam, Christianam religionem derident, adeo, ut per nos, per nos inquimus, nomen Christi blasphemetur inter gentes» (cfr. Mansi, Supplementa, XXXV, col. 347).

[5] Nel narrare i fatti del Consilium H. Jedin differisce da altri autori in alcuni aspetti. Egli afferma che il documento fu consegnato al pontefice il 9 marzo 1537. Non si capisce come mai il Mansi riporti la data del 1538, specificando tra l'altro solo l'anno. È da ritenersi maggiormente affidabile tuttavia la datazione di H. Jedin: Jedin H., Storia del Concilio di Trento, I, Brescia 19873, 473-497.

[6] Cfr. Jedin H., Storia del Concilio di Trento, I, Brescia 19873, 474.

[7] «Alius abusus corrigendus est in ordinibus religiosorum, quod adeo multi deformati sunt, ut magno sint scandalo saecularibus, exemploque plurimum noceant. Conventuales ordines abolendos esse putamus omnes, non tamen ut alicui fiat iniuria, sed prohibendo ne novos possint admittere. Sic enim sine ullius iniuria cito delerentur, et boni religiosi eis substitui possent. Nunc vero putamus optimum fore, si omnes pueri qui non sunt professi, ab eorum monasteriis repellerentur. Hoc etiam animadvertendum et corrigendum censemus in praedicatoribus et confessoribus constituendis a fratribus, quod ab eorum praefectis primum adhiberetur magna diligentia, ut idonei essent: deinde ut praesentarentur episcopis, quibus prae omnibus cura ecclesiae est demandata, a quibus examinarentur per se vel per viros idoneos, nec nisi eorum consensu admitterentur ad haec peragenda» (cfr. Mansi, Supplementa, XXXV, col. 352-353).

[8] Per quanto riguarda i Conventuali riformati per esempio cfr. Iriarte L., Storia del francescanesimo, trad. italiana dalla 2a ed. spagnola con aggiornamento bibliografico a cura dell'A. e di F. Mastroianni, Napoli 1982, 254-257.

[9] Per avere un panorama della difficile situazione nei primi decenni di vita dell'Ordine Cappuccino si consiglia la lettura dell'opera di Urbanelli C., Storia dei cappuccini delle Marche. Parte prima. Origini della riforma cappuccina 1525-1536, I, Ancona 1978, 279-299.

[10] Cfr. Cugnoni G., Autobiografia di monsignor G. Antonio Santori cardinale S. Severina, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 12 (1889), 327-372.

[11] «Primus est in fratribus seu religiosis apostatis, qui post votum solemne a sua religione recedunt, impetrantque ne teneantur gerere habitum sui ordinis, imo nec vestigium habitus, sed tantum vestem honestam clericalem» (cfr. Mansi, Supplementa, XXXV, col. 353).

 

 

 

 

Cfr. ATZENI A., Il diritto penale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini nel XVI secolo, theses ad Doctoratum in Facultate Iuris Canonici Pontificiae Universitatis Gregorianae, n. 112984, Romae 1997, 14-19.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni protagonisti della Riforma cattolica