Parte quarta

La proprietà privata e l'universale destinazione dei beni

30. La dottrina della Chiesa sulla proprietà privata.

a) Leone XIII ha affermato il diritto alla proprietà privata subordinata alla originaria destinazione comune dei beni della Terra.

Nella Rerum Novarum Leone XIII affermava con forza e con vari argomenti, contro il socialismo del suo tempo, il carattere naturale del diritto di proprietà privata. Tale diritto, fondamentale per l'autonomia e lo sviluppo della persona, è stato sempre difeso dalla Chiesa fino ai nostri giorni. Parimenti la Chiesa insegna che la proprietà dei beni non è un diritto assoluto, ma porta inscritti nella sua natura di diritto umano i propri limiti. Mentre proclamava il diritto di proprietà privata, il Pontefice affermava con pari chiarezza che l'"uso" dei beni, affidato alla libertà, è subordinato alla loro originaria destinazione comune di beni creati ed anche alla volontà di Gesú Cristo, manifestata nel Vangelo. Infatti scriveva: "i fortunati dunque sono ammoniti...: i ricchi debbono tremare pensando alle minacce di Gesú Cristo...; dell'uso dei loro beni dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto a Dio giudice"; e, citando san Tommaso d'Aquino, aggiungeva: "Ma se si domanda quale debba essere l'uso di tali beni, la Chiesa non esita a rispondere che a questo proposito l'uomo non deve possedere i beni esterni come propri, ma come comuni", perché "sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge, il giudizio di Cristo".

 

 

b) I successori di Leone XIII hanno confermato tale dottrina.

I successori di Leone XIII hanno ripetuto la duplice affermazione: la necessità e, quindi, la liceità della proprietà privata ed insieme i limiti che gravano su di essa. Anche il Concilio Vaticano II ha riproposto la dottrina tradizionale con parole che meritano di essere riportate esattamente: "l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri". E poco oltre: "La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona del tutto necessaria di autonomia personale e familiare e devono considerarsi come un prolungamento della libertà umana... La stessa proprietà privata ha per sua natura anche una funzione sociale, che si fonda sulla legge della comune destinazione dei beni". La stessa dottrina ho ripreso prima nel discorso alla III Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla, e poi nelle Encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis.

 

 

31. La dottrina circa l'origine dei beni.

a) La prima origine dei beni è Dio stesso.

Rileggendo tale insegnamento sul diritto di proprietà e la destinazione comune dei beni in rapporto al nostro tempo, si può porre la domanda circa l'origine dei beni che sostentano la vita dell'uomo, soddisfano i suoi bisogni e sono oggetto dei suoi diritti. La prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gn 1, 28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della Terra. Questa in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana. Ora, la terra non dona i suoi frutti senza una peculiare risposta dell'uomo al dono di Dio, cioè senza il lavoro: è mediante il lavoro che l'uomo, usando la sua intelligenza e la sua libertà riesce a dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte della Terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine della proprietà individuale. E ovviamente egli ha anche la responsabilità di non impedire che altri uomini abbiano la loro parte del dono di Dio, anzi deve cooperare con loro per dominare insieme tutta la Terra.

 

 

b) La seconda origine sta nel lavoro e nella terra, da cui deriva la proprietà individuale.

Nella storia si ritrovano sempre questi due fattori, il lavoro e la terra al principio di ogni società umana, non sempre, però, essi stanno nella medesima relazione tra loro. Un tempo la naturale fecondità della terra appariva e di fatto era il principale fattore della ricchezza, mentre il lavoro era come l'aiuto ed il sostegno di tale fecondità. Nel nostro tempo diventa sempre piú rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali e materiali; diventa inoltre evidente come il lavoro di un uomo si intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi piú che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto piú fecondo e produttivo, quanto piú l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.

 

 

32. Valore della proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere.

Ma un'altra forma di proprietà esiste, in particolare, nel nostro tempo e riveste un'importanza non inferiore a quella della terra: è la proprietà della conoscenza della tecnica e del sapere. Su questo tipo di proprietà si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto piú che su quella delle risorse naturali.

 

 

a) Il ruolo determinante del lavoro umano e delle capacità di iniziativa e imprenditorialità.

Si è ora accennato al fatto che l'uomo lavora con gli altri uomini partecipando ad un "lavoro sociale" che abbraccia cerchi progressivamente piú ampi. Chi produce un oggetto, lo fa in genere, oltre che per l'uso personale, perché altri possano usarne dopo aver pagato il giusto prezzo, stabilito di comune accordo mediante una libera trattativa. Ora, proprio la capacità di conoscere tempestivamente i bisogni degli altri uomini e le combinazioni dei fattori produttivi piú idonei a soddisfarli, è un'altra importante fonte di ricchezza nella società moderna. Del resto, molti beni non possono essere prodotti in modo adeguato dall'opera di un solo individuo, ma richiedono la collaborazione di molti al medesimo fine. Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza nell'odierna società. Cosí diventa sempre piú evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e - quale parte essenziale di tale lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità.

 

 

b) La principale risorsa dell'uomo è l'uomo stesso.

Un tale processo, che mette concretamente in luce una verità sulla persona incessantemente affermata dal cristianesimo, deve essere riguardato con attenzione e favore. In effetti, la principale risorsa dell'uomo insieme con la terra è l'uomo stesso. È la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti. È il suo disciplinato lavoro, in solidale collaborazione, che consente la creazione di comunità di lavoro sempre piú ampie ed affidabili per operare la trasformazione dell'ambiente naturale e dello stesso ambiente umano. In questo processo sono coinvolte importanti virtú, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi, l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna.

 

 

c) Nella moderna "economia d'impresa" il fattore decisivo è l'uomo.

La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L'economia, infatti, è un settore della multiforme attività umana, ed in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà, come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e piú tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre piú l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro.

 

 

33. I problemi posti dalla moderna economia di impresa.

a) Emarginazione di milioni di esseri umani, sradicati da un'economia di sussistenza ed impreparati ad operare in un'economia di impresa.

Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate la loro qualità. Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosí dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi e ben rispondenti ai bisogni, che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata, ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà, senza possibilità di integrazione. Ad essi di fatto non si riconosce dignità, e talora si cerca di eliminarli dalla storia mediante forme coatte di controllo demografico, contrarie alla dignità umana.

 

 

b) Fasce di poveri sempre piú poveri.

Molti altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all'interno di ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario e vigono ancora le regole del capitalismo delle origini, nella "spietatezza" di una situazione che non ha nulla da invidiare a quella dei momenti piú bui della prima fase di industrializzazione. In altri casi è ancora la terra ad essere l'elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semi servitú. In questi casi si può ancora oggi, come al tempo della Rerum Novarum, parlare di uno sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società piú avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt'altro che scomparse; anzi, per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione.

 

 

c) Costante povertà degli abitanti dei Paesi del Terzo Mondo rimasti isolati.

Purtroppo, la grande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo vive ancora in simili condizioni. Sarebbe, però, errato intendere questo mondo in un senso soltanto geografico. In alcune regioni ed in alcuni settori sociali di esso sono stati attivati processi di sviluppo incentrati non tanto sulla valorizzazione delle risorse materiali, quanto su quella della "risorsa umana". In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi piú poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane.

 

 

d) Anche nei Paesi sviluppati esistono situazioni tipiche del Terzo Mondo.

Aspetti tipici del Terzo Mondo però, emergono anche nei Paesi sviluppati, dove l'incessante trasformazione dei modi di produrre e di consumare svaluta certe conoscenze già acquisite e professionalità consolidate, esigendo un continuo sforzo di riqualificazione e di aggiornamento. Coloro che non riescono a tenersi al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati. insieme con essi lo sono gli anziani, i giovani incapaci di ben inserirsi nella vita sociale e, in genere, i soggetti piú deboli e il cosiddetto Quarto Mondo. Anche la situazione della donna in queste condizioni è tutt'altro che facile.

 

 

34. Il "libero mercato" sembra lo strumento piú adatto per collocare le risorse e per rispondere ai bisogni; ma ha anche dei grossi limiti.

Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento piú efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono "solvibili", che dispongono di un potere d'acquisto, e per quelle risorse che sono "vendibili", in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità. Nei contesti di Terzo Mondo conservano la loro validità (in certi casi è ancora un traguardo da raggiungere) proprio quegli obiettivi indicati dalla Rerum Novarum, per evitare la riduzione del lavoro dell'uomo e dell'uomo stesso al livello di una semplice merce: il salario sufficiente per la vita della famiglia; le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione; la tutela adeguata delle condizioni di lavoro.

 

 

35. Un grande campo di impegno e di lotta per i sindacati nella struttura di libero mercato.

a) Come modello alternativo: una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione.

Si apre qui un grande e fecondo campo di impegno e di lotta, nel nome della giustizia, per i sindacati e per le altre organizzazioni dei lavoratori, che ne difendono i diritti e ne tutelano la soggettività, svolgendo al tempo stesso una funzione essenziale di carattere culturale, per farli partecipare in modo piú pieno e degno alla vita della Nazione ed aiutarli lungo il cammino dello sviluppo. In questo senso si può giustamente parlare di lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società.

 

 

b) La produzione di profitto non è il solo scopo dell'impresa, ma l'esistenza della stessa come "comunità di uomini".

La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell'azienda: quando un'azienda produce profitto; ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti. Tuttavia il profitto non è l'unico indice delle condizioni dell'azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio piú prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l'efficienza economica dell'azienda. Scopo dell'impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensí l'esistenza stessa dell'impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell'intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell'azienda, ma non è l'unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell'impresa.

 

 

c) Rompere le barriere e i monopoli, ed assicurare a tutti le condizioni di base che consentano di partecipare allo sviluppo.

Si è visto come è inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto "socialismo reale" lasci il capitalismo come unico modello di organizzazione economica. Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti - individui e Nazioni - le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo. Tale obiettivo richiede sforzi programmati e responsabili da parte di tutta la comunità internazionale. Occorre che le Nazioni piú forti sappiano offrire a quelle piú deboli occasioni di inserimento nella vita internazionale, e che quelle piú deboli sappiano cogliere tali occasioni, facendo gli sforzi e i sacrifici necessari assicurando la stabilità del quadro politico ed economico, la certezza di prospettive per il futuro, la crescita delle capacità dei propri lavoratori, la formazione di imprenditori efficienti e consapevoli delle loro responsabilità.

 

 

d) Il grave problema del debito estero dei Paesi piú poveri.

Al presente sugli sforzi positivi che sono compiuti in proposito grava il problema, in gran parte ancora irrisolto, del debito estero dei Paesi piú poveri. È certamente giusto il principio che i debiti debbano essere pagati; non è lecito, però, chiedere o pretendere un pagamento, quando questo verrebbe ad imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione intere popolazioni. Non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati con insopportabili sacrifici. In questi casi è necessario - come, del resto, sta in parte avvenendo - trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso.

 

 

36. Gli specifici problemi delle economie piú avanzate.

Conviene ora rivolgere l'attenzione agli specifici problemi ed alle minacce, che insorgono all'interno delle economie piú avanzate e sono connesse con le loro peculiari caratteristiche. Nelle precedenti fasi dello sviluppo l'uomo è sempre vissuto sotto il peso della necessità: i suoi bisogni erano pochi, fissati in qualche modo già nelle strutture oggettive della sua costituzione corporea, e l'attività economica era orientata a soddisfarli. È chiaro che oggi il problema non è solo di offrirgli una quantità di beni sufficienti, ma è quello di rispondere ad una domanda di qualità: qualità delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale.

 

 

a) La richiesta di beni riguarda non solo la quantità, ma anche la qualità: "il fenomeno del consumismo".

La domanda di un'esistenza qualitativamente piú soddisfacente e piú ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica. Nel modo in cui insorgono e sono definiti i nuovi bisogni, è sempre operante una concezione piú o meno adeguata dell'uomo e del suo vero bene: attraverso le scelte di produzione e di consumo si manifesta una determinata cultura, come concezione globale della vita. È qui che sorge il fenomeno del consumismo. Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e piú elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. È perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità.

 

 

b) La droga, esempio vistoso di consumo artificiale, che sfrutta la fragilità dei deboli.

Un esempio vistoso di consumo artificiale, contrario alla salute e alla dignità dell'uomo e certo non facile a controllare, è quello della droga. La sua diffusione è indice di una grave disfunzione del sistema sociale e sottintende anch'essa una "lettura" materialistica e, in un certo senso, distruttiva dei bisogni umani. Cosi la capacità innovativa dell'economia libera finisce con l'attuarsi in modo unilaterale ed inadeguato. La droga come anche la pornografia ed altre forme di consumismo, sfruttando la fragilità dei deboli, tentano di riempire il vuoto spirituale che si è venuto a creare.

 

 

c) L'errore di mirare all'avere di piú, quando torna a svantaggio dell'essere di piú.

Saper fare una scelta morale e culturale. Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all'avere e non all'essere e vuole avere di piú non per essere di piú, ma per consumare l'esistenza in un godimento fine a se stesso. È necessario, perciò, adoperarsi per costruire stili di vita nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti. In proposito, non posso ricordare solo il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio "superfluo" e, talvolta, anche col proprio ""necessario" per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero. Alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale. Poste certe condizioni economiche e di stabilità politica assolutamente imprescindibili la decisione di investire cioè di offrire ad un popolo l'occasione di valorizzare il proprio lavoro, è anche determinata da un atteggiamento di simpatia e dalla fiducia nella Provvidenza, che rivelano la qualità umana di colui che decide.

 

 

37. Il grave problema della questione ecologica.

a) L'uomo non può disporre a proprio arbitrio dei beni della Terra.

Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L'uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, piú che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L'uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sí, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere Il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e cosí finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.

 

 

b) L'umanità di oggi ha doveri verso le generazioni future.

Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l'umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future.

 

 

38. Necessità di salvaguardare le condizioni morali per un'autentica "ecologia umana".

Oltre all'irrazionale distruzione dell'ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor piú grave, dell'ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione. Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli "habitat" naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all'equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un'autentica "ecologia umana". Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato. Sono da menzionare, in questo contesto, i gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un'"ecologia sociale" del lavoro. L'uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall'educazione ricevuta e dall'ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con piú autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza.

 

 

39. La famiglia, fondata sul matrimonio, prima e fondamentale struttura per una "ecologia umana".

a) Cause di disimpegno a formarsi una famiglia stabile.

La prima e fondamentale struttura a favore dell'"ecologia umana" è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona. Si intende qui la famiglia fondata sul matrimonio, in cui il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna crea un ambiente di vita nel quale il bambino può nascere e sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino. Spesso accade, invece, che l'uomo è scoraggiato dal realizzare le condizioni autentiche della riproduzione umana, ed è indotto a considerare se stesso e la propria vita come un insieme di sensazioni da sperimentare anziché come un'opera da compiere. Di qui nasce una mancanza di libertà che fa rinunciare all'impegno di legarsi stabilmente con un'altra persona e di generare dei figli, oppure induce a considerare costoro come una delle tante "cose" che è possibile avere o non avere, secondo i propri gusti, e che entrano in concorrenza con altre possibilità.

 

 

b) La famiglia va considerata come il "santuario della vita".

Occorre tornare a considerare la famiglia come il santuario della vita. Essa, infatti, è sacra: è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita. L'ingegno dell'uomo sembra orientarsi, in questo campo, piú a limitare, sopprimere o annullare le fonti della vita ricorrendo perfino all'aborto, purtroppo cosí diffuso nel mondo, che a difendere e ad aprire le possibilità della vita stessa. Nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis sono state denunciate le campagne sistematiche contro la natalità, che, in base ad una concezione distorta del problema demografico e in un clima di "assoluta mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone interessate", le sottopongono non di rado "a intolleranti pressioni... per piegarle a questa forma nuova di oppressione". Si tratta di politiche che con nuove tecniche estendono il loro raggio di azione fino ad arrivare, come in una "guerra chimica", ad avvelenare la vita di milioni di esseri umani indifesi.

 

 

c) La libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana.

Queste critiche sono rivolte non tanto contro un sistema economico, quanto contro un sistema etico-culturale. L'economia, infatti, è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi. Tutto ciò si può riassumere affermando ancora una volta che la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto piú come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla.

 

 

40. Lo Stato ha il dovere di difendere i beni collettivi, quali l'ambiente naturale e quello umano.

È compito dello Stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l'ambiente naturale e l'ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato. Come ai tempi del vecchio capitalismo lo Stato aveva il dovere di difendere i diritti fondamentali del lavoro, cosí ora col nuovo capitalismo esso e l'intera società hanno il dovere di difendere i beni collettivi che, tra l'altro, costituiscono la cornice al cui interno soltanto è possibile per ciascuno conseguire legittimamente i suoi fini individuali. Si ritrova qui un nuovo limite del mercato: ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono essere soddisfatti mediante i suoi meccanismi; ci sono esigenze umane importanti che sfuggono alla sua logica; ci sono dei beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si debbono vendere e comprare. Certo, i meccanismi di mercato offrono sicuri vantaggi: aiutano, tra l'altro, ad utilizzare meglio le risorse; favoriscono lo scambio dei prodotti e, soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona. Tuttavia, essi comportano il rischio di un'"idolatria" del mercato, che ignora l'esistenza dei beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.

 

 

41. La visione cristiana del concetto di "alienazione".

a) La concezione marxista dell'"alienazione".

Il marxismo ha criticato le società borghesi capitalistiche, rimproverando loro la mercificazione e l'alienazione dell'esistenza umana. Certamente, questo rimprovero è basato su una concezione errata ed inadeguata dell'alienazione, che la fa derivare solo dalla sfera dei rapporti di produzione e di proprietà, cioè assegnandole un fondamento materialistico e, per di piú, negando la legittimità e la positività delle relazioni di mercato anche nell'ambito che è loro proprio. Si finisce cosí con l'affermare che solo in una società di tipo collettivistico potrebbe essere eliminata l'alienazione. Ora l'esperienza storica dei Paesi socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non sopprime l'alienazione, ma piuttosto l'accresce, aggiungendovi la penuria delle cose necessarie e l'inefficienza economica.

 

 

b) Le alienazioni nel capitalismo.

L'esperienza storica dell'Occidente, da parte sua, dimostra che, se l'analisi e la fondazione marxista dell'alienazione sono false, tuttavia l'alienazione con la perdita del senso autentico dell'esistenza è un fatto reale anche nelle società occidentali. Essa si verifica nel consumo, quando l'uomo è implicato in una rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare l'autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da "massimizzare" soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro, si realizzi di piú o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua partecipazione in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo, e non come un fine.

 

 

c) È necessaria un'inversione tra i mezzi e i fini.

Occorre entrare in relazione di solidarietà e comunicare con gli altri. È necessario ricondurre il concetto di alienazione alla visione cristiana, ravvisando in esso l'inversione tra i mezzi e i fini: quando non riconosce il valore e la grandezza della persona in se stesso e nell'altro, l'uomo di fatto si priva della possibilità di fruire della propria umanità e di entrare in quella relazione di solidarietà e di comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato. È, infatti, mediante il libero dono di se che l'uomo diventa autenticamente se stesso, e questo dono è reso possibile dall'essenziale "capacità di trascendenza" della persona umana. L'uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può pienamente accogliere il suo dono. È alienato l'uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della formazione di un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio. È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende piú difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana.

 

 

d) Oggi gli uomini si strumentalizzano vicendevolmente.

Il danno della manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa. Nella società occidentale è stato superato lo sfruttamento, almeno nelle forme analizzate e descritte da Carlo Marx. Non è stata superata, invece, l'alienazione nelle varie forme di sfruttamento, quando gli uomini si strumentalizzano vicendevolmente e, nel soddisfacimento sempre piú raffinato dei loro bisogni particolari e secondari, diventano sordi a quelli principali ed autentici, che devono regolare anche le modalità di soddisfacimento degli altri bisogni. L'uomo che si preoccupa solo o prevalentemente dell'avere e del godimento, non piú capace di dominare i suoi istinti e le sue passioni e di subordinarle mediante l'obbedienza alla verità, non può essere libero: l'obbedienza alla verità su Dio e sull'uomo è la condizione prima della libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i propri desideri e le modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia, di modo che il possesso delle cose sia per lui un mezzo di crescita. Un ostacolo a tale crescita può venire dalla manipolazione operata da quei mezzi di comunicazione di massa che impongono, con la forza di una ben orchestrata insistenza, mode e movimenti di opinione, senza che sia possibile sottoporre a una disamina critica le premesse su cui essi si fondano.

 

 

42. Necessarie distinzioni sul capitalismo come alternativa al comunismo.

Ritornando ora alla domanda iniziale, si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile? La risposta è ovviamente complessa. Se con "capitalismo" si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe piú appropriato parlare di "economia d'impresa", o di "economia di mercato", o semplicemente di "economia libera". Ma se con "capitalismo" si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa. La soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento, specialmente nel Terzo Mondo, nonché fenomeni di alienazione umana, specialmente nei Paesi piú avanzati, contro i quali si leva con fermezza la voce della Chiesa. Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande miseria materiale e morale. Il crollo del sistema comunista in tanti Paesi elimina certo un ostacolo nell'affrontare in modo adeguato e realistico questi problemi, ma non basta a risolverli. C'è anzi il rischio che si diffonda un'ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in considerazione, ritenendo a priori condannato all'insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato.

 

 

43. La Chiesa non propone modelli, ma orientamenti ideali.

La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro. A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che - come si è detto - riconosce la positività del mercato e dell'impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune. Essa riconosce anche la legittimità degli sforzi dei lavoratori per conseguire il pieno rispetto della loro dignità e spazi maggiori di partecipazione nella vita dell'azienda, di modo che, pur lavorando insieme con altri e sotto la direzione di altri, possano, in un certo senso, "lavorare in proprio" esercitando la loro intelligenza e libertà.

 

 

a) L'azienda come "società di capitali" e come "società di persone".

L'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso, anche se ciò può indebolire assetti di potere consolidati. L'azienda non può esser considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro. Per conseguire questi fini è ancora necessario un grande movimento associato dei lavoratori il cui obiettivo è la liberazione e la promozione integrale della persona.

 

 

b) La giusta concezione della proprietà individuale in rapporto alla destinazione universale dei beni.

Alla luce delle "cose nuove" di oggi è stato riletto il rapporto tra la proprietà individuale, o privata, e la destinazione universale dei beni. L'uomo realizza se stesso per mezzo della sua intelligenza e della sua libertà e, nel fare questo, assume come oggetto e come strumento le cose del mondo e di esse si appropria. In questo suo agire sta il fondamento del diritto all'iniziativa e alla proprietà individuale. Mediante il suo lavoro l'uomo s'impegna non solo per se stesso, ma anche per gli altri e con gli altri: ciascuno collabora al lavoro ed al bene altrui. L'uomo lavora per sovvenire ai bisogni della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva, dell'umanità tutta. Egli, inoltre, collabora al lavoro degli altri, che operano nella stessa azienda, nonché al lavoro dei fornitori o al consumo dei clienti, in una catena di solidarietà che si estende progressivamente. La proprietà dei mezzi di produzione sia in campo industriale che agricolo è giusta e legittima, se serve ad un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini.

 

 

c) Non è legittimata la società che nega il diritto di ognuno al lavoro e ad un giusto compenso.

L'obbligo di guadagnare il pane col sudore della propria fronte suppone, al tempo stesso, un diritto. Una società in cui questo diritto sia sistematicamente negato, in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale. Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, cosí la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti.

 

 

Parte quinta

Stato e cultura

44. Necessità di una sana teoria dello Stato.

a) Lo "Stato di diritto" in cui è sovrana la legge.

Leone XIII non ignorava che una sana teoria dello Stato è necessaria per assicurare il normale sviluppo delle attività umane: di quelle spirituali e di quelle materiali, che sono entrambe indispensabili. Per questo, in un passo della Rerum Novarum egli presenta l'organizzazione della società secondo i tre poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario -, e ciò in quel tempo costituiva una novità nell'insegnamento della Chiesa. Tale ordinamento riflette una visione realistica della natura sociale dell'uomo, la quale esige una legislazione adeguata a proteggere la libertà di tutti. A tal fine è preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini.

 

 

b) Il totalitarismo moderno è una negazione del valore trascendente della dignità della persona umana.

A questa concezione si è opposto nel tempo moderno il totalitarismo, il quale, nella forma marxista-leninista, ritiene che alcuni uomini, in virtú di una piú profonda conoscenza delle leggi di sviluppo della società, o per una particolare collocazione di classe o per un contatto con le sorgenti piú profonde della coscienza collettiva, sono esenti dall'errore e possono, quindi, arrogarsi l'esercizio di un potere assoluto. Va aggiunto che il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l'uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione il oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell'altro. Allora l'uomo viene rispettato solo nella misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un'affermazione egoistica. La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla.

 

 

45. Il totalitarismo nega la Chiesa e tende ad assorbire tutte le varie realtà umane.

La cultura e la prassi del totalitarismo comportano anche la negazione della Chiesa. Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la volontà dei governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a giudicare il loro comportamento. Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato ideologico. Lo Stato totalitario, inoltre, tende ad assorbire in se stesso la Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone. Difendendo la propria libertà, la Chiesa difende la persona, che deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cfr. At 5, 29), la famiglia, le diverse organizzazioni sociali e le Nazioni, realtà tutte che godono di una propria sfera di autonomia e di sovranità.

 

 

46. Il valore della democrazia.

La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governanti la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.

 

 

a) Senza il riferimento alle "verità ultime", la democrazia si trasforma facilmente in totalitarismo.

Un'autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della "soggettività" della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità. Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia.

 

 

b) Il metodo della Chiesa è il rispetto della libertà.

Il pericolo del fanatismo. Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o fondamentalismo, di quanti, in nome di un'ideologia che si pretende scientifica o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e del bene. Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà. Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall'accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l'uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cfr. Gv 8, 31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell'esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della ragione.

 

 

47. Costruzione di regimi democratici dopo il crollo del totalitarismo comunista.

a) Necessaria attenzione per i diritti umani.

Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e "di sicurezza nazionale", si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell'ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità. il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.

 

 

b) Nelle vecchie democrazie non sempre i diritti umani sono rispettati.

Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell'aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona. La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale. Il contributo, che essa offre a tale ordine, è proprio quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato.

 

 

48. I compiti dello Stato in campo economico.

a) Garantire a tutti la sicurezza, la libertà di operare e la moralità pubblica.

Queste considerazioni generali si riflettono anche sul ruolo dello Stato nel settore dell'economia. L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative, è uno degli ostacoli principali per lo sviluppo e per l'ordine economico.

 

 

b) Sorveglianza sull'esercizio dei diritti umani.

Altro compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; ma in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensí dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l'intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli. Ciò, tuttavia, non significa che esso non abbia alcuna competenza in questo ambito come hanno affermato i sostenitori di un'assenza di regole nella sfera economica. Lo Stato, anzi, ha il dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi.

 

 

c) Funzioni di supplenza dello Stato nell'attività economica in casi eccezionali.

Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito. Simili interventi di supplenza giustificati da urgenti ragioni attinenti al bene comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l'ambito dell'intervento statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.

 

 

d) Evitare l'errore dello "Stato assistenziale", rispettando il principio di sussidiarietà.

Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo "Stato del benessere". Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo piú adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni piú recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come "Stato assistenziale". Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche piú che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso piú vicino e si fa prossimo al bisognoso. Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana piú profonda. Si pensi anche alla condizione dei profughi, degli immigrati, degli anziani o dei malati ed a tutte le svariate forme che richiedono assistenza, come nel caso dei tossico-dipendenti: persone tutte che possono essere efficacemente aiutate solo da chi offre loro, oltre alle necessarie cure, un sostegno sinceramente fraterno.

 

 

49. La Chiesa ha sempre operato con particolare attenzione verso i piú bisognosi.

a) Da sottolineare l'azione caritativa svolta dal "volontariato".

In questo campo la Chiesa, fedele al mandato di Cristo, suo Fondatore, è da sempre presente con le sue opere, per offrire all'uomo bisognoso un sostegno materiale che non lo umili e non lo riduca ad esser solo oggetto di assistenza, ma lo aiuti a uscire dalla precaria sua condizione, promovendone la dignità di persona. Con viva gratitudine a Dio bisogna segnalare che la carità operosa non si è mai spenta nella Chiesa ed anzi registra oggi un multiforme e confortante incremento. Al riguardo, merita speciale menzione il fenomeno del volontariato, che la Chiesa favorisce e promuove sollecitando tutti a collaborare per sostenerlo e incoraggiarlo nelle sue iniziative.

 

 

b) Necessità di una adeguata politica sociale incentrata sulla funzione primaria della famiglia.

Per superare la mentalità individualista, oggi diffusa, si richiede un concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno della famiglia col mutuo sostegno degli sposi e, poi, con la cura che le generazioni si prendono l'una dell'altra. In tal modo la famiglia si qualifica come comunità di lavoro e di solidarietà. Accade, però, che quando la famiglia decide di corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può trovare priva dell'appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di risorse sufficienti. È urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali, che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante l'assegnazione di adeguate risorse e di efficienti strumenti di sostegno, sia nell'educazione dei figli sia nella cura degli anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i rapporti tra le generazioni.

 

 

c) L'apporto di solidarietà delle altre società intermedie.

Oltre alla famiglia, svolgono funzioni primarie ed attivano specifiche reti di solidarietà anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come reali comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell'anonimato ed in un'impersonale massificazione, purtroppo frequente nella moderna società. È nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la persona e cresce la "soggettività della società". L'individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell'amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato poiché possiede in se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire. L'uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future.

 

 

50. Una giusta "cultura della Nazione" che non disperda il patrimonio dei valori tramandati.

Da tale ricerca aperta della verità, che si rinnova ad ogni generazione, si caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori tramandati ed acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori piú vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre piú adeguate ai tempi. In questo contesto, conviene ricordare che anche l'evangelizzazione si inserisce nella cultura delle Nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità ed aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento. Quando, però, una cultura si chiude in se stessa e cerca di perpetuare forme di vita invecchiate, rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell'uomo, allora essa diventa sterile e si avvia a decadenza.

 

 

51. Necessità di una adeguata formazione di una cultura dell'uomo.

a) Il contributo della Chiesa in favore di una vera cultura della verità.

Tutta l'attività umana ha luogo all'interno di una cultura e interagisce con essa. Per un'adeguata formazione di tale cultura si richiede il coinvolgimento di tutto l'uomo, il quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la sua conoscenza del mondo e degli uomini. Egli, inoltre, vi investe la sua capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di disponibilità per promuovere il bene comune. Per questo, il primo e piú importante lavoro si compie nel cuore dell'uomo, ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino. È a questo livello che si colloca il contributo specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura. Essa promuove le qualità dei comportamenti umani, che favoriscono la cultura della pace contro modelli che confondono l'uomo nella massa, disconoscono il ruolo della sua iniziativa e libertà e pongono la sua grandezza nelle arti del conflitto e della guerra. La Chiesa rende un tale servizio predicando la verità intorno alla creazione del mondo, che Dio ha posto nelle mani degli uomini perché lo rendano fecondo e piú perfetto col loro lavoro, e predicando la verità intorno alla redenzione, per cui il Figlio di Dio ha salvato tutti gli uomini e, al tempo stesso, li ha uniti gli uni agli altri, rendendoli responsabili gli uni degli altri. La Sacra Scrittura ci parla continuamente di attivo impegno per il fratello e ci presenta l'esigenza di una corresponsabilità che deve abbracciare tutti gli uomini.

 

 

b) Ognuno deve sentirsi responsabile della sorte degli altri uomini, da considerare come fratelli.

Questa esigenza non si ferma ai confini della propria famiglia, e neppure della Nazione o dello Stato, ma investe ordinatamente tutta l'umanità, sicché nessun uomo deve considerarsi estraneo o indifferente alla sorte di un altro membro della famiglia umana. Nessun uomo può affermare di non essere responsabile della sorte del proprio fratello (cfr. Gn 4, 9. Lc 10, 29-37; Mt 25, 31-46)! l'attenta e premurosa sollecitudine verso il prossimo, nel momento stesso del bisogno, oggi facilitata anche dai nuovi mezzi di comunicazione che hanno reso gli uomini piú vicini tra loro, è particolarmente importante in relazione alla ricerca degli strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra. Non è difficile affermare che la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre piú stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la Terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto.

 

 

52. Le conseguenze di un conflitto oggi sono illimitate.

a) Le possibili radici per un conflitto.

I pontefici Benedetto XV ed i suoi successori hanno lucidamente compreso questo pericolo, ed io stesso, in occasione della recente drammatica guerra nel Golfo Persico, ho ripetuto il grido: "Mai piú la guerra!". No, mai piú la guerra, che distrugge la vita degli innocenti, che insegna ad uccidere e sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi rendendo piú difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l'hanno provocata! Come all'interno dei singoli Stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, cosí è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale. Non bisogna, peraltro, dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni miseria e sfruttamento di moltitudini umane disperate, le quali non vedono la reale possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace.

 

 

b) Lo sviluppo per tutti i popoli, presupposto indispensabile per la pace, esige reciproca comprensione e conoscenza.

Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, cosí esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a livello interno è possibile e doveroso costruire un'economia sociale che orienti il funzionamento del mercato verso il bene comune allo stesso modo è necessario che ci siano interventi adeguati anche a livello internazionale. Perciò, bisogna fare un grande sforzo di reciproca comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione delle coscienze. È questa l'auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per far questo, però, il povero - individuo o Nazione - ha bisogno che gli siano offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie piú sviluppate si avvantaggiano. Ciò può comportare importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco delle risorse ambientali ed umane, permettendo cosí a tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente. A ciò si deve aggiungere la valorizzazione dei nuovi beni materiali e spirituali, frutto del lavoro e della cultura dei popoli oggi emarginati, ottenendo cosí il complessivo arricchimento umano della famiglia delle Nazioni. Parte sesta L'uomo è la via della Chiesa

 

 

53. La Chiesa si è sempre interessata della cura dell'uomo reale: "concreto" e "storico".

Di fronte alla miseria del proletariato Leone XIII diceva: "Affrontiamo con fiducia questo argomento e con pieno nostro diritto... Ci parrebbe di mancare al nostro ufficio se tacessimo". Negli ultimi cento anni la Chiesa ha ripetutamente manifestato il suo pensiero, seguendo da vicino la continua evoluzione della questione sociale, e non ha certo fatto questo per recuperare privilegi del passato o per imporre una sua concezione. Suo unico scopo è stata la cura e responsabilità per l'uomo, a lei affidato da Cristo stesso, per questo uomo che, come il Concilio Vaticano II ricorda, è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa e per cui Dio ha il suo progetto, cioè la partecipazione all'eterna salvezza. Non si tratta dell'uomo "astratto", ma dell'uomo reale, "concreto" e "storico": si tratta di ciascun uomo, perché ciascuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero. Ne consegue che la Chiesa non può abbandonare l'uomo, e che "questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione..., la via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della redenzione". È, questa, solo questa l'ispirazione che presiede alla dottrina sociale della Chiesa. Se essa l'ha a mano a mano elaborata in forma sistematica, soprattutto a partire dalla data che commemoriamo, è perché tutta la ricchezza dottrinale della Chiesa ha come orizzonte l'uomo nella sua concreta realtà di peccatore e di giusto.

 

 

54. La dottrina sociale della Chiesa è uno strumento di evangelizzazione.

La dottrina sociale oggi specialmente mira all'uomo, in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne. Le scienze umane e la filosofia sono di aiuto per interpretare la centralità dell'uomo dentro la società e per metterlo in grado di capir meglio se stesso, in quanto "essere sociale". Soltanto la fede, però, gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale, valendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l'uomo nel cammino della salvezza. L'Enciclica Rerum Novarum può essere letta come un importante apporto all'analisi socio-economica della fine del secolo XIX, ma il suo particolare valore le deriva dall'essere un Documento del Magistero, che ben si inserisce nella missione evangelizzatrice della Chiesa insieme con molti altri Documenti di questa natura. Da ciò si evince che la dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio ed il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto: dei diritti umani di ciascuno e, in particolare del "proletariato", della famiglia e dell'educazione, dei doveri dello Stato, dell'ordinamento della società nazionale e internazionale, della vita economica, della cultura, della guerra e della pace, del rispetto alla vita dal momento del concepimento fino alla morte.

 

 

55. La Rivelazione dà il "senso dell'uomo", alla Chiesa.

La Chiesa riceve il "senso dell'uomo" dalla divina Rivelazione. "Per conoscere l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale, bisogna conoscere Dio", diceva Paolo VI, e subito dopo citava santa Caterina da Siena, che esprimeva in preghiera lo stesso concetto: "Nella tua natura, Deità eterna, conoscerò la natura mia".

 

 

a) L'antropologia cristiana è un capitolo della teologia.

Pertanto, l'antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia e, per la stessa ragione, la dottrina sociale della Chiesa preoccupandosi dell'uomo, interessandosi a lui e al suo modo di comportarsi nel mondo, "appartiene... al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale". La dimensione teologica risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere gli attuali problemi della convivenza umana. Il che vale - conviene rilevarlo - tanto nei confronti della soluzione "atea", che priva l'uomo di una delle sue componenti fondamentali quella spirituale, quanto nei confronti delle soluzioni permissive e consumistiche, le quali con vari pretesti mirano a convincerlo della sua indipendenza da ogni legge e da Dio, chiudendolo in un egoismo che finisce per nuocere a lui stesso ed agli altri.

 

 

b) L'annuncio della salvezza di Dio è un arricchimento della dignità dell'uomo.

Nuove forze e metodi nuovi per l'evangelizzazione. Quando annuncia all'uomo la salvezza di Dio, quando gli offre e comunica la vita divina mediante i sacramenti, quando orienta la sua vita con i comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, la Chiesa contribuisce all'arricchimento della dignità dell'uomo. Ma essa, come non può mai abbandonare questa sua missione religiosa e trascendente in favore dell'uomo, cosí si rende conto che la sua opera incontra oggi particolari difficoltà ed ostacoli. Ecco perché si impegna sempre con nuove forze e con nuovi metodi all'evangelizzazione che promuove tutto l'uomo. Anche alla vigilia del terzo Millennio, essa rimane "il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana", come ha sempre cercato di fare sin dall'inizio della sua esistenza, camminando insieme con l'uomo lungo tutta la storia. L'Enciclica Rerum Novarum ne è un'espressione significativa.

 

 

56. Necessità di divulgare in tutto il mondo la dottrina sociale cristiana.

Nel centesimo anniversario di quest'Enciclica, desidero ringraziare tutti coloro che si sono impegnati a studiare, approfondire e divulgare la dottrina sociale cristiana. A questo fine è indispensabile la collaborazione delle Chiese locali, ed io auguro che la ricorrenza sia motivo di un rinnovato slancio per il suo studio, diffusione ed applicazione nei molteplici ambiti. Desidero, in particolare, che essa sia fatta conoscere e sia attuata nei diversi Paesi dove, dopo il crollo del socialismo reale si manifesta un grave disorientamento nell'opera di ricostruzione. A loro volta, i Paesi occidentali corrono il pericolo di vedere in questo cedimento la vittoria unilaterale del proprio sistema economico, e non si preoccupano, perciò, di apportare ad esso le dovute correzioni. I Paesi del Terzo Mondo, poi si trovano piú che mai nella drammatica situazione dei sottosviluppo, che ogni giorno si aggrava. Leone XIII, dopo aver formulato i principi e gli orientamenti per la soluzione della questione operaia, scrisse una parola decisiva: "Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi, perché il ritardo potrebbe render piú difficile la cura di un male già tanto grave", aggiungendo anche: "Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua".

 

 

57. Il messaggio sociale cristiano trova la sua credibilità nella testimonianza delle opere.

Per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve esser considerato una teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l'azione. Spinti da questo messaggio, alcuni dei primi cristiani distribuivano i loro beni ai poveri, testimoniando che, nonostante le diverse provenienze sociali, era possibile una convivenza pacifica e solidale. Con la forza del Vangelo, nel corso dei secoli, i monaci coltivarono le terre, i religiosi e le religiose fondarono ospedali e asili per i poveri, le confraternite, come pure uomini e donne di tutte le condizioni, si impegnarono in favore dei bisognosi e degli emarginati, essendo convinti che le parole di Cristo: "Ogni volta che farete queste cose a uno dei miei fratelli piú piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40), non dovevano rimanere un pio desiderio, ma diventare un concreto impegno di vita. Oggi piú che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna. Anche da questa consapevolezza deriva la sua opzione preferenziale per i poveri, la quale non è mai esclusiva né discriminante verso altri gruppi. Si tratta, infatti, di opzione che non vale soltanto per la povertà materiale, essendo noto che, specialmente nella società moderna, si trovano molte forme di povertà non solo economica, ma anche culturale e religiosa. L'amore della Chiesa per i poveri, che è determinante ed appartiene alla sua costante tradizione, la spinge a rivolgersi al mondo nel quale, nonostante il progresso tecnico-economico, la povertà minaccia di assumere forme gigantesche. Nei Paesi occidentali c'è la povertà multiforme dei gruppi emarginati, degli anziani e malati, delle vittime del consumismo e, piú ancora, quella dei tanti profughi ed emigrati; nei Paesi in via di sviluppo si profilano all'orizzonte crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure internazionalmente coordinate.

 

 

58. Nell'epoca attuale della "mondializzazione dell'economia" la Chiesa si fa promotrice della giustizia e vuol curare gli interessi dell'intera famiglia umana.

L'amore per l'uomo e, in primo luogo, per il povero, nel quale la Chiesa vede Cristo, si fa concreto nella promozione della giustizia. Questa non potrà mai essere pienamente realizzata, se gli uomini non riconosceranno nel bisognoso, che chiede un sostegno per la sua vita, non un importuno o un fardello, ma l'occasione di bene in sé, la possibilità di una ricchezza piú grande. Solo questa consapevolezza infonderà il coraggio per affrontare il rischio ed il cambiamento impliciti in ogni autentico tentativo di venire in soccorso dell'altro uomo. Non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. Ne si tratta di distruggere strumenti di organizzazione sociale che han dato buona prova di sé, ma di orientarli secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana. Oggi è in atto la cosiddetta "mondializzazione dell'economia", fenomeno, questo, che non va deprecato, perché può creare straordinarie occasioni di maggior benessere. Sempre piú sentito, però, è il bisogno che a questa crescente internazionalizzazione dell'economia corrispondano validi Organi internazionali di controllo e di guida, che indirizzino l'economia stessa al bene comune, cosa che ormai un singolo Stato, fosse anche il piú potente della Terra, non è in grado di fare. Per poter conseguire un tale risultato, occorre che cresca la concertazione tra i grandi Paesi e che negli Organismi internazionali siano equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana. Occorre anche che essi, nel valutare le conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni piú vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo. Indubbiamente, in questo campo rimane molto da fare.

 

 

59. Condizioni per l'attuazione della giustizia.

a) Il dono della grazia che viene da Dio.

Perché dunque, si attui la giustizia ed abbiano successo i tentativi degli uomini per realizzarla, è necessario il dono della grazia, che viene da Dio. Per mezzo di essa, in collaborazione con la libertà degli uomini, si ottiene quella misteriosa presenza di Dio nella storia che è la Provvidenza. L'esperienza di novità vissuta nella sequela di Cristo esige di esser comunicata agli altri uomini nella concretezza delle loro difficoltà, lotte, problemi e sfide, perché siano illuminate e rese piú umane dalla luce della fede. Questa, infatti, non aiuta soltanto a trovare le soluzioni, ma rende umanamente vivibili anche le situazioni di sofferenza, perché in esse l'uomo non si perda e non dimentichi la sua dignità e vocazione.

 

 

b) Dimensione interdisciplinare e pratica della dottrina sociale della Chiesa.

La dottrina sociale, inoltre, ha un'importante dimensione interdisciplinare. Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti e le aiuta ad aprirsi verso un orizzonte piú ampio al servizio della singola persona, conosciuta ed amata nella pienezza della sua vocazione. Accanto alla dimensione interdisciplinare, poi, è da ricordare la dimensione pratica e, in un certo senso, sperimentale di questa dottrina. Essa si situa all'incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia.

 

 

60. Appello della Chiesa per la soluzione della questione operaia.

a) Collaborazione fra tutti gli uomini.

Annunciando i principi per la soluzione della questione operaia, Leone XIII scriveva: "La soluzione di un problema cosí arduo richiede il concorso e l'efficace cooperazione anche di altri". Egli era convinto che i gravi problemi, causati dalla società industriale, potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze. Questa affermazione è diventata un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa, e ciò spiega, tra l'altro, perché Giovanni XXIII indirizzò la sua Enciclica sulla pace anche a "tutti gli uomini di buona volontà". Papa Leone, tuttavia, constatava con dolore che le ideologie del tempo, specialmente il liberalismo e il marxismo, rifiutavano questa collaborazione. Nel frattempo molte cose sono cambiate, specialmente negli anni piú recenti. Il mondo odierno è sempre piú consapevole che la soluzione dei gravi problemi nazionali e internazionali non è soltanto questione di produzione economica o di organizzazione giuridica o sociale, ma richiede precisi valori etico-religiosi, nonché cambiamento di mentalità, di comportamento e di strutture. La Chiesa si sente, in particolare, responsabile di offrire questo contributo e - come ho scritto nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis - c'è la fondata speranza che anche quel gruppo numeroso che non confessa una religione possa contribuire a dare il necessario fondamento etico alla questione sociale.

 

 

b) Collaborazione fra le grandi religioni e fra le persone con responsabilità politiche, economiche e sociali.

Nello stesso Documento ho pure rivolto un appello alle Chiese cristiane e a tutte le grandi religioni del mondo invitando ad offrire l'unanime testimonianza delle comuni convinzioni circa la dignità dell'uomo, creato da Dio. Sono persuaso, infatti, che le religioni oggi e domani avranno un ruolo preminente per la conservazione della pace e per la costruzione di una società degna dell'uomo. D'altra parte, la disponibilità al dialogo e alla collaborazione vale per tutti gli uomini di buona volontà e, in particolare, per le persone ed i gruppi che hanno una specifica responsabilità nel campo politico economico e sociale, a livello sia nazionale che internazionale.

 

 

61. I vari aspetti dell'impegno della Chiesa in difesa dell'uomo negli ultimi cento anni.

All'inizio della società industriale, fu "il giogo quasi servile" che obbligò il mio predecessore a prendere la parola in difesa dell'uomo. A tale impegno nei cento anni trascorsi la Chiesa è rimasta fedele! Infatti, è intervenuta nel periodo turbolento della lotta di classe dopo la prima guerra mondiale, per difendere l'uomo dallo sfruttamento economico e dalla tirannia dei sistemi totalitari. Ha posto la dignità della persona al centro dei suoi messaggi sociali dopo la seconda guerra mondiale, insistendo sulla destinazione universale dei beni materiali, su un ordine sociale senza oppressione e fondato sullo spirito di collaborazione e di solidarietà. Ha poi ribadito costantemente che la persona e la società non hanno bisogno soltanto di questi beni, ma anche dei valori spirituali e religiosi. Inoltre, rendendosi conto sempre meglio che troppi uomini vivono non nel benessere del mondo occidentale, ma nella miseria dei Paesi in via di sviluppo, e subiscono una condizione che è ancora quella del "giogo quasi servile", essa ha sentito e sente l'obbligo di denunciare tale realtà con tutta chiarezza e franchezza, benché sappia che questo suo grido non sarà sempre accolto favorevolmente da tutti . A cento anni dalla pubblicazione della Rerum Novarum la Chiesa si trova tuttora davanti a "cose nuove" e a nuove sfide. Perciò, il centenario deve confermare nell'impegno tutti gli uomini di buona volontà e, in particolare, i credenti.

 

 

62. La "Centesimus Annus" prepara la venuta del nuovo secolo.

Questa mia Enciclica ha voluto guardare al passato, ma soprattutto è protesa verso il futuro. Come la Rerum Novarum, essa si colloca quasi alla soglia del nuovo secolo ed intende, con l'aiuto di Dio, prepararne la venuta. a vera e perenne "novità delle cose" in ogni tempo viene dall'infinita potenza divina, che dice: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21, 5). Queste parole si riferiscono al compimento della storia, quando Cristo "consegnerà il regno a Dio Padre..., perché Dio sia tutto in tutti" (I Cor 15, 24.28). Ma il cristiano sa bene che la novità, che attendiamo nella sua pienezza al ritorno del Signore, è presente fin dalla creazione del mondo e, piú propriamente, da quando Dio si è fatto uomo in Gesú Cristo e con lui e per lui ha fatto una "nuova creazione" (2 Cor 5, 17; Gal 6, 15). Nel concludere, ringrazio ancora Dio onnipotente, che ha dato alla sua Chiesa la luce e la forza di accompagnare l'uomo nel cammino terreno verso il destino eterno. Anche nel terzo Millennio la Chiesa sarà fedele nel fare propria la via dell'uomo, consapevole che non procede da sola, ma con Cristo, suo Signore. È lui che ha fatto propria la via dell'uomo e lo guida anche quando questi non se ne rende conto. Maria, la Madre del Redentore, la quale rimane accanto a Cristo nel suo cammino verso e con gli uomini, e precede la Chiesa nel pellegrinaggio della fede, accompagni con materna intercessione l'umanità verso il prossimo Millennio, in fedeltà a Colui che, "ieri come oggi, e lo stesso e lo sarà sempre" (cfr. Eb 13, 8), Gesú Cristo, nostro Signore, nel cui nome tutti benedico di cuore.

 

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1º maggio - memoria di San Giuseppe lavoratore - dell'anno 1991, decimoterzo di pontificato.

Ioannes Paulus Pp. II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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